Sentenza n. 101 del 1965
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 101

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 316, 317 e 320 del Codice civile e 22, 23 e 91 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1964 dal Pretore di Tricarico nel procedimento penale a carico di Evangelista Rocco, iscritta al n. 144 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 225 del 12 settembre 1964.

Udita nella camera di consiglio del 18 novembre 1965 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale davanti al Pretore di Tricarico a carico di Evangelista Rocco imputato di lesioni colpose in danno della minore Schiavone Rosa, si costituiva parte civile nell'interesse di quest'ultima la madre Bolettieri Caterina. Contro tale atto faceva opposizione la difesa dell'imputato, osservando che il diritto di costituirsi parte civile avrebbe potuto essere legittimamente esercitato solo dal padre della minore, non risultando nei suoi riguardi alcuna ragione di impedimento.

Nell'ulteriore corso del processo, essendosi intanto il Pretore riservato di pronunciarsi sulla opposizione, il difensore della Bolettieri eccepiva la illegittimità costituzionale degli artt. 316, 317 e 320 del Codice civile e 22, 23 e 91 del Codice di procedura penale in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione. In tale sede si faceva espresso richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 9 del 5 febbraio 1964, con cui fu dichiarata la illegittimità costituzionale in riferimento all'art. 29, secondo comma, della Costituzione, degli artt. 573 e 574 del Codice penale, che prevedono rispettivamente i reati di sottrazione consensuale di minorenne e di sottrazione di incapace, in quanto le predette norme limitavano il diritto di querela al solo genitore esercente la patria potestà.

Il Pretore, ritenute sussistenti le condizioni di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, con ordinanza del 10 giugno 1964 ha sollevato questione di legittimità costituzionale "del combinato disposto degli artt. 22, 23 e 91 del Codice di procedura penale e 316, 317 e 320 del Codice civile" in riferimento al solo art. 29, secondo comma, della Costituzione e ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio.

Nell'ordinanza si osserva che in virtù del combinato disposto delle suddette norme, il diritto all'esercizio dell'azione civile nel procedimento penale compete, quando l'offeso é un minore, solo al genitore esercente la patria potestà. Da ciò discenderebbe - ad avviso del Pretore - una limitazione del principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, limitazione però non giustificata dal fine di garantire l'unità familiare. Questa infatti - sempre secondo l'opinione del Pretore - non potrebbe dirsi compromessa per il solo fatto di possibili dissensi fra i coniugi circa la opportunità di esercitare o meno l'azione civile nell'interesse di un figlio minore offeso da un reato.

L'ordinanza é stata regolarmente comunicata e notificata e risulta pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 225 del 12 settembre 1964.

Non vi é stata costituzione di parti.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ritiene insussistente la lesione del principio della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi nel caso denunziato nell'ordinanza del Pretore. Il diritto di costituirsi parte civile nel procedimento penale nell'interesse del minore é attribuito nel vigente ordinamento al genitore esercente la patria potestà non da una particolare norma limitatrice della posizione dell'altro coniuge, bensì in applicazione del sistema generale della rappresentanza dell'incapace, di cui la rappresentanza in giudizio é una delle manifestazioni. L'esercizio dell'azione civile nel procedimento penale mediante la costituzione di parte civile, non ostante la sua particolare disciplina, in nulla differisce da una qualsiasi azione civile per risarcimento di danni; ed é ben noto che le ragioni del danneggiato dal reato possono essere esercitate anche autonomamente davanti al magistrato civile. Pertanto, nei confronti del minore incapace essa altro non é che una delle tante azioni che nel suo interesse possono essere esercitate dal suo legittimo rappresentante. Né la posizione del coniuge non esercente la patria potestà subisce in questo caso una limitazione che possa dirsi diversa da quella che si verifica in ogni altra ipotesi di rappresentanza del minore.

La Corte ritiene d'altra parte che non a proposito, nel giudizio di merito, nella istanza della difesa con cui si proponeva la questione, sia stata invocata la sentenza n. 9 del 1964. Con questa sentenza fu dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 573 e 574 del Codice penale nella parte in cui limitavano il diritto di querela al solo genitore esercente la patria potestà; ma ciò avvenne per ragioni che se, in via generale, possono farsi rientrare nella tutela degli interessi dei minori, in realtà non sono identificabili con quelle che specificamente riguardano il sistema della rappresentanza degli interessi civili, e risalgono invece a quelle preminenti esigenze di interesse pubblico che si riassumono nel principio del favor querelae e in rapporto alle quali la disparità fra i due coniugi non ha ragione di essere.

Ritiene tuttavia la Corte che le questioni di legittimità costituzionale che vengono in materia sollevate, a parte la loro fondatezza in ciascun caso, stiano a rivelare uno stato della pubblica coscienza assai sensibile al principio costituzionale della parità morale e giuridica dei coniugi, per la cui piena attuazione, nel rispetto dell'altro principio costituzionale dell'unità familiare, é da auspicare un organico intervento del legislatore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Tricarico con ordinanza del 10 giugno 1964, degli artt. 22, 23, 91 del Codice di procedura penale in relazione agli artt. 316, 317, 320 del Codice civile, in riferimento all'art. 29 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 1965.