Sentenza n. 135 del 1963

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SENTENZA N. 135

ANNO 1963

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del R.D. L. 30 agosto 1925, n. 1621, convertito con modificazioni nella legge 15 luglio 1926, n. 1263, promosso con ordinanza emessa il 25 agosto 1959 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione del Governo britannico e Guerrato Elena, iscritta al n. 122 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 5 dicembre 1959.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 12 giugno 1963 la relazione del Presidente Gaspare Ambrosini;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

Il 22 novembre 1946 in San Donà di Piave il signor Arcaniolo Giovanni venne investito da una camionetta appartenente all'Amministrazione militare inglese guidata dal soldato Mesbit David e riportò fratture che pochi giorni dopo ne determinarono la morte.

Instauratosi procedimento penale davanti al Tribunale penale di Venezia per il delitto di omicidio colposo, la signora Guerrato Elena vedova Arcaniolo, per sé e per due figli minorenni Arcaniolo Pietro e Loredana, si costituì parte civile, chiedendo la citazione dell'Amministrazione militare britannica quale responsabile civile.

La causa si svolse in contumacia dell'imputato e si concluse con la condanna in data 20 dicembre 1955 con la quale, riconosciuta la colpa del soldato Mesbit, l'Amministrazione militare britannica venne condannata, quale responsabile civile, al pagamento della somma di lire 3.103.380, a titolo di provvisionale, oltre le spese e i danni, da corrispondersi alla parte civile, che dal Ministero del tesoro italiano aveva già riscosso lire 1.025.000.

Detta sentenza del Tribunale penale di Venezia, spedita a forma esecutiva il 17 giugno 1957, venne notificata unicamente all'atto di precetto all'Amministrazione militare britannica, al Pubblico Ministero per la trasmissione al Ministero degli esteri e per l'inoltro in via diplomatica, nonché, ai sensi dell'art. 142 del Cod. proc. civile, al Mesbit.

Quest'ultimo e il Pubblico Ministero chiesero la restituzione in termini per proporre appello contro la sentenza di condanna; ma la Corte d'appello di Venezia, con ordinanza del 26 giugno 1958, e successivamente la Corte di cassazione, Sezione penale, con ordinanza del 12 dicembre 1958, respinsero i relativi ricorsi.

Ad istanza della signora Guerrato vedova Arcaniolo, in forza dell'atto notificato il 25 febbraio 1958 e trascritto il 13 marzo, successivo, fu sottoposto a pignoramento l'immobile segnato nel catasto fabbricati del Comune di Venezia alla partita n. 6290, foglio 16, mappale 1975, indicato come di proprietà del Governo di S. M. Britannica, ufficio dei Commissari dei lavori e pubblici uffici, adibito a padiglione britannico per esposizione artistica, della Mostra Biennale di Venezia.

Con D. M. 30 giugno 1958, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 4 luglio 1958, del Ministro di grazia e giustizia venne dichiarata la esistenza della reciprocità tra l'Italia e la Gran Bretagna, ai sensi e per gli effetti dell'articolo unico del decreto-legge 30 agosto 1925, n. 1621, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 1926, n. 1263, concernente atti esecutivi sopra beni di Stati esteri in Italia.

Dispone tale legge che non si può procedere senza l'autorizzazione del Ministro per la giustizia al sequestro o pignoramento ed in genere ad atti esecutivi su beni mobili ed immobili, navi, crediti, titoli ed ogni altra cosa spettante a Stati esteri il cui ordinamento ammetta la reciprocità, che l'esistenza di questa deve essere accertata con decreto del Ministro per la giustizia e che contro questo decreto e contro quello col quale il Ministro rifiuti l'autorizzazione, non é ammesso ricorso né in via giudiziaria,, né in via amministrativa.

Facendo richiamo a questa legge ed al succitato decreto del Ministro della giustizia, proposero opposizione all'esecuzione sull'immobile suindicato l'Amministrazione del Governo britannico, il Pubblico Ministero nell'interesse pubblico, nonché il Comune di Venezia quale proprietario dell'area nella quale sorge l'immobile pignorato.

Da parte dell'esecutante signora Guerrato vedova Arcaniolo, venne eccepita di contro la illegittimità costituzionale di detta legge.

Il Tribunale di Venezia, risolte con sentenza non definitiva del 25 agosto 1959 le questioni pregiudiziali attinenti all'ammissibilità e alla ritualità dell'opposizione, con ordinanza dello stesso 25 agosto 1959, ha proposto la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge 15 luglio 1926, n. 1263, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione della causa.

In aggiunta ai motivi addotti dalla difesa della signora Guerrato per sostenere l'illegittimità costituzionale della citata legge del 1926 con riferimento agli artt. 24, 42 e 113 della Costituzione, il Tribunale di Venezia assume che la questione di legittimità "implica un ulteriore aspetto che in via alternativa deve essere rilevato di ufficio": se si afferma che la immunità giurisdizionale degli Stati esteri é norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, la legge impugnata, subordinando all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia gli atti esecutivi contro beni di Stati esteri e quindi rendendo eventuale l'applicazione di quella norma, violerebbero l'art. 10 della Costituzione che a quella norma impone si debba conformare l'ordinamento interno; se, invece, si afferma che l'immunità giurisdizionale non é norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, la legge impugnata, così come é stato sostenuto dalla parte esecutante, sarebbe in contrasto con gli artt. 24, 113 e 42 della Costituzione.

In ordine al problema della rilevanza della questione ai fini della risoluzione del giudizio principale, si osserva, che tutti i motivi di opposizione al procedimento di esecuzione, diversi dalle questioni pregiudiziali (risolte con sentenza non definitiva in pari data) attengono alla validità del titolo esecutivo o alla pignorabilità del bene sottoposto ad esecuzione e quindi presuppongono la giurisdizione del giudice del processo di esecuzione: la affermazione o negazione di tale giurisdizione, pertanto, darà adito o meno alla ulteriore cognizione della causa.

L'ordinanza, notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 5 dicembre 1959, n. 295.

Le parti non si sono costituite. Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto in giudizio rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato che ha depositato le sue deduzioni in data 30 novembre 1959 ed ha presentato successivamente una memoria in data 5 gennaio 1961.

Nelle sue deduzioni l'Avvocatura generale dello Stato censura in via preliminare l'ordinanza del Tribunale di Venezia, poiché in essa il giudice avrebbe omesso di accertare se la norma consuetudinaria internazionale concernente la immunità dalla giurisdizione sussista o meno.

La difesa dello Stato prosegue osservando che, dato e non concesso che la norma consuetudinaria internazionale esista, la questione di legittimità costituzionale della legge n. 1263, sarebbe irrilevante. Infatti, si dice, l'ipotesi prospettata dall'ordinanza non corrisponde alla realtà, in quanto la pretesa violazione della norma internazionale presuppone che sia stata negata la reciprocità oppure rilasciata l'autorizzazione a procedere alla esecuzione. Nel caso in esame invece la reciprocità é stata affermata e l'autorizzazione non é stata concessa; così che nessuna rilevanza per la risoluzione della questione principale può avere l'accertamento della legittimità costituzionale o meno della legge n. 1263.

Peraltro si osserva che, nel caso di esistenza della consuetudine internazionale, la legge impugnata sarebbe legittima in base all'art. 10 della Costituzione ed in base inoltre al successivo art. 11, per cui l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace fra le nazioni.

Ma anche nel caso di inesistenza della consuetudine internazionale, la legge impugnata non sarebbe costituzionalmente illegittima perché non contrasterebbe con gli artt. 24, 42 e 113 della Costituzione. Per quanto riguarda l'art. 24 il diritto del cittadino rimarrebbe integro perché nel processo di esecuzione, l'autorizzazione ministeriale dovrebbe ritenersi condizione all'esercizio dell'azione, che non annulla il diritto all'azione medesima. In ordine all'art. 42 si osserva che non sembra possibile l'applicazione analogica di tale principio, strettamente ancorato al campo della proprietà. Per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 113, la difesa dello Stato assume che il provvedimento del Ministro ha carattere di atto politico, e che, come tale, non é suscettibile di controllo giurisdizionale.

Nella memoria del 5 gennaio 1961 la difesa dello Stato si sofferma su due punti della questione di legittimità costituzionale, e cioé quello che investe il diritto di agire in giudizio, affermato dall'art. 24 della Costituzione, e l'altro connesso alla non impugnabilità del decreto del Ministro per la giustizia in relazione all'art. 113.

La norma dell'art. 24 non sarebbe che una particolare esplicazione del principio di eguaglianza sancito dal precedente art. 3; essa non violerebbe il diritto dei singoli rimettendone le forme di tutela alla legislazione ordinaria. Entro i limiti dell'art. 3 (esclusione di distinzioni di sesso, razza, ecc.). verificandosi diversità di situazioni obbiettive, la tutela giuridica si atteggerebbe in modo diverso.

Per quanto riguarda l'inoppugnabilità dei decreti del Ministro per la giustizia che dichiarano la reciprocità oppure rifiutano o concedono l'autorizzazione, l'Avvocatura dello Stato nega che sussista violazione dell'art. 113 della Costituzione, ribadendo che i decreti stessi hanno carattere di "atti politici" anzi, secondo la più recente evoluzione dottrinaria, della particolare specie degli atti politici che si denominano "atti di governo", che sarebbero istituzionalmente sottratti ad ogni sindacato giurisdizionale. Sottolineata l'ampia discrezionalità che investe il compito di accertare la reciprocità e di autorizzare il provvedimento esecutivo, in quanto si deve procedere alla ricerca ed alla interpretazione della legge e dei possibili significati propri della sua concreta applicazione, la difesa dello Stato rileva che la valutazione di questi elementi costituisce un atto di alta rilevanza politica che si inquadra appunto fra gli atti di governo.

All'udienza del 18 gennaio 1961 l'Avvocatura generale dello Stato si é rimessa alle difese scritte.

Questa Corte, con ordinanza 1 marzo 1961, n. 8, ritenuto che non si trovava negli atti della causa la sentenza non definitiva emessa il 25 agosto 1959 dal Tribunale di Venezia in ordine alle questioni pregiudiziali attinenti all'ammissibilità ed alla ritualità dell'opposizione all'esecuzione della sentenza penale del Tribunale di Venezia del 20 dicembre 1955 ed alla posizione processuale dei soggetti della controversia, ordinava che tale sentenza del 25 agosto 1959 fosse acquisita agli atti.

In adempimento dell'ordinanza di questa Corte la cancelleria del Tribunale di Venezia, in data 21 marzo 1961, rimetteva la copia autentica della richiesta sentenza.

La causa é stata riportata all'udienza del 24 maggio 1961, dove l'Avvocatura generale dello Stato si é rimessa alle conclusioni prese.

Con ordinanza del 23 giugno 1961, n. 41, questa Corte rinviava gli atti al Tribunale di Venezia affinché si completasse, sotto altri profili, l'esame di rilevanza della proposta questione.

Il Tribunale, con ordinanza 4 agosto 1961, osservava che l'esame dei punti sui quali era stata richiamata la sua attenzione, era condizionato dalla decisione sulla eccepita incostituzionalità dell'articolo unico della legge n. 1263 del 1926 e riteneva perciò esaurito il giudizio sulla rilevanza.

Nelle sue successive deduzioni, in data 10 settembre 1961, l'Avvocatura dello Stato osservava che l'ordinanza 4 agosto 1961 del Tribunale di Venezia non appariva convincente in tutte le sue considerazioni ma che in base ai chiarimenti da essa dati - anche se non del tutto evidenti - si poteva ritenere dimostrato a sufficienza che, in effetti, sul bene oggetto della esecuzione, incideva una situazione giuridica tale, per cui erano discutibili la entità ed il contenuto, ma non la esistenza del diritto espropriabile. Agli effetti della risoluzione del problema di legittimità costituzionale, l'Avvocatura dello Stato faceva quindi richiamo alle considerazioni già esposte nei precedenti scritti difensivi, rinnovando negli stessi sensi le sue conclusioni.

Dopo diversi rinvii, disposti in pendenza di trattative avviate per un amichevole componimento della vertenza principale, veniva fissata, per la discussione, l'udienza del 12 giugno 1963.

In data 31 maggio 1963, l'Avvocatura dello Stato ha presentato un'ultima memoria, nella quale, tra l'altro, ha dato notizia che l'Amministrazione italiana degli affari esteri aveva stipulato in data 30 novembre 1962 una transazione sui danni e le spese con la signora Guerrato vedova Arcaniolo e con i due figli minori (per i quali era stato ottenuto l'assenso del giudice tutelare), che con decreto del 7 maggio 1963 il Ministro degli affari esteri la aveva approvata, e che la detta signora, nel nome suo e dei figli minori, accettando l'indennità che l'Amministrazione degli esteri s'impegnava a corrisponderle, si impegnava, a sua volta, ad abbandonare il giudizio in corso contro lo Stato inglese.

Nell'udienza del 12 giugno 1963 l'avvocato dello Stato ribadiva le tesi esposte nelle difese scritte e dava conferma dell'intervenuta suindicata transazione tra la signora Guerrato e l'Amministrazione italiana degli affari esteri.

 

 

Considerato in diritto

 

 

É innanzitutto da osservare che il giudizio di legittimità costituzionale promosso con l'ordinanza del 25 agosto 1959 del Tribunale di Venezia non può essere arrestato dalla transazione stipulata il 30 novembre 1962 tra la signora Guerrato vedova Arcaniolo ed i due figli minori da una parte e l'Amministrazione italiana degli affari esteri dall'altra, ed approvata con decreto del Ministro degli affari esteri del 7 marzo 1963, con la quale la signora Guerrato, accettando l'indennizzo che la detta Amministrazione si impegnava a corrisponderle, a sua volta si impegnava ad abbandonare il giudizio di esecuzione in corso contro l'Amministrazione dello Stato britannico.

E ciò perché, secondo il sistema adottato da questa Corte nell'art. 22 delle Norme integrative e chiarito in alcune sentenze, il processo di legittimità costituzionale, dappoiché si svolge non nell'interesse privato ma pubblico, diventa autonomo una volta iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice a quo, e non é quindi suscettibile di essere influenzato dalle vicende del processo principale che lo ha occasionato (sentenze n. 50 del 1957 e n. 57 del 1961).

Quanto all'assunto dell'Avvocatura dello Stato, che la questione di legittimità costituzionale proposta con riferimento all'art. 10 della Costituzione, non avrebbe avuto motivo di essere sollevata per il caso di specie, giacché il Ministro non aveva dato alcuna autorizzazione a procedere per atti esecutivi sul padiglione dello Stato britannico, va rilevato che ciò non riguarda la controversia di legittimità costituzionale, ma la rilevanza della questione suddetta nel giudizio a quo: punto che é stato già esaminato dal Tribunale di Venezia, nella prima e, in seguito alle richieste di chiarimenti della Corte - di cui sopra si é fatto cenno -, nella seconda ordinanza summenzionata.

Altrettanto dicasi dell'altro rilievo dell'Avvocatura dello Stato circa l'asserita nullità della sentenza del Tribunale penale di Venezia del 20 dicembre 1955.

Prima di passare all'esame del merito é bene chiarire che l'assunta violazione degli artt. 10, 24 e 42 della Costituzione deve riferirsi ai primi tre commi dell'articolo unico della legge impugnata, per cui non può procedersi, senza l'autorizzazione del Ministro della giustizia, ad atti esecutivi su beni mobili ed immobili, navi, crediti, titoli ed ogni altra cosa spettante a Stato estero il cui ordinamento ammetta la reciprocità, mentre d'altra parte l'addotta violazione dell'art. 113 va riferita all'ultimo comma dell'articolo unico succitato, che esclude qualsiasi ricorso contro il decreto del Ministro della giustizia che accerti la esistenza della "reciprocità", e contro quello che rifiuti l'autorizzazione.

La Corte ritiene che i primi tre commi di tale articolo non contrastano con l'art. 10 della Costituzione.

L'invocato art. 10, ai sensi del quale "l'ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute" non é violato, dappoiché nella legislazione e nella giurisprudenza e dottrina dei vari Paesi non vi é concordanza di indirizzi e sistemi relativamente all'esenzione dai procedimenti conservativi e di esecuzione su beni di Stati esteri che non sono destinati a funzioni attinenti all'esercizio della sovranità.

É altresì da escludersi che la legge impugnata violi gli artt. 24 e 42 della Costituzione.

In proposito giova premettere che i temperamenti cui nel sistema di essa legge impugnata viene sottoposto l'esercizio del diritto privato, sono intesi ad armonizzare l'interesse particolare del singolo con quello della collettività, e che la Corte ha già riconosciuto, sia pure in relazione ad altri precetti della Costituzione, che il condizionamento o la restrizione dell'esercizio di un interesse, privato o pubblico, rispetto ad altro interesse pubblico di carattere preminente, non viola la Costituzione, come nella recente sentenza n. 88 del 1963 nella quale ha ritenuto che la legge possa disporre limiti alla pignorabilità di certi beni per ragioni di interesse generale.

Va poi precisato che l'applicazione della legge in esame n. 1263 del 1926 non avviene automaticamente, ma é sottoposta a limiti, che sostanzialmente rappresentano una restrizione al principio dell'immunità dalla legge stessa contemplato.

Si ha anzitutto un limite nella necessità che esista e venga accertata la reciprocità di trattamento da parte dell'altro Stato, un limite cioé nel principio della parità che, sia pure a scopi più ampi, trova riconoscimento nell'art. 11 della Costituzione.

In secondo luogo, si ha un altro limite, consistente nella valutazione, che, dopo l'accertamento della reciprocità, il Ministro per la giustizia deve fare di tutti gli elementi del caso specifico in rapporto all'esigenza della tutela degli interessi generali attinenti ai rapporti internazionali, quale, ad esempio, la possibilità che l'interesse del singolo venga sostenuto presso lo Stato estero dalle autorità diplomatiche e consolari nazionali.

É soltanto in seguito a tale esame ed alla ponderata valutazione di tutti gli elementi del caso, che il Ministro deciderà se negare o concedere con proprio decreto l'autorizzazione (avendo egli la facoltà di concederla - é bene metterlo in rilievo - pur nel caso che sia stata accertata l'esistenza nell'ordinamento giuridico dello Stato straniero del principio dell'esenzione in esame dalla propria giurisdizione).

La legge impugnata adunque non svuota di contenuto il diritto del singolo, ma soltanto ne condiziona l'esercizio ad un'autorizzazione giustificata da superiori esigenze di interesse pubblico.

Ora l'art. 24 della Costituzione, del quale si assume la violazione da parte della legge in esame, non ha una portata tale da precludere al legislatore la possibilità di subordinare nella fase del procedimento esecutivo (come nel caso della legge impugnata) a determinati controlli e condizioni l'esperimento del diritto del privato, quando ciò debba farsi a salvaguardia di altri interessi di preminente valore pubblico.

La Corte ritiene inoltre che le norme dei detti primi tre commi dell'articolo unico impugnate non contrastano col successivo art. 42, comma terzo, della Costituzione, perché esse non attengono alla materia dell'espropriazione.

Per quanto riguarda il prospettato contrasto con l'art. 113 della Costituzione, é chiaro che la denunciata illegittimità costituzionale si riferisce all'ultimo comma dell'articolo in esame, che esclude qualsiasi ricorso in via giudiziaria o amministrativa contro il decreto ministeriale che dichiara la reciprocità e contro quello che rifiuta l'autorizzazione a procedere ad atti esecutivi su beni dello Stato estero. Ora una tale esclusione da qualsiasi forma di ricorso viola la norma del richiamato art. 113, secondo la quale é sempre ammessa contro gli atti della pubblica Amministrazione la tutela dinnanzi ai competenti organi giurisdizionali.

Infondato, in riguardo al primo decreto, quello di accertamento della reciprocità, é l'assunto che "non si tratta di una constatazione meramente obbiettiva di una situazione di fatto e di diritto, ma di una valutazione altamente tecnica e permeata di interferenze di rilevante importanza politica". Il fatto invero che tale esame possa in determinati casi riuscire delicato e financo difficile, non esclude che si tratta sempre di un accertamento di dati di fatto e giuridici che non può essere sottratto al sindacato giurisdizionale.

In riguardo poi al secondo decreto, quello col quale il Ministro concede o nega l'autorizzazione in questione, é da osservare che la funzione e la portata di esso sopra indicate sono sufficienti a non farne escludere la tutela giurisdizionale prevista dall'art. 113 della Costituzione.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

respinte le eccezioni pregiudiziali,

dichiara non fondata la questione proposta dal Tribunale di Venezia, con ordinanza del 25 agosto 1959, sulla legittimità dei primi tre commi dell'articolo unico della legge 15 luglio 1926, n. 1263, tabella A, riguardante gli "Atti esecutivi sopra beni stranieri nel Regno", in riferimento agli artt. 10, 24 e 42 della Costituzione;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'ultimo comma di detto articolo, in riferimento all'art. 113 della Costituzione.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

GASPARE AMBROSINI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1963.