Sentenza n. 59 del 1963
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SENTENZA N. 59

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 497, terzo comma, del Codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 marzo 1962 dalla Corte d'appello dell'Aquila nel procedimento penale contro Riga Maggiorino e Riga Roberto, iscritta al n. 95 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 158 del 23 giugno 1962;

2) ordinanza emessa il 2 ottobre 1962 dal Tribunale dell'Aquila nel procedimento penale contro Castelli Enrico e Romoli Barbara, iscritta al n. 196 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 332 del 29 dicembre 1962.

Udita nella camera di consiglio del 5 marzo 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì.

 

Ritenuto in fatto

 

Tra i motivi di impugnazione della sentenza 13 ottobre 1961 del Tribunale di Pescara nel procedimento penale contro Riga Maggiorino e Riga Roberto, la difesa degli imputati ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel terzo comma dell'art. 497 del Codice di procedura penale, per il quale la prova del legittimo impedimento dell'imputato a comparire in giudizio é "in ogni caso liberamente valutata dal giudice" e "tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva, né motivo di impugnazione". Con ordinanza del 30 marzo 1962, la Corte d'appello dell'Aquila ha ravvisato la sussistenza di un contrasto fra la detta norma e quella del secondo comma dell'art. 24 della Costituzione, per il quale "la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", e, ritenuta la non manifesta infondatezza della questione e la sua rilevanza per la definizione del giudizio di merito, ha sospeso il procedimento ordinando la rimessione degli atti a questa Corte.

La medesima questione di legittimità costituzionale é stata proposta anche dal Tribunale dell'Aquila con ordinanza 2 ottobre 1962, emessa nel procedimento penale contro Castelli Enrico e Romoli Barbara.

Le due ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica: la prima in quella n. 158 del 23 giugno 1962, e la seconda in quella n. 332 del 29 dicembre 1962.

In entrambi i giudizi presso questa Corte, non vi é stata costituzione di parti, né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Considerato in diritto

 

Come innanzi detto, l'ordinanza della Corte d'appello della Aquila e quella del Tribunale della stessa città sottopongono all'esame della Corte la medesima questione di legittimità costituzionale, onde i due giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Ritiene questa Corte che la questione non é fondata.

Ed infatti, né la libertà del giudice di valutare la prova addotta dall'imputato nel processo penale per giustificare l'impedimento a presentarsi nel dibattimento (libertà che peraltro non vuoi significare arbitrio); né il divieto di successiva discussione su tale prova o di impugnazione della relativa ordinanza (il cui rigore del resto é stato pur mitigato dall'ammesso sindacato della Corte di cassazione per vizio logico o per contraddizione) incidono sul diritto di difesa, quale é inteso dall'art. 24 della Costituzione.

Per quanto la presenza dell'imputato nel processo penale possa essere presa in considerazione come mezzo per garantire la sostanza della difesa, essa deve però essere valutata in funzione non limitata a singoli atti del procedimento ma estesa alla instaurazione del contraddittorio e posta in relazione all'opera del difensore. Sia che il difensore venga considerato legato alla parte da un rapporto di rappresentanza, sia che l'attività processuale dello stesso venga distinta da quella dell'imputato ma pur necessariamente conciliata in una unità finale, appare tuttavia certo che la difesa risulta sostanzialmente garantita dall'opera tecnico-professionale del difensore.

Compresa fra le innovazioni introdotte dall'attuale Codice di procedura penale, la norma del terzo comma dell'art. 497 regola, sostanzialmente, un particolare giudizio che verte sulla volontarietà o meno della mancata presentazione al dibattimento dell'imputato ed involge una valutazione sul comportamento processuale dello stesso; ma tanto le modalità di valutazione della prova di un impedimento, quanto l'ammissibilità di impugnazione della relativa ordinanza rientrano nella disciplina particolare dell'istituto, disciplina che può variare a seconda delle caratteristiche di ciascun procedimento, senza che gli effetti di essa possano farsi risalire al diritto di difesa. Il quale va inteso come possibilità effettiva di agire in giudizio, come garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico-professionale del difensore, e come rimozione di ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti nello svolgimento del processo.

Alle quali ragioni va altresì aggiunto che tutto il giudizio contumaciale - comunque svolto - non importa alcuna restrizione alla difesa dell'imputato, in quanto la contumacia non é più guardata con quel disfavore di cui un tempo era circondata, ed in quanto al contumace vengono riconosciuti (art. 499 del Cod. proc. penale) gli stessi diritti di cui gode l'imputato presente nel dibattimento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 497 del Codice di procedura penale, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione con le ordinanze della Corte d'appello dell'Aquila del 30 marzo 1962, e del Tribunale dell'Aquila del 2 ottobre 1962.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 3 maggio 1963.