Sentenza n. 6 del 1964
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SENTENZA N. 6

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la Seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del D.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 9 aprile 1963 dal Tribunale di Modena nel procedimento civile vertente tra il Comune di Modena e l'Istituto nazionale gestione imposte di consumo (I.N.G.I.C.), iscritta al n. 108 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 1 giugno 1963;

2) ordinanza emessa il 27 giugno 1963 dal Tribunale di Brescia nel procedimento civile vertente tra la Società italiana riscossioni tributarie (S.I.R.T.), il Comune di Cigolo e la Società a r.l. Benedetti Germano, iscritta al n. 173 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 del 12 ottobre 1963.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione in giudizio del Comune di Modena, della Società italiana riscossioni tributarie e della Società a r. l. Benedetti Germano;

udita nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1963 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi gli avv. Massimo Severo Giannini e Guido Gaudenzi, per il Comune di Modena, l'avv. Antonio Stoppani, per la S.I.R.T., l'avv. Carlo Sequi, per la Società Benedetti, e il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Modena, con ordinanza del 9 aprile 1963, accogliendo l'istanza del patrocinio del Comune di Modena, nel giudizio da questo promosso contro l'Istituto nazionale gestione imposte di consumo (I.N.G.I.C.), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del D.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, nella parte in cui dispone la proroga dei contratti di appalto e gestione del servizio di riscossione delle imposte di consumo, per eccesso rispetto al potere delegato dall'art. 8, n. 4, della legge 18 dicembre 1959, n. 1079, avendo ritenuto la questione stessa rilevante per la soluzione della causa e non manifestamente infondata. Ad avviso del Tribunale l'eccesso denunciato si concreta nell'avere il Governo disposto una proroga del contratto di appalto a favore dell'I.N.G.I.C. non rientrante nei principi e criteri direttivi fissati dal Parlamento, dato che la tutela da questo voluta degli interessi del personale addetto alla gestione delle imposte in parola si sarebbe potuta conseguire con mezzi diversi dalla proroga; che inoltre l'abolizione dell'imposta di consumo sul vino riguarda uno solo dei numerosi oggetti delle imposte comunali sul consumo mentre la proroga comprende l'intero servizio di esazione, sicché nessuna interdipendenza può ritenersi sussistente fra la disposizione che blocca i licenziamenti e quella che dispone la proroga. Tale incostituzionalità non può ritenersi sanata dalla successiva legge 20 dicembre 1962, n. 1718, perché la proroga da questa disposta presuppone l'efficacia di quella precedentemente attuata per opera del decreto delegato in contestazione.

L'ordinanza, notificata e comunicata a termini di legge, é stata trasmessa alla Corte, avanti alla quale si sono costituiti il Comune di Modena in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Massimo Severo Giannini e Guido Gaudenzi, ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Con sue deduzioni in data 4 giugno 1963 il Comune di Modena fa rilevare come nessuna correlazione logica e necessaria sia da ritenere sussistente fra il blocco dei licenziamenti e la proroga dei contratti di appalto, proroga del tutto estranea alla portata della legge delegante, la quale riguardava il vino, cioè uno solo dei numerosi oggetti dell'imposta comunale di consumo, e non giustifica quindi la proroga dell'intero servizio di gestione. Aggiunge come la conservazione del personale sarebbe stata in ogni caso salvaguardata, perché all'esazione dell'imposta abolita si é sostituita quella dell'imposta generale sull'entrata, e perché inoltre la tutela del personale sarebbe stata ugualmente assicurata in virtù delle norme del D.L. C. P. S. 31 gennaio 1947, n. 135 (convertito nella legge 18 dicembre 1952, n. 4417), che dispongono l'assunzione, da parte del Comune, il quale deliberi di condurre direttamente la gestione, del personale nominato dall'appaltatore, con la conservazione dello status di cui esso é in godimento. Quanto poi alla legge n. 1718 sopravvenuta, ribadisce le considerazioni di cui all'ordinanza, contestando che si sia operata una sanatoria dell'eccesso di delega. Conclude chiedendo che venga dichiarata la incostituzionalità della norma denunciata.

L'Avvocatura generale dello Stato, nel suo atto di intervento del 20 giugno 1963 deduce in via preliminare che l'ordinanza non ha adeguatamente valutato la rilevanza che sulla questione sollevata é da attribuire alla legge n. 1718 del 1962, perché il chiaro tenore dell'art. 2, rivolto a dare alla proroga disposta efficacia retroattiva, avrebbe dovuto condurre o a far ritenere assorbita la questione stessa, oppure ad estendere la censura di incostituzionalità alla legge medesima. Nel merito osserva come l'unico modo per tutelare gli interessi del personale, di fronte al ridimensionamento delle gestioni delle imposte di consumo in conseguenza della riduzione di entrate e di lavoro, era quello di lasciare in piedi la situazione preesistente. Altrimenti gli appaltatori (che gestiscono il maggior numero dei servizi di esazione) avrebbero dovuto richiedere la revisione dei contratti con ripercussioni negative sulle finanze comunali, che la legge delegante volle salvaguardare. L'eccesso di delega si sarebbe prodotto solo ove si fossero perseguite finalità non previste dalla legge, mentre quanto al mezzo prescelto una censura sarebbe stata possibile, nel silenzio di disposizioni in proposito, solo dimostrando l'assoluta sua inidoneità al fine; ciò che non si verifica, come é comprovato anche dalla legge del 1962 e dai lavori preparatori, dai quali risulta la stretta correlazione esistente fra le compensazioni da disporre a favore dei Comuni, la tutela del personale ed il mantenimento dell'equilibrio economico dei contratti di appalto in corso. Conclude chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, o altrimenti manifestamente infondata.

2. - Con ordinanza in data 27 giugno 1963 il Tribunale di Brescia, nel corso di un procedimento civile tra la Società italiana riscossioni tributarie (S.I.R.T.) ed il Comune di Cigole, con l'intervento volontario della Società a r. 1. Benedetti Germano, mentre ebbe a ritenere manifestamente infondata la questione proposta da detta Società nei confronti dell'art. 2 della legge n. 1718 del 1962, sollevò invece questione di illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del D.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, per eccesso di delega, e, sospeso il giudizio in corso, dispose la remissione degli atti alla Corte costituzionale. Il Tribunale motivava la propria ordinanza affermando che poiché il blocco del licenziamento degli addetti alle gestioni delle imposte di consumo attua di per sé solo la tutela degli interessi del personale prevista dalla legge delegante 18 dicembre 1959, n. 1079, sembra davvero che la proroga dei contratti di appalto disposta in aggiunta a tale blocco dal D.P.R. n. 1315 del 1961 sia "inadeguata per eccesso" rispetto ai limiti stabiliti nella delega.

L'ordinanza veniva notificata e comunicata a norma di legge, e dinanzi alla Corte costituzionale si sono costituiti la S.I.R.T., in persona del suo procuratore generale dott. Agostino Covati, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Stoppani; la Società a r. 1. Benedetti Germano, in persona del suo amministratore unico dott. Giovanni Bellotti, rappresentato e difeso dagli avvocati Luciano Zilioli e Carlo Sequi; il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Il patrocinio della Società italiana riscossioni tributarie chiede che la Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del D.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315, in riferimento al disposto dell'articolo 76 della Costituzione osservando che la proroga dei contratti di appalto in questione é assolutamente estranea alla delega legislativa sia perché non sussiste, né può comunque identificarsi, alcuna logica e necessaria correlazione tra il divieto di riduzione del numero degli addetti alle gestioni delle imposte di consumo e la proroga dei contratti di appalto, sia perché tanto la legge delegante quanto il medesimo titolo dato al provvedimento delegato riguardano unicamente il vino, cioè uno solo degli oggetti dell'imposta comunale di consumo, laddove invece la proroga concerne l'intero servizio di riscossione delle imposte di consumo. Che d'altra parte gli interessi del personale, comprendente tutti gli addetti alle gestioni dei servizi in parola, quale che sia la forma da queste assunta, é salvaguardata dal blocco dei licenziamenti. Aggiunge che il denunciato eccesso di delega non potrebbe ritenersi sanato a causa dell'emanazione della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, poiché questa non ha né la struttura, né la forma, né il contenuto di una ratifica: essa si limita a prorogare ulteriormente i contratti già prorogati in precedenza fino al 1962.

Con successiva memoria presentata il 28 novembre 1963 la S.I.R.T. ribadisce le conclusioni già prese, osservando in particolare che dalla legge 20 dicembre 1962, n. 1718, non emerge alcuna volontà di ratificare la statuizione di cui all'art. 8, secondo comma, del D. P. R. 14 dicembre 1961, n. 1315; volontà che avrebbe dovuto essere espressa e preceduta dal riconoscimento dell'eccesso di delega in cui il Governo era incorso. Insiste per l'accoglimento della eccezione.

La Società a r. l. Benedetti Germano nelle sue deduzioni si limita a concludere che la Corte costituzionale dichiari inammissibile o comunque infondata la sollevata questione. In una memoria depositata il 28 novembre 1963 precisa che non vi é stato un eccesso rispetto alla delega ma un puntuale esercizio di essa con l'adozione dell'unico sistema idoneo ad attuarla, essendo evidente che, per realizzare con una soluzione equilibrata il blocco dei licenziamenti, si rendeva necessario provvedere in pari tempo a regolare i rapporti contrattuali fra Comuni ed appaltatori delle imposte di consumo, impedendo le altrimenti inevitabili richieste di revisione o di recesso da contratti divenuti troppo onerosi per effetto dell'abolizione di un così rilevante gettito d'imposta, com'é quello del vino, ed assicurando, d'altro canto, agli appaltatori medesimi di compensare con la gestione attiva la perdita ingente di aggi e profitti afferenti alla riscossione dell'imposta sul vino. Blocco di licenziamenti e proroga dei contratti di appalto alle stesse condizioni trovano perciò il loro fondamento e perfettamente si inquadrano nel primo e fondamentale criterio direttivo segnato dalla legge di delegazione e dettato dalla necessità di salvaguardare nella maggiore misura possibile l'equilibrio delle finanze comunali, secondo risulta anche dalla legge del 1962 che ha adottato lo stesso sistema del decreto delegato.

L'Avvocatura generale dello Stato riprende rispetto all'ordinanza del Tribunale di Brescia le stesse argomentazioni già sviluppate in relazione a quella del Tribunale di Modena. Anche qui osserva, preliminarmente, che la questione deve considerarsi priva di oggetto, dato che l'eventuale eccesso di delega sarebbe senz'altro da considerare sanato dopo l'emanazione dall'art. 2 della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, che ha indubbiamente convalidato ex tunc l'art. 8 della legge delegata. Riproduce poi le considerazioni già svolte per contestare che questa ultima sia incorsa nella denunciata violazione dei criteri direttivi.

In una successiva memoria presentata il 27 novembre 1963 l'Avvocatura generale dello Stato ribadisce le precedenti deduzioni in ordine ad ambedue i giudizi, aggiungendo alcune ulteriori osservazioni, dirette a sottolineare come la legge 20 dicembre 1962, n. 1718, assuma direttamente a suo oggetto i contratti contemplati dalla legge delegata, venendo così a prendere il luogo di quest'ultima, ed a corrispondere, nella larga formulazione adottata, ad ogni esigenza di sanatoria dell'eccesso di delega, ove essa si fosse presentata. Mette poi in rilievo come l'esercizio del potere delegato importa la disciplina dei presupposti logici indefettibili dell'oggetto della delega, mentre l'accertamento del nesso sussistente fra gli uni e l'altro sfugge all'esame di legittimità allorché, come nella specie, la norma delegante consente più possibilità di soluzioni di specie. Insiste per il rigetto dell'eccezione.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'identità dell'oggetto della questione che é stata sollevata con le due ordinanze dei Tribunali di Modena e di Brescia rende opportuna la riunione dei giudizi e la loro definizione con unica sentenza.

2. - L'esame circa la sussistenza dell'eccesso della delega conferita al Governo con l'art. 8 della legge 19 dicembre 1959, n. 1079, dev' essere contenuto nei precisi termini in cui questo é stato denunciato dalle ordinanze di rimessione e che si concreta esclusivamente nell'avere il decreto delegato del Presidente della Repubblica 14 dicembre 1961, n. 1315, disposta la proroga dei contratti di appalto anche se scaduti, mentre la predetta disposizione di legge, al n. 4 dell'art. 8, conferiva al Governo il solo potere di tutelare gli interessi del personale.

Per valutare la fondatezza della censura così formulata si rende necessario ricordare come la legislazione vigente in materia, all'atto dell'emanazione della legge n. 1079, conteneva precise disposizioni in ordine alla tutela del personale addetto all'esazione delle imposte di consumo. Infatti il T.U. del 1931 sulla finanza locale, all'art. 79, richiamava per tale personale le norme dell'art. 106 del T.U. 17 ottobre 1922, n. 1401, che imponeva agli esattori delle imposte, o confermati o investiti ex novo della titolarità delle medesime esattorie, l'obbligo di mantenere in servizio il personale iscritto da almeno tre mesi al fondo di previdenza. Il regolamento per la riscossione delle imposte di consumo approvato con R.D. 30 aprile 1936, n. 1138, agli artt. 303-305, mentre nel caso di riassunzione delle stesse gestioni da parte del vecchio esattore riproduceva la disposizione prima ricordata, nell'altro, di appaltatori già titolari di gestione, consentiva la sostituzione di una parte del personale. Ma il successivo R.D. 28 maggio 1942, n. 710, modificò le dette norme regolamentari, imponendo in ogni caso l'obbligo del mantenimento in servizio di tutto il personale (salvo il direttore ed il ricevitore della gestione) (art. 2). Poiché dette norme lasciavano scoperta l'ipotesi di assunzione diretta della gestione da parte del Comune, si provvide con D.L.C.P.S. 31 gennaio 1947, n. 135, a disporre che il personale già al servizio dell'appaltatore dovesse essere assunto dal Comune, purché in servizio da almeno un anno, conservando lo stato giuridico ed economico quale derivava dal rapporto di impiego privato. É tuttavia da notare come, proprio in conseguenza del carattere privatistico del rapporto di lavoro, l'obbligo del mantenimento in servizio del personale, stabilito dalle varie norme richiamate, non riusciva ad assicurare la stabilità nell'impiego (possibile solo per i rapporti sottoposti alla disciplina del diritto pubblico), valendo solamente ad escludere la possibilità di contratti di lavoro a termine in connessione con le scadenze degli appalti, non già ad impedire il licenziamento ad nutum, previa osservanza delle condizioni che disciplinano i contratti di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell'art. 2118 del Codice civile, con i temperamenti stabiliti dai contratti collettivi di lavoro eventualmente esistenti. É poi da rilevare che le menzionate garanzie a favore del personale non erano condizionate ai mutamenti sopravvenuti nell'oggetto dell'appalto nel periodo di durata del medesimo, secondo può argomentarsi dall'art. 80 del citato T.U. sulla finanza locale, che stabiliva tra l'altro appositi procedimenti per i necessari adeguamenti, o in via di accordo fra le parti o in via arbitrale, nel caso di abolizione o riduzione delle imposte deliberate nel corso dell'appalto.

Così chiarito lo stato della legislazione in materia, é da chiedersi se e in che senso le disposizioni conseguenti alla diminuzione prima ed all'abolizione poi dell'imposta sul consumo del vino abbiano inteso derogare ad esso. Per quanto riguarda il periodo transitorio dal lo gennaio 1960 al 31 dicembre 1961 nessuna disposizione al riguardo é stata dettata dalla legge n. 1079, sicché é da ritenere che si sia inteso fare rinvio alle disposizioni vigenti, come del resto risulta esplicitamente affermato nella relazione del Ministro proponente alla Camera dei Deputati, là dove rileva che "per i rapporti contrattuali fra Comuni ed appaltatori delle imposte di consumo, sui quali avrebbe inciso il provvedimento sul vino fin dalla sua prima fase di applicazione, si sarebbe dovuto fare riferimento al ricordato art. 80 del T.U. 1931, dato che una disciplina in deroga ad esso avrebbe urtato contro la difficoltà di adeguamento alle situazioni locali, e ciò a causa della loro varietà dall'uno all'altro Comune". E poiché il predetto articolo riguardava la sola ipotesi di gestione esattoriale in corso, é da ritenere che trattamento non diverso da quello prescritto dalla vigente legislazione si sarebbe dovuto effettuare anche nelle altre ipotesi di passaggio di gestione per avvenuta cessazione dell'appalto. Per il periodo successivo, decorrente dal 1 gennaio 1962, era stata prevista l'entrata in vigore del nuovo regime di totale soppressione del dazio, da regolare per opera del Governo a ciò delegato, sulla base dei criteri fissati in cinque punti dal citato art. 8 della legge n. 1079. Di fatto però il decreto delegato non eseguì tutti i compiti attribuitigli, poiché nulla dispose in ordine ai punti 1, 2 e 5 dell'articolo ora ricordato ed invece si limitò a disciplinare il punto 3, relativo alla riscossione dell'imposta generale sull'entrata sui vini, ed il 4 riguardante il personale, che é quello di cui si controverte, statuendo con il primo comma dell'art. 8 il divieto, fino al 31 dicembre 1962, di ridurre comunque il numero degli addetti alle imposte di consumo per effetto dell'applicazione della legge sul vino, e con il secondo la proroga fino alla data predetta dei contratti di appalto, in corso al primo luglio 1961 e con scadenza anteriore al 31 dicembre 1962, "alle stesse condizioni dettate dai medesimi". Quest'ultima disposizione venne a derogare alle norme comuni, in ordine sia all'autonomia contrattuale nei confronti dei contratti scadenti nel periodo 10 luglio 1961-31 dicembre 1962, e sia all'adeguamento delle condizioni contrattuali in conseguenza dei mutamenti sopravvenuti, che era consentito dal citato art. 80 del T.U. sulla finanza locale.

Può essere esatto ritenere che l'intenzione del delegante, quando ebbe a dettare il n. 4 dell'art. 8, fosse rivolta ad assicurare la tutela del personale, con strumenti giuridici anche divergenti da quelli previsti dalle leggi già in vigore, quando si fosse verificata l'esigenza di riorganizzare su nuove basi il servizio di riscossione, essendosi tenuta presente la previsione, enunciata dal Ministro proponente della legge n. 1079, in ordine alla difficoltà di mantenere in servizio integralmente il personale stesso dopo l'abolizione di uno dei pilastri del servizio medesimo, qual era costituito dall'imposta sul vino. Difficoltà riaffermata in sede di discussione della legge medesima avanti al Senato, durante la quale venne presentato da alcuni senatori un ordine del giorno, che, mentre patrocinava il mantenimento in servizio di tutto il personale, prevedendo all'uopo la possibilità di utilizzarne una parte per i compiti di repressione delle frodi e sofisticazioni del vino, proponeva altresì la predisposizione di apposite misure rivolte a promuovere l'esodo volontario dei dipendenti, come quella del riconoscimento a loro favore di un'anzianità integrativa ai fini della pensione. Ordine del giorno che venne accettato solo a titolo di raccomandazione dal Governo, data la necessità che appariva palese di risolvere il problema nel quadro del generale riordinamento che si sarebbe dovuto effettuare entro il periodo stabilito per l'esercizio della delega.

Ma poiché l'aspettativa in questo senso non ebbe a realizzarsi, a causa delle difficoltà incontrate nella predisposizione della riforma da attuare, il Governo si limitò a provvedere in via provvisoria, disponendo il prolungamento dello status quo, quale era venuto a verificarsi al 1 luglio 1961, mantenendo i rapporti preesistenti in tutti i loro elementi, in deroga sia al principio del recesso unilaterale nei contratti di lavoro a tempo indeterminato, e sia all'altro riguardante l'onerosità sopravvenuta.

Una volta che si ammetta il potere dell'organo delegato di provvedere nella materia delegata anche in via transitoria ed all'infuori del generale riordinamento dei servizi che era stato previsto (potere in ordine al quale nessuna contestazione é stata sollevata), deve escludersi la sussistenza dell'eccesso denunciato. Infatti la misura straordinaria del blocco totale ed assoluto dei licenziamenti, che si ritenne necessario alla tutela del personale, non si sarebbe potuto realizzare se non nel quadro del mantenimento anch'esso straordinario della situazione dei rapporti di appalto quale sussisteva di fatto al primo luglio 1961, in tutti i suoi elementi e quale che fosse lo stato dei rapporti medesimi dopo l'entrata in vigore della legge n. 1079. Disponendo altrimenti si sarebbero potuti esporre i Comuni al pericolo di non riuscire a provvedere alla continuità della gestione se non a costo di sottoporsi ad oneri da essi non sopportabili.

Dovendosi ritenere non sussistente l'eccesso di delega denunciato, si rende ultronea ogni indagine circa l'influenza sulla questione della legge 20 dicembre 1962, n. 1718, che ha prorogato a tutto il 1963 i contratti in corso al 31 dicembre 1962, ivi compresi quelli già prorogati con il decreto delegato;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi promossi con le ordinanze dei Tribunali di Modena e di Brescia,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, del D.P.R. 14 dicembre 1961, n. 1315.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 1964.