Sentenza n. 58 del 1962
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SENTENZA N. 58

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge della Regione siciliana 5 aprile 1952, n. 11, e dell'art. 84, n. 6, del T.U. approvato con decreto del Presidente della Regione siciliana 9 giugno 1954, n. 9, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1959 dalla Corte di appello di Palermo su ricorso di Amato Calogero ed altri, iscritta al n. 152 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 245 del 30 settembre 1961 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 51 del 20 settembre 1961.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 30 maggio 1962 la relazione del Giudice Nicola Jaeger.

Ritenuto in fatto 

Con ordinanza in data 10 aprile 1959, pervenuta, peraltro, agli uffici della Corte costituzionale soltanto il 18 agosto 1961, la Corte di appello di Palermo ha proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge della Regione siciliana n. 11 del 5 aprile 1952, e dell'art. 84, n. 6, del T.U. approvato con decreto 9 giugno 1954, n. 9, del Presidente della Regione.

L'ordinanza é stata emessa nel corso di un giudizio pendente davanti a detta Corte di appello in seguito a reclamo, proposto con atto del 13 marzo 1959 da sette consiglieri comunali di Camastra, dichiarati decaduti dall'ufficio con decisione in data 24 novembre 1958 della Giunta provinciale amministrativa di Agrigento, in sede giurisdizionale, motivata in base alla pendenza di un giudizio di responsabilità amministrativa e contabile a carico di essi, già Sindaco e Assessori del Comune di Camastra.

Nel loro ricorso alla Corte di appello, i consiglieri dichiarati decaduti avevano sostenuto che la materia dell'elettorato comunale non appartenesse alla competenza legislativa della Regione siciliana, onde avrebbe dovuto considerarsi estesa senz'altro a questa la riforma adottata con la legge dello Stato 23 marzo 1956, n. 136, il cui art. 6, modificando la norma anteriore, cui si era uniformata la legge regionale, ha escluso che la ineleggibilità derivante dalla pendenza di una lite con il Comune si applichi agli amministratori comunali ove la lite sia connessa con l'esercizio del mandato; in via subordinata, avevano rilevato che, comunque, la diversità dei requisiti richiesti per accedere alle cariche comunali dalla legge statale e da quella regionale avrebbe reso inapplicabile la seconda, venuta in contrasto con il principio contenuto nell'art. 51 della Costituzione, a norma del quale tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.

La Corte di appello non ha accolto il primo motivo ed ha affermato, invece, che l'art. 14, lett. o, dello Statuto regionale comprende anche la materia dell'elettorato comunale; ha escluso, pertanto, che la nuova disciplina della legge dello Stato del 1956 si sia estesa di per sé alla Regione siciliana o abbia modificato la disposizione corrispondente della legge regionale.

Ha ritenuto, invece, non manifestamente infondata la questione della illegittimità costituzionale sopravvenuta della norma contenuta nell'art. 14 della legge regionale 5 aprile 1952, n. 11, e nell'art. 84, n. 6, del T.U. 9 giugno 1954, n. 9, in quanto ne deriverebbe una situazione di diseguaglianza fra gli amministratori comunali della Sicilia e quelli delle altre parti del territorio italiano; e ciò non sarebbe consentito dalla Costituzione, anche in base all'insegnamento dato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

In quanto alla rilevanza della questione di legittimità, la Corte di appello ha constatato che con l'art. 16 di una successiva legge 9 marzo 1959, n. 3, il legislatore regionale aveva introdotto nel proprio ordinamento una norma identica a quella contenuta nella legge statale in materia del 23 marzo 1956; ma non ha ritenuto che per questo fosse venuta meno la rilevanza della questione sollevata dai ricorrenti.

L'ordinanza é stata notificata al Presidente della Regione siciliana e al Presidente dell'Assemblea regionale il 31 marzo e il 3 aprile 1961 e pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 51 del 20 settembre 1961 e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 245 del 30 settembre 1961.

É intervenuto nel giudizio, con atto depositato il 9 giugno 1961, il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Gueli. In tale atto la difesa della Regione contesta anzitutto che sussista, e che trovi una congrua e sufficiente motivazione nell'ordinanza di rimessione, la rilevanza della questione rispetto al giudizio principale, il quale avrebbe potuto e dovuto essere deciso a norma della più recente legge regionale, di immediata applicazione. Nel merito, nega che la intervenuta modificazione di una legge ordinaria dello Stato possa determinare la illegittimità costituzionale sopravvenuta di una norma regionale identica alla norma statale anteriore, e che, soprattutto, una divergenza temporanea di disposizioni, come quelle di cui si discute in causa, possa considerarsi tale da implicare una violazione del principio di eguaglianza sancito nell'art. 51 della Costituzione.

Essa conclude, pertanto, perché la Corte costituzionale dichiari inammissibile o infondata la questione proposta dalla Corte di appello di Palermo. Tali conclusioni sono ribadite nella successiva memoria in data 15 maggio 1962, nella quale si richiama anche la giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto dell'applicabilità immediata di norme che facciano cessare cause limitative della capacità a ricoprire uffici pubblici, e si osserva che tale giurisprudenza rende più grave il difetto di motivazione dell'ordinanza sulla rilevanza della questione. La difesa della Regione ricorda anche alcune sentenze della Corte costituzionale, e ne deduce che tali precedenti non sono invocabili in contrario, ma piuttosto in favore delle conclusioni di merito già formulate dalla Regione.  

Considerato in diritto

 Dal testo stesso dell'ordinanza della Corte di appello di Palermo, con la quale é stata proposta la questione di legittimità costituzionale, risulta che al momento della pronuncia di essa era già stata emanata la legge regionale 9 marzo 1959, n. 3, e che questa conteneva una norma (art. 16) identica a quella dell'art. 6 della legge dello Stato 23 marzo 1956, n. 136.

La Corte ha però omesso di rilevare la data di pubblicazione della nuova legge regionale nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, avvenuta nel n. 14 dell'11 marzo 1959, e la disposizione dell'art. 8 di detta legge, a norma della quale questa entrò in vigore il giorno stesso della pubblicazione.

Tutto fa ritenere che, se il giudice del processo principale avesse tenuto conto di questi dati, esso si sarebbe proposto in termini diversi il problema della rilevanza della questione di legittimità di una norma, che era venuta meno prima che la causa fosse definita; e ciò anche in considerazione del principio accolto dalla Corte di cassazione, la quale ha non soltanto affermato che le norme che fanno cessare cause limitative della capacità a ricoprire uffici pubblici sono di immediata attuazione ogni qualvolta la ineleggibilità o la decadenza dalla carica per tali cause non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, ma ha provveduto in conseguenza, riformando la sentenza impugnata a seguito della pubblicazione della legge nuova (appunto la legge 23 marzo 1956, n. 136, sopra citata), sopravvenuta dopo la pronuncia della sentenza denunciata per cassazione (Cass. civ., Sezione Ia, 4 ottobre 1956, n. 3342).

Di conseguenza, si deve ritenere necessaria una nuova valutazione sul punto della rilevanza, rispetto al giudizio principale, della questione sottoposta alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

ordina che gli atti siano restituiti alla Corte di appello di Palermo.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 14 giugno 1962.