Sentenza n. 39 del 1963
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SENTENZA N. 39

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 253 e 269, capoverso, del Codice postale e delle telecomunicazioni, approvato con R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, promosso con ordinanza emessa il 9 ottobre 1961 dal Pretore di Chiusa nel procedimento penale a carico di Talbon Francesco, iscritta al n. 193 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 2 dicembre 1961.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 28 novembre 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel procedimento penale contro Taibon Francesco, imputato del reato previsto e punito dagli artt. 253 e 269, capoverso, del R.D. 27 febbraio 1936, n. 645 (Codice postale), per avere esercitato il commercio e la riparazione di apparecchi radioelettrici senza essere munito della speciale licenza rilasciata dal Circolo delle costruzioni telegrafiche (CIR.COS.TEL.), il difensore ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei suindicati articoli.

Il Pretore di Chiusa - con ordinanza del 9 ottobre 1961 - ha sospeso il giudizio ed ha rimesso gli atti a questa Corte rilevando che le norme suddette limitano l'esercizio dell'attività meramente economica del commercio degli apparecchi radiofonici e appaiono in contrasto con l'art. 41 della Costituzione perché non sono dettate ai fini dell'accertamento di requisiti necessari per esercitare l'attività stessa, ma trovano il loro fondamento logico-giuridico esclusivamente nelle esigenze autoritarie proprie di istituzioni costituzionali ormai superate.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 300 del 2 dicembre 1961.

Nel presente giudizio il Taibon non si é costituito. Con atto 7 novembre 1961 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Questa, premesso che la questione é stata sollevata soltanto per quella parte dell'art. 253 del R.D. del 1936, n. 645, relativa al "commercio" ed alla riparazione (e non anche alla costruzione e al montaggio) degli apparecchi radioelettrici, rileva che l'art. 41 della Costituzione contiene soltanto una generica enunciazione della libertà della iniziativa economica privata. E siffatta libertà garantisce a condizione che essa abbia ad oggetto un'attività che non si svolga in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Senza contrastare con le norme della Costituzione, anzi conformemente ad esse, il controllo sulle vendite e sulla riparazione degli apparecchi radioelettrici (che peraltro investirebbe le modalità di svolgimento della iniziativa e non lo svolgimento in quanto tale) soddisferebbe esigenze che appaiono preminenti. Questa forma di controllo - sempre secondo l'Avvocatura - a prescindere da taluni casi, pur in dottrina ritenuti leciti, di divieto assoluto dell'iniziativa privata (artt. 105, 117 e 121 del T.U. delle leggi di p.s.) rappresenta del resto un fenomeno ben noto e diffuso nell'ordinamento amministrativo.

 

Considerato in diritto

 

Dopo aver proclamato il principio della libertà dell'iniziativa economica privata, l'art. 41 della Costituzione delinea il contenuto di essa, ed ammette limiti, programmi e controlli opportuni affinché l'attività economica pubblica e privata possa essere coordinata ed indirizzata a fini sociali. E poiché le telecomunicazioni hanno rilevanza sociale ed economica, ed impegnano molteplici interessi della collettività sotto l'aspetto sia tecnico, fiscale, di polizia, sia della sicurezza e della tutela fisica e morale dei cittadini, é evidente la necessità che l'attività ad esse relativa sia coordinata con l'interesse generale. Onde non può essere disconosciuto il potere del legislatore di istituire - attraverso l'imposizione di una particolare licenza - il controllo dell'autorità amministrativa su coloro che intendono costruire, riparare, commerciare apparecchi radioelettrici. E non può - per le stesse ragioni- essere condivisa la opinione del Pretore di Chiusa, secondo il quale, la speciale licenza suindicata trova "il suo fondamento logico - giuridico soltanto nelle esigenze autoritarie proprie delle istituzioni costituzionali oramai abrogate". Tanto più che il D.L.L. 2 aprile 1946, n. 399, promulgato in periodo di piena libertà, ha confermato la esigenza di tale licenza.

L'art. 41, però, contiene una espressa riserva di legge, che va osservata. Tale riserva - siccome ha avuto già occasione di affermare questa Corte (sentenze nn. 4 e 5 del 1962) - esige, quanto meno, che il legislatore "determini i criteri e le direttive idonee a contenere in un ambito ben delineato l'esercizio tanto dell'attività normativa secondaria quanto di quella particolare e concreta di esecuzione affidate al Governo, evitando che esse si svolgano in modo assolutamente discrezionale".

La riserva di legge, quindi, ha proprio la funzione di circoscrivere il controllo e di disciplinarne l'esercizio, allo scopo di evitare che - attraverso la indefinita espansione del controllo stesso - venga annullato il diritto primario di libertà garantito dalla Costituzione. Perciò, l'assoluta mancanza di tale disciplina fa sorgere il vizio di incostituzionalità.

Esaminata alla luce di tali principi, la norma contenuta nell'art. 253 del Codice postale, approvato con R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, appare viziata, in quanto la potestà conferita alla pubblica Amministrazione non é contenuta entro limiti che ne circoscrivono la discrezionalità. Essa dispone soltanto che "chiunque intenda costruire o commerciare materiale radioelettrico di qualsiasi specie, ovvero eserciti il montaggio o la riparazione di apparecchi radioelettrici o di parti di essi, deve essere munito di speciale licenza da rilasciarsi dal Ministero delle poste e delle telecomunicazioni". Ed é opportuno notare che trattasi di licenza, che occorre richiedere oltre ed indipendentemente dalla comune licenza di commercio. Orbene, né l'art. 253, né alcuna altra disposizione dello stesso Codice postale contengono alcun accenno alle ragioni sociali, alle finalità, alle condizioni del rilascio di tale licenza, ovvero ai requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di radiotecnico. Ed anche nel D.L.L. 2 aprile 1946, n. 399 - che pur contiene dettagliate norme in merito alle formalità del rilascio della licenza, del rinnovo di essa, del pagamento della tassa di concessione, della cessione di apparecchi radio ecc. - non si rinviene alcuna indicazione dell'oggetto del controllo della pubblica Amministrazione e dei criteri in base ai quali esso deve essere esercitato. Dal che deriva una discrezionalità così lata da rendere possibile l'arbitrio.

Alla dichiarazione della illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 253 del Codice postale, segue come conseguenza - a termini dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - la illegittimità costituzionale anche degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11 del D.L.L. 2 aprile 1946, n. 399, i quali dettano norme di esecuzione sulla attività di fabbricazione, di riparazione e di commercio degli apparecchi radioelettrici e sul rilascio della relativa licenza.

Non può essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 269, secondo comma, del Codice postale, perché le sanzioni ivi previste non si riferiscono solo all'ipotesi dell'art. 253.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 253 del R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, che approva il Codice postale e delle telecomunicazioni, in riferimento all'art. 41 della Costituzione, e dichiara, in conseguenza, la illegittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11 del D.L.L. 2 aprile 1946, n. 399.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ.

 

 

Depositata in cancelleria il 9 aprile 1963.