Sentenza n. 94 del 1963
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SENTENZA N. 94

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 1962 dal Pretore di Moncalieri nel procedimento penale a carico di Didoli Stefano, iscritta al n. 185 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 24 novembre 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 24 aprile 1963 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Didoli Stefano, agente giurato alle dipendenze dell'Amministrazione provinciale di Torino, e quindi agente di polizia giudiziaria, imputato del reato di lesioni volontarie commesse con arma, il Pretore di Moncalieri, con ordinanza del 12 luglio 1962, sollevò di ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 del Codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 28 e 109 della Costituzione.

L'ordinanza, regolarmente notificata all'imputato, al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Torino e al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 24 novembre 1962.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituito con atto di intervento e deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, depositato nella cancelleria di questa Corte il 14 agosto 1962.

Secondo il Pretore, l'art. 16 del Cod. proc. penale si porrebbe innanzi tutto in contrasto con l'art. 28 della Costituzione, concernente la responsabilità dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti commessi in violazione di diritti.

La norma impugnata, conferendo al Ministro della giustizia la facoltà di sottrarre gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria alle conseguenze di reati da loro commessi in servizio, introdurrebbe una limitazione al principio della eguale responsabilità dei funzionari e dipendenti dello Stato. E poiché l'art. 109 della Costituzione stabilisce che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, l'art. 16 del Cod. proc. penale, realizzando un rapporto di dipendenza gerarchica degli organi di polizia giudiziaria rispetto al Governo, sarebbe anche in contrasto con la predetta norma costituzionale.

Secondo il Pretore non possono trarsi argomenti a favore della legittimità costituzionale della norma impugnata dalle disposizioni dell'art. 68 della Costituzione e dall'art. 3, terzo comma, della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, relative all'autorizzazione a procedere rispettivamente per i parlamentari e per i giudici costituzionali, in quanto non suscettibili di applicazione analogica, e rappresenterebbero piuttosto un argomento in contrario.

Secondo l'Avvocatura dello Stato l'autorizzazione a procedere sarebbe un istituto di antica tradizione, la continuità del quale di per sé dimostrerebbe la importanza delle finalità cui sarebbe ispirato. Esso andrebbe classificato nella categoria degli istituti, come la querela o l'istanza, che subordinano la punibilità di dati reati ad una determinata dichiarazione di volontà. Tanto nella ipotesi dell'art. 16 del Cod. proc. penale, quanto in quelle relative alle autorizzazioni contro funzionari amministrativi, verrebbe sempre in evidenza uno stesso concetto: quello di tutelare l'esercizio di una pubblica funzione al di fuori di ogni criterio di privilegio personale. Trattasi in fondo dello stesso fondamento della prerogativa attribuita ai giudici costituzionali in conformità del principio stabilito direttamente dalla Costituzione per i membri del Parlamento. La esistenza nella stessa Costituzione di una norma riguardante l'autorizzazione a procedere appare all'Avvocatura dello Stato un argomento a conferma della legittimità dell'istituto in esame nelle sue varie forme. Tale norma (art. 68) avrebbe, infatti, trovato posto direttamente nella Costituzione non perché rappresenterebbe una eccezione al principio generale, ma perché non avrebbe potuto avere altra collocazione data la particolare esigenza cui era chiamata a rispondere.

Per quanto riguarda l'art. 109 della Costituzione, secondo il quale l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, esso non può essere inteso nel senso di una dipendenza assoluta ed esclusiva della polizia giudiziaria dalla Magistratura: e, comunque, non sarebbe vulnerato dall'istituto dell'autorizzazione a procedere, date le finalità e gli effetti che a questa andrebbero ricollegati.

In data 10 aprile 1963 l'Avvocatura ha presentata altra memoria, nella quale, ribadendo le precedenti argomentazioni, osserva, per quanto riguarda l'art. 28 della Costituzione, che questa é una norma speciale rispetto a quella dell'art. 3 della Costituzione stessa, con la quale questa Corte, nella sentenza n. 22 del 1959, non ritenne incompatibile l'istituto dell'autorizzazione a procedere.

Relativamente all'art. 109 rileva che questa norma non pone la polizia giudiziaria in un rapporto totale di assoluta dipendenza dall'autorità giudiziaria, trattandosi di una dipendenza soltanto funzionale e non anche amministrativa.

 

Considerato in diritto

 

La norma impugnata ha nel nostro ordinamento il suo immediato precedente nell'art. 8 del D. L. 25 aprile 1919, n. 536, il quale estese agli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza la disposizione in materia di uso delle armi preveduta dal R.D.L. 10 dicembre 1917, n. 1952. La introduzione nel Codice di procedura penale di questa disposizione, dettata in una legge speciale per esigenze eccezionali dello stato di guerra, non fu generalmente accolta con favore; e negli stessi lavori preparatori del Codice trovò aperto contrasto nei pareri della Corte di cassazione e di talune Università. In senso contrario si é pronunciata, in ispecie più recentemente, anche gran parte della dottrina.

La questione di legittimità costituzionale della predetta norma, proposta con l'ordinanza del Pretore di Moncalieri non ha fondamento se riferita all'art. 109 della Costituzione. La potestà che questo articolo conferisce all'autorità giudiziaria di disporre direttamente della polizia giudiziaria, se trova la sua piena giustificazione nelle superiori esigenze della funzione di giustizia e nella necessità di garentire alla magistratura la più sicura e autonoma disponibilità dei mezzi di indagine, non subisce limitazioni per via dell'impugnato art. 16 del Cod. proc. penale e dei rapporti di dipendenza gerarchica, che l'ordinanza di rimessione pone in rilievo, fra gli organi della polizia giudiziaria e il Governo. L'art. 109 pone la polizia giudiziaria di fronte all'autorità giudiziaria in un rapporto di subordinazione meramente funzionale, che non determina collisione alcuna con l'organico rapporto di dipendenza burocratica e disciplinare in cui i suoi organi si trovano col potere esecutivo.

Ritiene, invece, questa Corte che il contrasto si manifesti chiaramente con l'art. 28 della Costituzione. Il potere conferito al Ministro di grazia e giustizia di concedere o negare l'autorizzazione a procedere a carico degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio, e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, si traduce in una violazione del principio della diretta responsabilità dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici. Il carattere processuale della condizione posta dall'art. 16, che l'Avvocatura dello Stato tiene a porre in rilievo, non vale ad escludere, in una integrale valutazione della posizione dei cittadini di fronte alla legge, che attraverso quella norma il principio della eguale e diretta responsabilità dei funzionari subisca una effettiva violazione.

D'altra parte nemmeno può valere, a sostegno della legittimità costituzionale della norma impugnata, l'altra argomentazione posta dall'Avvocatura dello Stato, cioé che la norma in questione sia dettata per stabilire non già un privilegio personale, bensì soltanto una garanzia per la funzione. Anche ammettendo un siffatto generale fondamento della norma, la Corte ritiene che esso non valga ad escludere in definitiva la incidenza di essa sulla eguaglianza dei soggetti di fronte alla responsabilità per gli atti commessi in violazione dei diritti. Ciò, inoltre, appare ancora più evidente se dal principio fissato dall'art. 28 della Costituzione, si risale, in una più ampia considerazione del sistema, al generale principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione stessa, principio per il quale una eccezione nel caso in esame non troverebbe, ad avviso di questa Corte, il razionale fondamento di una effettiva diversità di situazioni oggettive e soggettive.

É stato osservato che il nostro ordinamento prevede altre forme di autorizzazioni a procedere (art. 68 della Costituzione; art. 3 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 Cit.); ma queste devono ritenersi forme del tutto particolari, disposte dalla Costituzione a tutela della piena autonomia di organi costituzionali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 16 del Codice di procedura penale, in riferimento all'art. 28 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

BIAGIO PETROCELLI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 18 giugno 1963.