Sentenza n. 28 del 1964
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SENTENZA N. 28

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 16 agosto 1963, n. 22, riguardante la denominazione della frazione di Ferrara-Schmieden del Comune di Sesto, in Provincia di Bolzano, promosso con ricorso del Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, notificato il 15 ottobre 1963, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 successivo ed iscritto al n. 57 del Registro ricorsi 1963.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige;

udita nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1964 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi l'avv. Karl Tinzl, per la Provincia di Bolzano, e il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per la Regione Trentino-Alto Adige.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso depositato nella cancelleria della Corte il 21 ottobre 1963 il Presidente pro-tempore della Giunta provinciale di Bolzano, con la rappresentanza dell'avv. Karl Tinzl, ha impugnato, ai sensi dell'art. 82 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, la legge emanata dalla Regione stessa il 16 agosto 1963 col n. 22, e pubblicata il 20 dello stesso mese, con cui venne stabilito che la frazione posta a sud del Comune di Sesto, nella Provincia di Bolzano, venga denominata con il nome di "Ferrara" nel testo italiano, e di "Schmieden" nel testo tedesco, nella considerazione che essa viene a violare l'art. 11, n. 3, dello Statuto medesimo il quale assegna alla competenza della Provincia la materia della toponomastica. A sostegno del ricorso si fa osservare come la ratio dell'attribuzione alla Provincia di Bolzano di determinate competenze in grado primario fu quella di salvaguardare le caratteristiche etniche, linguistiche, culturali e storiche nella Provincia stessa, e che la denominazione delle località abitate si presenta in particolar modo suscettibile di soddisfare tale esigenza, come risulta comprovato anche dal fatto che il tentativo operato dal regime fascista di alterare le caratteristiche storiche della zona venne indirizzato, prima ancora che all'ordinamento dei Comuni, al mutamento del nome delle località dei territori annessi, mediante l'adozione di misure cui espressamente venne dato carattere toponomastico. Non varrebbe invocare in contrario l'art. 7 dello Statuto, che attribuisce alla Regione la competenza alla modifica della denominazione dei Comuni, perché anzitutto osta a ciò la regola dell'art. 12 delle disposizioni preliminari secondo cui la legge non può interpretarsi contro il chiaro senso delle parole adoperate: senso che risulta tanto più evidente pel fatto che lo Statuto ha distinto la competenza provinciale per la toponomastica, avente carattere primario, da quella regionale secondaria relativa all'ordinamento dei Comuni. Inoltre non vi potrebbe essere luogo ad interpretazione analogica dello stesso art. 7 perché le frazioni sono mere entità di fatto (come affermato dalla sentenza n. 61 del 1958 di questa Corte), in nessun modo assimilabili agli enti giuridici costituiti dai Comuni, e d'altra parte il potere della Regione di provvedere alle denominazioni di questi ultimi ha carattere di eccezione rispetto alla regola che attribuisce alle Province la titolarità del compito dell'attribuzione dei nomi a qualsiasi diversa specie di località. Si aggiunge che un'analogia non può farsi valere neanche con riferimento alla potestà regionale di disporre modifiche delle circoscrizioni dei Comuni, dato che questa é produttiva di notevoli mutamenti nella situazione giuridica preesistente, che invece fanno del tutto difetto nei provvedimenti relativi alle denominazioni. Conclude chiedendo che venga dichiarata la illegittimità costituzionale della norma impugnata.

É intervenuta in giudizio la Regione Trentino-Alto Adige, assistita dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo, con atto del 25 ottobre 1963, che proprio il carattere rivestito dalle frazioni quale é stato messo in rilievo dalla ricorrente, di mere entità di fatto, spiega come di queste non si sia fatta menzione nello Statuto, che si é riferito solo ad enti giuridici ben definiti, quali sono i Comuni. Da questa mancata menzione non possono però argomentarsi le conseguenze prospettate dalla ricorrente, poiché, secondo il vigente ordinamento giuridico (i cui principi limitano, a tenore degli artt. 4 e 11 dello Statuto, la competenza normativa regionale) i poteri relativi alla determinazione delle circoscrizioni ed alla loro denominazione sono parti di un unico istituto, come risulta anche dall'art. 266 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1934, e pertanto devono rimanere soggetti alla disciplina di una stessa autorità, in quanto collegati da un rapporto di principale ad accessorio. Sarebbe illogico che mentre la Regione può mutare l'assetto territoriale dei Comuni, in base al n. 3 del citato art. 4 che le consente di legiferare in materia di mutamento delle circoscrizioni comunali, venga poi privata del potere di attribuire il nome che meglio appaia adeguarsi agli avvenuti mutamenti, i quali possono incidere anche sulla configurazione delle frazioni (tanto più che in genere l'esigenza del mutamento delle denominazioni si manifesta in occasione di variazioni dell'ambito territoriale). Una conferma di tale criterio interpretativo può desumersi altresì dalla legge regionale n. 16 del 1950, relativa al referendum, che ha accomunato la modificazione e la denominazione delle circoscrizioni territoriali. Nulla potrebbe argomentarsi in contrario dal fatto che il citato T.U. del 1934 disciplina in modo distinto le variazioni delle circoscrizioni e le denominazioni di queste, perché ciò é la conseguenza del fatto che per le statuizioni relative si richiedono forme diverse, e cioè la legge per le une e l'atto amministrativo per le altre. Aggiunge poi la difesa della Regione che la designazione delle materie assunta a base della attribuzione delle competenze regionali, é stata effettuata con riferimento al significato loro attribuito nel linguaggio legislativo e dottrinale. Ora la toponomastica, secondo le leggi che l'assumono a loro oggetto (e precisamente il D.L. n. 1158 e la legge n. 1188 del 1927) comprende la denominazione delle strade, piazze, monumenti, non già quella di località territoriali, delle quali si occupa esclusivamente la legge comunale e provinciale. Deve quindi ritenersi che il costituente, nel disciplinare la materia in esame, si sia attenuto alla precedente elaborazione legislativa. Conclude chiedendo che la questione sollevata col ricorso venga dichiarata infondata.

Con memoria depositata il 9 gennaio 1964 la difesa della ricorrente ha confutato le argomentazioni svolte dall'Avvocatura, contestando che modifica e denominazione siano parti di uno stesso istituto, come é comprovato anche dalle disposizioni del T.U. della legge comunale e provinciale richiamate dallo stesso resistente. Secondo l'art. 7 dello Statuto circoscrizioni e denominazioni si riferiscono sempre e solo ai Comuni, intesi nella loro unità e totalità, non già alle singole loro parti. Se si facesse rientrare nella competenza delle Regioni la determinazione dei nomi di tutte le località comprese nei Comuni nessuno spazio rimarrebbe agli interventi delle Province. Contesta poi la difesa della ricorrente che le norme delle leggi statali sulle denominazioni assurgano a principi dell'ordinamento, e che in ogni caso la norma invocata dall'art. 266 é venuta a cadere con l'introduzione del decentramento regionale. Tanto meno poi potrebbero addursi, a sostegno della tesi dell'Avvocatura, le leggi sulla toponomastica cui questa si richiama, poiché esse regolano parti singole di una materia più vasta, quale risulta dal significato della parola "toponomastica", ed é questa che, intesa nel senso più comprensivo, é stata assegnata alle Province. A riprova della tesi sostenuta richiama l'art. 86 dello Statuto, secondo cui nella Provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare nei riguardi di cittadini di lingua tedesca anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione. Invoca pure le norme dello Statuto della Valle d'Aosta, in cui la competenza in materia di toponomastica é usata nel senso comprensivo dei nomi di tutte le località. Richiama infine l'accordo di Parigi del 1946 in cui si concede l'uso delle due lingue anche per quanto attiene alla nomenclatura topografica bilingue, ed insiste nelle conclusioni già prese.

Anche l'Avvocatura ha prodotto in termini una memoria nella quale ribadisce l'esigenza che la questione venga affrontata e risolta sulla base di una interpretazione sistematica, e richiama le deduzioni che da tale interpretazione sono da trarre, facendo presente la illogicità di privare la Regione, che pure può modificare il territorio sia dei Comuni che delle frazioni, del potere di conferire i nomi a queste ultime.

Nella discussione orale le parti hanno confermato le conclusioni prese.

 

Considerato in diritto

 

I motivi addotti dall'Avvocatura dello Stato a dimostrazione dell'infondatezza del ricorso proposto dalla Provincia di Bolzano sono sostanzialmente due, ma nessuno di essi é da ritenere fondato. Con il primo si sostiene che la determinazione dell'ambito delle materie assegnate alla competenza normativa delle Province debba venire effettuata in base al significato che alle materie stesse era stato conferito dalle leggi dello Stato, in vigore al momento dell'attuazione degli Statuti regionali, le quali le disciplinavano. E poiché quelle fra tali leggi aventi a loro oggetto la toponomastica usavano questo termine solo nel senso dell'attribuzione dei nomi a piazze, vie, o altri luoghi, sempre diversi da località di carattere territoriale, sarebbe da ritenere che la competenza passata alle Province non possa assumere un'estensione maggiore di quella esercitata in passato dallo Stato. A parte ogni considerazione in ordine alla possibilità di attribuire al criterio interpretativo proposto dall'Avvocatura la portata generale che gli si vuole attribuire, sta di fatto che non sussiste nella specie la assenta univocità dell'uso del termine "toponomastica", poiché esistono leggi statali (come, per esempio, il R.D. 29 marzo 1923, n. 800, che detta criteri di massima per la scelta dei "toponimi" di località abitate dei territori annessi), le quali adoperano il predetto termine nel suo senso più generale, in conformità alla etimologia, di denominazione di qualsiasi specie di luogo.

Neppure fondato appare il secondo motivo, con cui si afferma l'esistenza di un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato che condurrebbe ad attribuire il potere di disporre in ordine alla denominazione delle frazioni sempre e necessariamente allo stesso organo cui compete quello dell'attribuzione del nome ai Comuni. Principio che pertanto dovrebbe valere quale limite della legislazione regionale e provinciale primaria, ai sensi degli artt. 4 e 11 dello Statuto T.-A. A. Infatti se si tiene presente che i principi dell'ordinamento i quali circoscrivono l'ambito della competenza esclusiva (in cui rientra la normazione in materia di toponomastica) non sono quelli che risultano in via di astrazione da leggi, o da particolari gruppi di leggi dello Stato (valevoli invece solo a limitare la potestà normativa secondaria), si rende chiaro come non sia possibile comprendere fra gli stessi la prescrizione invocata dall'Avvocatura o desunta dall'art. 266 della legge comunale e provinciale (anche se successivamente essa é stata adottata da leggi della Regione siciliana).

É bensì vero che la rilevata identità del trattamento giuridico disposta dall'art. 266 per provvedere alla denominazione tanto dei Comuni quanto delle frazioni trova un suo fondamento razionale nella stessa natura di queste ultime, che non può ricondursi a quella di una mera entità di fatto, data la capacità che le frazioni stesse posseggono di assumere in proprio la soggettività di rapporti giuridici, in corrispondenza alla titolarità loro spettante degli interessi autonomi del gruppo di popolazione stanziato nella parte del territorio comunale ad esse assegnato:

soggettività da cui discende anche il riconoscimento a favore della frazione di un vero e proprio "diritto al nome", e che dà appunto ragione della rilevata adozione, da parte della norma statale richiamata, di un procedimento identico a quello richiesto per la denominazione dei Comuni.

Tuttavia, pur tenendo presente il precedente rilievo, e pur non contestando la disarmonia che consegue dal differenziare il trattamento giuridico dei nomi dei Comuni da quello delle frazioni, data la possibilità per queste ultime di trasformarsi in Comuni autonomi, il ricorso della Provincia deve ritenersi degno di accoglimento.

Ciò però non sulla base dell'art. 86 dello Statuto, dato che (a parte il rilievo che questo prevede una competenza solo eventuale del legislatore provinciale, la quale, quando si esercita, esaurisce i suoi effetti nei rapporti amministrativi esclusivamente con i cittadini di lingua tedesca, e non influenza quindi per nulla il problema in esame, relativo al potere di attribuire denominazioni aventi efficacia nei confronti della generalità) il riferimento generico alla "toponomastica" ivi contenuto non può chiarire la portata dello stesso termine, adoperato in modo ugualmente generico dall'art. 11, n. 3.

Il problema trova invece la sua soluzione nella correlazione che é da porre fra l'art. 7 e l'art. 11, n. 3, dello Statuto. Correlazione che non viene tenuta presente dall'Avvocatura quando osserva che l'art. 7 riproduce testualmente la norma di carattere generale dell'ultimo comma dell'art. 133 della Costituzione. Infatti, mentre da quest'ultima disposizione si può fondatamente desumere che la competenza regionale che ne é oggetto si estende necessariamente alla denominazione delle frazioni, viceversa dal coordinato disposto delle due norme statutarie prima richiamate si evince che la determinazione dei toponimi relativi alle frazioni deve rimanere preclusa alla Regione Trentino- Alto Adige perché assorbita nella potestà generale di disciplina affidata alle Province, la quale, pel fatto di non incontrare, secondo si é detto, nessuno dei limiti previsti dagli artt. 4 e 11 in ordine alle competenze esclusive cui questi si riferiscono, non può non estendersi ad ogni specie di nomi di località, con la sola esclusione di quelli dei Comuni;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale della legge 16 agosto 1963, n. 22, della Regione Trentino-Alto Adige, in relazione all'art. 11, n. 3, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 1964.