Sentenza n. 164 del 1963
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SENTENZA N. 164

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione autonoma della Sardegna con ricorso notificato il 3 aprile 1963, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale l'11 successivo ed iscritto al n. 3 del Registro ricorsi 1963, per conflitto di attribuzione tra la Regione autonoma della Sardegna e lo Stato, sorto a seguito del decreto del Ministro delle finanze 28 gennaio 1963, n. 41212, col quale é stato revocato il trasferimento alla Regione sarda dell'immobile denominato stagno di Tortolì, in località Arbatax del Comune di Tortolì (Nuoro).

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 6 novembre 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi l'avv. Pietro Gasparri, per il Presidente della Regione autonoma della Sardegna, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 3 aprile 1963 la Regione autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore Efisio Corrias, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Gasparri, previa deliberazione della Giunta regionale in data 27 marzo 1963, sollevava conflitto di attribuzione nei confronti del decreto del Ministro delle finanze 28 gennaio 1963, n. 41212, col quale, essendosi rilevato che lo stagno denominato Tortolì, in località Arbatax, comunicante col mare e costituito da acqua salmastra, appartiene al demanio marittimo a norma dell'art. 28 del Codice della navigazione, se ne disponeva la revoca del trasferimento alla Regione sarda in quanto, per la cennata sua qualità, lo stagno doveva rimanere escluso dall'elenco dei beni trasferiti alla Regione medesima.

Nel ricorso la Regione sostanzialmente afferma che lo stagno figurava registrato fra i "beni patrimoniali immobili dello Stato" quando si trattò di dare esecuzione all'art. 14 dello Statuto speciale, in forza del quale la Regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato e in quelli demaniali.

La Regione poi, in virtù della sua competenza generale in materia di pesca, sancita dall'art. 3, lett. i, dello Statuto, ebbe a concedere il diritto esclusivo di pesca sul detto stagno, per dodici anni, ad una cooperativa di pescatori, contro un corrispettivo fisso di lire 500.000 annue e la partecipazione al 50 per cento degli utili della pesca, che, data la sua abbondanza nello stagno, rappresenta un cespite non indifferente.

Intervenuto il menzionato decreto del Ministro delle finanze si profilerebbero, come osservava la Regione, diverse possibili interpretazioni della sua portata, e precisamente: o esso si risolve in una mera affermazione relativa alla proprietà dello stagno, senza incidere sui diritti di pesca relativi; o esso costituisce un mezzo con cui il Ministero delle finanze, pur senza disconoscere la competenza della Regione in materia di pesca, intende tuttavia opporsi a quanto disposto dalla Regione in ordine alla pesca nello stagno in questione; o il Ministero ha inteso negare la competenza della Regione a provvedere in tema di pesca marittima, in violazione dell'art. 3, lett. i, dello Statuto e dell'interpretazione datane dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 1958.

Ciò premesso, la Regione precisava che il ricorso era inteso a contestare quest'ultima ipotesi, e chiedeva che, se il decreto ministeriale in esame fosse inteso siccome efficace a far cessare gli effetti della concessione di pesca, fosse annullato, perché invaderebbe la competenza riservata alla Regione sarda ai sensi degli artt. 3, lett. i, e 6 dello Statuto speciale, e frattanto ne domandava la sospensione.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, resisteva al ricorso e, nelle deduzioni presentate, l'Avvocatura osservava preliminarmente che il ricorso stesso é parziale ed ipotetico, e pertanto inammissibile.

L'Avvocatura comunque osservava che, accertata l'appartenenza dello stagno al demanio marittimo, consegue l'illegittimità della concessione dei diritti di pesca, effettuata dalla Regione sull'erroneo supposto dell'appartenenza dello stagno al demanio idrico. Ma con ciò si profilerebbe un ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso, che apparirebbe proposto in relazione alle conseguenze e non alla sostanza del provvedimento impugnato, senza addurre alcun motivo per dimostrare che questo provvedimento é illegittimo o ha invaso la sfera di competenza della Regione.

Quanto al merito, rilevava che l'interpretazione degli artt. 3, lett. i, e 6 dello Statuto sardo, fornita dalla Corte costituzionale, non suffragherebbe l'assunto della Regione, in quanto la Corte stessa, con le sentenze nn. 23 del 1957 e 49 del 1958, avrebbe sì affermato che la Regione può ben disciplinare ed anche abolire i preesistenti diritti di pesca marittima, ma avrebbe altresì precisato che non può disporre nuove concessioni in materia senza il consenso dello Stato.

Circa la richiesta di sospensiva, l'Avvocatura osservava che il provvedimento di decadenza della concessione accordata dalla Regione, anche se conseguenziale all'accertamento della diversa natura dello stagno, non era stato ancora concretamente emanato, né minacciato.

3. - Il 30 maggio scorso la difesa della Regione presentava una memoria con cui insisteva nella richiesta di sospensiva dell'impugnato decreto ministeriale.

Nella memoria sostanzialmente si osservava che la stessa Avvocatura avrebbe riconosciuto, nelle proprie deduzioni, che il decreto impugnato, in quanto dichiarava l'appartenenza dello stagno Tortolì al demanio marittimo, comporterebbe necessariamente la illegittimità della concessione esclusiva di pesca effettuata dalla Regione sullo stagno medesimo in favore della cooperativa di pescatori. Pertanto fondata si dimostrerebbe l'ipotesi posta dalla Regione a base del suo ricorso, poiché l'Avvocatura stessa riconoscerebbe che il decreto impugnato mette senz'altro in discussione il potere della Regione sarda di rilasciare concessioni di pesca in quelle acque, tanto più che ordina all'Intendenza di finanza di Nuoro di procedere alla formale presa di possesso dello stagno.

Affermava poi che le acque dello stagno non potrebbero ritenersi appartenenti al demanio marittimo e sosteneva che, in proposito, ben potrebbe pronunciarsi la Corte in sede di conflitto di attribuzione, data la diretta influenza che il decreto impugnato spiegherebbe sulla competenza della Regione in materia di pesca. In subordine rilevava che i provvedimenti amministrativi in materia di pesca resterebbero pur sempre di competenza regionale, salvo un semplice potere di opposizione da parte dello Stato.

Nell'udienza di camera di consiglio del 4 giugno non veniva emesso alcun provvedimento sulla domanda di sospensione, in quanto le parti, di accordo, chiedevano che la causa fosse rimessa, per la discussione, a udienza fissa. Al che fu provveduto con ordinanza presidenziale che ha fissato l'udienza odierna.

4. - La difesa della Regione ha depositato il 24 ottobre una memoria illustrativa con cui afferma che la controversia si articola in due distinte questioni. La prima rifletterebbe la esattezza o meno della qualificazione di acque marittime attribuita allo stagno di Tortolì col decreto impugnato. Al riguardo la Regione però osserva che, a rigore, dovrebbe escludersi dalla competenza della Corte costituzionale la risoluzione della questione stessa, giacché il conflitto di attribuzione sorge a seguito di una pretesa invasione di competenza da parte di un ente a danno di un altro ente, mentre nella specie non si contesta il potere dell'Amministrazione statale di procedere alla qualificazione delle acque, ma si dubita solo della esattezza della qualificazione stessa.

Tuttavia, dichiara altresì la Regione di non opporsi a che la indagine della Corte, ove si ritenga necessario, investa anche tale aspetto della causa.

La seconda questione si scinderebbe in due quesiti, concernenti, il primo, la interpretazione della formula del decreto impugnato, nel senso, già profilato nelle precedenti difese, di accertare, cioé, se essa significhi o meno negazione della competenza regionale in materia di concessioni di pesca; il secondo se la detta competenza appartenga allo Stato o alla Regione.

Osserva in proposito la difesa della Regione che, ove l'affermazione dell'Avvocatura, secondo cui non é stato né emanato né minacciato un provvedimento di decadenza della concessione potesse significare che il decreto impugnato non costituisce ex se un atto di ingerenza diretta dello Stato in tema di diritti di pesca, realmente il ricorso potrebbe considerarsi come una "inutile precauzione". Tuttavia, assumendo essere quanto meno dubbio il pensiero dell'Amministrazione al riguardo, passa ad affermare che, secondo lo spirito delle sentenze nn. 23 del 1957 e 49 del 1958 della Corte, in materia di concessioni di pesca in acque marittime, spetterebbe allo Stato soltanto un potere di opposizione alle relative decisioni della Regione, eventualmente attinenti a campi riservati allo Stato medesimo, come la difesa, o la libertà e la sicurezza di navigazione.

Ne deriverebbe che in un caso in cui, come quello in esame, un diritto di pesca sorto per concessione della Regione non venga esplicitamente sottoposto a motivata riserva nel provvedimento che trasferisce allo Stato lo specchio d'acqua su cui il diritto stesso insiste, la preesistente concessione si dovrebbe senz'altro ritenere assentita dallo Stato.

La difesa della Regione si pone quindi il quesito se sia ammissibile la richiesta pronuncia della Corte, esplicitamente riconoscendo che sarebbe "in certo modo preventiva", e, senza espressamente risolvere tale quesito, lo sottopone alla Corte, adombrando altresì, una eventuale illegittimità costituzionale dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel caso che tale norma dovesse ritenersi preclusiva di un regolamento preventivo di competenza nei rapporti fra Stato e Regione, dovendosi riconoscere che l'articolo 134 della Costituzione non consentirebbe una consimile limitazione.

5. - L'Avvocatura pure ha presentato, il 10 ottobre, una memoria illustrativa con cui, dopo avere esposto la genesi dell'errore in base al quale le acque dello stagno di Tortolì furono, a suo dire, in primo tempo, incluse nei beni da trasferire alla Regione in attuazione dell'art. 14 dello Statuto sardo (inclusione dovuta, secondo l'Avvocatura, all'erronea iscrizione delle acque stesse nelle scritture catastali, in luogo dei relativi diritti di così detta "quarta regia" da tempo immemorabile goduti dall'Amministrazione a titolo patrimoniale), chiarisce i motivi tecnici che condussero al riconoscimento della natura demaniale delle acque stesse.

Come risulterebbe, infatti, dal verbale dell'apposita Commissione ministeriale, fu constatato "che lo stagno in questione, costituito da acqua salsa e salmastra, comunica liberamente col mare attraverso un canale della lunghezza di circa ottocento metri e della larghezza di trenta", per cui doveva riconoscersi che lo stagno era di pertinenza del demanio pubblico marittimo ai sensi dell'art. 28 del Codice della navigazione.

Ciò posto, l'Avvocatura sostiene che il problema della qualificazione giuridica delle acque sarebbe pregiudiziale alla questione della spettanza dei relativi poteri di amministrazione allo Stato o alla Regione. Dall'appartenenza o meno dello stagno medesimo al demanio marittimo dipenderebbe infatti l'ampiezza della sfera di competenza della Regione, che, nell'ipotesi affermativa, sarebbe limitata alla disciplina della pesca od alla concessione di diritti esclusivi di pesca, previo consenso dell'Amministrazione statale, alla quale sono riservati tutti i diritti ed i poteri connessi alla proprietà pubblica del demanio marittimo ed agli usi pubblici cui é destinato.

Nel merito insiste nel sostenere l'infondatezza del ricorso, ricordando che le caratteristiche delle acque dello stagno Tortolì rendono indubbia la sua appartenenza al demanio idrico, riservato allo Stato per effetto dell'art. 14 dello Statuto sardo, onde, in conformità della giurisprudenza della Corte, già ricordata, non sussisterebbe il potere della Regione di disporre delle acque in questione senza il consenso dello Stato e senza l'osservanza delle norme dettate dallo stesso a tutela dell'uso pubblico del mare.

 

Considerato in diritto

 

1. - Superata la fase del procedimento riguardante la domanda di sospensione, viene ora la causa all'esame della Corte per la decisione del merito. Il quale é sostanzialmente prospettato dalle parti in causa sotto tre distinti riflessi: a) illegittimità, in se stesso, del provvedimento impugnato, in quanto, con conseguente invasione della sfera di competenza della Regione, sarebbe errata la attribuzione del carattere demaniale allo stagno Tortolì; b) invasione della sfera di attribuzione della Regione, in quanto al provvedimento si attribuisca l'effetto conseguenziale della revoca o decadenza della concessione di pesca, fatta dalla Regione in tempo anteriore alla dichiarazione di demanialità dello stagno; c) se al provvedimento non si riconosca tale effetto conseguenziale, si richiede dalla Corte una pronuncia preventiva circa l'attribuzione, in base alla norma statutaria (art. 3, lett. i, dello Statuto speciale), del potere della Regione di provvedere alle concessioni di pesca anche se si tratti di acque marittime.

2. - Sul primo punto - a parte ogni questione sulla competenza della Corte all'accertamento della demanialità dello stagno, quale presupposto del conflitto di attribuzione - la difesa della Regione non ha insistito; si deve ritenere che abbia, anzi, abbandonato ogni richiesta in proposito. Già nel ricorso si adombrava un'interpretazione del provvedimento impugnato, indipendente da ogni accertamento sulla demanialità e da una possibile conseguente questione che implicasse un conflitto di attribuzione, quando si affermava che la interpretazione del decreto impugnato poteva risolversi in una mera affermazione relativa alla proprietà demaniale dello stagno, senza incidere sui diritti di pesca che su di esso si esercitano: il che significa completa indipendenza della dichiarazione di demanialità dello stagno dalla concessione di pesca precedentemente accordata dalla Regione quando lo stagno era formalmente incluso fra i beni di sua pertinenza a norma dell'art. 14 dello Statuto regionale. Da ultimo poi, nella seconda memoria, conclusiva del procedimento, la difesa della Regione, dopo aver rilevate le affermazioni contenute nelle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, che un provvedimento di decadenza della concessione assentita dalla Regione "non é stato ancora emanato e, in verità, neppure in concreto minacciato", e che un atto di ingerenza diretta dell'Amministrazione statale in tema di diritto di pesca non sarebbe implicito nel decreto ministeriale impugnato, né dovrebbe essere prospettato come un suo necessario sviluppo, in base a queste affermazioni dichiarava che, se così dovesse ritenersi, il campo della competenza amministrativa regionale non sarebbe stato invaso, né i suoi confini risulterebbero contestati. Onde apertamente riconosceva che "conseguentemente il ricorso potrebbe essere considerato come una precauzione inutile".

Se così é - ed é, come si vedrà - non vi sarebbe luogo ad un giudizio per conflitto di attribuzione.

3. - É vero - e questo riguarda il secondo punto innanzi ricordato - che l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto di potere affermare, in un primo momento, che la nuova qualificazione delle acque, siccome acque salse o salmastre, come tali facenti parte del demanio marittimo ai sensi dell'art. 28 del Codice della navigazione e in relazione all'art. 14 dello Statuto sardo, comporterebbe la illegittimità della concessione precedentemente accordata dalla Regione; e questa spiega che sarebbe stata indotta a proporre il ricorso per conflitto di attribuzione per il caso che l'Amministrazione dello Stato intendesse, appunto, essendosi modificata la qualificazione delle acque dello stagno, non fare una mera questione di proprietà, ma mettere in discussione il potere della Regione di rilasciare concessioni di pesca nelle dette acque. Aggiunge, anzi, la difesa della Regione, che questa ipotesi potrebbe forse trovare un fondamento nell'ordine dato, nella seconda parte del provvedimento impugnato, all'Intendenza di finanza di Nuoro di "provvedere alla formale presa di possesso dello stagno". Ma, in verità, il provvedimento impugnato non legittima affatto simili illazioni e quella perentoria conclusione. In esso si premette che lo stagno, quale bene di demanio marittimo, come tale riconosciuto a seguito degli accertamenti tecnici eseguiti, doveva rimanere escluso dall'elenco dei beni trasferiti alla Regione sarda, e che pertanto si era reso necessario provvedere alla sua restituzione formale al demanio pubblico dello Stato, e si dispone, con l'articolo 1, la revoca del trasferimento alla Regione dello stagno, in primo tempo avvenuta in base all'art. 14 dello Statuto sardo, e, con l'art. 2, si manda all'Intendenza di finanza di Nuoro di provvedere alle conseguenti "variazioni delle scritture ipotecarie e catastali" e di provvedere, con le Amministrazioni interessate, "alla formale presa di possesso della realtà, quale bene del demanio pubblico marittimo". Ma, provvedere alle variazioni sui registri immobiliari e prendere il formale possesso della "realtà", cioé del bene immobile, da parte dell'autorità marittima non significa far decadere tutti i diritti che siano stati legittimamente costituiti sull'immobile, e quindi anche la concessione di pesca, a suo tempo accordata dalla Regione quando aveva potestà di accordarla in base ad una norma statutaria ed ha ancora potestà di farlo in base alla norma stessa tuttora in vigore. Sembra di tutta evidenza che, in siffatte circostanze, occorreva una dichiarazione espressa di decadenza della concessione assentita dalla Regione, e solo di fronte ad un atto simile o ad una sia pure non formale ma chiara, univoca determinazione di volontà dell'Amministrazione nel senso della decadenza della precedente concessione fatta dalla Regione, poteva questa ritenersi legittimata a proporre il conflitto di attribuzione, per non sentir menomato il suo diritto - riconosciuto altresì da questa Corte con le ricordate sentenze nn. 23 del 1957 e 49 del 1958 - ad accordare le concessioni di pesca anche in acque marittime, sia pure con certe limitazioni, nell'interesse nazionale, e quindi d'intesa con la competente Amministrazione statale.

4. - La mancanza di un atto formale o, almeno, di una univoca non formale manifestazione di volontà - come pure é stato ammesso da questa Corte (v. sentenze 18 gennaio 1957, nn. 11 e 12) - con cui si affermi il diritto di esercitare un potere, per competenza propria, in contrasto con l'affermazione di altro ente o amministrazione che pretenda che quel potere a sé competa, non può legittimare, come precedentemente si é visto, l'ammissione del procedimento per conflitto di attribuzione dinanzi a questa Corte. A parte il rilievo - che pure é stato fatto dall'Avvocatura dello Stato in occasione della discussione orale - che agendosi, in materia, in via di ricorso, una richiesta preventiva di regolamento di competenza, cui in definitiva é giunta la difesa della Regione, costituirebbe una domanda nuova e perciò inammissibile, l'istituto del conflitto di attribuzione deve essere mantenuto entro i confini ad esso segnati dalla Costituzione, per non trasformare la Corte costituzionale in un organo meramente consultivo. Né si vede come la Corte possa preventivamente esaminare un caso che può dar luogo a conflitto di attribuzione, quando, in mancanza di una precisa determinazione dei presupposti, delle ragioni e dei motivi che possano indurre, in concreto, un ente od un'amministrazione ad affermare la propria competenza, la Corte dovrebbe decidere in base ad astratte formulazioni di ipotesi, che potrebbero non trovare concreto riscontro nella realtà. E pertanto, rispetto al caso in esame, soltanto quando venisse revocata o dichiarata decaduta la concessione di pesca accordata dalla Regione, o, sia pure non formalmente, ma in modo chiaro, fosse espressa la volontà, in tal senso, dell'Amministrazione, solo allora, palesandosene i concreti motivi, la Corte potrebbe giudicare se il caso possa essere inquadrato entro la sfera di un conflitto di attribuzione costituzionalmente rilevante e se, nel merito, competa il potere all'ente o alla amministrazione che ha agito.

Sotto tutti i profili il ricorso proposto dalla Regione sarda é pertanto da dichiarare inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1963.