Sentenza n. 71 del 1965
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 71

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3396, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1964 dal Tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Di Lella Francesco ed altri e la Sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, iscritta al n. 123 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 212 del 29 agosto 1964.

Visto l'atto di costituzione dell'Ente di riforma;

udita nell'udienza pubblica del 16 giugno 1965 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Ente di riforma.

 

Ritenuto in fatto

 

I germani Francesco, Vittorio e Luigi Di Lella, insieme ai germani Filippo, Grazia e Giuseppina Giuliani e il padre di questi ultimi Gennaro Giuliani, convenivano avanti al Tribunale di Bari l'Ente di riforma agraria Puglie e Lucania, e ivi sollevavano preliminarmente questione di illegittimità costituzionale del decreto delegato 18 dicembre 1952, n. 3396, che aveva trasferito in proprietà all'Ente stesso terreni appartenenti agli istanti, in violazione degli artt. 4 e 8 della legge n. 841 del 1950, lamentando in primo luogo che l'espropriazione a carico della signora Di Lella Maria Vittoria, la sola assoggettabile alle leggi di riforma fondiaria, era stata disposta per l'intero fondo incluso nel comprensorio di riforma, mentre esso apparteneva pro indiviso ad altri condomini, e pertanto avrebbe potuto essere espropriato solo per la metà. In secondo luogo che oggetto di esproprio era stato anche l'intero fabbricato posto sul fondo, mentre apparteneva alla predetta solo per metà, e che non era stata accertata la sua natura, né corrisposta alcuna indennità.

Il Tribunale riteneva la questione rilevante, avendo respinta l'eccezione sollevata dalla difesa dell'Ente, di intervenuta prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2947 del Codice civile, dato che la pretesa degli istanti é rivolta ad ottenere l'equivalente economico del bene espropriato a titolo di indennizzo, non già il risarcimento di danni, mancando l'illiceità dell'atto, venuto in vita in base a legge valida al tempo della sua emanazione. Riteneva inoltre la questione stessa non manifestamente infondata, risultando l'eccesso di delega e la conseguente violazione dell'art. 76 della Costituzione per effetto del contrasto con l'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, ed altresì con il principio generale stabilito dall'art. 727 del Codice civile, e sembrando inoltre violato l'art. 42 della Costituzione.

Pertanto con sua ordinanza del 30 aprile 1964 sospendeva il giudizio e disponeva il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 212 del 29 agosto 1964.

Nel giudizio avanti alla Corte si é costituita la Sezione speciale riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, in persona del suo presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 24 luglio 1964.

In esse si contesta la fondatezza delle questioni sollevate, osservandosi come il testo letterale del citato art. 8 della legge n. 333 consente l'espropriazione dei terreni che siano oggetto di comunione, in danno del singolo condomino fino ad esaurimento della quota ideale spettante al medesimo singolo condomino. Nella specie la quota ideale spettante alla condomina soggetta ad esproprio, Di Lella Maria Vittoria, venne legittimamente fatta cadere sul fondo sito nel comprensorio di riforma, mentre le quote degli altri condomini vennero riservate e trasferite sugli altri beni, pure essi comuni, fuori del comprensorio stesso. La legittimità del procedimento seguito risulta confermata dall'art. 13 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, secondo cui nel caso di terreni espropriabili solo parzialmente l'Ente ha il diritto di esaurire la intera quota di scorporo sulla parte dei beni espropriabili.

Ugualmente infondata, ad avviso dell'Avvocatura, la seconda censura perché, a tenore dell'art. 18 della legge n. 841 ora citata, l'indennità deve equivalere al valore definitivo accertato ai fini dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, di cui all'art. 9 del T. U. 9 maggio 1950, n. 203, e pertanto nel valore accertato devono intendersi compresi tutti gli accessori e pertinenze dei fondi espropriati come sono i fabbricati. Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'infondatezza delle questioni sollevate dall'ordinanza.

Fuori termine, e cioè in data 5 ottobre 1964, si costituiva con deduzioni e deposito del fascicolo di parte l'avv. Vittorio Di Lella.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte ritiene che nessuna delle due questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3396, sollevate dal Tribunale di Bari sia fondata. In ordine alla prima, non appare esatta l'interpretazione che questo dà dell'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, secondo la quale nel caso di terreni posseduti pro indiviso da vari proprietari, di cui uno solo assoggettabile alla espropriazione prevista dalle leggi di riforma fondiaria, e distribuiti in diverse località, così da trovarsi in parte inclusi nei comprensori di riforma in parte fuori, l'Ente espropriante dovrebbe determinare la quota ideale del condomino colpito dall'esproprio con riferimento ai soli terreni situati entro i comprensori predetti. Occorre ricordare, in contrario, come, secondo l'art. 4 della legge n. 841 del 1950, la quota espropriabile della proprietà terriera sita nei territori soggetti a trasformazione fondiaria doveva essere determinata in base al reddito dominicale, quale risultava al 1 gennaio 1943, dell'intera proprietà, comprensiva, a tenore della legge interpretativa n. 1206 del 1952, di tutti i beni terrieri posseduti in qualunque parte del territorio nazionale. La quota, così commisurata sul coacervo dei terreni, doveva poi venire applicata in concreto mediante scorporo, fino alla totale applicazione della quota medesima, dei fondi o di una loro porzione, compresi nella zona di riforma, secondo la precisa statuizione dell'art. 13 della stessa legge n. 841.

Essendo sorto dubbio se il procedimento così disciplinato potesse essere seguito anche nei confronti di proprietà indivise, soggette esse pure ad esproprio (art. 4, secondo comma, legge n. 841), é intervenuta la legge n. 333 del 1951 che all'art. 8 lo ha risolto in senso affermativo, precisando cioè che l'Ente espropriante può provvedere all'espropriazione dei terreni sui quali grava la comunione fino all'esaurimento del valore della quota ideale spettante al condomino (da determinare, alla stregua delle norme prima ricordate, sul coacervo di tutti i beni comuni) con correlativa imputazione, nella successiva divisione, della porzione espropriata alla quota del suo titolare. Pertanto, facendo esatta applicazione del principio secondo il quale nelle comunioni il diritto di ciascun condomino investe tutto intero il bene indiviso, legittimamente il provvedimento espropriativo ha potuto colpire (fino a coprire l'intero valore della quota ideale spettante alla signora Maria Vittoria Di Lella) il terreno che, per essere ubicato nella zona di riforma, era il solo suscettibile di esproprio, senza che a ciò potesse formare ostacolo la comproprietà di alcuni soggetti immuni da sottoposizione alle leggi di riforma. Ciò sotto il riguardo che i diritti di costoro rimangono salvaguardati per effetto dell'accennato obbligo di imputazione della proprietà espropriata nella quota del condomino colpito. Se si pensasse altrimenti il soggetto dell'espropriazione, per il solo fatto di essere proprietario di beni ancora indivisi, verrebbe ad essere trattato in modo più favorevole dei titolari della integrale proprietà, in base all'asserito impedimento a procedere nei suoi confronti alla totale applicazione della quota di esproprio prescritta dal detto articolo.

Né vale invocare, a sostegno della contraria opinione, l'art. 727 del Codice civile poiché i criteri che questo stabilisce per la determinazione delle porzioni spettanti ai vari condomini non rivestono carattere inderogabile, ed anzi devono cedere in presenza di beni la cui divisione potrebbe arrecare danno ad interessi generali (come risulta dall'ultimo comma dello stesso articolo, e dall'art. 722). E non é dubbio che ad un interesse generale corrisponde assicurare la continuità territoriale di terreni sui quali deve essere effettuata la riforma, come emerge anche dall'art. 7 della legge n. 333 del 1951.

2. - La seconda questione, relativa al fabbricato esistente nel fondo espropriato é prospettata sotto due aspetti; e cioè della violazione delle leggi di riforma per il fatto di essere stato espropriato per intero, mentre entrava nella quota di proprietà della signora Maria Vittoria Di Lella solo per metà, e inoltre della violazione dell'art. 42 della Costituzione in quanto sarebbe mancata la corresponsione dell'indennizzo dovuto per l'ablazione di tale bene, non ancora iscritto a catasto.

La prima doglianza deve dichiararsi infondata sulla base degli stessi motivi esposti sub 1.

Quanto all'altra é da rilevare come, a norma del primo comma dell'art. 18 della legge n. 841, l'indennità per i terreni espropriati deve corrispondere al valore definitivo accertato ai fini dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, istituita col decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143, e poi regolata dal T.U. 9 maggio 1950, n. 203, il cui art. 9 fa riferimento ai valori medi del periodo 1 luglio 1946-31 marzo 1947, da ottenere mediante applicazione del reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione disposta con il R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589. Nel valore così accertato devono intendersi compresi tutti gli accessori e le pertinenze, fra le quali ultime rientrano (come la Corte ha ritenuto con la sentenza n. 65 del 1957) anche i fabbricati rurali, perché essi, pur non avendo nel sistema dell'imposta fondiaria un reddito proprio, concorrono a determinare il reddito complessivo del fondo, nel quale quindi quello del fabbricato, anche se non venga menzionato a parte, rimane compreso. Nella specie si allega che il caseggiato insistente sul fondo espropriato é stato costruito dopo la iscrizione in catasto, come risulterebbe da una lettera dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura di Foggia dell'8 marzo 1941, con cui si invitava l'interessata a presenziare al collaudo di opere di miglioramento fondiario effettuate in località Ischia d'Abate, sede del fondo scorporato. Poiché, secondo queste stesse affermazioni di parte, l'immobile in parola esisteva fin dall'inizio dell'anno 1941, cioè anteriormente alla data del 1 gennaio 1943, di entrata in vigore del nuovo catasto, gli interessati avrebbero dovuto curare l'iscrizione dell'immobile stesso, mentre era in corso la revisione generale degli estimi disposta con il D. L. 4 aprile 1939, n. 589, e giovandosi dell'art. 16 del R.D. 8 ottobre 1931, n. 1572, di approvazione del T.U. sul nuovo catasto, secondo cui dovevano essere compresi nel catasto terreni i fabbricati rurali con i loro accessori, nonché degli artt. 104,105, lett. b, 113 e 114 del R.D. 8 dicembre 1938, n. 2153, di approvazione del relativo Regolamento, che dettano norme circa l'introduzione dei beni non ancora censiti.

L'omissione di tale aggiornamento, quale avrebbe dovuto essere promosso dall'iniziativa dei proprietari interessati, rende inattaccabile la liquidazione dell'indennità, che risulta effettuata regolarmente, sulla base del reddito conforme alle risultanze del nuovo catasto al 1 gennaio 1943, in applicazione del citato art. 4 della legge, n. 841.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3396, sollevata dall'ordinanza in epigrafe, in relazione agli artt. 76 e 42 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 1965.