Sentenza n. 32 del 1965
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SENTENZA N. 32

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 23, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218, dell'art. 16 del D.L.L. 19 novembre 1945, n. 788, e dell'art. 24 del R.D. 17 giugno 1937, n. 1048, promossi con due ordinanze emesse il 18 marzo 1964 dal Pretore di Siracusa nei procedimenti penali a carico di Santuccio Rodolfo e di Giannetto Salvatore, iscritte ai nn. 103 e 104 del Registro ordinanze 1964 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 17 marzo 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso d'un procedimento penale, apertosi a carico del sig. Rodolfo Santuccio, il Pretore di Siracusa ha emesso il 18 marzo 1964 un'ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale denunciando gli artt. 23, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218; 16 del D.L.L. 19 novembre 1945, n. 788; 24 del R.D. 17 giugno 1937, n. 1048: disposizioni che puniscono con un'ammenda chi, datore di lavoro o preposto al lavoro, rifiuti di prestarsi alle indagini di funzionari ed agenti, incaricati della sorveglianza, o di fornir loro dati e documenti necessari all'applicazione d'altre norme contenute in quelle leggi.

Secondo l'ordinanza, queste disposizioni contrastano con l'art. 13 della Costituzione, che "sancisce la inviolabilità della libertà personale" salvo "atto motivato dell'autorità giudiziaria": infatti esse coartano la volontà del cittadino obbligandolo, sotto la minaccia d'una pena, a collaborare coi funzionari e con gli agenti che conducono indagini a suo danno; la legge ordinaria non può colpire con sanzioni penali chi, non volendo prestarsi ad accertamenti svolti contro di lui, difende la stessa inviolabilità della propria persona: un tale comportamento omissivo tutt'al più potrebbe essere sottoposto a congrue sanzioni civili.

Un'analoga denuncia, contemporaneamente, lo stesso Pretore di Siracusa ha avanzato nel corso d'un altro procedimento penale apertosi a carico del signor Salvatore Giannetto: essa é diretta contro due delle tre disposizioni impugnate nell'altra ordinanza (artt. 23, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218 e 24 del R.D. 17 giugno 1937, n. 1048).

Le due ordinanze sono state ritualmente notificate e pubblicate.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, in tutt'e due le cause, con deduzioni che sono state depositate contemporaneamente il 9 luglio 1964.

L'Avvocatura dello Stato premette che l'art. 13 della Costituzione tutela specificatamente ed esclusivamente la persona fisica del cittadino; rileva come tutto ciò non abbia niente da spartire con le ispezioni che, a scopi economici e fiscali, possono e devono essere disciplinate con legge (art. 14 della Costituzione), e con le prestazioni personali, che possono e devono essere disciplinate pur esse con legge (art. 23 della Costituzione); ricorda che le norme denunciate si limitano a sanzionare penalmente l'obbligo imposto ai datori di lavoro di "fornire i dati e i documenti" necessari per l'applicazione di leggi di previdenza: quest'obbligo dunque, si giustifica con la finalità pubblica d'uno svolgimento regolare del rapporto di lavoro e del rapporto previdenziale, che sono anzi costituzionalmente tutelati; d'altra parte quei dati e quei documenti, secondo l'Avvocatura dello Stato, non si riferiscono alla sfera personale del datore di lavoro, ma alla sua attività imprenditoriale che é attività di interesse comune e di rilievo pubblico; né, per chiunque non sia imputato, esiste nel nostro ordinamento un diritto a rifiutare una risposta che potrebbe incriminarlo, cioé, nel caso, un diritto a non fornire elementi che potrebbero tradursi in suo danno.

L'Avvocatura, che ha depositato anche una breve memoria illustrativa il 4 marzo 1965, conclude chiedendo il rigetto della questione di legittimità costituzionale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause, avendo per oggetto le stesse questioni di legittimità costituzionale, vengono decise con unica sentenza.

2. - Le ordinanze di rinvio denunciano gli artt. 23, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218; 16 del D.L.L. 9 novembre 1945, n. 788; 24 del R.D. 17 giugno 1937, n. 1048: essi, obbligando il cittadino, sotto la minaccia d'una sanzione penale, a fornire dati e documenti in proprio danno, coarterebbero la volontà della persona, cioè quella sua libertà di autodeterminazione che sarebbe sicuramente tutelata dall'art. 13 della Costituzione.

La questione é infondata.

Le norme impugnate fanno parte di leggi che, per scopi di previdenza e di integrazione dei salari, impongono determinati obblighi ai datori di lavoro. Tali leggi hanno attribuito a funzionari o ad agenti, appositamente preposti o incaricati, il compito di sorvegliare le imprese perché siano adempiuti quegli obblighi e di raccogliere dati e documenti necessari all'attuazione dei fini previdenziali e retributivi. Inoltre il legislatore ha ritenuto, giustamente, che lo svolgimento di questo compito richieda la collaborazione di chi risponde dinanzi alla legge dell'attività dell'impresa e perciò gli ha imposto quel comportamento positivo che forma oggetto delle norme impugnate (egli si deve prestare alle indagini condotte da funzionari ed agenti e deve fornire quei dati e quei documenti).

In tal modo la libertà della persona non risulta vincolata né più né meno di quanto lo sia per effetto di una qualunque altra norma precettiva; e il vincolo consiste in un obbligo specifico, d'estensione limitata, suggerito da motivi di interesse generale e previsto espressamente dalla legge. La violazione di questo obbligo, data la sua gravità, costituisce reato ed é punita con ammenda.

Le norme impugnate, pertanto, non consentono all'Amministrazione di colpire la libertà fisica della persona: infatti non attribuiscono a funzionari o ad agenti poteri di costrizione materiale del cittadino; né annullano la libertà psichica o morale, la personalità, dell'individuo, poiché piuttosto lo costringono soltanto e saltuariamente a collaborare con un'attività di Controllo resa necessaria da precise esigenze pubbliche: il legislatore non punisce il rifiuto del datore di lavoro di "fornire elementi in proprio danno", come ritiene invece l'ordinanza di rinvio; ma il rifiuto di aderire a indagini e a richieste dalle quali dipende l'attuazione della legge previdenziale o retributiva (poco importa poi se da esse può discendere inoltre l'accertamento di eventuali inadempienze dello stesso datore di lavoro).

In conclusione l'art. 13 della Costituzione non risulta neanche sfiorato (v. da ultimo sentenza n. 30 del 1962 della Corte costituzionale).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riunite le due cause, dichiara non fondata, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, terzo comma, della legge 4 aprile 1952, n. 218; 16 del D.L. L. 9 novembre 1945, n. 788; 24 del R.D. 17 giugno 1937, n. 1048, proposta con le ordinanze citate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1965.

 Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 23 aprile 1965.