Sentenza n. 72 del 1964
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SENTENZA N. 72

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 7 della legge 15 agosto 1949, n. 533, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 2 ottobre 1963 dal Pretore di Cremona nel procedimento civile vertente tra Rolli Luigi e Stradiotti Aldo, iscritta al n. 204 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 312 del 30 novembre 1963;

2) ordinanza emessa il 5 novembre 1963 dal Pretore di Vigevano nel procedimento civile vertente tra Campari Emilio e Buttarelli Ireneo, iscritta al n. 208 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 336 del 28 dicembre 1963.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 29 aprile 1964 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento civile avanti al Pretore di Cremona, vertente fra Rolli Luigi e Stradiotti Aldo, per anticipata risoluzione di contratti individuali di lavoro di salariati fissi in agricoltura, avendo le parti richiesto che la causa venisse decisa con l'intervento dei consulenti tecnici di cui all'art. 5 della legge 15 agosto 1949, n. 533, il Pretore, con ordinanza del 2 ottobre 1963, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale di detta disposizione, nella considerazione che essa, non richiedendo per i consulenti predetti nessun requisito di capacità, né di indipendenza, in quanto li fa designare dalle organizzazioni sindacali rappresentative delle rispettive parti in giudizio, contraddice alle prescrizioni degli artt. 102 e 108 della Costituzione. Pur essendo vero che gli esperti in parola rivestono una figura ibrida, dato che non esercitano né funzioni giudicanti, né quelle proprie degli ausiliari di giustizia di cui agli artt. 61 e seguenti del Codice di procedura civile, risulta tuttavia irrazionale che non si assicuri in nessun modo neanche un minimo di idoneità, che pur sarebbe necessaria per potere assistere validamente ed integrare le cognizioni del giudice, e neppure la estraneità agli interessi delle parti, che invece si esige per i comuni consulenti tecnici, pei quali si fanno valere gli istituti dell'astensione e della ricusazione.

Analoga questione é stata sollevata con ordinanza del 5 novembre 1963, nel procedimento fra Campari Emilio e Buttarelli Ireneo, vertente avanti al Pretore di Vigevano, ed in essa, mentre se ne illustra la non manifesta infondatezza con gli stessi motivi svolti nell'ordinanza prima richiamata, si estende poi la denuncia di incostituzionalità anche all'art. 7 della legge stessa, nella considerazione che i dedotti motivi di incostituzionalità non possono ritenersi superati da quest'ultima disposizione, poiché la nomina di ufficio dei consulenti, prevista dalla medesima, si rende possibile solo nell'ipotesi della mancata loro designazione da parte delle associazioni sindacali.

Le due ordinanze, regolarmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nelle Gazzette Ufficiali rispettivamente del 30 novembre 1963, n. 312, e 28 dicembre 1963, n. 336.

É intervenuto nel giudizio avanti alla Corte il Presidente del Consiglio dei Ministri, che, a mezzo dell'Avvocato generale dello Stato, ha depositato in cancelleria le proprie deduzioni rispettivamente in data 7 e 27 novembre 1963. Con esse si fa osservare come il richiamo agli artt. 102 e 108 della Costituzione é del tutto fuori luogo in quanto i consulenti di cui all'impugnato art. 5 non entrano a far parte dell'organo giudicante con poteri decisori (dal che deriva che, come ha ritenuto la Cassazione, l'eventuale loro assenza dal procedimento non dà luogo a vizio di costituzione del giudizio, insanabile e rilevabile d'ufficio, come quello di cui all'art. 158 del Codice di procedura civile, ma solo a nullità, da far valere con i comuni mezzi d'impugnativa), e neppure rivestono la figura dei consulenti tecnici, dai quali il giudice può farsi assistere in base agli artt. 61 e 441 del Codice di procedura civile. Essi invece si inseriscono nella speciale procedura predisposta dalla legge n. 533, derogante alle norme di competenza e di rito valevoli per le altre controversie individuali di lavoro, con funzioni meramente consultive e di generica assistenza per ogni aspetto della controversia.

L'interpretazione delle norme costituzionali richiamate da parte delle ordinanze non riveste carattere d'interpretazione estensiva, bensì di analogia; analogia che, se é sempre di dubbia applicazione alle norme costituzionali, si deve ritenere nella specie inammissibile, data la diversità della ratio sia rispetto alle norme vigenti per le sezioni specializzate, sia alle altre che riguardano la nomina degli ausiliari tecnici del giudice. Fa poi osservare l'Avvocatura che, in ogni caso, gli artt. 102 e 108, ove pure fossero applicabili, non sarebbero da considerare violati poiché, come il requisito dell'idoneità non é sempre da valutare con riferimento al possesso di cognizioni tecniche, potendo invece riguardare l'apporto recato al giudice dalla voce delle esperienze concrete proprie dell'ambiente di vita nel quale si svolgono i rapporti controversi, così l'altro requisito dell'indipendenza può riuscire realizzato in virtù della pariteticità delle rappresentanze delle due associazioni sindacali interessate, nonché dal fatto che la designazione da parte di quest'ultime é effettuata non già per ogni singolo processo, ma per determinati periodi fissi di tempo.

Conclude chiedendo che la Corte dichiari l'infondatezza della questione sollevata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause promosse con le ordinanze indicate in epigrafe vanno riunite e decise con unica sentenza, data l'identità della questione di legittimità costituzionale dalle medesime sollevata, anche se una di esse (e cioè quella emessa dal Pretore di Vigevano) estende la eccezione, oltre che all'art. 5, all'art. 7 della legge n. 533 del 1949, del quale ultimo l'altra non fa parola.

2. - Le ordinanze, pur ammettendo che i consulenti tecnici di cui al denunciato art. 5 non partecipano all'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'art. 102, secondo comma, della Costituzione, ritengono tuttavia che anche per essi siano da richiedere i requisiti di capacità e di imparzialità, voluti assicurare da questo articolo e dal successivo art. 108 nei riguardi degli organi giudicanti, nella considerazione della identità di ratio fra le norme relative ai membri laici che entrano a comporre le sezioni specializzate e quelle che richiedono per i giudizi di cui si tratta l'assistenza obbligatoria di esperti non di parte, chiamati ad intervenire nel momento della decisione onde esprimere il loro parere, anche su questioni attinenti al merito della vertenza.

L'Avvocatura dello Stato ha opposto che siffatta estensione delle norme costituzionali sarebbe possibile solo col ricorso all'analogia: analogia, che (oltre a trovare ostacolo, in via generale, nella natura stessa delle norme costituzionali, le quali, in quanto vincolano il libero esercizio della potestà legislativa, sono di stretta interpretazione), non potrebbe avere applicazione nella specie, data la diversità ontologica e funzionale sussistente fra i giudici ed i consulenti.

Non si può condividere la prima delle obiezioni ora riferite perché essa é basata sul falso presupposto di un'indefinita capacità espansiva del potere legislativo, suscettibile di arrestarsi solo di fronte a testuali disposizioni che la limitano, mentre in realtà il potere stesso, subordinato come é, alla pari degli altri poteri costituzionali, all'impero delle norme e dei principi fondamentali, anche se inespressi, dell'ordinamento, può incontrare nel suo esplicarsi limiti desumibili da una ragione normativa sopra- ordinata alle singole disposizioni.

Esatto invece é escludere che nella specie sussista una somiglianza fra gli elementi delle due situazioni dalla quale si vorrebbe ricavare l'integrazione analogica, dato che una si riferisce agli organi giudicanti, l'altra ai soggetti che di questi ultimi sono semplicemente ausiliari.

3. - L'anzidetto rilievo non può ritenersi però sufficiente ad esaurire l'esame della questione sollevata, sorgendo il quesito se l'esigenza dell'imparzialità del giudice rimanga in concreto sufficientemente soddisfatta ove non si garantisca l'estraneità agli interessi delle parti contendenti anche di tutti coloro i quali, assumendo funzioni di ausilio dell'attività del giudice medesimo, concorrono a fargli acquisire il complesso delle cognizioni e delle convinzioni necessarie all'esatta applicazione della legge a lui demandata. La stretta connessione, sulla base di un rapporto di strumentalità, fra i compiti di tali ausiliari del giudice e quelli propri di quest'ultimo, conduce a far ritenere che le garanzie dell'indipendenza, cui la Costituzione fa riferimento (intesa in quel limitato e particolare aspetto che deve ritenersi in essa ricompreso, riguardante l'assenza di ogni interesse indiretto alla causa da decidere) debbano trovare attuazione per tutto il complesso della funzione giurisdizionale, in ognuna delle sue modalità, che direttamente concorrono al retto esercizio della medesima. Con la conseguenza di far considerare espressione di tale principio le norme degli artt, 61, 63,192,193 del Codice di procedura civile. Altrimenti pensando, le garanzie stesse rimarrebbero, almeno in parte, frustrate tutte le volte che, per la ricerca o pel giudizio sul fatto materiale della causa o sugli altri elementi che concorrono alla sua decisione, non risulti sufficiente la comune esperienza o la scienza privata del giudice.

Né varrebbe, per giungere a conclusione contraria, affermare, come fa l'Avvocatura, che, a differenza degli altri, i consulenti di cui all'art. 5 in esame hanno un compito di "assistenza generica", poiché appare invece meglio rispondente al vero ritenere che costoro siano più strettamente collegati alla funzione giudicante di quanto non avvenga in altri casi di consulenze pur esse, come l'attuale, necessarie; ciò pel fatto che i medesimi non vengono nominati di volta in volta, ma sono invece precostituiti in base a nomine annuali, nonché per effetto dei modi del loro reclutamento, della loro collegialità e pariteticità, della materia cui si riferisce il loro parere, ed altresì della loro ammissione in camera di consiglio, anche senza la presenza delle parti (prescritta invece in via generale dall'art. 197 del Codice di procedura civile), analogamente a quanto avviene nelle controversie in materia di lavoro, secondo é previsto dall'art. 441 del Codice di procedura civile.

Neppure probante appare il rilevare che l'assenza degli esperti di cui all'art. 5 non determina un vizio di costituzione del giudice, in quanto, se ciò é vero, data la non contestabile estraneità dei medesimi alle funzioni decisorie, non meno vero é che il carattere necessario proprio di tale specie di consulenza fa sì che la sua mancanza sia produttiva di nullità del procedimento.

4. - Passando ora all'applicazione alla specie dei principi formulati, é da ritenere che, quanto ai requisiti di capacità, la scelta dei consulenti da parte delle associazioni di categoria cui rispettivamente appartengono le due parti contendenti offra sufficienti garanzie del possesso della conoscenza dei fatti notori locali e delle massime di esperienza inerenti alla natura delle controversie, cui si riferiscono i loro pareri.

Ragioni di dubbio possono invece sorgere per quanto riguarda le garanzie di indipendenza, non essendo previsto, per i consulenti di cui si parla, il ricorso agli istituti della astensione e della ricusazione (di cui al citato art. 192 del Codice di procedura civile). Non può dirsi in contrario che l'indipendenza rimanga sufficientemente assicurata dalla pariteticità della rappresentanza delle due associazioni contrapposte, poiché tale pariteticità, se vale a consentire al giudice la valutazione dei fatti e delle situazioni locali, quali emergono dai rispettivi punti di vista delle due categorie, non preserva invece dal pericolo che uno o più dei consulenti si trovi in una di quelle speciali relazioni con l'oggetto o con le parti di una singola vertenza, che, ai sensi degli artt. 51 e 52 del Codice di procedura civile, danno vita ad incapacità a decidere e che valgono anche a determinare uguale incapacità a prestare validamente le funzioni ausiliatrici del giudice.

É piuttosto da ritenere (anche in considerazione dell'osservanza, dovuta in ogni caso, al rilevato principio di pariteticità, il quale risulterebbe compromesso ove, per un impedimento sopravvenuto, qualcuno dei componenti le rappresentanze non presenziasse allo svolgimento della causa) che la legge in esame debba venire interpretata non già nel senso di escludere le garanzie di cui si tratta (nel qual caso se ne dovrebbe dichiarare l'incostituzionalità), bensì nell'altro di consentire al giudice, nell'ipotesi di impedimento materiale, oppure in quelli analoghi nei quali l'impedimento derivi dall'accertata esistenza di motivi di ricusazione o di astensione nei loro confronti, di procedere alla nomina, sulla base della designazione di cui all'art. 5 in esame, di altri membri in sostituzione di quelli impediti. Ciò si rende possibile perché l'istituto della supplenza appare suscettibile di applicazione generale, anche all'infuori di espresso richiamo legislativo, tutte le volte che siano da soddisfare esigenze di funzionalità di un organo e sussistano i congegni necessari a renderne possibile il ricorso.

Le osservazioni suesposte conducono a far ritenere infondata anche l'eccezione sollevata dall'ordinanza del Pretore di Vigevano sulla illegittimità costituzionale dell'art. 7.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sulle cause indicate in epigrafe, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei riguardi degli artt. 5 e 7 della legge 15 agosto 1949, n. 533.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1964.

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 1964.