Sentenza n. 47 del 1963
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SENTENZA N. 47

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale del D.P.R. 16 dicembre 1959, n. 1289, promossi con cinque ordinanze del Pretore di Aversa emesse:

a) il 22 marzo 1962 nei procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Andreozzi Luigi, di Bottone Enrico, di Galluccio Domenico e di Avana Giovanni, iscritte ai nn. 69, 70, 71 e 72 del Registro ordinanze 1962 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 134 del 26 maggio 1962;

b) il 17 aprile 1962 nel procedimento penale a carico di Galluccio Amedeo, iscritta al n. 104 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 30 giugno 1962.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 6 febbraio 1963 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con quattro ordinanze emesse all'udienza del 22 marzo 1962 nei procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Andreozzi Luigi, di Bortone Enrico, di Galluccio Domenico e di Avana Giovanni, imputati di aver contravvenuto alle disposizioni della legge 13 marzo 1958, n. 264, sulla tutela del lavoro a domicilio, nonché a quelle del "regolamento di esecuzione" della citata legge, approvato con D.P.R.16 dicembre 1959, n. 1289, il Pretore di Aversa ha rimesso a questa Corte la questione di legittimità costituzionale di quest'ultimo decreto, in relazione all'art. 76 della Costituzione, trattandosi-secondo la definizione dell'art. 16 della legge - di "norme di attuazione" emanate al di là del termine, fissato dalla legge stessa, di 90 giorni dalla propria entrata in vigore (avvenuta il 24 aprile 1958).

Le ordinanze sono state regolarmente notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri il 4 aprile 1962, mentre ne era stata data comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento con plichi raccomandati del 29 marzo 1962. Esse sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 26 maggio 1962.

Innanzi alla Corte si é costituito in tutti e quattro i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, mediante atti d'intervento depositati il 24 aprile 1962.

Osserva l'Avvocatura che il provvedimento impugnato é un mero regolamento di esecuzione. Lo si deduce prima di tutto dal fatto che nell'emanarlo gli si é dato espressamente tale nome, che esso é stato emanato con la procedura e le forme proprie dei regolamenti, che le norme in esso contenute hanno il carattere di norme di esecuzione. Lo si deduce inoltre dal fatto che la legge del 1958, nel disporne l'emanazione, non intese affatto attribuire al Governo una delega legislativa, tanto é vero che essa fu adottata in commissione e non (come l'art. 72 della Costituzione esige per le deleghe legislative) in assemblea. Né autorizza a pensare che si tratti di delega legislativa il fatto che la legge abbia disposto che, in vista dell'emanazione del provvedimento di cui trattasi, fosse sentita un'apposita commissione di rappresentanti dei due rami del Parlamento.

Ove poi avesse effettivamente voluto attribuire una delega legislativa - aggiunge l'Avvocatura - l'art. 16 della legge "dovrebbe ritenersi illegittimo, perché in contrasto con il ricordato art. 72, o comunque inefficiente".

Posto che il provvedimento normativo impugnato é un regolamento, ove pur si volesse ritenere che la legge abbia inteso fissare un termine perentorio per la sua emanazione, sarebbe chiaro che, se mai, in conseguenza dell'inosservanza di tale termine, si sarebbe semplicemente in presenza di un regolamento illegittimo, soggetto al sindacato dei giudici comuni e non della Corte costituzionale.

Del resto, pur ammesso che l'art. 16 della legge contenesse una delega legislativa, una volta che la delega non fu esercitata nei termini, nulla escludeva che fosse successivamente emanato - così come fu emanato - un regolamento di esecuzione.

In sostanza, nel corso della memoria, l'Avvocatura sostiene che il sindacato di legittimità sul provvedimento impugnato esula dalla competenza di questa Corte. Però essa conclude nel senso che "la eccezione di illegittimità costituzionale sia respinta perché infondata, previa, ove occorra, declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 13 marzo 1958, n. 264".

2. - Con altra ordinanza emessa nel procedimento penale a carico di Galluccio Amedeo all'udienza del 17 aprile 1962, lo stesso Pretore di Aversa ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale.

L'ordinanza é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento con plico raccomandato del 2 maggio 1962, é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 22 maggio 1962, ed é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 1962.

In quest'ultimo giudizio di legittimità costituzionale nessuno si é costituito.

3. - All'udienza le cause sono state discusse congiuntamente, e l'avvocato dello Stato ha insistito nelle precedenti argomentazioni e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - I cinque giudizi, promossi con le ordinanze del Pretore di Aversa indicate in epigrafe, investono la Corte della stessa questione di legittimità costituzionale. Pertanto, essi vanno riuniti, e la Corte pronuncia al riguardo con unica sentenza.

2. - Ritiene però la Corte che la questione sottopostale esula dalla propria competenza, poiché l'impugnato D.P.R. 16 dicembre 1959, n. 1289, non appartiene alla categoria degli atti "aventi forza di legge", sui quali l'art. 134 della Costituzione ha introdotto il sindacato della Corte costituzionale.

Innanzi tutto, nulla autorizza a ritenere che con l'art. 16 della legge 13 marzo 1958, n. 264, si sia voluta delegare (o comunque attribuire) al Governo una potestà di emanazione di decreti aventi "valore di legge ordinaria" (come si esprime l'art. 77 della Costituzione). A parte il fatto che quella legge fu deliberata da entrambe le Camere in commissione (mentre tale procedura é espressamente esclusa dall'art. 72 della Costituzione per i disegni di legge di delegazione legislativa), é da tener presente che l'art. 16 citato non contiene alcuna espressione, né alcuna disposizione che possa far pensare a un intento del genere.

Esso prevede l'emanazione, da parte del Governo, di "norme di attuazione della legge stessa". Ma, appunto perché nulla dice circa la "forza" di tali "norme di attuazione", é da escludere che la legge abbia voluto in tal modo conferire al Governo la possibilità di emanare disposizioni dotate di forza diversa e maggiore rispetto a quella che normalmente possiedono i provvedimenti governativi. Né l'espressione "norme di attuazione" autorizza a pensare altrimenti: non é da escludere la possibilità di "norme di attuazione" emanate mediante atti di natura regolamentare. E neanche autorizza a pensare altrimenti la disposizione dell'art. 16, secondo la quale le "norme di attuazione" di cui trattasi avrebbero dovuto essere emanate (e in effetti furono emanate) "sentita una commissione parlamentare composta di sette senatori e di sette deputati": ancorché generalmente siffatti interventi consultivi siano previsti per l'esercizio di poteri di legislazione delegata, nulla impedisce che una legge ne preveda anche per provvedimenti non aventi valore di legge; e infatti l'art. 13 della stessa legge di cui ci si occupa dispone che la "commissione di cui all'art. 16" sia sentita anche per l'adozione di un decreto ministeriale.

Ma, a parte quanto si é detto circa la forma della legge 13 marzo 1958, n. 264, e la sostanza del suo art. 16, é decisivo che l'intento dichiarato e la procedura impiegata nell'emanazione del D.P.R.16 dicembre 1959, n. 1289, non lasciano dubbi circa la natura regolamentare e non legislativa del potere effettivamente esercitato. Pur prescindendo dalla mancanza, nel decreto, di qualsiasi riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione - mancanza che non può avere valore determinante - non può, infatti, non darsi importanza - sopra tutto in concomitanza delle cose già dette - al fatto che, tanto nell'intestazione, quanto nel corpo del provvedimento, il testo normativo con esso approvato riceve il nome di regolamento; e, ancor più, alla circostanza che per la emanazione di esso il Governo, appunto sul presupposto della natura regolamentare di quel testo, ritenne necessario sentire il Consiglio di Stato (come l'art. 1 della legge 31 gennaio 1926, n. 100, richiede per i regolamenti e non per gli atti aventi valore di legge).

In presenza di una così univoca concordanza di elementi, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Aversa deve esser dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sulla questione di legittimità costituzionale proposta, con le cinque ordinanze del Pretore di Aversa indicate in epigrafe, nei confronti del D.P.R 16 dicembre 1959, n. 1289, in relazione all'art. 76 della Costituzione e con riferimento all'art. 16 della legge 13 marzo 1958, n. 264, la dichiara inammissibile.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 9 aprile 1963.