Sentenza n. 118 del 1964
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SENTENZA N. 118

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai Signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 25 del Codice di procedura civile e degli artt. 6, 7, 8 e 10 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 novembre 1963 dal Pretore di Pieve di Cadore nel procedimento civile vertente tra Marchiafava Giuseppe e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 30 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 67 del 14 marzo 1964;

2) ordinanza emessa il 31 marzo 1964 dal Pretore di S. Agata di Militello nel procedimento civile vertente tra Faraci Biagina e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, nonché Corpina Calogero e Sinagra Maria, iscritta al n. 82 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 144 del 13 giugno 1964.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 18 novembre 1964 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Amministrazione finanziaria dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con la prima delle ordinanze in epigrafe, nella controversia in materia di imposta generale sull'entrata tra Marchiafava Giuseppe e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, il Pretore di Pieve di Cadore ha promosso giudizio di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 25 del Codice di procedura civile in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, ritenendo invece manifestamente infondata la questione relativa a un preteso contrasto della medesima disposizione con l'art. 25 della Costituzione.

Ai fini della rilevanza della questione il Pretore, pur riconoscendo che, una volta pronunciata l'illegittimità della disposizione impugnata, la causa esulerebbe nondimeno dalla sua competenza - appartenendo, ai sensi dell'art. 9 del Codice di procedura civile, alla competenza del Tribunale di Belluno -, afferma che tuttavia la risoluzione della questione proposta é indispensabile per consentirgli di conoscere se, nel dichiarare la propria incompetenza, egli debba rimettere la causa a questo ultimo Tribunale oppure a quello di Venezia, che sarebbe competente in base alla regola del foro dello Stato enunciata nell'impugnato art. 25.

Circa il merito della questione il Pretore osserva che l'art. 25 del Codice di procedura civile contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione pel fatto di concedere allo Stato parte in causa nei giudizi civili un vero e proprio privilegio in ordine alla sede di trattazione dei giudizi: privilegio il quale per giunta si risolverebbe frequentemente in un maggiore onere economico per le parti private, costrette a partecipare ai giudizi fuori della sede "naturale". Tutto ciò concreterebbe anche una violazione dei principi dello Stato di diritto nonché dell'art. 24 della Costituzione, dal quale, in coordinamento con l'art. 3, discenderebbe che "tutti debbono essere posti nelle stesse condizioni per poter ugualmente e liberamente adire il giudice".

L'ordinanza é stata notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 gennaio 1964. Essa era stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 9 gennaio, ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 67 del 14 marzo, Nel giudizio davanti a questa Corte si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto d'intervento dell'Avvocatura generale dello Stato depositato il 5 marzo 1964.

In tale atto si sottolinea particolarmente che il principio del foro erariale attua una concentrazione per ragione di materia e non di territorio, e ha la sua giustificazione in esigenze di economicità e di buon andamento dell'organizzazione dell'Amministrazione, nonché di specializzazione del giudice: ragioni le quali ridondano tutte a beneficio dell'intera collettività e quindi dei singoli cittadini (compresa la controparte dell'Amministrazione che nel singolo giudizio si trovi a essere svantaggiata dall'applicazione di quel principio).

Ciò posto, sarebbe inappropriato il riferimento ai precetti costituzionali invocati nell'ordinanza di rinvio.

2. - Un analogo giudizio di legittimità costituzionale é stato proposto dal Pretore di S. Agata di Militello, con la seconda delle ordinanze in epigrafe, nella controversia in materia di imposta di registro tra Faraci Biagina e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, nonché Corpina Calogero e Sinagra Maria.

Premesso che le disposizioni sul foro erariale realizzano, nelle controversie riguardanti l'Amministrazione statale, uno spostamento di competenza territoriale, e sottolineato che ciò é suscettibile di risolversi in un notevole aggravio del costo del processo per le altre parti, quel Pretore, appellandosi anch'egli alle esigenze dello Stato di diritto, ritiene che le ricordate disposizioni si risolverebbero, da un lato, in una violazione dell'art. 25 della Costituzione, il quale esige che nessuno venga distolto dal giudice naturale, dall'altro - data l'anzidetta posizione di svantaggio fatta ai litiganti privati nei confronti dell'Amministrazione -in una violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, che assicurano a tutti il diritto di agire e difendersi in giudizio nei confronti di chiunque, e in particolare della pubblica Amministrazione. Pertanto, in riferimento ai menzionati due articoli della Costituzione, ha rimesso a questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio "(al quale, per compiutezza, devono aggiungersi anche gli artt. 6, 7 e 10, nonché l'art. 25 del Codice di procedura civile in relazione all'art. 9 dello stesso Codice)".

L'ordinanza é stata notificata alle parti private il 28 e 29 aprile, all'Amministrazione finanziaria il 2 maggio, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 5 maggio 1964.

Essa era stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 27 aprile ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 144 del 13 giugno 1964.

Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto d'intervento dell'Avvocatura generale dello Stato e il Ministro delle finanze con deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato, entrambi depositati il 16 maggio 1964.

La difesa del Presidente del Consiglio si basa sulle stesse argomentazioni fatte valere nella causa proposta dal Pretore di Pieve di Cadore. Quella del Ministro delle finanze sottolinea particolarmente l'inesattezza dell'affermazione di un maggior costo del processo davanti al foro erariale, giacché "le tariffe forensi, come le spese di giustizia, sono uguali per tutto il territorio dello Stato" e la presenza personale delle parti, almeno nella maggior parte dei casi, non é necessaria. Si sofferma inoltre sull'art. 9 del Codice di procedura civile, per osservare che la riserva al giudice collegiale delle controversie tributarie - riserva che riguarda anche i tributi non statali -, se può importare un aggravio di spese per quei giudizi che per valore potrebbero rientrare, in base al criterio generale, nella competenza pretorile, non urta contro la Costituzione, giacché questa non detta disposizioni destinate a regolare la competenza per valore dei giudici.

3. - Nei due giudizi l'Avvocatura dello Stato ha presentato due identiche memorie, depositate il 30 settembre.

In esse si contesta la violazione dell'art. 25 della Costituzione, ricordando la giurisprudenza della Corte che ha precisato il concetto di giudice naturale, e in particolare la sentenza n. 119 del 1963 che ha affermato espressamente che il giudice indicato dalle disposizioni sul foro erariale "é esso stesso un giudice naturale precostituito per legge". Con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione si fa poi osservare che, se dalle disposizioni impugnate tutti i cittadini sono trattati alla stessa stregua rispetto allo Stato, se questo rappresenta la collettività dei cittadini giuridicamente organizzati, se le norme sul foro dello Stato furono dettate a fini di efficienza della funzione amministrativa e di quella giurisdizionale, non può vedersi alcuna illegittimità - stante la diversità delle situazioni e delle ragioni - nel fatto che per le cause dello Stato sia prevista una competenza giurisdizionale non coincidente con quella comune. Con riferimento infine agli artt. 24 e 113 della Costituzione l'Avvocatura ribadisce le precedenti deduzioni.

4. All'udienza di trattazione le due cause sono state discusse congiuntamente e l'Avvocato dello Stato si é riportato alle difese scritte.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due giudizi sono stati trattati congiuntamente e possono essere riuniti. Con le due ordinanze di rimessione - e in particolare con quella del Pretore di S. Agata di Militello - vengono investite tutte le disposizioni riguardanti (secondo l'espressione dell'art. 25 del Codice di procedura civile) il foro dello Stato (artt. 6, 7, 8 e 10 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, e art. 25 del Codice di procedura civile). Le questioni sollevate hanno quindi, in sostanza, un unico oggetto.

Né ha importanza, a tal fine, che i motivi addotti dalle due ordinanze a sostegno della illegittimità costituzionale non coincidono se non in parte.

2. - Secondo un primo profilo l'illegittimità della prescrizione, per le cause dello Stato, di un foro particolare - il quale può non coincidere col foro davanti al quale in casi identici debbono esser portate le cause in cui non sia parte lo Stato - viene prospettata con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto le disposizioni impugnate conferirebbero allo Stato un ingiusto privilegio, cui si accompagnerebbe una diminuzione della possibilità, per gli altri soggetti interessati ai giudizi in cui sia parte lo Stato, di difendere le proprie posizioni giuridiche.

Occorre riconoscere che la regola del foro dello Stato é effettivamente in grado di rendere più elevato, per le altre parti, il costo del processo, quando quest'ultimo abbia a svolgersi in una sede più lontana, rispetto alla loro residenza, nei confronti di quella dove il giudizio si sarebbe svolto qualora la regola stessa non si fosse dovuta osservare (basterebbe pensare, se non altro, alla necessità di avvalersi di un difensore locale, e quindi di raggiungerlo nella sua sede per illuminarlo sui fatti della causa, ovvero alla necessità, alternativa con la prima, di sostenere - nel caso di scelta di un difensore praticante nel luogo di propria residenza - le maggiori spese previste dalle tariffe professionali per gli spostamenti del difensore non locale fino alla sede del foro dello Stato). Non ritiene però la Corte che tale maggior costo del processo si risolva in una violazione del principio di eguaglianza e in una effettiva diminuzione del diritto di agire e difendersi in giudizio.

Con riferimento al principio di eguaglianza é da osservare, in coerenza con le costanti affermazioni di questa Corte, che esso non può considerarsi vulnerato da una legge la quale regoli in modo differente dagli altri un caso che presenti, rispetto a questi ultimi, dei profili particolari idonei a non far apparire priva di ragione meritevole di considerazione la disparità di trattamento (v., tra le pronunce più recenti relative a leggi contenenti una disciplina differenziata per rapporti interessanti lo Stato, le sentenze nn. 87 del 1962, 81 del 1963, 77 del 1964). Orbene: la regola del foro dello Stato ha una giustificazione sufficientemente adeguata, da un lato, nell'esigenza di concentrare - in vista di un minor costo e di un migliore svolgimento del servizio (cui fa richiamo anche l'art. 97 della Costituzione), e perciò a vantaggio dell'intera collettività (ridondante indirettamente anche a beneficio dei singoli, e perciò degli stessi eventuali avversari dello Stato in giudizio) - gli uffici dell'Avvocatura dello Stato; dall'altro nell'esigenza di concentrare i giudizi cui partecipa lo Stato - frequentemente implicanti questioni sui generis di complessa risoluzione - presso un numero ristretto di sedi giudiziarie, sì da dare impulso alla specializzazione di queste nel trattarli, con vantaggio dello svolgimento e dei risultati della funzione giudiziaria, e quindi, ancora una volta, dell'intera collettività.

Con riferimento al diritto di agire e difendersi in giudizio, riconosciuto indistintamente a tutti dall'art. 24 della Costituzione, é poi da osservare che la regola del foro dello Stato, mentre non ferisce in modo diretto tale diritto costituzionalmente garantito, non lo colpisce neppure in modo indiretto. Infatti, in primo luogo, il maggior costo del giudizio - fatte le debite proporzioni, e tenendo anche conto dell'istituto del gratuito patrocinio e del principio per cui il vincitore in giudizio deve essere rimborsato delle spese processuali - non può esser considerato tale da sconsigliare, a chi in mancanza della regola del foro dello Stato l'avrebbe esercitata, la difesa in giudizio (in qualità di attore o di convenuto) delle proprie posizioni soggettive; in secondo luogo, esso ha una adeguata giustificazione nelle ragioni di interesse generale (ridondanti anche a beneficio dei singoli, uti universi) di cui gia si e detto.

3. - Proprio per le medesime ragioni la regola del foro dello Stato non appare lesiva del precetto costituzionale per cui (in applicazione del principio di legalità) la possibilità di agire in giudizio contro la pubblica Amministrazione in difesa dei propri diritti e interessi legittimi non può essere in alcun modo preclusa, limitata o diminuita (art. 113 della Costituzione).

Infatti, se ha una sua logica e una sufficiente giustificazione e non può esser considerata lesiva del diritto di agire e difendersi in giudizio, garantito a tutela di qualsiasi posizione soggettiva dall'art. 24 della Costituzione, essa non può nemmeno esser considerata in contrasto con l'art. 113 (é il caso di ricordare, del resto, che con la sentenza n. 87 del 1962 questa Corte affermò che la tutela giurisdizionale contro la pubblica Amministrazione può essere diversamente regolata, nei modi e nell'efficacia, dal legislatore ordinario). É vero che (come questa Corte ha avuto occasione di osservare nella sentenza n. 2 del corrente anno) l'art. 113 é da considerare violato quando la difesa giurisdizionale nei confronti della pubblica Amministrazione sia resa estremamente difficile o puramente apparente. Ma già é stato posto in evidenza che ciò non si verifica nel caso presente.

4. Da tutto quanto precede risulta anche che in nessun modo la regola impugnata urta contro i principi dello Stato di diritto.

Non occorre poi un diffuso discorso per dimostrare l'insussistenza del denunciato contrasto delle disposizioni sul foro dello Stato con l'art. 25 della Costituzione. Già nella sentenza n. 119 del 1963 questa Corte ha avuto infatti occasione di rilevare che, determinando una volta per sempre, in relazione alla generalità delle controversie in cui sia parte l'Amministrazione, quale sia il giudice competente, le disposizioni legislative in questione non urtano minimamente col precetto costituzionale per cui nessuno può esser distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riunisce i due giudizi di legittimità costituzionale promossi con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 25 del Codice di procedura civile e degli artt. 6, 7, 8 e 10 del T. U. 30 ottobre 1933, n. 1611, sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 113 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1964.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 1964.