Sentenza n. 13 del 1964

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SENTENZA N. 13

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof, GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale di 52 decreti del Presidente della Repubblica, con i quali sono state trasferite all'Ente nazionale per l'energia elettrica (E.N.E.L.) altrettante imprese elettriche, promossi con i seguenti ricorsi:

1) ricorso del Presidente della Regione della Valle d'Aosta, notificato l'11 aprile 1963, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 18 successivo ed iscritto al n. 4 del Registro ricorsi 1963, avverso il D.P.R. 14 marzo 1963, n. 217;

2) ricorso del Presidente della Regione della Valle d'Aosta, notificato il 26 aprile 1963, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 maggio successivo ed iscritto al n. 6 del Registro ricorsi 1963, avverso il D.P.R. 29 marzo 1963, n. 340;

3) ricorso del Presidente della Regione della Valle d'Aosta, notificato il 28 giugno 1963, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 5 luglio successivo ed iscritto al n. 11 del Registro ricorsi 1963, avverso il D.P.R. 16 maggio 1963, n. 710;

4) ricorsi del Presidente della Regione del Trentino- Alto Adige, notificati il 31 maggio 1963, depositati nella cancelleria della Corte costituzionale il 10 giugno successivo ed iscritti ai nn. 7, 8, 9 e 10 del Registro ricorsi 1963, avverso i DD. PP. RR. 18 aprile 1963, nn. 578, 593, 584 e 592;

5) ricorsi del Presidente della Regione del Trentino- Alto Adige, notificati il 28 giugno 1963, depositati nella cancelleria della Corte costituzionale il 5 luglio successivo ed iscritti ai nn. 12, 13,14,15 e 16 del Registro ricorsi 1963, avverso i DD.PP.RR. 16 maggio 1963, nn. 709, 711, 716,720 e 722; 6) ricorsi del Presidente della Regione del Trentino- Alto Adige, notificati il 30 settembre 1963, depositati nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 ottobre successivo ed iscritti ai numeri da 17 a 56 del Registro ricorsi 1963, avverso i DD. PP. RR. 4 agosto 1963, nn. 1093, 1097, 1101, 1102, 1103, 1104, 1106, 1107, 1108, 1109, 1111, 1112, 1113, 1116, 1117, 1118, 1119, 1120, 1121, 1122, 1124, 1125, 1126, 1128, 1129, 1132, 1133, 1134, 1135, 1136, 1139, 1140, 1145, 1147, 1148, 1149, 1150, 1151 e 1156, e 21 agosto 1963, n. 1166.

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 5 febbraio 1964 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi gli avvocati Arturo Colonna e Gian Carlo Mattei Gentili, per le Regioni, ed il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con tre distinti ricorsi, di contenuto pressoché identico, salvi i particolari riferimenti alle situazioni delle imprese trasferite, notificati l'11 e 26 aprile e il 28 giugno 1963, il Presidente della Valle d'Aosta ha impugnato i decreti presidenziali 14 marzo 1963, n. 217, 29 marzo 1963, n. 340, e 16 maggio 1963, n. 710, con i quali sono state trasferite all'Ente nazionale per l'energia elettrica, rispettivamente, la "Società Idroelettrica Piemontese", la "Società Dinamo" ed il "Consorzio elettrico del Buthier". La Regione, dopo avere posto in rilievo la vitale importanza per l'economia della Valle del regime delle acque (in proposito presenta una pubblicazione tecnica), premette una esposizione dei precedenti relativi alla situazione del demanio idrico nel suo territorio a cominciare dal decreto luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 546, con il quale fu disposta la concessione gratuita alla Valle per 99 anni, con possibilità di rinnovazione, di tutte le acque pubbliche esistenti nella Valle. Con decreto legislativo del 23 dicembre 1946, n. 352, si stabilì che la Valle provvede mediante un proprio ufficio ai servizi concernenti le concessioni e utilizzazioni delle acque pubbliche. Con lo Statuto speciale i poteri ed i diritti già attribuiti alla Regione in tema di acque pubbliche furono ampliati e rafforzati. In proposito, la Regione assume che, secondo l'interpretazione data dal Tribunale delle acque pubbliche presso la Corte d'appello di Torino, dal Consiglio di Stato e da questa stessa Corte con la sentenza 27 gennaio 1958, n. 8, i poteri ed i diritti trasmessi dallo Stato alla Valle sarebbero i seguenti:

  1. a) in base all'art. 7, utilizzazione (anche diretta) a scopo industriale e in particolare idroelettrico delle acque pubbliche regionali, escluse soltanto quelle non comprese nella citata norma; utilizzazione che non patisce altra limitazione se non quella stabilita con l'art. 8 (utilizzazione nel territorio dello Stato secondo un piano generale);
  2. b) potestà di subconcessione da parte della Regione secondo la procedura e le norme tecniche del T.U. del 1933 sulle acque, nei limiti testé indicati: procedura e norme tecniche che non vincolano la Regione nell'apprezzamento di merito e nell'esercizio delle sue facoltà discrezionali (art. 8 dello Statuto);
  3. c) subentro della Regione ai sensi dell'art. 7, terzo comma, dello stesso Statuto in ogni caso di cessazione dell'uso o della concessione delle acque escluse dalla concessione alla Valle;
  4. d) imposizione e percezione di canoni per le subconcessioni di derivazioni a scopo idroelettrico, entro certi limiti da stabilirsi dal Governo dello Stato sentita la Giunta regionale (art. 9 dello Statuto) e acquisizione dei nove decimi dei canoni percepiti dallo Stato per le concessioni di derivazione a scopo idroelettrico (art. 12);
  5. e) acquisizione al termine delle subconcessioni della proprietà delle opere di presa e derivazione degli impianti idroelettrici ai sensi dell'art. 25 del T.U. sulle acque (artt. 5-8 dello Statuto);
  6. f) potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica ai sensi dell'art. 3, lett. d, dello Statuto, per la disciplina dell'utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico ed esercizio delle funzioni amministrative già di spettanza degli organi statali, specie per quanto concerne le istruttorie sulle domande di concessioni, la formazione dei disciplinari, la vigilanza sull'utilizzazione delle acque subconcesse (art. 4 dello Statuto).

In materia la Regione, con gli artt. 41-42 delle norme annesse alla legge regionale 28 luglio 1956, n. 3, concernente l'ordinamento dei servizi regionali, regolò le funzioni dell'Assessorato dei lavori pubblici, con particolare riferimento all'Ufficio acque.

Con legge regionale 8 novembre 1956, n. 4, furono dettate le norme procedurali per l'utilizzazione delle acque pubbliche nella Valle, stabilendo che la Regione esercita tutti i poteri e tutte le attribuzioni già di pertinenza dello Stato e dando apposite norme sul concreto esercizio di tali attribuzioni; in particolare si dispose che per i sovracanoni a favore dei Comuni rivieraschi afferenti alle utenze idroelettriche date in subconcessione provvede l'Amministrazione regionale all'istruttoria ed alla proposta di liquidazione e di ripartizione.

Notevole importanza la Regione assegna alla legge regionale 8 novembre 1956, n. 4, nel cui art. 1 si stabilì che la proroga di 15 anni disposta dall'art. 1 della legge 8 gennaio 1952, n. 42, si applica nel territorio della Valle. E ciò in relazione ad una circolare del 5 maggio 1952 del Ministero dei lavori pubblici, la quale aveva dichiarato che il nuovo modo di acquisto del diritto d'uso istituito dalla legge 18 dicembre 1951, n. 1550, appare incompatibile con la norma costituzionale che accordò la concessione novantanovennale alla Valle d'Aosta. Segue, nel ricorso, la menzione del lavoro compiuto dall'Ufficio della Valle in questo settore ed una minuta esposizione delle vicende subite dai rapporti tra la "Società Elettrica Piemonte" e la Valle e lo stato di tali rapporti al momento della emanazione del decreto, ora impugnato, concernente il passaggio all'E.N.E.L. della S.I.P. : presenta gli atti salienti, relativi a detti rapporti, nonché quelli riguardanti i provvedimenti regionali nei confronti della "Società Dinamo" e del "Consorzio elettrico Buthier".

La narrativa di fatto si conclude con il ricordo dei lavori parlamentari sulla legge 6 dicembre 1962, delle assicurazioni date dal Governo per il rispetto dei diritti e degli interessi delle Regioni a statuto speciale ed in particolare del riconoscimento, che si leggerebbe nelle relazioni parlamentari di maggioranza sia alla Camera dei Deputati che al Senato, circa il rispetto della concessione fatta alla Valle con lo statuto di autonomia. La Regione presenta in proposito alcuni atti del carteggio tra il Presidente regionale e due parlamentari della Valle ed una nota dello stesso Presidente al Ministero dell'industria del 29 gennaio 1963, con la quale si prospettano i diritti della Valle nei riguardi dell'applicazione della legge 6 dicembre 1962.

Prima di sintetizzare i motivi del ricorso ed esporre le conclusioni giova dedicare un cenno alla parte essenziale della premessa che il ricorso fa circa i rapporti fra le leggi nazionali ordinarie e gli ordinamenti regionali.

Quando una legge statale ordinaria viene emanata in contrasto con una legge regionale nel campo dei poteri e diritti costituzionalmente protetti a favore della Regione, la legge nazionale deve essere interpretata nel senso che essa non abbia voluto produrre effetti nel territorio della Regione, specie quando la legge nazionale é congegnata in modo che la sua attuazione é rimandata a provvedimenti successivi e specialmente a successive leggi delegate. In questi casi l'invasione della sfera di competenza della Regione avviene solo attraverso la legge delegata che provvede a dare attuazione alla legge precedente.

Ciò, secondo la Regione, si é verificato nel caso in esame. Con la legge istitutiva dell'E.N.E.L. si sarebbero soltanto fissati i principi ed i criteri direttivi dell'attuazione pratica della legge, come si evincerebbe dall'art. 2, il quale stabilisce che il Governo é delegato ad emanare le norme relative ai poteri del Comitato dei Ministri e del Ministro per l'industria, le norme relative all'organizzazione dell'E.N.E.L. , ai limiti della sua attività, a tutto quanto attiene ai trasferimenti e quant'altro previsto dalla legge. L'art. 4, n. 10, prevede che nei decreti di trasferimento potranno essere individuati anche i beni ed i rapporti trasferiti all'ente.

Solo con i decreti di trasferimento si é verificata la situazione in base alla quale la sfera di attribuzioni della Regione é stata violata. Tale situazione non potrebbe essere regolarizzata se non attraverso l'impugnazione in sede di legittimità e l'accertamento della sua parziale incostituzionalità. Accertamento che, a sua volta, si risolverebbe nella declaratoria di non applicabilità e di non efficacia della legge impugnata nel territorio della Valle ed ai rapporti giuridici dalla stessa costituiti. Cosicché in questi casi l'incostituzionalità si identificherebbe con l'inapplicabilità della legge nazionale ordinaria.

La Regione prosegue osservando che o si ritiene che la legge del 1962 non é stata fatta per violare i poteri- diritti della Valle e si considera tale legge come non operante in quel territorio e allora non sarebbe incostituzionale la legge bensì i decreti di trasferimento, che dovrebbero essere considerati come emanati oltre i limiti della delega; o si ritiene che i decreti di trasferimento sono nei limiti della delega, ma in tal caso i decreti stessi sarebbero illegittimi per vizio proprio perché, come leggi ordinarie, sarebbero in contrasto con una legge costituzionale. In tal caso l'azione di incostituzionalità investirebbe necessariamente anche la legge ed il decreto legislativo presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, rispetto ai quali i decreti di trasferimento altro non sarebbero che provvedimenti conseguenziali.

Sulla base di questa premessa la Regione ha concluso, chiedendo che la Corte dichiari la incostituzionalità degli artt. 1-4 del decreto presidenziale 14 marzo 1963, n. 217, e degli altri due decreti sopra citati, in relazione alla legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e al decreto presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, e, in quanto occorre, dichiari la incostituzionalità degli artt. 1, 4, nn. 5-9, 8 della legge 6 dicembre 1962 e degli artt. 2, 3,10 del decreto presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, in quanto incompatibili con l'ordinamento particolare della Valle e quindi inapplicabili e inefficaci nel suo territorio e ai rapporti giuridici costituiti dalla Regione stessa.

I motivi di queste conclusioni, possono riassumersi così:

1) La legge del 1962, creando un monopolio a favore dell'E.N.E.L. ha travolto la potestà della Valle di utilizzare, anche direttamente, o di subconcedere le acque pubbliche avute in concessione sulla base della libera concorrenza e perfino della concorrenza eccezionale, sancite dalle leggi sulle acque. La eliminazione anche in Valle d'Aosta di questa possibilità di concorrenza o almeno la sua riduzione ai pochi casi in cui, a fianco dell'E.N.E.L. , rimangono ancora imprese produttrici di energia elettrica ai sensi dell'art. 4, nn. 5, 6, 8, svuoterebbe di contenuto e di pregio anche economico la potestà della Regione di scegliere tra più domande di concessione quella che meglio soddisfa gli interessi regionali, anche in relazione a quanto disposto dalla legge regionale 8 novembre 1956, n. 4 (artt. 3-4). La Valle ha diritto e interesse di conservare integri i suoi poteri non foss' altro nei confronti di quelle imprese pubbliche e private che, per la stessa legge istitutiva dell'E.N.E.L., possono continuare a svolgere le attività riservate all'E.N.E.L. medesimo e così in particolare nei confronti delle aziende elettriche municipalizzate, le quali, a loro volta, sono assoggettate a richiedere la concessione dell'esercizio all'E.N.E.L. ed a sottomettersi ai capitolati che dallo stesso ente saranno imposti (art. 10 del decreto presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36), mentre nell'ambito della Valle solo la Regione avrebbe il diritto esclusivo di fissare con i suoi disciplinari le condizioni in cui devono essere utilizzate le acque di sua spettanza. Ugualmente pregiudicata resterebbe la posizione e l'interesse della Regione se dovesse rimanere nella Valle la produzione marginale delle imprese autoproduttrici di energia elettrica e quella dei produttori sino a 15 milioni di chilowattore, non potendo queste imprese minori sfruttare adeguatamente tutte le acque regionali, che - secondo la Regione - sono ancora capaci di produrre più di 2 miliardi di chilowattore. Né la Regione può essere messa in condizione di dipendere esclusivamente o quasi dall'E.N.E.L. per l'attuazione di questi nuovi impianti. 2) L'art. 4 della legge dispone che gli enti istituiti dalle Regioni potranno richiedere la concessione dell'esercizio di attività menzionate al primo comma dell'art. 1, capovolgendo così, se la legge sia applicata nella Valle, la situazione creata dalla legge costituzionale, in forza della quale é la Valle che ha la potestà di subconcedere - eventualmente anche all'E.N.E.L. - le acque regionali. É chiaro che, senza le acque, nessun impianto idroelettrico può funzionare e quindi non può essere esercitata alcuna attività di produzione elettrica in impianti del genere. 3) L'art. 4, n. 9, della legge n. 1643 dispone che nel trasferimento all'E.N.E.L. sono comprese le concessioni e autorizzazioni amministrative in atto, attinenti alla produzione dell'energia elettrica e che le concessioni di derivazioni per forza motrice trasferite all'ente e quelle accordategli dopo la sua costituzione non hanno scadenza. La Regione assume che anche questa norma sia in contrasto con i suoi diritti, sanciti dallo Statuto e tradotti nella legge regionale 8 novembre 1956, n. 4. Poiché in realtà le concessioni all'E.N.E.L. ricevono il carattere di perpetuità, é da escludere che trattisi di trasferimento: in realtà trattasi di una nuova concessione all'E.N.E.L. , senza scadenza, previa cessazione delle concessioni in atto. Ora, questa situazione é, secondo la Regione, in contrasto con l'art. 7 dello Statuto, a norma del quale la Regione subentra automaticamente ogni qualvolta si verifica la cessazione dell'uso o della concessione di acque pubbliche già assentite dallo Stato, con la conseguenza che solo la Regione può ulteriormente disporne. In secondo luogo, per l'art. 7 della legge regionale 8 novembre 1956, n. 4, nessuna cessione e quindi nessun trasferimento di utenze può avvenire senza il nulla osta della Regione. Infine, la Regione non potrebbe fare concessioni senza scadenza, sia perché essa stessa gode di una concessione non perpetua, sia perché alla scadenza delle sue subconcessioni la Regione ha diritto di acquisire la proprietà delle opere di presa e derivazione ai sensi dell'art. 25 del T.U. sulle acque ed in relazione al disposto degli artt. 5-8 dello Statuto speciale.

4) Poiché la Regione trae la parte più cospicua delle sue entrate dai canoni corrisposti dagli utenti delle sue acque, sia attraverso la imposizione e percezione diretta di questi canoni, e relativi sovracanoni e accessori, sia attraverso l'acquisizione dei nove decimi dei canoni già imposti e percepiti dallo Stato per le sue concessioni, la Regione ha interesse a vedere sfruttate tutte le acque concessele. Quindi ogni provvedimento che comunque possa intralciare o rendere meno facile e sicuro questo integrale sfruttamento non può non essere lesivo del suo diritto. La Regione ha inoltre il diritto di fare entrare al più presto nella concessione novantanovennale la maggior quantità di acque pubbliche e quindi tutte quelle concesse dallo Stato a terzi, e ciò anche per l'incremento che ne deriverebbe alle entrate regionali. L'art. 8 della legge del 1962 si limita invece a disporre che il Governo debba garantire alle Regioni entrate non inferiori a quelle accertate nell'esercizio 1959-60 maggiorate del 10 per cento, senza tener conto dei diritti già costituzionalmente sanciti a favore della Valle non solo per le concessioni e subconcessioni in atto ma anche per quelle che la Regione ha facoltà di dare in futuro, e senza tener conto del diritto della Regione di pretendere dagli utenti corrispettivi in natura (e cioè in energia elettrica), nonché dei sovracanoni di cui all'art, 53 del T.U. sulle acque e di quelli imposti dalla legge 27 dicembre 1953, n. 959.

Le stesse violazioni si ritrovano nel decreto presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, contenente le norme relative al trasferimento all'E.N.E.L. delle imprese elettriche.

La Regione conclude affermando che se i trasferimenti effettuati con le tre leggi-provvedimento impugnate dovessero effettuarsi, l'E.N.E.L. si troverebbe senz'altro investito delle concessioni statali e delle subconcessioni (e quanto alla S.I.P. anche degli impianti "scoperti di concessione") di cui fruiscono le imprese trasferite, e ciò senza scadenza ed in contrasto con i diritti della Regione, ed in violazione del disposto della legge regionale 8 novembre 1956, con la conseguenza di capovolgere i rapporti tra la Valle e l'E.N.E.L. , il quale potrebbe essere nella Valle soltanto un subconcessionario della Regione.

Con le sue deduzioni, illustrate con unica memoria depositata il 22 gennaio 1964, l'Avvocatura generale dello Stato per il Presidente del Consiglio dei Ministri, ha eccepito l'inammissibilità per intempestività dei ricorsi, proposti oltre il termine di 30 giorni previsto dalla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dall'art. 32 della Legge 11 marzo 1953, n. 87: termine che decorreva dalla pubblicazione della legge 6 dicembre 1962 nella Gazzetta Ufficiale del 12 dicembre 1962.

Non é sostenibile, ad avviso dell'Avvocatura, la tesi che soltanto con i decreti di trasferimento delle imprese all'E.N.E.L. si sarebbe operata l'effettiva invasione della sfera di competenza della Regione. I decreti impugnati non avrebbero fatto altro che disporre singoli trasferimenti e, cioé, dare un'attuazione concreta alle norme della legge istitutiva dell'E.N.E.L. dalla quale, se esistenti, deriverebbero direttamente ed esclusivamente le violazioni dei diritti della Regione. Questa contiene, infatti, tutti gli elementi per una applicazione integrale delle norme medesime. Ciò si evincerebbe, senza possibilità di dubbio, dal primo comma dell'art. 1, il quale riserva all'E.N.E.L. il compito di esercitare nel territorio nazionale, senza alcuna limitazione regionale, l'attività di produzione, importazione, esportazione, trasformazione, trasporto, distribuzione e vendita dell'energia elettrica.

Risulterebbe pure (come si fa notare nella memoria) dal raffronto del primo col secondo ed il terzo comma dell'art. 5 della legge del 1962; dalle quali norme emerge che la legge si applica anche nei confronti degli enti istituiti dalle Regioni a statuto speciale. Da ciò l'Avvocatura trae la conseguenza che se le imprese, a mezzo delle quali gli enti pubblici istituiti dalle Regioni a statuto speciale esercitavano attività riguardante la energia elettrica, sono come tutte le imprese regionali del genere da trasferire all'E.N.E.L. , a maggior ragione si deve ritenere che le imprese private esistenti nelle stesse Regioni siano oggetto di trasferimento.

Aggiunge l'Avvocatura che il termine di impugnativa comincia sempre a decorrere dalla pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale e non dalla sua entrata in vigore. Ciò significa che, appena stabilite le norme della legge, queste debbano essere impugnate senza attendere come termine a quo quello di vigenza della legge. A fortiori, non potrebbe il termine avere inizio dalla data dei singoli provvedimenti legislativi di esecuzione.

Né si potrebbe sostenere che il ricorso contro la legge del 1962 é stato proposto in via incidentale. Nel caso attuale non esiste un giudizio nel quale sia parte la Regione ed in cui si contenda attorno ad una pretesa o un diritto, per cui la risoluzione della controversia postuli indispensabilmente la risoluzione della questione di legittimità costituzionale di una norma. La Valle non ha proposto un conflitto di attribuzione, ma ha impugnato in via diretta un provvedimento legislativo delegato e non può, attraverso l'impugnativa di una legge, proporre incidentalmente l'impugnativa di un'altra legge.

L'Avvocatura conclude dicendo che l'impugnativa diretta delle leggi-provvedimento é inefficace, mentre l'impugnativa diretta della legge del 1962 é tardiva.

Passando al merito, l'Avvocatura comincia con il contestare la tesi della Regione, secondo cui questa Corte dovrebbe dichiarare non l'incostituzionalità di varie norme legislative ma la inapplicabilità di esse nel territorio regionale. L'Avvocatura fa rilevare che se la legge é legittima, in quanto non viola le norme statutarie, dovrà essere applicata nella Regione; se é illegittima, tale dovrà essere dichiarata e ne conseguirebbe l'inapplicabilità.

L'Avvocatura sostiene che i poteri delle Regioni a statuto autonomo incontrano sempre il duplice limite del rispetto dell'interesse nazionale e della necessaria attuazione, anche nel territorio regionale, delle riforme fondamentali della Repubblica, riforme fra le quali devesi annoverare quella sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche.

Tali limiti riguardano sia la potestà legislativa che quella amministrativa e naturalmente si ripercuotono in modo diretto sulle potestà di carattere patrimoniale, come quelle stabilite, per ciò che concerne le acque pubbliche, dall'art. 7 dello Statuto della Valle. Il contenuto di tali potestà non può essere in contrasto con quanto costituisce un limite alle potestà legislative ed amministrative.

Del resto, l'ultimo comma dello stesso art. 7 stabilisce che la concessione é subordinata, in ogni caso, alla condizione che lo Stato non intenda fare oggetto le acque di un piano di interesse nazionale. E l'art. 8 dello Statuto dispone che l'utilizzazione delle acque deve avvenire nel territorio dello Stato e secondo un piano generale.

La violazione dei diritti della Regione non esiste - secondo l'assunto dell'Avvocatura - per un'altra ragione. I diritti e le potestà della Valle non sono stati aboliti, ma solo limitati in quanto le acque servano per gli scopi della produzione della energia elettrica. Per tutto il resto permangono integri: così la Valle potrà continuare ad utilizzare le acque ottenute in concessione novantanovennale ed a subconcederle purché non siano oggetto di domanda di utilizzazione a scopo idroelettrico e non siano richieste dall'E.N.E.L. , potrà continuare ad avere la facoltà di imporre e percepire canoni per le subconcessioni di derivazioni d'acque a scopo industriale e continuerà a percepire i nove decimi dei canoni relativi a concessioni fatte dallo Stato. Infine, per i casi in cui non si tratti della disciplina delle acque destinate all'E.N.E.L. , la Regione conserva la facoltà di emanare norme legislative di interpretazione e di attuazione delle leggi della Repubblica e l'esercizio delle funzioni amministrative già di spettanza degli organi dello Stato.

Passando all'esame dei vari motivi di doglianza, l'Avvocatura contesta che il principio della libera concessione delle acque stabilite dal T.U. sulle acque pubbliche sia un principio di carattere costituzionale e neppure ha carattere costituzionale la legge regionale che disciplina le concessioni. Nell'art. 8 dello Statuto regionale non c'é alcun cenno del principio della "libera concorrenza".

Quel principio, non costituzionale, va applicato nel rispetto dell'ordinamento giuridico nazionale e delle riforme economico-sociali della Repubblica, anche nel quadro della nazionalizzazione di imprese o di categorie di imprese che si riferivano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia.

La Regione non può pretendere che i suoi poteri costituiscano un limite per l'applicazione della legge sulla nazionalizzazione delle imprese elettriche. Questa deve attuarsi in pieno in tutto il territorio nazionale, portando una deroga legittima, perché prevista dallo Statuto, alle potestà della Regione.

Secondo l'Avvocatura, é arbitraria la tesi della Regione, secondo cui siano venute a scadere le concessioni già assentite dallo Stato e le subconcessioni regionali. Tutte le concessioni sono state trasferite all'E.N.E.L. con i relativi rapporti giuridici.

La norma per la quale le concessioni trasferite all'E.N.E.L. non hanno scadenza non é in contrasto con lo Statuto regionale, dato che la concessione alla Regione era subordinata alla condizione che lo Stato non intendesse farne oggetto di un piano di interesse nazionale. La Regione poteva subentrare nelle concessioni solo quando le acque non fossero state assoggettate dallo Stato ad un piano di interesse nazionale, come é stato fatto con l'art. 4, n. 9, della legge del 1962.

L'Avvocatura prosegue affermando non esser vero che allo scadere delle concessioni e delle subconcessioni la Regione sarebbe divenuta proprietaria delle opere di raccolta, derivazione e regolazione ai sensi dell'art. 25 del T.U. sulle acque pubbliche.

Lo Statuto regionale non avrebbe portato alcuna modifica al detto art. 25 e d'altra parte ciò sempre secondo l'Avvocatura, sarebbe pienamente conforme ad un elementare principio di diritto, dato che il passaggio in proprietà delle opere anzidette sarebbe permanente mentre le concessioni d'acqua cui le opere stesse si riferiscono sarebbero, pur sempre, limitate nel tempo.

Né può sostenersi - prosegue l'Avvocatura - che sia violato l'art. 7 della legge regionale 8 novembre 1956, in quanto, a prescindere dal fatto che, avendo la Regione soltanto potestà legislativa secondaria e concorrente, le norme di legge regionale non possono essere in contrasto con quelle dello Stato, sta di fatto che nel caso in esame non si tratta di cessione ma di un rapporto giuridico nuovo stabilito dallo Stato.

Non é esatto, infine, che la Regione non possa pretendere dall'E.N.E.L. , quanto é stato convenuto con la S.I.P. , in quanto il trasferimento comprende non soltanto le concessioni ma anche i relativi rapporti giuridici; e non é esatto che la Regione non possa più riscuotere i sovracanoni di cui all'art. 53 del T.U. sulle acque e quelli imposti dalla legge 27 dicembre 1953, n. 959.

Nella memoria l'Avvocatura mette ulteriormente in rilievo che la norma dell'art. 3, lett. d, dello Statuto attribuisce alla Regione la potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica per la disciplina dell'utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico. Tale disciplina, che riguarda ogni sorta di utilizzazione con tutte le conseguenze, non può essere in contrasto né con le leggi statali vigenti né con quelle sopravvenute. Ciò tanto più che le nuove leggi portano ad un mutamento nel campo delle norme riguardanti i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, sono fondate su motivi di interesse nazionale e contengono norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica (limiti questi che per l'art. 2 dello Statuto sono posti anche per la potestà legislativa primaria della Regione).

I principi dell'ordinamento giuridico dello Stato non sono immutabili rispetto all'epoca in cui lo Statuto regionale entrò in vigore, ma possono essere mutati in dipendenza di nuove leggi dello Stato. L'Avvocatura richiama in proposito la sentenza n. 7 del 24 gennaio 1958 di questa Corte.

Rileva infine che proprio ad una legge sopravvenuta si riferirebbe l'ultimo comma dell'art. 7 dello Statuto valdostano, il quale dispone che la concessione delle acque alla Regione é subordinata alla condizione che lo Stato non intenda farne oggetto di un piano di interesse nazionale.

Con unica memoria depositata il 21 gennaio 1964 la difesa della Regione ha esposto ulteriori argomenti per illustrare le proprie tesi e confutare quelle avversarie.

Sull'eccezione di inammissibilità ha ricordato le sentenze di questa Corte, le quali, secondo la difesa regionale, avrebbero posto il principio che l'impugnabilità per illegittimità costituzionale di ogni singola legge o di ogni singolo atto avente forza di legge é la regola, mentre eccezionali sono i casi di inammissibilità di tale impugnazione per la mancata impugnazione di una legge precedente.

Viene poi esaminato il contenuto dei decreti di trasferimento, per evincerne che essi non potrebbero essere considerati come aventi un carattere meramente strumentale ed esecutivo o accessorio. Essi comportano una notevole carica di discrezionalità politica e legislativa. Sono, dunque, autonomi e quindi impugnabili anche senza la previa impugnazione della stessa legge delegante.

Dopo un'ampia esposizione ed illustrazione dei precedenti parlamentari della legge ed una disamina delle sue disposizioni, la difesa regionale conclude con le seguenti proposizioni:

  1. a) che l'invasione della sfera di competenza delle Regioni interessate si é verificata soltanto con i decreti di trasferimento;
  2. b) che la mancata impugnazione della legge non preclude l'impugnazione dei decreti predetti, i quali oltre tutto hanno una loro autonomia;
  3. c) che in ogni caso non si può consentire che una legge ordinaria raggiunga l'inammissibile effetto di modificare una legge costituzionale solo per la decorrenza di un termine di impugnazione, che fra l'altro, era per lo meno incerto se e da quando cominciava a decorrere.

Si insiste poi e si illustra ulteriormente la tesi che i decreti di trasferimento o sono illegittimi per diretta violazione delle norme costituzionali o sono illegittimi per eccesso rispetto alla delega contenuta nella legge del 1962.

Passando a confutare le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato, la difesa regionale comincia col dichiarare che la Regione non avrebbe nulla da obiettare al trasferimento all'E.N.E.L. purché rimanga fermo il principio che l'E.N.E.L. , sostituendosi alle imprese concessionarie o subconcessionarie, non pretenda di avere maggiori diritti o minori obblighi di quanti ne avessero le tre società sostituite nei confronti della Regione.

L'incompatibilità tra la legge del 1962 e lo Statuto della Valle non viene denunziata dalla Regione per porre ostacoli alla nazionalizzazione ma per tutelare i propri diritti garantiti da norme costituzionali.

Di fronte alla tesi della difesa dello Stato, imperniata sul rispetto dei limiti derivanti dall'interesse nazionale e dall'applicazione di una fondamentale riforma economico-sociale nella Repubblica, la difesa regionale osserva che il limite sancito dagli artt. 2-3 dello Statuto vale per la potestà legislativa e amministrativa della Regione ma non per le norme dello Statuto stesso. La legge del 1962 non può identificarsi con un piano di interesse nazionale ai sensi dell'art. 7 dello Statuto. L'E.N.E.L. non é lo Stato. L'art. 7 si riferisce alle acque della Regione e vuole prevenire una eventuale carenza della Regione nell'esercizio dei poteri affidati alla Regione stessa dal successivo art. 8. Ma la Regione é stata oltremodo diligente nell'esercizio di queste funzioni. Per illustrare questa affermazione la memoria adduce fatti e circostanze.

Per quanto si riferisce alle singole obiezioni proposte dalla Avvocatura ai motivi del ricorso, la difesa regionale osserva, anzitutto, che con legge ordinaria il legislatore statale non ha potuto né può privare la Regione della potestà attribuitale dallo Statuto di utilizzare liberamente le acque concessele, sia direttamente sia mediante subconcessione.

In ogni caso i decreti di trasferimento sono incostituzionali perché non rispettano gli insopprimibili poteri e diritti della Valle anche nei confronti dello stesso Ente nazionale per l'energia elettrica.

Per quanto concerne il settore di produzione elettrica non soggetto alla riserva a favore dell'E.N.E.L. , per il quale anche la stessa Avvocatura sembra condividere - sono parole della difesa regionale - l'opinione di detta difesa, che la Regione conservi integri tutti i suoi diritti e poteri, la difesa regionale osserva che sono sicuramente incompatibili con lo Statuto e cioè con la potestà di subconcedere le acque le disposizioni dell'art. 4, nn. 5, 6, 7, 8, e degli artt. 10, 11, 12, 13 del decreto legislativo presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36. E sono anche per questo motivo incostituzionali i decreti di trasferimento in quanto attribuiscono all'E.N.E.L. poteri di controllo preventivo e successivo su tutto il settore di produzione elettrica non soggetto alla nazionalizzazione e alla riserva.

In fine, ed in via di ipotesi assolutamente subordinata, la difesa regionale assume che i tre decreti di trasferimento sarebbero illegittimi perché non contengono la indicazione dei beni e rapporti oggetto del trasferimento all'Ente nazionale per la energia elettrica.

Per quanto si riferisce alla S.I.P. la difesa regionale si lagna del fatto che il decreto relativo non abbia specificato ciò che si riferisce ai precedenti rapporti controversi con la Regione, specialmente per quel che concerne gli impianti per i quali non c'é attualmente né la concessione statale né quella regionale. Espone poi alcune circostanze circa contrasti con l'E.N.E.L. per quanto si riferisce all'impianto idroelettrico di Quart.

Per quel che attiene al Consorzio del Buthier il decreto di trasferimento sarebbe illegittimo in quanto comprende anche le quote spettanti all'azienda municipale di Torino e alla "Società Nazionale Cogne", enti non soggetti a nazionalizzazione.

Per la "Società Dinamo" la difesa si riporta ai precedenti relativi alla subconcessione ricordati nel ricorso.

In conclusione, la difesa regionale ha insistito nelle sue richieste come infra riportate.

Con 49 decreti del Presidente della Repubblica indicati in epigrafe é stato disposto il trasferimento all'E.N.E.L. di varie imprese con impianti elettrici nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige.

Con altrettanti ricorsi, di identico contenuto, notificati quattro il 31 maggio, cinque il 28 giugno e quaranta il 30 settembre 1963, la Regione ha impugnato i decreti predetti, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari la incostituzionalità degli artt. 1-4 dei decreti stessi in relazione alla legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e al decreto presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, e, in quanto occorra, dichiari la incostituzionalità degli artt. 1, 4, nn. 5-9, 8 della legge 6 dicembre 1962, degli artt. 2, 3, 10 del decreto legislativo presidenziale 4 febbraio 1963 e dell'art. 1 del decreto legislativo presidenziale 15 dicembre 1962, n. 1670, in quanto incompatibili con lo Statuto speciale della Regione e con le leggi regionali della materia e quindi inapplicabili ed inefficaci nel territorio della Regione ed ai rapporti giuridici costituiti e costituendi nella Regione stessa.

Nei ricorsi si premette che la legge 6 dicembre 1962 aveva determinato un contrasto soltanto potenziale con lo Statuto regionale; contrasto che, anche in base alle assicurazioni che erano state date durante le discussioni parlamentari, si attendeva sarebbe stato eliminato in sede di applicazione della legge istitutiva dell'E.N.E.L. , in quanto nella delega al Governo disposta dall'art. 2 era stato previsto che, con le norme relative all'organizzazione dell'Ente, si sarebbero anche dovuti stabilire i limiti alla sua attività, così come coi decreti di trasferimento si sarebbero potuti individuare i beni ed i rapporti trasferiti all'Ente stesso.

Ma poiché con i decreti presidenziali ora impugnati non si é salvaguardato nessuno dei poteri e diritti della Regione, i decreti stessi sono sottoposti all'esame di legittimità per i seguenti motivi:

  1. a) Violazione dell'art. 5, n. 5, dell'art. 9, primo e secondo comma, dell'art. 10, quinto e sesto comma, e dell'art. 13, primo comma, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

In base a queste disposizioni, la Regione ha potestà legislativa ed amministrativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche e interviene nel procedimento di concessione di grandi derivazioni a scopo idroelettrico. A parità di condizioni, é preferita nelle concessioni di grandi derivazioni. Infine, come avrebbe già statuito questa Corte con decisione 24 marzo 1961, n. 20, nel territorio della Regione sono riservate ai poteri dello Stato le sole concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, mentre sono di competenza della Regione tutte le concessioni di piccola derivazione e inoltre le concessioni di grande derivazione per utilizzazione diversa da quella idroelettrica.

L'istituzione dell'E.N.E.L. , la creazione del suo monopolio quanto alla produzione e distribuzione dell'energia elettrica e in particolare la perpetuità delle concessioni di derivazione trasferite all'E.N.E.L. o da accordarsi allo stesso, distruggono o menomano grandemente sia il diritto di prelazione sancito a favore della Regione sia i suoi poteri legislativi e amministrativi in tema di utilizzazione di acque pubbliche, sia la sua competenza esclusiva per le concessioni di derivazione, sia, infine, il potere di provocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza delle concessioni di grande derivazione, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge.

  1. b) Violazione degli artt. 4, n. 4, e 13, primo comma, dello Statuto speciale.

La legge istitutiva dell'E.N.E.L. , attuata nel territorio regionale con i decreti impugnati, opera una espropriazione non a favore dello Stato, ma a favore di un nuovo Ente, i cui atti, fra l'altro, sono disciplinati dalla legge di diritto privato, e non per opere a carico dello Stato, e con l'onere dell'espropriazione tutta a carico del nuovo Ente.

Si é violata in tal modo una potestà legislativa primaria della Regione, il cui esercizio era stato disciplinato con legge regionale 17 maggio 1956, n. 7: la potestà di disporre in materia di espropriazione per pubblica utilità non riguardante opere a carico dello Stato.

  1. c) Violazione dell'art. 4, n. 6, dell'art. 13, primo comma, e dell'art. 58 dello Statuto.

La Regione ha competenza legislativa primaria in materia di miniere, con la correlativa potestà amministrativa e la facoltà di accordare concessioni. Inoltre la Regione é titolare dei relativi beni e le sue potestà amministrative sono esercitate in base al D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, cui é stata data concreta attuazione con legge regionale 21 novembre 1958, n. 28.

Queste norme sono state violate con l'art. 4, n. 9, della legge istitutiva dell'E.N.E.L. , il quale dispone che sono comprese nell'espropriazione delle imprese e nel relativo trasferimento all'E.N.E.L. anche le concessioni minerarie utilizzate per la produzione dell'energia elettrica. Viene leso anche il potere di concessione spettante alla Regione, perché nessuna concessione mineraria potrebbe essere più utilizzata per la produzione di energia elettrica, se il concessionario non fosse l'E.N.E.L. stesso.

  1. d) Violazione dell'art. 10, terzo comma, dello Statuto, il quale stabilisce che per le forniture di energia elettrica a prezzo di costo, in mancanza di accordo tra le parti, il prezzo é determinato dal Ministro per i lavori pubblici, sentito anche il Presidente della Giunta regionale.

Per contro l'art. 3, n. 1, della legge del 1962 dispone che spetta esclusivamente al Comitato dei Ministri ed al Ministro dell'industria la determinazione della politica tariffaria dell'E.N.E.L. e il D.P.R. 15 dicembre 1962, n. 1670, attribuisce allo stesso Comitato dei Ministri di dare direttive per l'attività dell'E.N.E.L. in tema di tariffe.

Le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, illustrate con una memoria unica depositata il 22 gennaio 1964, e la memoria unica della Regione depositata il 21 gennaio 1964, rispecchiano, adattate alla diversità degli statuti, le contrastanti argomentazioni sopra riassunte nei riguardi del ricorso della Valle d'Aosta.

L'Avvocatura ha proposto la medesima eccezione di inammissibilità per tardività e l'ha illustrata con argomentazioni analoghe a quelle già esposte a proposito dell'altro ricorso e le difese a favore della Regione Trentino-Alto Adige non si discostano da quelle enunciate per la Valle d'Aosta.

Così pure le obiezioni dell'Avvocatura e le difese della Regione si muovono essenzialmente sui concetti esposti e dibattuti nell'altro ricorso: rispetto dei limiti derivanti dall'interesse nazionale e dall'esecuzione di una fondamentale riforma economico-sociale della Repubblica, nonché rispetto dei limiti derivanti dai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

 

Considerato in diritto

 

  1. - Le cinquantadue cause segnate in epigrafe, congiuntamente discusse, possono essere riunite e decise con unica sentenza, stante la identità delle questioni fondamentali di rito e di merito che ne formano oggetto.
  2. - Giova, innanzi tutto, identificare il contenuto delle domande proposte dalle due Regioni. Esse chiedono che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dei decreti (di carattere legislativo) con i quali alcune imprese elettriche sono state trasferite all'E.N.E.L. e chiedono anche che, in quanto occorra, siano dichiarate incostituzionali ed inefficaci nel territorio delle ricorrenti ed inapplicabili ai rapporti giuridici da esse costituiti alcune disposizioni della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e dei successivi decreti legislativi che hanno dettato norme di attuazione della legge stessa.

Tutti i decreti di trasferimento sono composti di quattro articoli, dei quali il primo dispone il passaggio dell'impresa all'E.N.E.L. con le modalità di consegna e con gli effetti previsti dalle disposizioni del decreto legislativo presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36; il secondo stabilisce che l'indennizzo é determinato e corrisposto secondo le disposizioni della legge e delle norme di attuazione; il terzo prevede che l'E.N.E.L. restituisca all'impresa i beni eventualmente non ritenuti; il quarto determina la data dalla quale il decreto ha effetto.

L'annullamento di questi decreti é chiesto in relazione all'art. 1, all'art. 4, nn. 5 e 9, e all'art. 8 della legge del 1962, nonché in relazione agli artt. 2, 3, 10 del decreto legislativo presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, e, per il Trentino-Alto Adige, anche in relazione all'art. 1 del decreto legislativo presidenziale 15 dicembre 1962, n. 1670.

Le Regioni assumono che, con i decreti impugnati, emessi in applicazione della legge e delle norme di attuazione, sia stata violata la propria sfera di attribuzioni, garantita da norme statutarie che hanno carattere costituzionale. Dal che discenderebbe l'illegittimità costituzionale dei decreti di trasferimento.

Ne discenderebbe anche l'illegittimità delle disposizioni che sono il presupposto di quei decreti: illegittimità che comporterebbe l'inefficacia di dette disposizioni nel territorio delle Regioni ricorrenti e l'inapplicabilità ai rapporti giuridici costituiti dalle Regioni stesse.

Premesso che non é il caso di occuparsi della discussione fatta tra le opposte difese in ordine a codesti effetti che discenderebbero da una dichiarazione di illegittimità, dal momento che la presente sentenza non contiene tale dichiarazione, é da rilevare che le censure proposte con i ricorsi possono essere esaminate soltanto in riferimento all'art. 1 dei decreti impugnati, l'articolo, cioè, che dispone il trasferimento delle imprese. Gli artt. 2 e 3 (ed ovviamente anche l'art. 4) hanno per oggetto materia palesemente estranea alla sfera di interessi delle Regioni ricorrenti, dato che le indennità da corrispondersi e la eventuale restituzione di beni si riferiscono solamente alle società titolari delle imprese trasferite.

Per lo stesso motivo, e cioè per il fatto che le questioni che possono essere esaminate sono unicamente quelle che si prospettano sulla base di interessi propri delle Regioni ricorrenti, resta fuori dal presente giudizio ogni questione di legittimità costituzionale che si rifletta su rapporti estranei alle ricorrenti.

In conseguenza dello stesso criterio appaiono inammissibili le censure mosse, con la memoria, dalla difesa della Valle d'Aosta in ordine alla mancata individuazione, nei decreti di trasferimento, dei beni e dei rapporti oggetto del trasferimento stesso.

A parte che queste censure, essendo nuove, non potevano essere per la prima volta dedotte con la memoria, esse non sono ammissibili perché, trattandosi di interessi che sono propri delle imprese trasferite all'E.N.E.L. , la Regione non ha veste per proporre doglianze.

É, poi, da rilevare che le questioni che possono essere esaminate in questa causa sono soltanto quelle che hanno per oggetto censure mosse da un interesse attuale delle Regioni.

Dato che i ricorsi che hanno dato inizio a questa controversia devono essere esaminati limitatamente alla parte dei decreti con cui si dispone il trasferimento ed in relazione alle norme che regolano il trasferimento stesso, non sono ammissibili questioni che si riferiscono a momenti futuri dell'attività degli organi dello Stato, dell'E.N.E.L. e delle stesse Regioni.

  1. - Le considerazioni e le conclusioni ora esposte giovano anche ai fini dell'esame dell'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato.

É pacifico, anche fra le parti, che i ricorsi sono stati proposti nei termini rispetto ai cinquantadue decreti di trasferimento, ma fuori dei termini nei confronti della legge e delle norme di attuazione.

L'Avvocatura sostiene che l'impugnazione dei decreti di trasferimento, pur essendo tempestiva, é vana, in quanto si sarebbe dovuto impugnare tempestivamente la legge e le norme di attuazione; la difesa delle Regioni é, all'opposto, d'avviso che sono attaccabili con i decreti di trasferimento anche le disposizioni legislative che di quei decreti costituiscono il presupposto.

La Corte ritiene che sia esatta la tesi sostenuta dalle Regioni. Vero che le leggi dello Stato, con la loro entrata in vigore, si applicano anche nelle Regioni, comprese quelle a statuto speciale; é anche vero che la legge del 1962 e le norme di attuazione non hanno disposto alcuna esclusione nei riguardi delle Regioni, come risulterebbe esplicitamente dall'art. 4, n. 5, della stessa legge che fa cenno di enti istituiti dalle Regioni a statuto speciale. Ma, nonostante tutto questo, é da ritenere che, nella particolare situazione in esame, una lesione degli interessi regionali non si sarebbe verificata prima dei decreti di trasferimento.

La legge del 1962 non intese disciplinare compiutamente tutta la materia, e per questo rinviò a successive norme delegate. Anche queste norme lasciarono in disparte i problemi relativi alle Regioni a statuto speciale.

Gli organi di queste Regioni, che potevano aver interesse all'impugnazione, avevano giustificati motivi per attendere che lo Stato provvedesse ad eliminare le incertezze che la legge e le norme successive avevano lasciato in piedi. Questa attesa era legittima - e, si direbbe, anche doverosa - date le esplicite e tranquillizzanti assicurazioni che, in sede parlamentare, erano state fornite dalle voci più responsabili circa il rispetto dei diritti delle Regioni, costituzionalmente garantiti.

Con l'emanazione dei decreti di trasferimento, quelle attese perdettero ogni sostegno e solo allora si manifestò pienamente e concretamente il pregiudizio che da tutto il complesso della legge, delle norme di attuazione e dei decreti di trasferimento sarebbe potuto derivare alle Regioni.

E pertanto, attese le singolari circostanze ora messe in evidenza, la denunziata violazione dell'interesse delle ricorrenti si sarebbe maturata e manifestata con i decreti di trasferimento. Per questo i ricorsi, essendo tempestivi, rispetto all'ultimo atto, devono essere considerati ammissibili contro l'atto stesso e contro gli atti precedenti che ne sono i necessari ed inscindibili presupposti.

L'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura deve essere, però, accolta per quanto si riferisce all'art. 8 della legge 6 dicembre 1962.

La norma non ha niente a che vedere con le disposizioni che regolano i trasferimenti delle imprese e non ne costituisce né un presupposto né un effetto; e questo basterebbe per dichiarare l'inammissibilità del ricorso contro di essa nella presente causa. Ma é anche da aggiungere che rispetto alla norma stessa non valgono le considerazioni in base alle quali é stata respinta l'eccezione di inammissibilità. L'art. 8, regolando il regime fiscale dell'E.N.E.L. e riferendosi direttamente alle Regioni senza distinzione, ha posto una norma che incideva con immediatezza sulla sfera di interessi delle Regioni stesse, le quali non dovevano attendere nessun altro atto per proporre ricorso.

Il termine per l'impugnazione decorreva dunque dalla data di pubblicazione della legge.

Giova aggiungere un'ultima considerazione sul punto concernente l'ammissibilità.

Il fatto che i ricorsi sono ammissibili unicamente avverso i decreti di trasferimento (ed in particolare avverso il disposto dell'art. 1 di essi) ed avverso le norme che ne costituiscono il presupposto necessario, conferma, sotto altro aspetto, ciò che si é già detto circa l'inammissibilità delle questioni che non siano prospettate sulla base di un interesse attuale: conferma, cioé, che possono formare oggetto della presente controversia le sole questioni fondate sulle disposizioni riguardanti i trasferimenti e sulle norme con dette disposizioni strettamente collegate.

  1. - La prima ed essenziale questione da esaminare - ed é opportuno esaminarla congiuntamente per le due Regioni - é quella se la legge del 1962 ed i decreti di attuazione, in quanto abbiano esteso la propria efficacia anche alle Regioni ricorrenti, siano costituzionalmente illegittimi.

La difesa delle Regioni ha sostenuto, insistendovi molto anche nella discussione orale, che nel caso attuale, che sarebbe nuovo, ci si troverebbe di fronte ad un contrasto tra due leggi dello Stato, una costituzionale ed una ordinaria; che tale contrasto non potrebbe essere composto se non dando la prevalenza agli Statuti, le cui norme prevarrebbero sulle stesse leggi costituzionali di carattere generale.

Ma, osserva la Corte, il lamentato contrasto non esiste.

I due Statuti, con l'art. 2 per la Valle e con l'art. 4 per il Trentino-Alto Adige, vincolano l'attività legislativa delle Regioni al rispetto, fra l'altro, degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

Questi limiti alla potestà legislativa valgono anche per tutta la sfera dei diritti e dei poteri delle Regioni sia nel campo amministrativo che in quello patrimoniale, essendo inconcepibile che un qualsiasi diritto o potere delle Regioni possa ritenersi svincolato dai limiti segnati alla potestà legislativa, che é la più importante e la più caratterizzante manifestazione dell'autonomia regionale.

Non si può negare al legislatore statale il potere di regolare, con criteri unitari, e come tali valevoli per tutto il territorio, la produzione e la distribuzione dell'energia elettrica, costituendo il settore elettrico una componente essenziale di tutto lo sviluppo economico del Paese e uno strumento al servizio di vitali interessi della collettività.

E ciò basta per significare che la legge statale, che é venuta a regolare questo settore con norme improntate allo scopo di promuoverne lo sviluppo, non può non essere considerata come manifestazione di quel superiore potere dello Stato, che gli Statuti regionali in esame hanno espressamente fatto salvo, imponendo, come limite, il rispetto dell'interesse nazionale.

Ciò sarebbe sufficiente per dichiarare legittimo l'intervento dello Stato in questa materia anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale. Ma ricorre anche l'altro limite consistente nel rispetto delle riforme economico-sociali della Repubblica, dovendosi considerare tale la riforma apprestata con la legge di nazionalizzazione dell'energia elettrica, attese le finalità ad essa assegnate di potenziare e coordinare uno dei più essenziali settori economici del Paese, la cui influenza su tutta la vita nazionale, anche al di là degli aspetti economici, non ha bisogno di essere dimostrata.

Questa riforma, del resto, non poteva fermarsi ai confini di alcune Regioni, che sono, poi, tra quelle nel cui territorio si trovano le acque, dal cui uso nasce molta parte dell'energia elettrica al servizio di tutto il Paese.

Le esposte considerazioni, che riaffermano i principi enunciati nella recente sentenza n. 4 del 24 gennaio 1964, bastano a dimostrare come la legge istitutiva dell'E.N.E.L. si muova nell'ambito dei poteri che i due Statuti regionali riservano allo Stato.

  1. - Un altro punto é opportuno che sia esaminato congiuntamente rispetto alle due Regioni: riguarda la potestà legislativa e le funzioni amministrative.

Il Trentino-Alto Adige, in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, ha potestà legislativa nei limiti dianzi esaminati e nel limite, altresì, del rispetto dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 5, n. 5, dello Statuto). La Valle d'Aosta ha, in materia di disciplina della utilizzazione delle acque ad uso idroelettrico, potestà legislativa di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica (art. 3, lett. d, dello Statuto).

Salvo la diversa estensione di questa potestà spettante alle due Regioni, l'elemento comune, che ai fini della presente controversia é da mettere in rilievo, viene dato dal fatto che "i principi stabiliti dalle leggi dello Stato" da rispettare o le "leggi della Repubblica" da integrare ed attuare non si riferiscono soltanto alle leggi che erano vigenti al momento dell'emanazione degli Statuti. Il che significa che, quando una nuova legge statale sia stata emanata nell'ambito dei limiti che la norma costituzionale pone a favore dello Stato, non é la legge statale che deve arrestarsi di fronte alle leggi regionali, ma sono le leggi regionali che devono adeguarsi a quella.

Enunciato questo principio in linea generale, non si può in questa sede delineare concretamente il margine che é ancora rimasto alla potestà legislativa delle due Regioni in materia di utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico: l'utilizzazione per altri usi non forma oggetto di contestazione nella presente controversia. Né si può stabilire quali delle disposizioni legislative già emanate dalle due Regioni nella materia in contestazione siano compatibili con la nuova disciplina statale o quali altre norme regionali potrebbero essere emanate in avvenire nella stessa materia.

Trattasi, da un lato, di questioni di interpretazione delle leggi vigenti e, dall'altro, di questioni relative a leggi future: per l'una e l'altra ragione ogni indagine su questo punto non può essere ritenuta ammissibile.

E le stesse considerazioni esposte rispetto alla potestà legislativa valgono, per entrambe le Regioni, anche nei riguardi delle funzioni amministrative, spettanti alla Valle in virtù dell'art. 4 ed al Trentino-Alto Adige in virtù dell'art. 13, primo comma, dei rispettivi Statuti.

  1. - Passando all'esame dei motivi dei ricorsi, si comincia da quelli della Valle d'Aosta, che hanno preceduto, in ordine di tempo, i ricorsi dell'altra Regione.

Quanto alla potestà legislativa ed alle corrispondenti funzioni amministrative spettanti alla Valle in materia di disciplina della utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico, si richiama ciò che si é detto testé nei confronti delle due Regioni.

La questione centrale dei ricorsi della Valle é quella relativa agli effetti che la legge istitutiva dell'E.N.E.L. ha determinato nei riguardi della concessione novantanovennale delle acque pubbliche di cui all'art. 7 dello Statuto. Ed il punto essenziale da esaminare si riferisce all'ultimo comma di questo articolo, il quale dispone che la concessione é subordinata alla condizione che, in ogni caso, lo Stato non intenda fare oggetto le acque di un piano di interesse nazionale.

La difesa della Regione non a torto fa notare che il piano nazionale cui fa riferimento l'art. 7 é diverso dal piano generale indicato nell'articolo successivo: mentre il piano di cui parla l'art. 8 postula l'esistenza della concessione novantanovennale, quello previsto dall'art. 7 costituisce il presupposto di una situazione nuova e diversa. Ma da questa differenza fra i due piani non si può trarre alcun argomento a favore della Regione.

Che la nazionalizzazione delle imprese elettriche comporti un piano di interesse nazionale non può essere posto in dubbio, giacché essa é stata concepita come strumento di un sistema unitario di produzione e di distribuzione dell'energia elettrica, volto al raggiungimento di scopi che il legislatore si é posto come essenziali ai fini generali, applicando la norma dell'art. 43 della Costituzione.

Quale che sia l'interpretazione da darsi alla espressione "condizione" che si legge nell'ultimo comma dell'art. 7, é certo che la previsione di quella norma, che non poteva non riferirsi a future determinazioni dello Stato, si é realizzata con la legge di nazionalizzazione.

Vero é che questa legge non ha costituito una riserva rispetto alla concessione delle acque, bensì rispetto alle attività elettriche; ma é anche certo che, essendo le derivazioni a scopo idroelettrico uno degli essenziali strumenti per la produzione dell'energia elettrica, la concessione dell'uso dell'acqua per tale scopo non può nascere e non può vivere se non nell'ambito della riserva stabilita con la legge di nazionalizzazione.

In conclusione, la nazionalizzazione produce legittimamente i suoi effetti anche nei confronti della Valle, perché la relativa legge é stata adottata nell'ambito riservato alla futura azione dello Stato in virtù di due disposizioni dello Statuto: una più generale, contenuta nella prima parte dell'art. 2, e l'altra, quella dell'art. 7, che si riferisce specificamente alla materia.

Ne consegue che non può contestarsi la legittimità dei decreti impugnati e delle norme legislative che ne sono il presupposto. L'attribuzione, con durata illimitata, all'E.N.E.L. delle concessioni di acqua ad uso di produzione elettrica é l'effetto necessario della riserva che é stata costituita a favore dell'ente di Stato. Finché le acque siano destinate o debbano essere destinate ad uso di produzione elettrica e nei limiti di tale uso, la Regione non può esercitare alcun diritto o alcun potere incompatibile con la riserva.

Per queste considerazioni si appalesano infondate le doglianze della Valle nei riguardi dell'art. 1 e dell'art. 4, n. 9, della legge di nazionalizzazione e delle correlative norme di attuazione. E sono pure infondate le censure mosse alle disposizioni contenute nel n. 5 dello stesso art. 4, in quanto anche nei rapporti con gli enti ivi indicati la Valle non può avvalersi della concessione novantanovennale se non nei limiti compatibili con la legge di nazionalizzazione.

É chiaro che la concessione non é venuta meno per quanto si riferisce all'uso delle acque a scopo diverso da quello di produzione di energia elettrica.

Nella presente controversia non possono formare oggetto di esame o di decisione le concrete applicazioni di queste enunciazioni di carattere generale, non essendo attuale l'interesse della Regione a proporre le relative questioni. Può semplicemente dirsi che la pretesa della Regione di scegliere in regime di concorrenza i concessionari delle acque ad uso idroelettrico é incompatibile con la riserva a favore dell'E.N.E.L. É altresì incompatibile con tale riserva la pretesa di subentrare nella concessione delle acque al momento della cessazione dell'uso o della concessione ai sensi del terzo comma dell'art. 7 dello Statuto, quando le acque servano o debbano servire ad uso idroelettrico.

Non é, invece, incompatibile con la legge di nazionalizzazione l'esercizio della facoltà attribuita dall'art. 8, secondo comma, dello Statuto al Presidente della Giunta regionale: la facoltà di provocare dagli organi competenti la dichiarazione di decadenza dalle concessioni potrà sempre essere esercitata tutte le volte in cui l'utilizzazione delle acque non serva o non debba servire alla produzione di energia elettrica.

Nessuna contestazione, infine, é stata mossa circa i diritti della Regione riguardanti i nove decimi dei canoni per le concessioni di derivazioni a scopo idroelettrico, di cui all'ultimo comma dell'art. 12 dello Statuto, e i diritti relativi ai sovracanoni stabiliti a norma delle leggi vigenti.

  1. - Analoghe considerazioni, anche rispetto all'ambito delle questioni che nella presente causa possono essere esaminate e decise, valgono per i ricorsi del Trentino- Alto Adige:
  2. a) Per quanto si riferisce alla potestà legislativa spettante alla Regione a norma dell'art. 5, n. 5, dello Statuto (utilizzazione delle acque pubbliche) e delle corrispondenti funzioni amministrative (art. 13, primo comma) basterà richiamare ciò che si é detto già nel tratto in cui questa sentenza ha esaminato la questione nei confronti di entrambe le Regioni.
  3. b) Per quel che attiene alle concessioni, la legge sull'E.N.E.L. nulla ha innovato circa le concessioni di grande e di piccola derivazione per utilizzazioni diverse da quelle idroelettriche: non ha ragion d'essere quindi alcuna contestazione in proposito.

Istituita in perpetuo la riserva a favore dell'E.N.E.L. , la Regione non può più pretendere di essere preferita nelle concessioni di grandi derivazioni ai sensi del quinto comma dell'art. 10 dello statuto, quando tali derivazioni debbano servire a scopo idroelettrico.

Anche per quanto si riferisce alle concessioni di piccola derivazione a scopo idroelettrico, deve funzionare la riserva a favore dell'E.N.E.L. La sentenza di questa Corte del 24 marzo 1961, n. 20, basata sulle norme precedenti alla legge sull'E.N.E.L. , non può essere invocata nei riguardi di questa nuova legge, se non nei limiti in cui le statuizioni della sentenza stessa appaiano compatibili con la disciplina della nazionalizzazione.

Riguardo all'art. 9 dello Statuto, può dirsi soltanto che, fino a quando una legge non provvederà a coordinare con la legge sull'E.N.E.L. le disposizioni del testo unico sulle acque pubbliche, non si può escludere un intervento della Regione presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici per la tutela dei propri interessi compatibili con il nuovo assetto della materia.

Le stesse considerazioni valgono per dichiarare che la facoltà della Regione di provocare, ai sensi del penultimo comma del citato art. 10, la decadenza delle concessioni di grande derivazione, potrà essere esercitata in tutti i casi in cui la decadenza possa servire alla Regione ai fini di una utilizzazione delle acque diversa da quella idroelettrica.

Non é contestato il diritto della Regione alle forniture di energia elettrica a prezzo di costo; si discute soltanto se resta applicabile il terzo comma dello stesso art. 10, a norma del quale il Presidente della Giunta regionale deve essere sentito quando, in mancanza di accordi tra le parti, il prezzo é determinato di autorità. Salva la necessità del coordinamento tra la norma contenuta nel richiamato terzo comma dell'art. 10 e le disposizioni riguardanti il regime tariffario e la competenza degli organi chiamati ad attuarlo, l'audizione del Presidente regionale, quale che potrà essere la procedura, non appare incompatibile con la legge di nazionalizzazione.

  1. c) Nessun attentato può addebitarsi alla legge impugnata riguardo ai poteri che, in materia di espropriazione per pubblica utilità, l'art. 4, n. 4, dello Statuto accorda alla Regione.

I decreti di trasferimento delle imprese elettriche sono stati emanati con atti aventi valore di legge. Tali atti sono legittimi, in quanto anche essi rientrano nella sfera dei poteri che lo Stato si era riservato con lo stesso art. 4, prima parte.

  1. d) Non risulta che tra le imprese trasferite all'E.N.E.L. ve ne siano di quelle che utilizzano concessioni minerarie per la produzione dell'energia elettrica. Il motivo riguardante la violazione dell'art. 4, n. 6, e dell'art. 13, primo comma, dello Statuto, che attribuiscono alla Regione poteri legislativi ed amministrativi in materia di miniere, non é, dunque, fondato sopra un interesse attuale della Regione.

La Corte non deve per ora giudicarne, restando, quindi, riservata ogni pronuncia, anche per quel che si riferisce alle eventuali pretese di carattere patrimoniale che in futuro potessero essere fatte valere in base all'art. 58 dello Statuto.

Ora potrebbe dirsi soltanto che le attribuzioni della Regione in materia mineraria restano integre, salvo che non si tratti di usi a scopo di produzione di energia elettrica: in questo caso i poteri e i diritti della Regione potranno essere esercitati nei limiti compatibili con la legge di nazionalizzazione.

  1. - Nella sentenza, sopra richiamata, del 24 gennaio 1964, la Corte, dopo avere affermato che lo Stato può legittimamente avvalersi dei poteri che gli statuti regionali gli hanno riservato, soggiungeva che la competenza statale non poteva essere così assorbente da limitare ogni altra competenza regionale fino ad eliminarla affatto. Nel caso allora deciso la sentenza accertò che il legislatore aveva operato un legittimo contemperamento tra le esigenze nazionali e quelle regionali.

Non avendo ancora il legislatore provveduto nel caso attuale, la Corte auspica che si provveda a tale contemperamento, tenendo presenti i poteri e i diritti delle Regioni a statuto speciale, che sono stati compressi per effetto della nazionalizzazione, ma che non devono essere sacrificati oltre i limiti richiesti dall'attuazione e dal pieno funzionamento della riforma. Se é vero che le leggi nazionali possono provvedere legittimamente in materia in tutto o in parte già attribuita alla competenza delle Regioni, purché si muovano dentro i limiti che gli statuti speciali hanno riservato a favore dello Stato, é anche certo che il legislatore nazionale deve assicurare agli enti regionali il massimo di autonomia, nascente dagli stessi statuti, compatibile con la nuova disciplina unitaria;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui ricorsi indicati in epigrafe:

  1. a) respinge l'eccezione pregiudiziale di inammissibilità per decorrenza di termini, proposta dall'Avvocatura dello Stato, salvo per quanto si riferisce all'art. 8 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, sull'istituzione dell'Ente nazionale per l'energia elettrica;
  2. b) dichiara non fondate, ai sensi e nei limiti esposti in motivazione, le questioni sollevate dalle Regioni Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige sulla legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica, aventi valore di legge ordinaria, segnati in epigrafe, con i quali alcune imprese sono trasferite all'Ente nazionale per l'energia elettrica, e delle norme contenute nell'art. 1 e nell'art. 4, nn. 5 e 9, della citata legge 6 dicembre 1962 e negli artt. 2, 3, 10 del decreto legislativo presidenziale 4 febbraio 1963, n. 36, e nell'art. 1 del decreto legislativo presidenziale 15 dicembre 1962, n. 1670, in riferimento all'art. 2, prima parte, all'art. 3, lettera d, all'art. 4, all'art. 7 e all'art. 8 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, nonché all'art. 4, prima parte e nn. 4 e 6, all'art. 5, n. 5, all'art. 9, all'art. 10, terzo, quinto e sesto comma, all'art. 13, primo comma, dello Statuto speciale per il Trentino- Alto Adige;
  3. c) dichiara inammissibili, per mancanza di interesse attuale, le altre questioni.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 7 marzo 1964.