Sentenza n. 5 del 1964
 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 5

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 23 gennaio 1963, n. 2, e dell'art. 6 del D.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5, riguardanti la concessione di amnistia e indulto, promosso con ordinanza emessa il 25 febbraio 1963 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Campi Luciano, iscritta al n. 106 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 153 dell'8 giugno 1963.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'11 dicembre 1963 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 25 febbraio 1963, emessa nel procedimento penale a carico di Campi Luciano, imputato del delitto previsto dall'art. 55 del T.U. per la finanza locale (R.D. 14 settembre 1931, n. 1175), il Pretore di Roma ha rimesso a questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 23 gennaio 1963, n. 2, e del D.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5 - riguardanti la concessione di amnistia e indulto - in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

In base alle disposizioni impugnate l'amnistia e l'indulto in esse previsti per i reati finanziari furono subordinati alla condizione che "trattandosi del mancato pagamento del diritto o del tributo evaso", il trasgressore effettuasse il pagamento entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di concessione dell'amnistia e dell'indulto.

Il Pretore ha osservato che, mentre l'Amministrazione dispone di validi mezzi esecutivi per perseguire le evasioni, l'anzidetta condizione comporterebbe "una sostanziale e intollerabile diversità di trattamento fra il contribuente che sia in grado di pagare il tributo e quello invece che non ne abbia i mezzi". Perciò ha ritenuto che, subordinando la concessione dell'amnistia e dell'indulto a tale condizione, le disposizioni impugnate sarebbero lesive del principio di eguaglianza.

L'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 7 marzo 1963, all'imputato l'8 marzo e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma il 6 maggio; é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 12 marzo 1963; é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'8 giugno 1963.

Nel giudizio innanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con atto depositato il 27 marzo 1963.

Premesso che le disposizioni impugnate hanno costante rispondenza nei precedenti casi di amnistia ed indulto per i reati finanziari, e che esse riguardano i soli reati finanziari i quali comportino un'evasione tributaria, l'Avvocato dello Stato osserva che, siccome le imposte si collegano necessariamente a una capacità contributiva, é istituzionalmente da escludere che la condizione del pagamento del tributo, alla quale le disposizioni impugnate subordinano la possibilità che i responsabili di un'evasione tributaria beneficino del provvedimento di clemenza, venga a realizzare un'ingiusta discriminazione tra i vari soggetti dell'ordinamento.

Sottolinea poi la diversità del caso in esame rispetto alle disposizioni - dichiarate illegittime da questa Corte - che enunciavano la regola solve et repete: mentre queste ultime impedivano ai non abbienti di far affermare in giudizio l'inesistenza di una obbligazione tributaria che l'Amministrazione pretendeva dover gravare su di essi, le disposizioni ora impugnate escludono infatti dal beneficio della clemenza soltanto coloro i quali si siano effettivamente resi responsabili del mancato assolvimento di una obbligazione tributaria. Conclude pertanto per la dichiarazione di infondatezza della questione proposta dal Pretore di Roma.

All'udienza di trattazione della causa l'Avvocato dello Stato si é riportato alle riferite deduzioni e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte non ritiene fondata la questione di legittimità costituzionale rimessale dal Pretore di Roma circa la compatibilità con l'art. 3 della Costituzione delle disposizioni dell'art. 6 della legge 23 gennaio 1963, n. 2, e dell'art. 6 del D.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5, le quali, per i reati finanziari in cui si sia avuto il mancato pagamento di un tributo, subordinano la concessione dell'amnistia al pagamento del tributo "evaso". Non é esatto, infatti, che esse determinino un'ingiusta sperequazione tra soggetti più abbienti e soggetti meno abbienti.

La subordinazione dell'applicazione del beneficio dell'amnistia e dell'indulto, nei confronti di coloro i quali siano incorsi in reati consistenti nell'evasione di un tributo, alla condizione del pagamento del tributo "evaso" ricorre nella generalità dei provvedimenti (meno frequenti degli altri provvedimenti di clemenza), coi quali vengono concessi l'amnistia e l'indulto per reati in materia finanziaria (vedansi l'art. 2, nn. 3-4, del D.P.R. 31 gennaio 1948, n. 109, l'art. 3, n. 3, del D.P.R. 28 febbraio 1948, n. 138, l'art. 4, comma quarto, n. 1, del D.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922, gli artt. 9, 10, 1 del D.P.R. 11 luglio 1959, n. 460). Per i reati in questione il legislatore considera cioè costantemente prevalente sull'interesse generale all'esercizio della straordinaria clemenza l'interesse della pubblica finanza alla immediata riscossione dei tributi.

Tale costante orientamento legislativo non può esser considerato in contrasto col principio di eguaglianza.

E vero che comunemente l'obbligo di pagare il tributo sorge prima che l'accertamento del debito tributario e della misura di esso sia diventato inoppugnabile; e che quindi un soggetto può essere legittimamente sottoposto a procedimento penale per essersi sottratto al pagamento di un tributo prima che sia irrevocabilmente certo che egli sia debitore della pubblica finanza e che sia perciò un evasore fiscale. Ma, come non può plausibilmente affermarsi che il far sorgere l'anzidetto obbligo in quel certo momento - cosa che ha la sua giustificazione nelle superiori e indilazionabili esigenze della finanza pubblica - contrasti col principio di eguaglianza, del pari non può plausibilmente affermarsi che con quest'ultimo contrasti il fatto che, per i reati consistenti nell'essersi sottratti a quell'obbligo, il beneficio della clemenza straordinaria dello Stato sia condizionato, per tutti indistintamente coloro che avevano da rispettarlo, alla osservanza, sia pur tardiva, dell'obbligo stesso.

2. - A parte ciò, può notarsi, per quanto riguarda le persone meno abbienti eventualmente imputate di essersi sottratte al pagamento di un tributo nonostante che in realtà non fossero soggette all'imposizione, che nessun apprezzabile pregiudizio può derivar loro dalla mancata applicazione dell'amnistia o dell'indulto, avendo esse diritto a esser prosciolte, nel giudizio, per insussistenza del reato (artt. 21, ultimo comma, e 22 della legge 7 gennaio 1929, n. 4). Per quanto riguarda poi i soggetti meno abbienti effettivamente incorsi nell'illecito penale, può notarsi che il mancato godimento della straordinaria clemenza dello Stato in caso di omesso pagamento del tributo dovuto trova razionale e adeguata giustificazione nella priorità dell'esigenza della finanza pubblica, alla cui soddisfazione - proprio in omaggio al principio di eguaglianza - ogni cittadino, del quale sia stata constatata (non importa se con riferimento a una situazione permanente o a un singolo accadimento) una certa capacità contributiva, ha il dovere di non sottrarsi (art. 53 della Costituzione).

Con la sentenza n. 45 del 1963 questa Corte ebbe ad affermare che non urta contro il principio di eguaglianza una disposizione la quale subordini l'esercizio di un diritto al fatto che il soggetto sia in regola con gli obblighi tributari, cui, per godere di quel diritto, egli avrebbe dovuto assolvere; e pose in risalto che, collegandosi necessariamente il tributo alla capacità contributiva (art. 53 della Costituzione), sarebbe impossibile ritenere che in tal modo si venga a operare una ingiusta discriminazione tra ricchi e poveri. Se ogni tributo presuppone una capacità contributiva, e cioè una capacità economica adeguata all'obbligazione tributaria, é fuori luogo, quando non venga contestata tale corrispondenza, lamentare in casi del genere la violazione del principio di eguaglianza.

Il precedente non é senza significato ai fini della risoluzione del caso in esame, nel quale il legislatore ha voluto escludere dal beneficio della clemenza i reati in materia tributaria di quei soggetti che, pur avendo, al momento cui il tributo si riferisce, la capacità economica, e quindi contributiva, richiesta dalla legge, si siano sottratti all'adempimento della relativa obbligazione, senza provvedere neanche in un secondo tempo al soddisfacimento di essa, che l'art. 53 della Costituzione configura come dovere fondamentale di ogni cittadino.

3. - Neanche potrebbe esser considerato lesivo del principio di eguaglianza il fatto che le disposizioni impugnate sono tali da escludere dalla clemenza elargita persino soggetti - quali, per esempio, i responsabili d'imposta - diversi dai debitori del tributo, allorché, per avventura, i soggetti stessi non siano abbienti. Se la legge chiama quei soggetti a rispondere del mancato pagamento del tributo, é perfettamente coerente che la loro responsabilità non venga meno fin quando l'obbligazione tributaria non sia stata assolta, e che essi non fruiscano di una clemenza maggiore di quella di cui sono ammessi a godere i soggetti principali dell'obbligo tributario;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara infondata la questione di legittimità, proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, dell'art. 6 della legge 23 gennaio 1963, n. 2, e dell'art. 6 del D.P.R. 24 gennaio 1963, n. 5, riguardanti la concessione di amnistia e indulto, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 1964.