Sentenza n. 83 del 1962
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SENTENZA N. 83

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 26 febbraio 1962, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 6 marzo successivo ed iscritto al n. 3 del Registro ricorsi 1962, per conflitto di attribuzioni tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto del Ministro per la pubblica istruzione 1 dicembre 1961, concernente "dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona in località " Disueri " sita nell'ambito dei Comuni di Butera e Mazzarino (Caltanissetta)".

Udita nell'udienza pubblica del 20 giugno 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi l'avv. Pietro Virga, per il ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Il Ministro per la pubblica istruzione con decreto 1 dicembre 1961, pubblicato nel n. 320 della Gazzetta Ufficiale del 28 dicembre 1961, dichiarava che la zona in località "Disueri", sita nel territorio dei Comuni di Butera e Mazzarino (prov. di Caltanissetta), "ha interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497" ed é, quindi, sottoposta a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa.

Contro questo decreto la Regione siciliana il 24 febbraio 1962 promoveva ricorso per conflitto di attribuzioni, ricorso che veniva notificato il 26 febbraio immediatamente successivo.

2. - La Regione ha impugnato il provvedimento per due motivi.

Il primo motivo é la violazione di norme statutarie e legislative: in virtù dell'art. 14, lett. n, dello Statuto della Regione siciliana spetta alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio (cioè delle bellezze naturali e panoramiche a cui si riferisce la citata legge n. 1497 del 1939, a norma della quale é stato emesso il provvedimento impugnato); l'art. 20 dello stesso Statuto attribuisce le funzioni esecutive e amministrative concernenti questa e altre materie al Presidente e agli Assessori regionali; benché non siano ancora intervenute le norme d'attuazione, gli organi della Regione e in particolare l'Assessore alla pubblica istruzione sono investiti delle suddette funzioni in virtù del D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567: decreto che attribuiva al Presidente regionale e alla Giunta i poteri già conferiti all'Alto Commissario e alla Consulta regionale dal R.D.L. 18 marzo 1944, n. 91, e successive modificazioni, fra i quali poteri sono compresi quelli del Ministro della pubblica istruzione.

Poiché queste norme, emanate nel tempo in cui il Governo nazionale era investito anche di potestà legislativa costituzionale, sono ancora in vigore, il provvedimento del Ministro per la pubblica istruzione le ha manifestamente violate.

La Regione conclude ricordando come il Consiglio di Stato si sia pronunciato più volte in questi termini (decisioni n. 1049 del 1959 e n. 1051 del 1960).

Il secondo motivo del ricorso é la violazione di tre decreti del Presidente della Repubblica: a norma della citata legge n. 1497 del 1939, art. 13, terzo e quarto comma, i provvedimenti, come quello impugnato, che riguardano località turistiche e opere pubbliche, richiedono rispettivamente il concerto col Ministro per il turismo (nel 1944 Ministro per la cultura popolare) e colle singole Amministrazioni interessate a quelle opere; se poi interessano cave o miniere, é richiesto il concerto col Ministro per l'industria e commercio, previo avviso dell'Ufficio minerario distrettuale (art. 30 del R. D. 3 giugno 1940, n. 1357).

Ma alle suddette Amministrazioni dello Stato sono subentrate nella Regione siciliana l'Assessore regionale al turismo (art. 1 del D. P. R. 9 aprile 1956, n. 510), l'Assessore regionale ai lavori pubblici (art. 1 del D.P.R. 30 luglio 1950, n. 878) e l'Assessore regionale all'industria (art. 1 del D.P.R.5 novembre 1949, n. 1182). Perciò, siccome é indiscutibile che la zona in località "Disueri" comprende, oltreché luoghi di interesse turistico e opere pubbliche di notevole importanza, alcune cave già sfruttate sotto la tutela del Distretto minerario di Caltanissetta, il provvedimento impugnato doveva essere emesso di concerto coi predetti Assessori regionali.

Poiché ciò non si é fatto, conclude la Regione, il decreto del Ministro per la pubblica istruzione deve essere annullato così come é stato annullato, per un motivo simile, l'analogo decreto 20 giugno 1958 (sentenza n. 65 del 16 dicembre 1959 della Corte costituzionale).

3. - -I1 Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituito, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 17 marzo 1962 e ha depositato una memoria il 24 maggio 1962.

Sul primo motivo, la Presidenza del Consiglio contesta la validità delle pronunce emesse dal Consiglio di Stato in un campo che non é di sua competenza e rileva che, in materia di tutela del paesaggio, mancando le norme d'attuazione, la Regione é priva di poteri. Né questi possono essere esercitati dal Presidente e dagli Assessori regionali quali organi decentrati dello Stato: infatti, il D.L.C.P.S. n. 561 del 1947, invocato dalla Regione, ha attribuito agli organi regionali soltanto quei poteri dell'Alto Commissario che derivano da norme ancora applicabili e non quelli derivanti da norme abrogate per incompatibilità con lo Statuto regionale entrato frattanto in vigore (sentenze n. 18 del 1957 e n. 45 del 1959 della Corte costituzionale); la Regione, d'altronde, non può invocare neanche l'art. 20, primo comma, ultima parte, dello Statuto, che disciplina l'esercizio decentrato di funzioni statali: a parte che per questo esercizio occorrono le direttive dello Stato, tale norma si riferisce a funzioni che lo Statuto stesso riserva allo Stato e non a quelle che esso invece, attribuisce alla Regione, come accade in materia di turismo e di tutela del paesaggio.

Quanto al secondo motivo, la Presidenza del Consiglio nega che il provvedimento impugnato dovesse essere emesso di concerto con l'Assessore al turismo: infatti, questo accordo risulta necessario, a norma dell'art. 13, terzo comma, della legge n. 1497 del 1939, solo quando nella zona sottoposta a vincolo vi siano luoghi dichiarati di interesse turistico, dichiarazione che in questo caso non c'é stata, come attesta la Sopraintendenza ai monumenti di Palermo (doc. n. 3).

Né occorreva il concerto coll'Assessore ai lavori pubblici poiché il decreto impugnato, essendo a carattere generale, non ha a che fare con quei provvedimenti particolari che riguardano singole opere pubbliche (solo per questi il citato art. 13, quarto comma, prevede l'accordo con le singole Amministrazioni interessate, cioè in primo luogo col Ministro per i lavori pubblici). Infine, il consenso dell'Assessore all'industria non era neanch'esso necessario poiché l'art. 30 del regolamento 3 giugno 1940, n. 1357, richiamato dalla Regione, si riferisce soltanto ai provvedimenti particolari relativi all'apertura e all'esercizio di cave o miniere, cioè a casi diversi da quello che ha dato origine al ricorso. La Presidenza del Consiglio conclude osservando che, se si accogliesse la tesi della Regione, ogni provvedimento generale d'imposizione del vincolo paesistico richiederebbe il consenso di tutte le Amministrazioni a cui fanno capo le opere pubbliche comprese nella zona: il che sarebbe assurdo.

4. - Nella discussione orale sono state ribadite le opposte tesi.

In particolare, la difesa regionale ha replicato specialmente ad alcuni rilievi sviluppati dalla Presidenza del Consiglio nella sua memoria: quanto all'affermazione, secondo cui non tutte le norme attributive di competenza agli organi regionali, contenute nei decreti del 1944 e successivi, sarebbero in vigore, la Regione l'ha dichiarata incomprensibile: infatti, o quelle norme sono tutte cadute con la pubblicazione dello Statuto regionale (il che non é sostenibile, come risulterebbe anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale) o sono tutte in vigore; e allora, se si ritiene che senza le norme d'attuazione la potestà amministrativa non é passata alla Regione nelle materie di sua competenza esclusiva, é evidente che rispetto a tali materie la posizione degli organi regionali é identica a quella che essi hanno rispetto alle materie di competenza statale: perciò, quando si riconosce che, a norma del decreto n. 567 del 1947, l'esercizio di questi ultimi poteri é attribuito alla Regione, altrettanto deve dirsi riguardo alla materia di esclusiva competenza regionale. É vero che mancano le direttive dello Stato (art. 20 dello Statuto della Regione siciliana); ma l'assenza di direttive non può paralizzare l'attività amministrativa che la legge consente alla Regione.

Infine, la difesa regionale, passando a discutere il secondo motivo del ricorso, ha ricordato che il concerto col Ministro dell'industria é sempre necessario quando c'é conflitto fra l'esigenza turistica, che richiede la tutela del paesaggio, e quella economica, che esige lo sfruttamento del sottosuolo: conflitto che, in questo caso, sarebbe provato dagli stessi documenti prodotti dall'Avvocatura dello Stato, i quali accennano a cave di pietra operanti nella località "Disueri" ed escluse, perché se ne potesse arginale l'esercizio, nella zona vincolata.

L'Avvocatura dello Stato ha insistito soprattutto sull'incompatibilità delle disposizioni dei decreti nn. 91 e 416 del 1944 e n. 50 del 1945 con lo Statuto della Regione siciliana, incompatibilità sopravvenuta almeno con la costituzionalizzazione di questo ultimo operata dalla legge 26 febbraio 1948, n. 2. Inoltre, sempre secondo l'Avvocatura dello Stato, se fossero ancora applicabili quelle disposizioni, come afferma la difesa regionale, da un lato non troverebbero spiegazione molte pronunce della Corte che negano alla Regione ogni competenza nelle materie che sono potenzialmente coperte da quei decreti, ma su cui non ci sono state norme d'attuazione; dall'altro, si dovrebbe dubitare della costituzionalità del D.L.C.P.S. n. 567 del 1947 perché esso attribuirebbe agli organi regionali quei poteri che, secondo lo Statuto, spetteranno alla Regione soltanto quando si siano emanate le norme d'attuazione.  

Considerato in diritto 

1. - Nel primo motivo del ricorso la difesa regionale si richiama innanzi tutto agli artt. 14, lett. n, e 20 dello Statuto speciale siciliano: il provvedimento impugnato violerebbe tali norme poiché é stato emesso da un organo dello Stato (Ministro della pubblica istruzione) in materia che é di competenza esclusiva della Regione siciliana.

Tale assunto non può trovare accoglimento. Non c'é dubbio che il decreto del Ministro della pubblica istruzione riguardi la tutela delle bellezze naturali e che questa sia oggetto di competenza esclusiva della Regione siciliana. Senonché a differenza da quanto é avvenuto nel campo del turismo, dove sono state già emanate le norme di attuazione, in materia di bellezze naturali la potestà amministrativa, mancando ancora quelle norme, non é ancora passata alla Regione.

Né si può dire che l'esercizio di tale potestà spetti alla Regione siciliana in virtù dell'art. 20, primo comma, seconda parte, dello Statuto regionale: infatti, é vero che questa norma, come si deve ritenere secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, consente agli organi regionali di svolgere attività amministrativa statale anche in terreno di competenza esclusiva della Regione quando non si siano emanate le norme d'attuazione; ma, appunto, perché ciò accada occorrono direttive del Governo nazionale, direttive che in questo caso sono mancate totalmente.

Sotto tale profilo la Corte costituzionale, respingendo il ricorso della Regione siciliana, si uniforma alla propria costante giurisprudenza, che trae conforto dall'art. 43 dello stesso Statuto regionale, oltre che dalla disposizione VIII della Costituzione.

2. - La difesa regionale invoca anche i decreti legislativi 18 marzo 1944, n. 91, 28 dicembre 1944, n. 416, 1 febbraio 1945, n. 50, e il D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, il quale ultimo risulterebbe violato in quanto attribuisce agli organi della Regione l'esercizio di quella potestà amministrativa che, anche riguardo alla tutela delle bellezze naturali, gli altri tre decreti avevano conferito all'Alto Commissario e alla Consulta regionale.

Com'é noto, il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, "allo scopo di evitare soluzioni di continuità", volle "assicurare nel territorio dell'Isola l'ulteriore svolgimento delle funzioni e dei servizi amministrativi" già svolti dall'Alto Commissario per la Sicilia: poiché, a norma dell'art. 42 dello Statuto siciliano, l'Alto Commissario e la Consulta regionale dovevano cessare con la prima elezione dell'Assemblea regionale siciliana, il che era avvenuto puntualmente il 20 aprile 1947, si volle conservare alla Regione, sotto nuova forma, quel sistema di decentramento di potestà amministrative statali che vi si era praticato prima dell'emanazione delle norme statutarie: in attesa che queste norme venissero integralmente attuate e mentre all'uopo si era provveduto alla nomina di una commissione paritetica, il D.L.C.P.S. n. 567 attribuiva al Presidente e alla Giunta regionale i poteri che già erano spettati all'Alto Commissario e alla Consulta regionale. Ciò con l'intesa che tali poteri restassero a quegli organi regionali nei limiti in cui e fino a quando la potestà amministrativa, nelle singole materie, non fosse passata alla Regione o riservata espressamente allo Stato in virtù di speciali norme statutarie o di leggi ordinarie: così, infatti, deve essere inteso e così é stato inteso da precedenti sentenze di questa Corte (n. 18 del 1957 e n. 45 del 1958) l'inciso contenuto nello stesso art. 1 del predetto D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, là dove esso afferma che le disposizioni, con le quali si attribuiva competenza amministrativa all'Alto Commissario, passavano agli organi regionali solo "in quanto applicabili".

Né si può dire, come, invece, ha genericamente rilevato l'Avvocatura generale dello Stato, che tutto il complesso normativo dei decreti nn. 91 e 416 del 1944 e n. 50 del 1945 sia caduto perché incompatibile con lo Statuto regionale. Infattì il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947, con cui si conservava l'efficacia di tali disposizioni fu emesso proprio al fine di soddisfare un'esigenza che era stata temporaneamente provocata dalla pubblicazione e dalla prima attuazione dello Statuto regionale; di modo che quell'insieme di norme, essendo state mantenute in vigore con legge posteriore allo Statuto, non possono ritenersi abrogate da quest'ultimo, mentre, essendo applicabili nelle sole materie in cui lo Statuto non ha avuto attuazione, non appaiono incompatibili con esse.

Non per niente l'art. 1 del D.L.C.P.S. n. 567 del 1947 stabilendo, dopo la pubblicazione dello Statuto regionale, che esse continuano ad osservarsi "in quanto applicabili", presuppone che ne siano venute meno solo alcune.

Altrettanto infondato é il rilievo che é stato fatto all'Avvocatura dello Stato nella discussione orale e secondo il quale l'incompatibilità delle disposizioni racchiuse in quei decreti sarebbe derivata dalla successiva costituzionalizzazione dello Statuto siciliano avvenuta con la legge 26 febbraio 1948, n. 2. Questa legge, infatti, non ha avuto altro scopo ed altro oggetto che di immettere nel tessuto delle norme costituzionali della Repubblica anche quelle dello Statuto speciale siciliano: ha attribuito maggior vigore alle norme statutarie, ma non ha potuto ampliarne il contenuto, né alterare il rapporto che intercorreva fra esse e le altre leggi, di modo che le disposizioni dei decreti in oggetto, se avevano avuto efficacia prima del 26 febbraio 1948, dovevano conservarla anche dopo quella data.

3. - In conclusione, il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947 é una legge ordinaria tuttora vigente ed ha attribuito al Presidente e alla Giunta i medesimi poteri che già spettavano all'Alto Commissario e alla Consulta regionale, organi dell'Amministrazione dello Stato.

La conseguenza é che, con ciò, si é venuta a prorogare la situazione di decentramento organico creatasi coi decreti nn. 91 e 416 del 1944 e n. 50 del 1945: infatti, il D.L.C.P.S. n. 567 del 1947 conferiva quei poteri non alla Regione, ma a due organi del Governo regionale, il Presidente e la Giunta, considerati quali organi di decentramento statale.

Col predetto D.L.C.P.S. n. 567 la competenza, in materia di tutela delle bellezze naturali e in altri campi, non é passata alla Regione come tale e, pertanto, non si é ancora realizzato quel decentramento istituzionale che solo apposite norme dello Stato possono attuare.

Ciò significa che nel caso ora sottoposto al giudizio della Corte costituzionale non é dato profilare un conflitto di attribuzioni fra Stato e Regione siciliana: infatti, dal D.L.C.P.S. n. 567 del 1947 si può ricavare soltanto che la dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona in località "Disueri" doveva essere emessa, invece che da un certo organo statale (Ministro della pubblica istruzione), da un altro organo, decentrato, dello Stato (Presidente o Giunta regionale).

Con il che, nell'assenza d'un conflitto tra lo Stato e la Regione, deve dichiararsi inammissibile il ricorso in questa sede, salva la sua proponibilità in altra sede.

4. - Quanto al secondo motivo del ricorso, la sua infondatezza si trae agevolmente dalla esatta interpretazione delle norme a cui esso si richiama.

Infatti, il concerto con l'Assessore al turismo é necessario quando il provvedimento interessi località "riconosciute stazioni di soggiorno, di cura, di turismo" (art. 13, terzo comma, legge n. 1497 del 1939), riconoscimento che non risulta sia avvenuto in questo caso.

Né era necessario il parere dell'ufficio minerario distrettuale e il concerto con l'Assessore all'industria: l'art. 30 del R. D. n. 1357 del 1940 richiede l'uno e l'altro solo quando si emettano i provvedimenti speciali, a cui allude, in materia di cave e di miniere, l'art. 11 della citata legge n.l497 del 1939 e che non devono confondersi con la dichiarazione di notevole interesse pubblico contenuta nel decreto del Ministro della pubblica istruzione: questo é anche il parere, varie volte espresso, del Consiglio di Stato.

Infine, é vero che tutti i provvedimenti relativi alla tutela delle bellezze naturali, se riguardano opere pubbliche, devono essere emessi di concerto con le singole Amministrazioni interessate e perciò, se si tratta di beni di cui sia titolare la Regione, con l'Assessore regionale alle opere pubbliche; ma sta di fatto che non apparisce provata, quanto alla zona sottoposta a vincolo, la presenza di opere pubbliche a cui si riferisca specialmente il provvedimento impugnato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara che, in mancanza di disposizioni d'attuazione, spetta allo Stato emettere provvedimenti per la tutela del paesaggio siciliano, a norma della legge 29 giugno 1939, n. 1497;

respinge, pertanto, in riferimento agli artt. 20 e 43 dello Statuto regionale, il ricorso proposto dalla Regione siciliana;

dichiara, inoltre, inammissibile, ai sensi di cui in motivazione, il ricorso della Regione siciliana in quanto é stato proposto in riferimento all'art. 2, lett. c. del decreto legislativo 18 marzo 1944, n. 91, modificato dai decreti legislativi luogotenenziali 28 dicembre 1944, n. 416, e 1 febbraio 1946, n. 50, e al D.L.C.P.S. 30 giugno 1947, n. 567, recante "norme transitorie per l'attuazione dello Statuto della Regione siciliana".  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1962.

Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1962.