Sentenza n. 41 del 1964
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SENTENZA N. 41

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 18 dicembre 1951, n. 1410, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1963 dal Tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente tra Solima Rosario, Luigi, Angela e Marco e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 171 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 268 del 12 ottobre 1963.

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Solima e dell'Opera per la valorizzazione della sua;

udita nell'udienza pubblica del 15 aprile 1964 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi l'avv. Cesare Gabriele, per i Solima, e il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per l'Opera Sila.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa in data 9 luglio 1958 nel giudizio civile promosso dai sigg. Rosario e Luigi Solima fu Vincenzo contro l'Opera per la valorizzazione della Sila il Tribunale di Cosenza rimise a questa Corte varie questioni di legittimità costituzionale nei confronti della legge 12 maggio 1950, n. 230, riguardante la riforma fondiaria nell'Altipiano silano, nonché nei confronti di due decreti legislativi di scorporo in data 18 dicembre 1951, emanati in attuazione della delega conferita con l'anzidetta legge, e recanti i nn. 1410 e 1423.

2. - La Corte decise con la sentenza 7 luglio 1959, n. 41, le questioni riguardanti la legge n. 230 e quelle riguardanti il decreto legislativo n. 1423 - alcune delle quali erano comuni anche al decreto n. 1410 -, dichiarandole tutte infondate. Con ordinanza n. 42 in pari data dichiarò invece di non essere in grado, allo stato, di pronunciare in ordine ai difetti denunciati nei confronti del decreto n. 1410 - riflettente lo scorporo nei confronti di Solima Vincenzo fu Rosalbino (padre e dante causa degli attori nel giudizio a quo) di Ha 166.01.10 siti nel Comune di Bisignano -, non risultando sufficientemente accertati nell'ordinanza di rimessione, ai fini della dimostrazione della rilevanza del giudizio di legittimità costituzionale, taluni punti di fatto interessanti alcune delle questioni proposte.

Le questioni comuni a entrambi i decreti di scorporo, che la Corte, pronunciando in relazione al decreto n. 1423, ritenne infondate, riguardavano: a) il fatto che con tali decreti erano state eseguite delle espropriazioni in testa a un soggetto defunto (Vincenzo Solima, deceduto il 26 aprile 1951, successivamente alla pubblicazione del piano di scorporo, ma anteriormente ai decreti di scorporo); b) il fatto che le espropriazioni eseguite in testa al defunto avevano in realtà colpito i quattro figli di lui (tra i quali i due attori), nonostante che a ciascuno dei figli fosse toccata una quota di terreno inferiore a 300 ettari; c) il fatto che tutti i terreni colpiti erano insuscettibili di miglioramenti fondiari.

Le questioni, riflettenti il solo decreto n. 1410, in relazione alle quali la Corte ritenne necessari ulteriori accertamenti riguardavano, invece, rispettivamente: a) il fatto che il piano particolareggiato redatto dall'Opera Sila e posto in pubblicazione indicava come intestatari dei terreni da espropriare i germani Vincenzo e Francesco Solima (comproprietari pro indiviso dei fondi in questione, congiuntamente - a quanto assumevano gli attori - a un cugino, Eugenio Solima, non indicato affatto nel piano), mentre il decreto di scorporo aveva come destinatario unicamente Vincenzo Solima; b) il fatto che l'espropriazione avrebbe colpito in testa al solo Vincenzo Solima terreni di proprietà comune a lui e ad altri.

In relazione a tali questioni la Corte ritenne necessario che fosse chiarito: 1) se contenesse una intestazione e a chi fosse effettivamente intestato il piano di scorporo a suo tempo redatto dall'Opera Sila; 2) quali fossero le complessive consistenze terriere al 15 novembre 1949 di ciascuno dei germani Vincenzo e Francesco Solima; 3) a chi effettivamente appartenessero e a chi fossero intestati in catasto al 15 novembre 1949 i terreni espropriati col decreto n. 1410.

3. - Riassunto innanzi al Tribunale di Cosenza il giudizio civile - nel quale si sono ora costituiti anche gli altri due figli di Vincenzo Solima precedentemente rimasti estranei alla causa, i sigg. Angela e Marco Solima - con ordinanza 10 aprile 1963 quel Tribunale ha rimesso a questa Corte la "decisione sulle non risolte questioni di legittimità costituzionale", precisando a tal fine: 1) che "é stata documentalmente accertata la lamentata divergenza fra il piano di scorporo, a suo tempo redatto dall'Ente di riforma e posto in pubblicazione nel Comune di Bisignano, intestato ad entrambi i germani Vincenzo e Francesco Solima, ed il decreto di espropriazione n. 1410, emesso nei confronti del solo Vincenzo Solima"; 2) che "dalla espletata consulenza tecnica é emerso poi che, al 15 novembre 1949, i germani Vincenzo e Francesco Solima possedevano, rispettivamente, Ha 671.53.51 ed Ha 411.16.38"; 3) ed inoltre che alla stessa data "i terreni espropriati col decreto 18 dicembre 1951, n. 1410, si appartenevano pro indiviso ai germani Vincenzo e Francesco Solima fu Rosalbino e ad Eugenio Solima fu Goffredo, ai quali erano anche intestati in catasto".

L'ordinanza é stata notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Successivamente é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 268 del 12 ottobre 1963.

4. - Innanzi a questa Corte si sono costituiti, in data 11 luglio 1963, l'ing. Luigi Solima, fu Vincenzo, in proprio e quale procuratore generale dei fratelli Angela, Rosario e Marcantonio, e, in data 10 ottobre 1963, l'Opera per la valorizzazione della Sila, rappresentata dall'Avvocatura generale dello Stato, portando entrambi l'attenzione sulle sole questioni per cui é stata svolta la nuova istruttoria.

5. - Nelle proprie deduzioni i Solima sottolineano l'importanza della costanza dell'elemento soggettivo correlato con la effettiva consistenza patrimoniale in ogni fase del procedimento di scorporo previsto dalla legge n. 230 del 1950, e sostengono che, persino quando dovesse ritenersi applicabile alle espropriazioni ai sensi di tale legge l'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333 (cosa che sarebbe da negare), sarebbe stato necessario specificamente indicare nei piani pubblicati ai fini dello scorporo il nome del singolo comproprietario nei confronti del quale si intendevano espropriare terreni di proprietà comune ad altri soggetti. La pubblicazione di un piano di scorporo in testa a due comproprietari, entrambi soggetti a scorporo stante la rispettiva consistenza patrimoniale, é da ritenere effettuata pertanto in previsione di uno scorporo destinato a colpire ciascuno di essi per la metà; in conseguenza la espropriazione successivamente effettuata in testa a uno soltanto di essi viene a creare una divergenza tra piano ed esproprio, che non può non esser considerata in contrasto con la legge di delega. La difesa conclude nel senso che, ove pur non dovesse esser dichiarato illegittimo per intero, il decreto impugnato dovrebbe esserlo quanto meno limitatamente alla parte in cui ha espropriato in testa a Vincenzo Solima una superficie eccedente la metà di quella indicata nel piano in precedenza pubblicato.

6. Nelle sue deduzioni l'Opera Sila osserva che la denunciata illegittimità non sussiste, giacché l'art. 2 della legge n. 230 consentiva anche l'esproprio di quote indivise, e il soggetto che si intendeva e si poteva espropriare, sino al limite della quota ideale, era appunto Vincenzo Solima: se, prima di specificare definitivamente, nel decreto di esproprio, il suo solo nome, fu pubblicato un piano intestato congiuntamente a lui e al fratello Francesco, ciò avvenne unicamente perché, per identificare i terreni da espropriare - che era l'unica indicazione da fare nel piano -, occorreva indicare i soggetti risultanti dal catasto. Tali argomentazioni vengono ribadite in una memoria depositata il 6 febbraio 1964.

7. - Anche i Solima hanno depositato una memoria in questa stessa data. In replica alle deduzioni avversarie si osserva in essa, innanzi tutto, la inesattezza dell'affermazione secondo cui il piano pubblicato si sarebbe limitato a indicare i soggetti cui in catasto erano intestati i terreni che si intendevano espropriare: infatti nel piano non risultava menzionato il nome del terzo comproprietario, Eugenio Solima, anch'esso risultante dal catasto. Si aggiunge poi che nel piano Francesco e Vincenzo Solima erano indicati come i soggetti "in confronto" dei quali si faceva luogo alla procedura di esproprio; onde anche e proprio nei confronti di entrambi avrebbero dovuto essere emessi il parere della Commissione parlamentare, previsto dall'art. 5 della legge, e il decreto di scorporo, anziché modificare in pejus la posizione di Vincenzo Solima. Si sottolinea infine che, mentre l'art. 8 della legge n. 333 del 1951 non riguardava le espropriazioni effettuate ai sensi della legge n. 230 del 1950, l'art. 2 di quest'ultima non autorizzava affatto ad operare nei confronti di un solo comproprietario la espropriazione di terreni indivisi, bensì autorizzava ad espropriare delle proprietà indivise unicamente quando l'espropriazione - diversamente da quanto fu praticato (e poteva esser praticato) nel caso in questione - si estendesse a tutti i comproprietari dei fondi indivisi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il presente giudizio di legittimità costituzionale trae origine da un'ordinanza del Tribunale di Cosenza emessa dopo la riassunzione innanzi ad esso di un giudizio promosso da alcuni degli eredi del sig. Vincenzo Solima e sospeso in attesa della pronuncia da parte di questa Corte su alcune questioni di legittimità costituzionale in esso sollevate. Quelle questioni investivano la legge n. 230 del 1950 (c. d. "legge Sila"), e i decreti legislativi nn. 1410 e 1423 del 1951, coi quali erano stati scorporati in persona del defunto sig. Vincenzo Solima terreni appartenenti a lui in comproprietà alla data del 15 novembre 1949, ma nella cui comproprietà gli erano succeduti gli eredi anteriormente alla emanazione dei menzionati decreti.

Questa Corte risolse con la sentenza n. 41 del 1959 tutte le questioni riflettenti la legge n. 230 e il decreto legislativo n. 1423 - riguardante terreni siti nel Comune di S. Sofia d'Epiro - mentre con ordinanza n. 42 dello stesso anno, lasciando impregiudicate tutte le questioni relative al decreto legislativo n. 1410 - riguardante terreni siti nel Comune di Bisignano - restituì gli atti al Tribunale di Cosenza perché questo approfondisse taluni punti di fatto non sufficientemente chiari.

Dopo aver effettuato gli accertamenti richiesti, il Tribunale di Cosenza ha ora rimesso alla Corte la "decisione sulle non risolte questioni di legittimità costituzionale". Le quali non sono soltanto quelle in ordine a cui questa Corte ritenne a suo tempo necessari ulteriori accertamenti, bensì anche quelle - sulle quali nella attuale fase le parti non hanno ritenuto di soffermarsi - comuni al giudizio nei confronti del decreto legislativo n. 1423, ma risolte, con la sentenza n. 41 del 1959, soltanto nei confronti di questo.

Tali questioni attengono: a) al fatto che il decreto n. 1410 (così come il n. 1423) ebbe per destinatario una persona che al momento della emanazione di esso era defunta; b) al fatto che esso, ancorché intestato al defunto, ebbe in realtà a colpire i figli di lui, nessuno dei quali si trovava a possedere una quantità di terreno tale da dover essere assoggettato a scorporo ai sensi della "legge Sila"; c) al fatto che i terreni assoggettati allo scorporo erano insuscettibili di ulteriori miglioramenti.

In ordine a tutte le anzidette questioni la Corte non ritiene di doversi discostare dalle conclusioni cui pervenne nella sentenza n. 41 del 1959 in riferimento al decreto n. 1423. Esse vanno risolte perciò tutte negativamente. Le prime due, perché la "legge Sila" imponeva al Governo di prendere in considerazione le situazioni soggettive ed oggettive esistenti al 15 novembre 1949: onde esattamente il piano di scorporo fu intestato a Vincenzo Solima ancorché egli fosse successivamente deceduto, ed ebbe conseguentemente riguardo alla consistenza del suo patrimonio terriero, e non a quella dei singoli suoi eredi. La terza perché - a parte la esclusione di ogni possibilità di un sindacato di merito circa la idoneità dei terreni espropriati a ricevere ulteriori miglioramenti agrari - é da tener presente che la suscettibilità di "trasformazione" che l'art. 2 della "legge Sila" poneva come condizione per lo scorporo dei terreni privati, doveva essere intesa in un senso comprensivo della realizzabilità di aziende contadine.

2. - Con riferimento alle questioni per le quali si sono resi necessari i nuovi accertamenti ora compiuti dal Tribunale, l'ordinanza di rimessione precisa che da questi é risultato che il piano a suo tempo pubblicato a cura dell'Opera Sila nel Comune di Bisignano fu effettivamente intestato ai germani Vincenzo e Francesco Solima, mentre il decreto di scorporo ha colpito, nella proprietà comune, soltanto il primo; che alla data del 15 novembre 1949 Vincenzo e Francesco Solima possedevano un patrimonio terriero, rispettivamente, di Ha 671,53,51 ed Ha 411,16,38 (onde sia l'uno che l'altro avrebbero potuto essere legittimamente espropriati, non solo dei terreni scorporati congiuntamente nel Comune di S. Sofia d'Epiro, ma anche di quelli scorporati in testa al solo Vincenzo nel Comune di Bisignano); che i terreni espropriati nel Comune di Bisignano si appartenevano pro indiviso, oltre che ai germani Vincenzo e Francesco Solima (ai quali fu intestato il piano posto in pubblicazione), anche al cugino Eugenio Solima (mai menzionato nei piani) e a tutti e tre essi erano anche intestati in catasto.

Sulla base di tali premesse, la questione se sia legittima l'espropriazione in persona del solo Vincenzo Solima dei terreni siti nel Comune di Bisignano (per i quali il piano di scorporo era stato adottato e pubblicato in persona di lui e del fratello Francesco) é da risolvere in senso negativo. I germani Vincenzo e Francesco Solima erano entrambi legittimati a subire (congiuntamente o distintamente) lo scorporo, e il piano era stato redatto e posto in pubblicazione nei confronti di entrambi. Sulla base di esso, il patrimonio di Vincenzo Solima appariva dunque destinato a esser colpito in una quota corrispondente alla metà di quella poi effettivamente espropriata in testa a lui, allorché il decreto di espropriazione delle proprietà in Bisignano - per le quali lo scorporo era stato originariamente previsto in testa a lui e al fratello Francesco - fu intestato a lui soltanto. É chiara perciò la mancanza di quella puntuale corrispondenza tra piano posto in pubblicazione e piano approvato che il sistema delle leggi di riforma fondiaria (per la "legge Sila", v. gli artt. 2, 4 e 5) considerano - come questa Corte ha avuto altre volte occasione di affermare (p. es. , sentenze nn. 33 del 1961, 39 del 1962, 126 del 1963 e 38 del 1964) - garanzia essenziale e inderogabile della legalità dei decreti legislativi di Scorporo.

Nel delegare al Potere esecutivo la possibilità di emanare provvedimenti particolari con valore di legge, ai fini della realizzazione della riforma fondiaria, le anzidette leggi hanno voluto circondare di notevoli garanzie tale eccezionale potestà, prescrivendo a questo scopo l'osservanza di un procedimento legale ordinato alla salvaguardia e alla certezza delle singole posizioni soggettive: l'inosservanza del dovuto procedimento, tanto se si risolva, quanto se non si risolva in un vizio di sostanza, non può quindi non viziare il provvedimento con valore di legge emanato in base alla delega. E il vizio - dato il criterio eminentemente "personale" delle procedure espropriative previste dalle leggi di riforma fondiaria (particolarmente sottolineata, a es. , nelle sentenze di questa Corte nn. 8, 10, 34, 57 del 1959, n. 77 del 1961) - non é di minor peso quando la discordanza investa, anziché i beni, i soggetti nei confronti dei quali la procedura si svolge (v. la sentenza n. 77 del 1961).

3. - Infondati sono invece i dubbi di legittimità sollevati in ordine al fatto che col decreto impugnato é stato espropriato non nei confronti di tutti i comproprietari un corpo fondiario di proprietà comune.

L'art. 2 della "legge Sila" - nella redazione della quale evidentemente non si mancò di tener presente la frequenza con cui in Calabria le proprietà terriere sogliono esser mantenute indivise nonostante i successivi passaggi ereditari - dichiara infatti soggetti ad espropriazione "i terreni di proprietà privata... appartenenti.. in comunione o pro-indiviso a singole persone o società". E l'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, ne dà conferma. É vero che questa legge appare dal titolo destinata a dettar norme interpretative e integrative della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (c. d. "legge stralcio"): il che é dovuto al fatto che la più gran parte delle sue disposizioni furono dettate appunto con riguardo a questa sola legge (v. le sentenze di questa Corte n. 66 e n. 74 del 1957). Ma l'art. 8,11 quale - come risulta anche dai lavori preparatori - é da considerare operante altresì nei confronti degli espropri previsti dalla "legge sua", precisa che, nel caso di espropriazione di quote di terreni indivisi in testa a singoli condomini, "l'ente espropriante può provvedere alla espropriazione dei terreni, oggetto della comunione, fino ad esaurire il valore della quota ideale spettante a detto condomino", salvo l'imputazione alla quota di quest'ultimo della porzione espropriata.

Del resto, nel senso che anche in base alla "legge Sila", oltre che in base alla "legge stralcio", fosse possibile espropriare in testa a uno solo dei comproprietari quote di beni indivisi fu già affermato, sia pure incidentalmente, da questa Corte, con la sentenza n. 82 del 1957.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1951, n. 1410, in relazione agli artt. 4 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e in riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, della Costituzione, in quanto, nel colpire beni di proprietà comune a Vincenzo e Francesco Solima fu Rosalbino e ad Eugenio Solima fu Goffredo, ha espropriato in testa a Vincenzo Solima anche la quota di comproprietà di cui il piano pubblicato in vista dello scorporo di tali beni aveva previsto l'espropriazione in testa a Francesco Solima.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 1964.