Sentenza n. 35 del 1964
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SENTENZA N. 35

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 34 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e dell'art. 33 del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, promossi con due ordinanze emesse il 18 luglio 1963 dal Tribunale di Reggio Emilia nei procedimenti civili vertenti tra Bertani Giuseppe e Margherita e la S.p.a. "Edisonvolta" e tra Borzacchi Lucia e Rosa, Viappiani Maria e la S. p. a. "Edisonvolta", iscritte ai nn. 169 e 170 del Registro ordinanze 1963 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 268 del 12 ottobre 1963.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio di Bertani Giuseppe e Margherita, di Borzacchi Lucia e Rosa e di Viappiani Maria;

udita nell'udienza pubblica del 4 marzo 1964 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 18 luglio 1963, emessa nel procedimento civile instaurato dai signori Margherita e Giuseppe Bertani contro la S. p. a. "Edisonvolta" ed avente ad oggetto la determinazione dell'indennità spettante agli attori in conseguenza del decreto n. 39765 del 25 ottobre 1962 col quale il Prefetto di Reggio Emilia aveva disposto l'imposizione di una servitù di elettrodotto su un fondo di loro proprietà, il Tribunale di Reggio Emilia, in accoglimento di una eccezione proposta dai Bertani, ha sollevato, ritenendola non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e dell'art. 33 del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Nell'ordinanza il Tribunale ha ritenuto che le predette disposizioni, sancendo il principio che "lo stato di consistenza del Genio civile ha valore di perizia giudiziale", menomano il potere discrezionale del giudice di stabilire se debba nominarsi un consulente tecnico e di nominare il consulente ritenuto più idoneo; violano il diritto di difesa delle parti alle quali viene preclusa la possibilità di tutelare i loro diritti coi mezzi offerti dal Codice di procedura civile e, in definitiva, fanno dipendere l'esito del giudizio dalla statuizione di un organo amministrativo così come, in un caso analogo, disponeva l'art. 10 della legge 23 maggio 1950, n. 253, dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte con sentenza n. 70 del 1961.

La medesima questione é stata sollevata anche con altra ordinanza emessa in pari data dallo stesso Tribunale nel procedimento civile instaurato da Rosa e Lucia Borzacchi e Maria Viappiani contro la S. p. a. "Edisonvolta".

Le due ordinanze sono state ritualmente notificate alle parti in data 13-19 agosto 1963 ed al Presidente del Consiglio dei Ministri in data 19 agosto 1963, comunicate ai Presidenti delle due Camere del Parlamento in data 13 agosto 1963 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, n. 268 del 12 ottobre 1963.

Nel presente giudizio si sono costituite, ad eccezione della S. p. a. "Edisonvolta", tutte le parti private, rappresentate e difese dagli avv. Franco Mariani ed Ettore Campanini, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.

Nei rispettivi atti di costituzione, depositati il 31 ottobre 1963 e di identico contenuto, le parti private hanno ribadito i motivi enunciati nelle ordinanze di rimessione ed hanno aggiunto che le disposizioni impugnate non assicurano il contraddittorio nella fase di formazione della perizia, giacché gli interessati non possono intervenire personalmente alle operazioni di valutazione del Genio civile né nominare un consulente tecnico perché vi assista; e, nel successivo procedimento innanzi all'autorità giudiziaria, non hanno la possibilità di difendersi sul punto decisivo della causa.

Negli atti di intervento depositati il 7 settembre 1963 l'Avvocatura generale dello Stato ha illustrato le norme, e la loro ratio, che disciplinano l'esproprio nella parte relativa alla procedura predisposta, in caso di mancata accettazione della somma offerta, per la determinazione dell'indennità provvisoria e preventiva, ha sottolineato il significato della efficacia di perizia giudiziaria riconosciuta dalla legge alla perizia preventiva, sia essa eseguita, secondo i vari casi, dai periti nominati dal Tribunale, dal Genio civile o dai tecnici dell'Amministrazione, ed ha contestato la esattezza dell'interpretazione che delle norme in esame ha dato il Tribunale. Il procedimento innanzi all'autorità giudiziaria, infatti, é regolato dalle comuni norme di procedura e la perizia preventiva non limita in alcun modo i normali poteri del giudice, né nelle determinazioni relative ai mezzi di prova né nella eventuale nomina di altri consulenti tecnici, sicché lo stesso diritto di difesa delle parti risulta pienamente garantito. L'Avvocatura osserva, infine, che nessuna analogia é dato riscontrare fra il caso in esame e quello deciso con sentenza n. 70 del 1961 di questa Corte: l'art. 10, n. 1, primo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, dichiarato costituzionalmente illegittimo, conferiva all'accertamento del Genio civile il valore di atto istruttorio del procedimento giudiziario; laddove nel caso oggi sottoposto alla Corte la perizia con la quale si determina in via provvisoria l'indennità é un atto che, inserito nel procedimento di espropriazione, é esclusivamente amministrativo e non comporta alcuna limitazione dei poteri che al giudice competono nel successivo procedimento civile, nel quale, perciò, il diritto di difesa delle parti trova la sua normale e piena tutela.

All'udienza pubblica del 4 marzo 1964 l'Avvocatura dello Stato si é riportata alle osservazioni svolte negli atti di costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause, trattate congiuntamente nell'udienza pubblica, hanno identità di oggetto e vengono pertanto riunite e decise con unica sentenza.

2. - Il dispositivo delle due ordinanze di rinvio fa testuale riferimento, oltre che all'art. 34 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, all'intero art. 33 del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, ma dalla motivazione si ricava con certezza che la questione di legittimità costituzionale, per quanto attiene a quest'ultima disposizione, é circoscritta al comma terzo che demanda al Genio civile o, se i lavori debbano essere eseguiti da un'amministrazione statale, all'ufficio tecnico di questa il compito di compilare lo stato di consistenza dei fondi e di determinare la somma da depositarsi a titolo di indennità di espropriazione.

3. - Il Tribunale e le parti private costituite pervengono alla conclusione che l'esito del giudizio viene fatto dipendere dalla statuizione di un organo amministrativo in quanto partono dal presupposto che le norme in esame sottraggono al giudice ogni potere istruttorio e, di conseguenza, costituiscono ostacolo allo esplicarsi del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Ma la Corte ritiene che questa interpretazione sia inesatta e non possa essere condivisa.

Giova in primo luogo osservare che le operazioni demandate alla competenza del Genio civile si inseriscono nel procedimento amministrativo di espropriazione e vengono compiute, perciò, quando non é ancora sorto alcun rapporto processuale fra espropriante ed espropriato. E sotto questo profilo, come esattamente ha rilevato l'Avvocatura dello Stato, nessuna differenza é possibile riscontrare fra la norma contenuta nella legge sulle espropriazioni per pubblica utilità, che affida al Tribunale la nomina del perito o dei periti che devono procedere alla stima dei beni (art. 32), e le disposizioni speciali che per particolari tipi di espropriazione conferiscono lo stesso compito ad uffici amministrativi: nell'uno e nell'altro caso, infatti, si tratta sempre di attività meramente amministrativa, posta in essere prima dell'emissione del decreto di espropriazione e, quindi, prima che possa essere investita l'autorità giudiziaria. Nessun rilievo costituzionale ha pertanto la circostanza che per gli impianti elettrici, in forza del terzo comma dell'art. 33 del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, la stima dei beni venga demandata al Genio civile o, se i lavori debbano essere eseguiti da un'amministrazione statale, all'ufficio tecnico di questa.

Per quanto poi concerne l'influenza che la stima così determinata spiega sull'eventuale successivo procedimento civile, non é dubbio che in forza del generico rinvio contenuto nel quarto comma del citato art. 33 sia applicabile l'art. 34 della citata legge n. 2359 del 1865 e che, di conseguenza, a quella stima vadano riconosciuti gli effetti di una perizia giudiziaria: ma ciò non significa affatto che essa vincoli l'autorità giudiziaria fino al punto da precludere all'espropriato la difesa del diritto di cui assume la violazione e da escludere il sindacato giurisdizionale. L'opposta conclusione non trova conforto nell'esegesi delle norme in esame ed é nettamente esclusa dalla costante interpretazione che di essa hanno data la dottrina e la giurisprudenza. La legge sulle espropriazioni dispone, infatti, che nei trenta giorni successivi alla notifica del decreto di esproprio i proprietari interessati possono proporre avanti l'autorità giudiziaria le loro istanze contro la stima fatta dai periti (art. 51): e, dunque, é la stessa legge che prevede come oggetto del giudizio l'impugnativa della perizia, senza dettare né espressamente né implicitamente limiti al normale potere di apprezzamento, di istruttoria e di decisione dell'autorità giudiziaria. Né siffatti limiti si ricavano dalla circostanza che in forza del citato art. 34 alla stima vengono riconosciuti, come si é detto, gli effetti della perizia giudiziaria, giacché secondo la costante interpretazione giurisprudenziale il giudice conserva gli stessi poteri che gli competono nei confronti di qualsiasi perizia, compreso quello (art. 196 del Cod. proc. civ.) di ordinare il rinnovo delle operazioni e di affidarlo al consulente che ritenga più idoneo, con apprezzamento così ampio da esser ritenuto incensurabile in Cassazione.

Da quanto si é detto emergono nettissime le differenze fra il caso in esame e quello deciso da questa Corte con sentenza n. 70 del 1961, che dichiarò costituzionalmente illegittimo l'art. 10, n. 1, della legge 23 maggio 1950, n. 253. Questa norma demandava infatti al Genio civile un accertamento che vincolava il giudice nel merito, ne limitava il potere riducendolo ad un mero controllo di legittimità, gli impediva di nominare un nuovo e diverso consulente tecnico e di ricavare da altre fonti il suo convincimento: conseguenze che la disciplina dettata dalle norme ora impugnate certamente non comporta.

E poiché, in definitiva, le parti nel far valere le loro ragioni innanzi all'autorità giudiziaria non incontrano altri limiti che quelli derivanti dalle regole del processo civile, é da escludere, conformemente alle enunciazioni contenute nella sentenza n. 63 del 7 maggio 1963 di questa Corte, che le disposizioni legislative oggetto del presente giudizio violino il diritto di difesa, ovvero escludano o limitino la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica Amministrazione;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i due giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, contenente la "disciplina delle espropriazioni forzate per pubblica utilità", e dello art. 33, comma terzo, del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, contenente il "testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici", in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1964.

 Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 19 maggio 1964.