Sentenza n. 89 del 1963
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SENTENZA N. 89

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 389, lett. c, del D. P. R. 27 aprile 1955, n. 547, promosso con ordinanza emessa il 18 luglio 1962 dal Pretore di Prato nel procedimento penale a carico di Franchi Foresto, iscritta al n. 150 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica dell'8 maggio 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale contro Franchi Foresto, con ordinanza del 18 luglio 1962 del Pretore di Prato, é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 389, lett. c, del D. P. R. 27 aprile 1955, n. 547, in relazione agli artt. 4 della legge delegante 12 febbraio 1955, n. 51, e 26 del Codice penale, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Si rileva in detta ordinanza che la norma impugnata - la quale stabilisce la pena nella misura di lire 50.000 di ammenda nel minimo - sarebbe in contrasto con l'art. 4 della legge delegante n. 51 del 1955, che, fissando un limite soltanto per la misura massima dell'ammenda, avrebbe inteso rinviare al minimo della stessa pena previsto dalla legge generale e cioé dall'art. 26 del Codice penale.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1962.

Nel presente giudizio, vi é stato soltanto l'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato. Nelle deduzioni depositate in cancelleria l'Avvocatura dello Stato fa presente che l'articolo 26 del Codice penale fissa il limite minimo e quello massimo dell'ammenda, ma non vieta al legislatore di stabilire, per i singoli reati, minimi superiori e massimi di pena inferiori a quelli generali, come del resto é comprovato dalle pene stabilite nello stesso Codice penale per vari reati, quali l'omicidio e le contravvenzioni prevedute negli artt. 658, 659, 667, ecc. Onde é da ritenere che il legislatore delegante, preoccupato di stabilire soltanto il limite massimo per l'ammenda, ha lasciato libero il legislatore delegato di fissare il minimo di pena, adeguandosi in tal modo allo spirito della Costituzione, la quale richiede che la legge delegante determini principi e criteri direttivi, ma non intende limitare quantitativamente i poteri delegati.

 

Considerato in diritto

 

Questa Corte con la

sentenza n. 62 del 7 maggio 1963 ha già stabilito che la legge 12 febbraio 1955, n. 51, che conferisce al Governo la delega ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, con la disposizione dell'art. 4, consente che l'ammenda per le violazioni alle varie norme possa essere fissata in misura superiore nel massimo a quella preveduta dal Codice penale (art. 26), ma, per quanto attiene al minimo, non intende rinviare implicitamente a quello stabilito da detto Codice. E ciò perché vuole lasciare libero il legislatore delegato di fissare una pena in misura idonea anche nel minimo a raggiungere le finalità che si intendono perseguire.

Le ragioni suesposte valgono anche per la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 389, lettera c, del D. P. R. 27 aprile 1955, n. 547, sollevata dal Pretore di Prato con l'ordinanza 18 luglio 1962.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 389, lett. c, del D. P. R. 27 aprile 1955, n. 547, proposta dall'ordinanza del Pretore di Prato del 18 luglio 1962, in relazione all'art. 4 della legge delegante 12 febbraio 1955, n. 51, ed all'articolo 26 del Codice penale, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

GIUSEPPE VERZÌ, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 8 giugno 1963.