Sentenza n. 69 del 1962
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 69

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, terzo comma, e dell'art. 91, ultimo comma, del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, sulla protezione della selvaggina e della caccia, promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1961 dal giudice conciliatore di Onano nel procedimento civile vertente tra Palla Vivaldo e la Federazione italiana della caccia, iscritta al n. 11 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 17 febbraio 1962.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 30 maggio 1962 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avvocati Remo Pannain e Italo Guerriero, per Vivaldo Palla, gli avvocati Massimo Severo Giannini e Guido Manlio Pistilli, per Federazione italiana della caccia, e il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto 

1. - Il giudice conciliatore di Onano ha sottoposto alla Corte la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, terzo comma, dell'art. 91, ultimo comma, del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, sulla protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia, sollevata dal signor Vivaldo Palla nell'atto di citazione e in un'istanza a parte del giudizio civile promosso contro la Federazione italiana della caccia. La prima di queste due norme impone a colui che chiede la concessione o la rinnovazione della licenza di caccia di esibire "il tagliando della tessera d'iscrizione alla Sezione cacciatori del luogo di residenza del richiedente e la ricevuta della quota dovuta al C.O.N.I.". La seconda impone il pagamento della quota al C.O.N.I., comprendente l'assicurazione contro gli infortuni, mediante versamento sul conto corrente postale, e il pagamento diretto alla Sezione del luogo di residenza dell'importo della tessera d'iscrizione alla Sezione della Federazione italiana della caccia.

I motivi per i quali il giudice conciliatore di Onano ha ritenuto non manifestamente infondata la questione sarebbero da rintracciare nel fatto che le norme impugnate violerebbero "il principio della libertà associativa posto dall'art. 18 della Costituzione" e il principio secondo il quale spetta soltanto allo Stato "la potestà di imporre tasse e imposte": formula quest'ultima che il Conciliatore sostituisce a quella adoperata dalla parte di "devoluzione dei tributi per concorrere alle spese pubbliche" e che troverebbe consacrazione nell'art. 53 della Costituzione.

L'ordinanza emessa il 15 dicembre 1961 é stata ritualmente notificata e comunicata ed é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 44 del 17 febbraio 1962.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti il signor Vivaldo Palla e la Federazione italiana della caccia con deduzioni depositate, rispettivamente, il 7 marzo e il 27 febbraio 1962 ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri con atto depositato l'11 gennaio dello stesso anno.

La difesa del signor Palla sostiene che le leggi dello Stato non possono impedire o regolare arbitrariamente l'esercizio delle libertà civili dei cittadini: in questo campo i principi fissati dalla Costituzione sono inderogabili. Pertanto, una legge che imponga al cittadino l'obbligo di un determinato lavoro, domicilio, fede o associazione, é certamente una legge incostituzionale. Lo stesso, in conseguenza, é da dire delle norme impugnate, tanto più in quanto é stato non soltanto imposto l'obbligo di associarsi a un ente sportivo, ma l'altro di pagare a questo medesimo ente un tributo sotto nome di tessera o quota associativa. Più specificamente, lo Stato si sarebbe spogliato della propria sovranità, attribuendo alla Federazione della caccia il potere di giudicare se il cittadino potrà ottenere la concessione della licenza di caccia, stante che la concessione sarebbe subordinata al rilascio della tessera; e la stessa abdicazione avrebbe compiuto, consentendo alla Federazione d'imporre discrezionalmente il pagamento del tributo-tessera, laddove tutti i tributi dovrebbero essere fissati per legge "nell'ammontare, nel modo di riscossione, nella tutela giurisdizionale". Nel caso, poi, il mancato pagamento comporta" la doppia abnorme caratteristica d'infrazione penale e di invalidità di un'autorizzazione di polizia prevista dalla legge di p. s.". Secondo la difesa del Palla, infatti, ai sensi dell'art. 9 del T.U., che subordina "la validità della licenza al pagamento delle quote dovute", il mancato pagamento darebbe luogo a un reato.

La difesa del signor Palla respinge poi l'analogia che é stata affermata tra l'associazione obbligatoria alla Federazione della caccia e l'iscrizione obbligatoria agli albi professionali, che, a suo avviso, sarebbero stati istituiti per garantire e difendere un'attività di lavoro, risponderebbero all'esigenza di soddisfare un interesse personale, presupporrebbero "utenti" ai quali si assicura che il medico o l'avvocato siano veramente tali, e un titolo legalmente conseguito, anteriore all'iscrizione: caratteri tutti che mancherebbero in coloro che esercitano lo sport della caccia.

In terzo luogo, le norme contrasterebbero col principio di libertà individuale, della quale l'attività sportiva sarebbe il più tipico esempio: la riprova si riscontrerebbe nel sistema che regola le altre federazioni sportive, nelle quali i soci "non arruolati di autorità" pagano contributi volontari e su questi si reggono oltre che sui contributi corrisposti dal C.O.N.I.

In quarto luogo, lo Stato con la legge sulla caccia sarebbe in grado di raggiungere tutte le finalità pubbliche connesse con l'attività della caccia, sicché i compiti assegnati alla Federazione della caccia dall'art. 86 del T.U. sarebbero una duplicazione di quelli già svolti dallo Stato. La difesa del Palla conclude richiamando opinioni della dottrina e numerosi interventi parlamentari nel senso dell'illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

3. - La difesa della Federazione della caccia eccepisce preliminarmente la non rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Poiché, essa argomenta, la Federazione della caccia offrì in restituzione la somma che formava il petitum del giudizio, il giudice conciliatore avrebbe dovuto porsi il quesito della rilevanza e risolverlo negativamente, stante che per definire il giudizio sarebbe stata sufficiente l'applicazione di norme di diritto comune (art. 1206 del Cod. civ. e seguenti e artt. 88 e 92 del Cod. proc. civile).

Nel merito, la questione sarebbe infondata. L'art. 18 della Costituzione ha voluto affermare il diritto positivo di associazione conculcato dalla precedente legislazione dittatoriale, ma non ha proibito allo Stato di associare o riunire i cittadini appartenenti a una data categoria per disciplinare un'attività che abbia riflessi nel campo dell'ordinamento e dell'economia nazionale, nel rispetto, s'intende, dei diritti costituzionali inviolabili, dei quali é parola negli artt. 2 e 3 della Costituzione. Una diversa interpretazione dell'art. 18 porterebbe a una situazione di incostituzionalità degli ordini professionali dato che, per l'esercizio delle professioni altro non si richiede dalla Costituzione se non l'obbligo dell'esame di Stato (art. 33 della Costituzione). I fini pubblici che hanno presieduto alla costituzione della Federazione della caccia non potrebbero essere conseguiti senza un ente pubblico che riunisca e associ i cacciatori al fine, come é detto nell'art. 86 del T.U., "della necessaria disciplina nell'applicazione della..legge in armonia con i supremi interessi nazionali".

La questione é infondata anche nei confronti dell'art. 53 della Costituzione che sancisce il principio dell'eguaglianza del tratta mento tributario dei cittadini in ordine alla loro capacità contributiva: principio che sarebbe stato invocato a torto, invece dell'altro contenuto nell'art. 23 della Costituzione, di fronte al quale, del resto, l'incostituzionalità egualmente non sussisterebbe.

4. - Anche l'Avvocatura dello Stato, che rappresenta e difende il Presidente del Consiglio dei Ministri, ritiene non fondata la questione. Ricordato che la Federazione della caccia, ente che ha personalità giuridica di diritto pubblico, inquadrata nel C.O.N.I., anzi organo di questo, che é il massimo ente pubblico sportivo, tutela gli interessi dei cacciatori, ma cura anche, nell'interesse generale, che l'esercizio venatorio avvenga conformemente alla legge e in armonia con gli interessi generali, e descritti i compiti propri della Federazione della caccia quali sono delineati segnatamente dall'art. 86 della legge - sostiene che la funzione e i compiti della Federazione non sono quelli di una qualsiasi libera associazione, ma coincidono da un canto con quelli propri e caratteristici degli enti di diritto pubblico che svolgono attività statale delegata, e dall'altro sono analoghi a quelli, anch'essi di carattere pubblicistico, propri degli ordini, collegi ed enti che tengono i cosiddetti albi professionali. Stante codesta natura e codesti scopi della Federazione della caccia, alla quale lo Stato ha affidato il compito tecnico di carattere pubblicistico d'inquadrare, organizzare, preparare e vigilare i cacciatori, non può sorgere alcun contrasto tra le norme impugnate e l'art. 18 della Costituzione.

Anche l'Avvocatura ritiene che sarebbe stato più appropriato il richiamo all'art. 23, anziché all'art. 53 della Costituzione, e anch'essa ritiene che il contrasto con quell'articolo non sussista, perché la garanzia costituzionale che in esso é consacrata, non può riferirsi alle contribuzioni che, come in questo caso, vengono richieste da un ente pubblico "in corrispondenza delle prestazioni svolte dall'ente stesso a struttura associativa o consortile in favore degli associati e delle categorie interessate". Infatti, i contributi che la Federazione riscuote avrebbero il carattere di anticipazione o di rimborso di spese, riferibili come sono ai servizi svolti dall'ente e al loro costo: il che si evincerebbe dall'art. 86 del T.U. e dagli artt. 2 e 21 dello statuto della Federazione, approvato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste in data 13 ottobre 1949, vistato dal C.O.N.I il 29 novembre e in vigore dal 1 dicembre dello stesso anno. Lo stesso statuto, infine, conterrebbe norme che escludono ogni arbitrio nella spesa da parte del C.O.N.I. e stabiliscono gli opportuni controlli (artt. 35, 36, 17 e 18).

5. - Tutte le parti hanno depositato memorie, in data 17 maggio scorso, nelle quali ribadiscono le rispettive tesi e insistono nelle già prese conclusioni. Tuttavia merita un cenno particolare la memoria della Federazione della caccia, nella quale si incontrano tesi e argomentazioni in parte nuove, in parte non conformi a quelle prospettate nelle deduzioni.

La difesa della Federazione della caccia ritiene necessario stabilire alcuni punti preliminari dai quali discenderebbe, a suo avviso, la soluzione delle proposte questioni di legittimità costituzionale, nel senso della loro non fondatezza.

In primo luogo, il diritto di caccia sarebbe sì un diritto soggettivo di carattere personale, ma non già un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione. Di più esso sarebbe, per la presenza di gravi interessi pubblici (pericolosità, tutela dei diritti dei terzi, necessità di stabilire modalità al suo esercizio, necessità di protezione della selvaggina, presenza di un servizio pubblico di ripopolamento), soggetto a limitazioni che si concretano in una vigilanza pubblica continua su tutta l'attività di caccia.

In secondo luogo, la Federazione della caccia sarebbe un ente pubblico a base associativa con poteri di autoamministrazione, e insieme organo del C.O.N.I., mediante il quale lo Stato ha conferito una struttura organizzativa alle attività sportive, tra le quali la caccia va annoverata, venuto meno il suo antico carattere di attività primaria (legge 16 febbraio 1942, n. 1426).

Nell'ambito di questa organizzazione la Federazione della caccia avrebbe tuttavia carattere particolare. Essa é l'unica federazione che ha personalità giuridica, non soltanto per ragioni storiche, ma in conseguenza dei sopradescritti specifici connotati dell'attività di caccia e della necessità che la caccia sia organizzata anche per quanto attiene al suo oggetto tecnico (difesa della selvaggina, ripopolamento). Per conseguenza non sarebbe possibile distinguere nel campo dell'attività venatoria tra sportivo e atleta, e rendere obbligatoria l'iscrizione soltanto per il secondo.

6. - Dopo queste premesse, la difesa della Federazione della caccia sostiene che la questione di legittimità costituzionale delle norme impugnate in riferimento all'art. 53 della Costituzione, a parte la maniera confusa nella quale sarebbe stata presentata, é infondata, perché i principi costituzionali che si assumono violati, sia quello del primo comma - universalità dei tributi e commisurazione loro alla capacità contributiva di ciascun cittadino -, sia quello del secondo comma - progressività delle imposte -, non possono essere applicati al caso in esame, anche se si ammette che si tratti di tasse, la struttura tecnica delle quali esclude un'applicazione di quei principi. D'altra parte, sarebbe inesatta l'affermazione della difesa del signor Palla, giusta la quale allo Stato sarebbe vietato di distribuire tra gli enti pubblici la potestà sovrana di imporre tributi, o l'altra affermazione che la quota pagata alla Federazione sia un tributo, laddove non sarebbe se non la quota di associazione a un ente associativo quale é la Federazione, l'appartenenza al quale sarebbe volontaria: se non si vuole esercitare la caccia non si iscrive alla Federazione.

7. - Per quanto attiene alla questione di costituzionalità che sorge dal dichiarato contrasto con l'art. 18 della Costituzione, la difesa della Federazione eccepisce preliminarmente che il contrasto non dovrebbe essere proposto nei confronti dei ripetuti articoli del T.U. che non dispongono, ma presuppongono l'appartenenza obbligatoria del cacciatore alla Federazione, ma, se mai, nei confronti dell'art. 86, che contiene la norma che impone codesta appartenenza.

Comunque, la questione non sarebbe, nel merito, fondata.

Il diritto dei cacciatori di costituire libere associazioni non é pregiudicato dalle norme in questione, e pertanto esse non violano il precetto dell'art. 18, il quale, d'altra parte, non vieta che lo Stato possa, nel rispetto del diritto di associazione, egualmente istituire un'associazione obbligatoria per fini particolari di interesse pubblico, quando, come in altri casi, sussista la necessità di sottoporre i soggetti associati a una vigilanza pubblica. In questo caso si sarebbe al di fuori della libertà di associazione, perché si sarebbe al di fuori del campo delle libertà civili, "ossia del lecito garantito e riconosciuto dalla Costituzione".

Ancora meno fondati sarebbero gli argomenti che la difesa della Federazione chiama collaterali e che sono stati svolti dalla difesa del signor Palla. Così precisato che nel caso in esame si tratta di una autorizzazione e non gia di concessione, la difesa della Federazione sostiene in linea principale che non già il rilascio della licenza di caccia é subordinato all'iscrizione all'associazione, ma questa iscrizione al rilascio della licenza, e, in linea subordinata, che, anche se fosse esatta la tesi avversaria, non perciò si avrebbe un caso di illegittimità costituzionale, dato che sono moltissimi gli esempi di provvedimenti amministrativi dello Stato che hanno a presupposto un atto di un ente pubblico minore. Né fondati sarebbero gli argomenti che si deducono dal riconoscimento degli albi professionali. Vero é che l'albo professionale ha una funzione diversa (quella di tutelare la buona fede dei terzi) da quella dell'iscrizione obbligatoria a una Federazione sportiva, ma non é vero che gli albi professionali siano soltanto uno strumento di difesa del professionista, come non é vero che l'iscrizione alla Federazione della caccia sia uno strumento contro il cacciatore. In tutti e due i casi, viceversa, si riscontrerebbero aspetti di difesa e aspetti di repressione, che tuttavia non possono autorizzare la conclusione di chiamare albo dei cacciatori l'associazione obbligatoria alla Federazione della caccia.

Nemmeno vero é che l'esercizio dell'attività sportiva sarebbe libero. A parte l'eccezione dell'automobilista sportivo, bisogna tener distinto il caso dello sportivo da quello dell'atleta: per quest'ultimo l'iscrizione alla Federazione sportiva é sempre obbligatoria, per il primo può esserlo o non esserlo a seconda dei casi. Comunque, il concetto che domina la materia sarebbe quello dell'uso di servizi che soltanto la Federazione sportiva può fornire; il che si verificherebbe nel caso dell'attività della caccia, che un milione di persone può svolgere soltanto se la Federazione provveda al ripopolamento e collabori alla protezione della selvaggina.

Infine, la difesa della Federazione sostiene che le critiche mosse al sistema oggi in vigore, anche se possono avere qualche valore sotto il profilo dell'opportunità, cioè della preferenza di altri sistemi, non si risolvono e non possono risolversi in critiche di costituzionalità

8. - Nella pubblica udienza del 30 maggio 1962 le difese delle parti costituite hanno svolto ampiamente le loro tesi e confermato le loro conclusioni  

Considerato in diritto 

1. - La difesa della Federazione italiana della caccia (d'ora innanzi designata come "Federazione") ha eccepito preliminarmente che la causa avrebbe potuto essere risolta dal giudice conciliatore di Onano senza proporre alla Corte la questione di legittimità costituzionale delle norme impugnate. L'eccezione deve essere respinta. Infatti, il punto sul quale la difesa della Federazione si fonda per sostenere codesta eccezione - cioè che l'offerta da parte della Federazione del petitum del giudizio e il rifiuto del signor Palla di riceverlo avrebbe potuto e dovuto essere risolto mediante l'applicazione di norme di diritto comune contenute nel Codice civile e nel Cod. proc. civile - ha formato oggetto di considerazione da parte del giudice a quo. Si legge, infatti, nell'ordinanza che le eccezioni della Federazione si risolvono in questioni di fatto, che non possono essere decise se non con la sentenza definitiva; si asserisce che la restituzione della somma é stata offerta "fuori dei termini e modi di legge" e che l'attore, comunque, la rifiutò, e che la domanda del convenuto di condanna alle spese dell'attore o, subordinatamente, di compensazione delle spese medesime, comporta egualmente un giudizio di merito riservato alla sentenza definitiva. Con che la Corte ritiene, sulla base della sua costante giurisprudenza, che l'ordinanza abbia assolto sufficientemente l'obbligo di motivare la rilevanza della sollevata questione di costituzionalità. Del resto, la stessa difesa della Federazione non ha rinnovato la sua richiesta né nella memoria scritta, né nella discussione orale.

2. - Viceversa, nella memoria la difesa della Federazione ha sollevato una seconda eccezione pregiudiziale. Questa volta il giudice avrebbe errato nell'individuare le norme sospette di incostituzionalità, stante che l'obbligo di iscriversi alla Federazione non risulterebbe dagli artt. 8 e 91, ma, se mai, dall'art. 86 del T.U. delle leggi sulla caccia. Anche questa eccezione deve essere respinta; e per respingerla la Corte ritiene sufficiente rilevare che le norme impugnate impongono a chi voglia esercitare l'attività della caccia l'adempimento di oneri - il pagamento della quota associativa alla Federazione e del contributo al C.O.N.I. -, che si risolvono in una obbligatoria iscrizione alla Federazione.

3. - La questione di costituzionalità che la Corte deve risolvere consiste nel vedere se l'obbligo fatto a tutti i cacciatori di iscriversi alla Federazione comporti, oppure non, una violazione della libertà di associazione consacrata nell'art. 18 della Costituzione. Considerato in questi termini perde rilievo, quanto meno parzialmente, il punto, sul quale le parti hanno a lungo discusso, della relazione che intercorre tra l'iscrizione alla Federazione e il rilascio da parte dell'Autorità di p.s. della licenza di caccia: se sia cioè la prima condizione della seconda o la seconda della prima. É infatti, evidente che, quali che siano i termini nei quali codesta relazione si pone, non risulta mutata la questione di costituzionalità, la quale resta sempre quella della legittimità, nei confronti dell'art. 18 della Costituzione, dell'appartenenza obbligatoria alla Federazione. Poste così le cose, poco importa stabilire se l'obbligo di esibire il tagliando, che comprova il pagamento della quota associativa, all'Autorità di p. s., competente a rilasciare la licenza, rappresenti non già la prova della necessaria previa iscrizione alla Federazione, ma soltanto la prova di un deposito provvisorio e condizionale. Resta sempre il fatto che, dopo il rilascio della licenza, quel pagamento si trasforma in quota associativa e conferisce al cacciatore munito di licenza i diritti e i doveri di socio della Federazione. Sicché quel preventivo deposito dell'ammontare della quota associativa non può non essere considerato, quanto meno come il momento iniziale di un procedimento che si conclude con l'iscrizione alla Federazione, necessaria per chiunque voglia esercitare l'attività della caccia.

4. - Ferme queste premesse, la Corte ritiene che la questione sia fondata.

L'art. 18 della Costituzione proclama, salve le eccezioni contenute nel secondo comma, la libertà dei cittadini "di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale". Sembrerebbe qui consacrata soltanto la libertà di associazione intesa come libertà dei cittadini di associarsi quante volte vogliano per il raggiungimento di fini leciti, e si é detto, in conseguenza, che codesta libertà non escluderebbe la potestà dello Stato di costringere in un nesso associativo gli appartenenti a una determinata categoria tutte le volte che un pubblico interesse lo imponga o soltanto lo consigli.

Senonché la Corte ritiene che il precetto costituzionale, del quale si discute, deve essere interpretato nel contesto storico che l'ha visto nascere e che porta a considerare di quella proclamata libertà non soltanto l'aspetto che é stato definito "positivo", ma anche l'altro "negativo", quello, si vuole dire, che si risolve nella libertà di non associarsi, che deve apparire al Costituente non meno essenziale dell'altra, dopo un periodo nel quale la politica legislativa di un regime totalitario aveva mirato a inquadrare i fenomeni associativi nell'ambito di strutture pubblicistiche e sotto il controllo dello Stato, imponendo ai cittadini di far parte di questa o di quella associazione ed eliminando per questa via quasi affatto anche la libertà dell'individuo di unirsi ad altri per il raggiungimento di un lecito fine comune volontariamente prescelto e perseguito.

Con ciò la Corte non vuole affermare che sia affatto e in ogni caso negato allo Stato di assicurare il raggiungimento e la tutela di determinati fini pubblici anche mediante la creazione di enti pubblici a struttura associativa, che possono assicurare, tra l'altro, anche il vantaggio, sottolineato dalla difesa della Federazione, di far concorrere l'interessato al settore che lo Stato in codesta guisa organizza, alla vita, al funzionamento e al controllo dell'attività che ne risulta organizzata. Si potrebbe anzi affermare che, laddove la libertà di associarsi non può trovare altri limiti se non quelli esplicitamente segnati dal medesimo art. 18 della Costituzione, la libertà di non associarsi incontri limiti maggiori e non puntualmente segnati dalla Carta costituzionale. Definire quali essi siano in via generale e astratta, é compito arduo e, comunque, tale che la Corte non può affrontare in questo giudizio, dovendo limitare il suo esame al caso che le é stato sottoposto.

Si può, tuttavia, affermare che la libertà di non associarsi si deve ritenere violata tutte le volte in cui, costringendo gli appartenenti a un gruppo o a una categoria ad associarsi tra di loro, si violi un diritto o una libertà o un principio costituzionalmente garantito; o tutte le altre in cui il fine pubblico che si dichiara di perseguire sia palesemente arbitrario, pretestuoso e artificioso e di conseguenza e arbitrario, pretestuoso e artificioso il limite che così si pone a quella libertà definita come si é ora visto. Il che può accadere quando si assumano come pubbliche finalità, la cui natura privata non possa essere in alcuna guisa modificata o assunta a pubblica, o come quando il fine pubblico si aggiunga alle finalità private manifestamente come pretesto per sottrarre alla libera decisione degli interessati di perseguirle in questa o quella forma; o come quando l'interesse pubblico connesso con una determinata attività sia già tutelato per altra via; e così enumerando. Va da sé che, così posta, questa dell'osservanza o della violazione del precetto costituzionale contenuto nell'art. 18 e definito come la Corte lo definisce, é questione da risolvere caso per caso: e questa via deve essere seguita nel presente giudizio.

5. - La legislazione sulla caccia prende le mosse in Italia dalla legge 24 giugno 1923, n. 1420, che fece cessare il vigore delle leggi degli Stati preunitari, che fino a quell'anno avevano in gran parte continuato a regolare la materia. La nuova legge sottopose l'attività della caccia all'autorizzazione "dell'autorità politica circondariale" (art. 15); affidò la vigilanza "sulla protezione della selvaggina e sull'esercizio della caccia e dell'aucupio ai funzionari, ufficiali e agenti di p.s. e della forza pubblica" (art. 25); riconobbe le associazioni provinciali dei cacciatori "come enti morali aventi personalità giuridica" (art. 35) e riconobbe, altresì, il diritto dei cittadini, che avessero ottenuto il permesso di caccia, di essere ammessi a una delle associazioni dei cacciatori della Provincia nella quale risiedessero (art. 36).

Questa legge fu modificata con R.D.L. 24 maggio 1924, n. 754, che all'art. 14 autorizzò il Governo a coordinare in testo unico le disposizioni della nuova con quelle della vecchia legge, e a emanare le norme occorrenti per l'applicazione: ma il governo non si avvalse dell'autorizzazione, sicché con R.D.L. 3 agosto 1928, n. 1997, che s'intitolava "riforma della legislazione sulla caccia", si rinnovò la facoltà al governo di provvedere al coordinamento in testo unico delle nuove norme con le altre contenute nei due testi legislativi precedenti. Di qui il T.U. delle leggi e dei decreti per la protezione della caccia, approvato con R.D. 15 gennaio 1931, n. 117. Con questo testo nasce la Federazione della caccia, qualificata" come ente morale con personalità giuridica", composta delle associazioni provinciali dei cacciatori, considerate suoi organi e delle quali fanno parte i cittadini muniti di licenza di caccia, tenuti, peraltro, a corrispondere, all'atto di ritiro della licenza, l'importo della tessera di appartenenza al C.O.N.I. (artt. 79 e 82). Nel 1939, infine, fu emanato il T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, sulla base del R.D.L. 14 aprile 1936, n. 836, convertito in legge 18 gennaio 1937, n. 224, che dava facoltà al governo di provvedere alla revisione del T.U. precedente. E questo il testo che contiene le norme impugnate e nel quale viene posto definitivamente il vincolo di necessaria appartenenza alla Federazione mediante il procedimento che si é visto, e, accanto all'obbligo del pagamento di un contributo al C.O.N.I., comprensivo dell'assicurazione contro gli infortuni, viene imposto l'altro del pagamento di una quota associativa alla Federazione, in rapporto di reciproca implicazione col rilascio o il rinnovo della licenza di caccia.

Nel frattempo erano stati emanati numerosi decreti-legge (come quello 7 giugno 1928, n. 1248, per la cattura e la caccia del passero, e l'altro 18 novembre 1929, n. 2016, per la caccia sulla neve) e regi decreti (come quello 11 aprile 1937, n. 807, per l'autorizzazione a portare armi e munizioni in aeromobile) e numerosissimi decreti ministeriali, dei quali é superfluo qui tessere l'elenco e indicare il contenuto.

Ciò che occorre viceversa notare é che quello ora descritto fu uno svolgimento legislativo che portò a un'accentuata pubblicizzazione di tutto il settore, alla definitiva inserzione dell'attività della caccia tra le attività sportivo-agonistiche inquadrate nel C.O.N.I. e, nello stesso tempo, alla soppressione delle libere associazioni dei cacciatori che avevano avuto in Italia, e non soltanto in Italia, una straordinaria fioritura e che volontariamente si erano proposte da tempo lontano di cooperare con gli organi dello Stato "per il rispetto della legge e delle altre statuizioni sulla caccia", come si legge nel R.D. 27 ottobre 1907, n. 709, art. 1.

Da ultimo, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, con D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, intitolato "decentramento dei servizi del Ministero dell'agricoltura e delle foreste", la maggior parte delle attribuzioni statali in materia di caccia sono state trasferite alle amministrazioni provinciali e ai comitati provinciali, i quali svolgono ora i compiti consultivi loro assegnati, accanto ad altri ausiliari e di amministrazione attiva, su richiesta di quelle, laddove il Ministero dell'agricoltura e delle foreste, per le attribuzioni rimaste di sua competenza, deve avvalersi, anziché, come prima, del parere di quei comitati, di quello dei Presidenti delle Giunte provinciali (art. 18).

6. - L'argomento essenziale sul quale la difesa della Federazione poggia la tesi della non fondatezza della questione di costituzionalità delle norme impugnate, é quello dei caratteri dell'attività della caccia - pericolosità per chi la svolge e per i terzi, connessione necessaria col diritto di proprietà, tutela del suo "oggetto tecnico", che comporta la necessità di provvedere alla protezione e al ripopolamento della selvaggina -, caratteri tali da rendere indispensabile la vigilanza costante su tutte le fasi e le forme nelle quali si concreta l'esercizio della caccia, che lo Stato avrebbe ritenuto di assicurare mediante l'istituzione di un ente munito di personalità giuridica pubblica.

Ora, le finalità pubbliche che si assumono assicurate dalla Federazione e la connessa necessaria vigilanza sono quasi integralmente affidate dalla legge alle amministrazioni provinciali e ai comitati provinciali della caccia, già definiti dal T.U. del 1939 "organi della Provincia con ordinamento autonomo". Segnatamente codesti comitati, ai sensi dell'art. 83 del T.U. del 1939 (sostituito dall'art. 38 del D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, per il necessario coordinamento dopo il trasferimento delle competenze dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste alle amministrazioni provinciali): a) vigilano sull'applicazione delle disposizioni vigenti in materia venatoria e provvedono a tutte le iniziative atte a conseguire il ripopolamento della selvaggina stanziale, anche mediante opportune immissioni e alla repressione degli abusi in materia di caccia e di uccellagione, a mezzo anche di apposite guardie; b) danno impulso nella Provincia a una vasta azione di propaganda "per diffondere tra i cacciatori, uccellatori e i cittadini tutti la conoscenza delle leggi sulla caccia e il rispetto delle norme che disciplinano la materia venatoria"; c) segnalano al Presidente della Giunta provinciale le bandite e le riserve che rispondano agli scopi della legge, indicandone l'effettivo rendimento; d) segnalano al medesimo Presidente l'opportunità di una zona di ripopolamento e di cattura, nonché ogni altra questione in materia di tecnica e di esercizio venatorio; e) provvedono alla pubblicazione annuale del manifesto riportante tutte le disposizioni relative all'esercizio della caccia. Quanto, poi, alla vigilanza sull'applicazione della legge essa é affidata "agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali e campestri, alle guardie dei consorzi idraulici e forestali e, in particolar modo, ai guardiacaccia dipendenti dai comitati provinciali della caccia e alle guardie giurate in servizio presso i concessionari di bandite e di riserve" (art. 68 del T.U.). Guardie giurate volontarie possono essere nominate dai Prefetti su richiesta delle sezioni della Federazione (art. 69 del T.U.). Inoltre, la protezione, l'incremento e il miglioramento del patrimonio faunistico nazionale é affidato in parte, sotto forma di assistenza ai produttori di selvaggina "nell'esplicazione di tutte le loro attività produttive", all'Ente Produttori Selvaggina (E.P.S.), nel quale si é trasformato, con il R.D. 16 giugno 1939, n. 1333, l'ente "Utenti di riserve di caccia, bandite e parchi di allevamento di selvaggina" (riconosciuto con R.D. 10 aprile 1936, n. 858), il cui statuto più recente é stato approvato con D.P.R. 19 giugno 1957, n. 1440.

Viceversa la Federazione, in virtù dell'art. 86 del ripetuto T.U. del 1939, "presiede all'attività dei cacciatori italiani e provvede a inquadrare e organizzare i cacciatori, uccellatori e concessionari di bandite e riserve attraverso i propri organi dipendenti ai fini della necessaria disciplina nell'applicazione della presente legge, in armonia con i superiori interessi nazionali. In relazione a tali compiti la Federazione rivolge la sua attività all'educazione e alla preparazione tecnica dei cacciatori, nonché alla propaganda delle buone norme venatorie". Inoltre, é chiamata a provvedere all'organizzazione di gare, mostre, esposizioni, concorsi e altre pubbliche manifestazioni, all'indirizzo della stampa venatoria e alla difesa in genere dei cacciatori.

Il confronto dei compiti della Provincia e dei comitati provinciali con quelli della Federazione dimostra chiaramente che a questa spettano funzioni che o sono già di quegli organi o meramente ausiliarie di quelle, o che oggi si devono ritenere cessati (indirizzo della stampa venatoria) o, infine, tali, quali la difesa in genere degli interessi dei cacciatori e fors'anche la "propaganda delle buone norme venatorie", da tenere distinte dalle "disposizioni vigenti in materia venatoria", che sono di quelli che, come la difesa medesima della Federazione ha ritenuto, possono far sorgere sospetti sulla legittimità costituzionale di un ente pubblico a struttura associativa, anche nel caso che si accostino o si aggiungano ad altri di natura schiettamente pubblica. In realtà, risulta da questo esame che la Federazione, lungi dall'assicurare la vigilanza sull'attività della caccia, si limita in sostanza a "inquadrare" obbligatoriamente i cacciatori e a presiedere alla loro attività, in patente violazione, pertanto, dell'art. 18 della Costituzione.

7. - É evidente, dopo quanto si é detto, che non vale a fondare la legittimità delle norme impugnate il richiamo che la difesa della Federazione fa alla circostanza che l'ente pubblico che organizza i cacciatori sia poi anche organo del C.O.N.I.; se mai dal confronto tra la Federazione e le altre che fanno parte di questo ente, possono ricavarsi ulteriori motivi per la tesi dell'illegittimità costituzionale delle norme di cui si discute. La stessa difesa, in primo luogo, ammette che la Federazione tenga, nella lunga serie delle consorelle (che sono 31), un posto a sé, essendo la sola che abbia "una personalità giuridica propria" per usare la terminologia della legge; ma essa é anche la sola (a parte quella dei cronometristi e medicosportiva) a non svolgere attività agonistica, dato che appartiene ad altre federazioni la cura di quelle che si possono ritenere o erano in origine collegate con l'attività della caccia, il tiro a segno e il tiro a volo. Sicché può essere invocata nel caso che si discute la distinzione tra attività sportiva e attività agonistica e l'obbligatorietà dell'iscrizione per coloro che esercitano la seconda e non per coloro che esercitano la prima, distinzione che la medesima difesa della Federazione ritiene in linea di principio sussistente, tanto che é costretta a richiamarsi ancora una volta alla vigilanza necessaria sull'esercizio della caccia, vale a dire a un motivo che la Corte non ha ritenuto sufficiente giustificazione per limitare la libertà di associazione.

8. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, per contrasto con l'art. 18 della Costituzione, rende inutile discutere dell'altra questione sottoposta alla Corte della violazione dell'art. 53 della Costituzione da parte delle medesime norme. Tale questione deve ritenersi assorbita.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

respinte le eccezioni pregiudiziali:

dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 8, terzo comma, e 91, ultimo comma, del T.U. 5 giugno 1939, n. 1016, sulla protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia in riferimento, all'art. 18 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1962.