Sentenza n. 43 del 1963
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SENTENZA N. 43

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizio di legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 12, terzo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, e 2, secondo comma, della legge 1 maggio 1955, n. 368, in materia di locazioni e sublocazioni di immobili urbani, promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1962 dal Pretore di Palma di Montechiaro nel procedimento civile vertente tra Vecchio Giuseppa e Lumia Calogero, iscritta al n. 62 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 14 aprile 1962.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1963 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di una causa di sfratto per morosità pendente davanti al Pretore di Palma di Montechiaro, e vertente tra i signori Giuseppa Vecchio e Calogero Lumia, veniva sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, terzo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, e 2, secondo comma, della legge 1 maggio 1955, n. 368, contenenti norme sulla disciplina delle locazioni di immobili, perché in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Il Pretore, con ordinanza del 20 febbraio 1962, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale, rilevando che il contrasto con l'art. 3 si manifesterebbe sotto un duplice aspetto.

Ai locatori di immobili urbani soggetti alla proroga legale non sarebbe garantito il godimento degli stessi diritti, in quanto fra locatori in eguali condizioni, alcuni hanno diritto, in base alle due leggi citate, ad aumenti di pigione in ragione del 50 e del 20 per cento; altri, per limitazioni che non sono di ordine oggettivo, hanno invece diritto ad un aumento in misura ridotta.

Gli aumenti dei canoni di locazione in misura ridotta, che, per ragioni di ordine sociale il legislatore ha creduto di accordare a determinati conduttori, graverebbero soltanto sui rispettivi locatori, senza alcun rapporto comparativo tra le condizioni economiche del conduttore e quelle del locatore. Di guisa che il locatore che versi in condizioni economiche disagiate e che abbia notevole carico di famiglia ha diritto agli stessi aumenti cui hanno diritto i locatori di condizione agiata, e deve essere ulteriormente sacrificato, ottenendo l'aumento di pigione ridotto, rispettivamente, al 30 ed al 10 per cento, se a sua volta il conduttore versi anch'esso in disagiate condizioni.

Vero é che il legislatore può e deve essere sollecito verso i meno abbienti, ma a condizione che al favore per costoro corrisponda un onere che si attui nei confronti di tutti, con il concorso di tutti ed in proporzione alla capacità economica di ciascuno e non implichi, viceversa, una restrizione posta solo a danno di alcuni, ancorché di capacità economica inferiore.

L'ordinanza é stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 marzo 1962 e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento il 26 febbraio dello stesso anno; pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il successivo 14 aprile.

Nel giudizio davanti alla Corte le parti private non si sono costituite.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato come per legge.

Nell'atto di intervento e nella successiva memoria, depositati rispettivamente il 23 marzo 1962 e il 10 gennaio 1963, l'Avvocatura dello Stato osserva preliminarmente che l'ordinanza di rinvio ha posto la questione di costituzionalità nei confronti sia della legge del 1950 che di quella del 1955, senza specificare se il concreto rapporto dedotto nel giudizio di merito sia, in effetti, soggetto all'applicazione di entrambe le leggi, dato che esse, pur derivando, in linea storica e concettuale, l'una dall'altra, hanno avuto un diverso campo di applicazione temporale.

Nel merito, l'Avvocatura ritiene che la questione sia infondata.

Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il principio sancito nell'art. 3 della Costituzione mira ad assicurare a ciascuno eguale trattamento quando siano "ragionevolmente" ritenute eguali le condizioni soggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono, mentre il legislatore può disporre trattamenti differenziati per situazioni che, nella discrezionalità delle sue valutazioni, esso ritenga diverse. La disciplina vincolistica delle locazioni, attraverso i due criteri del blocco degli affitti o degli aumenti legali delle pigioni, deriva proprio da una serie di valutazioni tipicamente discrezionali del legislatore circa la diversità delle posizioni delle due categorie interessate e del conseguente diverso trattamento, fatto ad esse dal legislatore in via del tutto straordinaria ed in attesa di una graduale normalizzazione della situazione.

Nella specie, il carattere straordinario della disciplina dettata dalla legge del 1950 emerge dai lavori parlamentari, nella quale sede si ritenne di attenuare il sacrificio imposto alla proprietà privata con il blocco delle pigioni per esigenze di pubblico generale interesse, disponendo un graduale aumento delle pigioni stesse. Tuttavia la stessa legge del 1950 ha temperato le conseguenze della regola dell'aumento legale nella misura del 50 per cento, prevedendo delle eccezioni di carattere oggettivo costituite dagli appartamenti di lusso (per i quali concede degli aumenti supplementari) e dalle abitazioni di infimo ordine (nei confronti delle quali non consente alcun aumento); nonché con alcune eccezioni di carattere soggettivo, quali, ad esempio, le disagiate condizioni economiche del conduttore.

La successiva legge del 1955 ha sostanzialmente seguito gli stessi criteri, e con una nuova norma, quella dell'art. 3, ha regolato il caso del conduttore che si trovi in una situazione più vantaggiosa rispetto al locatore nel singolo concreto rapporto di locazione, dettando norme intese appunto ad eliminare le conseguenze di una situazione che potrebbe apparire iniqua ed a raggiungere un equo contemperamento degli opposti interessi delle due categorie interessate, quella dei conduttori e quella dei locatori.

 

Considerato in diritto

 

Dall'ordinanza di rimessione si rileva che il Pretore ha ritenuto rilevante ai fini del decidere la questione di legittimità costituzionale sia dell'art. 12, terzo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, sia dell'art. 2, secondo comma, della legge 1 maggio 1955, n. 368. Il giudizio della Corte deve, pertanto, avere per oggetto entrambe le disposizioni.

Per quanto notevolmente attenuate per effetto della seconda legge, le denunziate disparità di trattamento ai danni di alcune categorie di locatori non possono essere negate. Esse, tuttavia, non importano una violazione dell'art. 3 della Costituzione.

La giurisprudenza di questa Corte é ormai costante nel ritenere che non sussiste contrasto con il principio di eguaglianza tutte le volte che le disparità siano determinate da situazioni particolari di fronte alle quali il legislatore abbia ragionevolmente ritenuto di dover predisporre particolari discipline, purché resti fermo il rispetto dei canoni inderogabili posti nel primo comma dell'art. 3 e resti esclusa la creazione di privilegi a favore o contro individui o gruppi.

Nella specie, il legislatore doveva regolare il passaggio dal regime vincolistico a quello libero nei contratti di locazione. Questo passaggio non poteva non essere graduale e non poteva non essere accompagnato da temperamenti che tenessero conto delle situazioni più meritevoli di considerazione dal punto di vista sociale, se si voleva raggiungere lo scopo di prevenire nella massima misura possibile turbamenti in un campo in cui i contrasti fra i gravi interessi, non soltanto di carattere economico, collegati al godimento degli immobili urbani, potevano creare o aggravare situazioni pericolose per la pace pubblica e privata.

A tal fine, furono disposte delle attenuazioni a favore di alcune categorie di inquilini economicamente più deboli, la cui identificazione fu disciplinata con norme di carattere generale ed astratto.

La gradualità nella disciplina del passaggio da un regime all'altro é stata accentuata con la successiva legge n. 368 del 1955 e specialmente con l'art. 3, che prevede la possibilità di incrementi a favore del locatore qualora per le condizioni economiche del conduttore o quando in relazione al rapporto comparativo tra le condizioni economiche del locatore e quelle del conduttore o al profitto che quest'ultimo trae dall'immobile locato, il contratto, col solo aumento generale, risulti ingiustamente gravoso a danno del locatore.

Le esposte considerazioni sono sufficienti a far ritenere che con le norme denunziate non é stato violato il principio di eguaglianza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità delle norme contenute negli artt. 12, terzo comma, della legge 23 maggio 1950, n. 253, e 2, secondo comma, della legge 1 maggio 1955, n. 368, in materia di locazioni e sublocazioni di immobili urbani, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 9 aprile 1963.