Sentenza n. 13 del 1962
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SENTENZA N. 13

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge regionale urbanistica e per la tutela del paesaggio nella Valle d'Aosta, 28 aprile 1960, n. 3, promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1960 dalla Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta su ricorso della Società "Immobiliare Cervinia di Fumagalli" contro il Presidente della Giunta regionale della Valle d'Aosta, iscritta al n. 11 del Registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1961 e nel Bollettino Ufficiale della Regione del febbraio 1961.

Udita nell'udienza pubblica del 20 dicembre 1961 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avv. Aldo Dedin, per la Società "Immobiliare Cervinia di Fumagalli", e gli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Fortunio Palmas, per il Presidente della Giunta regionale della Valle d'Aosta. Ritenuto in fatto

In un giudizio promosso dalla Società "Immobiliare Cervinia di Fumagalli" avverso il provvedimento del Presidente della Giunta regionale della Valle d'Aosta, che ingiungeva la demolizione di una parte di fabbricato in costruzione nel Comune di Valtournanche, la Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle ha emesso l'ordinanza del 5 dicembre 1960, notificata alle parti e al Presidente regionale e comunicata al Presidente del Consiglio della Valle il 20 gennaio 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 4 marzo 1961 e nel Bollettino Ufficiale della Regione del febbraio 1961, sollevando la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 18 della legge regionale urbanistica e per la tutela del paesaggio nella Valle d'Aosta, 28 aprile 1960, n. 3.

L'ordinanza osserva che l'art. 1 di detta legge, con il quale tutto il territorio della Valle d'Aosta é stato, senza alcuna discriminazione, dichiarato bellezza naturale e zona di particolare importanza turistica, sembra contrastare con l'art. 2 dello Statuto speciale della Regione. La norma non sarebbe in armonia con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato: il legislatore statale non ha mai seguito criteri così estensivi ed indiscriminati per l'imposizione di vincoli o limitazioni dirette a tutelare il paesaggio o a proteggere le bellezze naturali.

Ci sarebbe anche contrasto con l'art. 2, lett. g, dello stesso Statuto, dove si parla espressamente di: "zone di particolare importanza turistica", il che escluderebbe la possibilità di emanare piani regolatori edilizi per l'intero territorio regionale.

L'art. 3 della legge regionale dispone che chiunque intenda compiere opere, costruzioni, demolizioni o modificazioni ad immobili, che possano comunque alterare il paesaggio, deve munirsi di apposita autorizzazione rilasciata dal Presidente della Giunta regionale nei casi e nei modi previsti dal regolamento; l'art. 18 della stessa legge stabilisce che fino a quando non entrerà in vigore detto regolamento, le autorizzazioni in parola sono rilasciate dal Presidente della Giunta regionale, sentito il parere di un Comitato regionale per l'urbanistica.

Ora, tenuto conto del disposto dell'art. 42 della Costituzione l'ordinanza di rinvio pone il quesito se possa ritenersi costituzionalmente legittima una norma, come quella di cui all'art. 18 della legge regionale, che, sia pure in via transitoria, attribuisca, senza alcuna regolamentazione o garanzia per la sua obiettiva e regolare applicazione e senza l'istituzione di adeguati rimedi amministrativi o giurisdizionali, ad un organo individuale del potere esecutivo, la facoltà di limitare, condizionare o impedire l'esercizio del diritto di proprietà.

Il Presidente della Giunta regionale valdostana, costituitosi in giudizio, nelle deduzioni e nella successiva memoria depositate, rispettivamente, il 23 marzo ed il 7 dicembre 1961, osserva anzitutto che l'ordinanza di rinvio non sembra sufficientemente motivata, ai fini della rilevanza, per non aver tenuto conto dell'esistenza di un giudicato penale, divenuto irrevocabile, con il quale si affermava la responsabilità del costruttore Fumagalli per aver costruito l'edificio contro il divieto del Presidente della Giunta regionale. La questione sarebbe, inoltre, irrilevante perché la costruzione sorgeva in una zona sottoposta a vincolo paesistico in forza delle leggi dello Stato e per le quali era in ogni caso necessaria l'autorizzazione della Amministrazione regionale. Sicché l'ordine di demolizione sarebbe stato legittimo e, comunque, il ricorso sarebbe stato inammissibile ed irricevibile.

Rileva, poi, che la Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle sarebbe stata irregolarmente costituita, perché dei suoi membri, uno, il dott. Berruti, Intendente di finanza di Aosta, non aveva l'investitura prevista dall'art. 1 del decreto del Capo provvisorio dello Stato 15 novembre 1946, n. 367, in quanto nel decreto del Presidente della Repubblica 19 gennaio 1960, con cui erano stati nominati i componenti della Giunta per il biennio 1960-61, figura il nome di un altro funzionario, quale Intendente di finanza di Aosta. Mancando, quindi, il decreto presidenziale di nomina e non essendo sufficiente la sola qualità di Intendente di finanza, la Giunta era irregolarmente costituita e, pertanto, non aveva veste per sollevare una questione di legittimità costituzionale.

In ordine al primo motivo di censura, con il quale si lamenta che l'art. 1 della legge regionale n. 3 del 1960 ha dichiarato bellezza naturale di pubblico interesse e di particolare importanza turistica l'intero territorio della Valle d'Aosta senza alcuna limitazione, osserva la Regione che ciò non costituisce motivo di illegittimità costituzionale. Difatti, l'art. 2 dello Statuto regionale attribuisce alla Valle competenza legislativa primaria in materia di "industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio" e nell'esercizio di tale competenza rientra la possibilità di dichiarare zona di "particolare importanza turistica" anche tutto il territorio della Regione. Né a tale possibilità si può opporre il criterio seguito dalla legislazione nazionale, perché questo non esclude la possibilità di dichiarare zona di particolare interesse turistico anche un "gruppo di Comuni contermini" ai sensi dell'art. 1 del decreto 15 aprile 1926, n. 765. E poiché il territorio della Regione non é, in sostanza, che un "gruppo di Comuni contermini", la dichiarazione, sia pure unica, del territorio della Regione come zona di particolare importanza turistica, non contrasta con il criterio della legislazione nazionale.

Lo stesso può ripetersi per quanto concerne la tutela del paesaggio: la legge nazionale del 1939 consente la dichiarazione di bellezza naturale per "vaste località" in modo da poter disporre un piano territoriale paesistico, e la Valle, ad insindacabile giudizio di merito del legislatore regionale, costituisce nel suo insieme, appunto, una "vasta località", per la quale si ritiene necessario predisporre un piano territoriale paesistico.

D'altra parte, per la legislazione primaria della Regione valdostana vale solo il limite dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e non anche il limite dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, quali potrebbero essere, nella specie, quelli della legge del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali.

Pertanto, la legge regionale del 1960, n. 3, non può dirsi costituzionalmente illegittima.

In ordine al secondo motivo di censura, con il quale si lamenta che l'art. 18 della legge regionale avrebbe, sia pure in via transitoria, attribuito al Presidente della Giunta regionale la facoltà di rilasciare con suo criterio discrezionale le autorizzazioni previste dall'art. 3 della legge stessa, e ciò in contrasto con l'art. 42 della Costituzione, osserva la Regione che in tutto ciò non vi é alcuna facoltà indiscriminata, attribuita ad un organo del potere esecutivo, ma l'esecuzione, da parte dell'amministrazione attiva, di una disposizione di legge, così come avviene per tutte le leggi dello Stato. Anzi, mentre l'autorizzazione data dal Presidente della Giunta regionale ha come ambito di applicazione le costruzioni che rechino pregiudizio al paesaggio, la discrezionalità attribuita, in via permanente e non già transitoria, al Sovraintendente alle antichità dalla legge del 1939, ed ai Sindaci dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150, ha una portata ben più vasta. Ma nell'uno come nell'altro caso é sempre un organo del potere esecutivo a limitare e condizionare l'esercizio del diritto di proprietà del singolo.

La norma impugnata non contrasta, quindi, con gli artt. 42 e 43 della Costituzione, ma realizza, invece, quella disciplina sociale della proprietà che i citati articoli prevedono e statuiscono.

Né l'art. 18 esclude adeguati rimedi amministrativi o giurisdizionali avverso i provvedimenti del Presidente della Giunta regionale, come é anche dimostrato dal fatto che la Società Fumagalli ha potuto ricorrere, dando origine al presente giudizio.

Si é anche costituita la Società "Immobiliare Cervinia di Fumagalli", depositando le deduzioni il 22 marzo 1961 ed una memoria il 7 dicembre.

Osserva, anzitutto, che il fatto che la legge oggi in discussione non sia stata impugnata in via principale dagli organi governativi, non ha alcuna importanza; ed in proposito richiama la giurisprudenza di questa Corte.

In ordine al rilievo della Regione circa la motivazione dell'ordinanza di rinvio, la Società ribatte che l'ordinanza ha sufficientemente motivato sul punto della rilevanza, esprimendo un giudizio che é insindacabile dalla Corte costituzionale.

Circa l'altro rilievo sulla non regolare costituzione della Giunta giurisdizionale amministrativa, la Società osserva che l'Intendente di finanza, come il Presidente del Tribunale di Aosta, é da considerarsi come membro di diritto della Giunta, e perciò la sua investitura gli deriva dalla carica ricoperta e non già dall'atto formale di nomina, e pertanto il decreto presidenziale, che nomina i componenti della Giunta, potrebbe indicare impersonalmente tanto il Presidente del Tribunale quanto l'Intendente di finanza, essendo superflua, rispetto a costoro, qualsiasi designazione nominativa. Ma anche se il decreto presidenziale indicasse nominativamente uno dei membri di diritto, come é avvenuto con il decreto presidenziale 19 gennaio 1960, che ha indicato nominativamente l'Intendente di finanza pro - tempore, tale indicazione avrebbe un valore puramente formale. Per ogni mutamento che si verificasse nelle persone dei titolari della presidenza del Tribunale e dell'Intendenza di finanza, non ci sarebbe bisogno di un nuovo decreto presidenziale.

In ogni caso, l'irregolare costituzione della Giunta non comporterebbe l'assoluta inefficacia dell'ordinanza di rinvio, ma concreterebbe un vizio che, in applicazione degli artt. 158 e 161 del Codice di procedura civile, si dovrebbe far valere nei limiti e secondo le regole proprie degli ordinari mezzi di impugnazione.

Nel merito, la Società sostiene che, secondo il sistema della legislazione statale, le limitazioni al diritto di proprietà imposte per la tutela delle bellezze naturali sono circoscritte ad alcune ipotesi astrattamente predeterminate, da accertare in concreto mediante adeguato provvedimento amministrativo. In applicazione di questo principio la legge 29 giugno 1939, n. 1497, detta norme per l'emanazione dell'atto amministrativo di dichiarazione di notevole interesse pubblico, demandando alla Sovraintendenza e ad una apposita Commissione provinciale la "proposta" di dichiarazione di vincolo, da "rendere pubblica" per eventuali opposizioni degli interessati e da "approvarsi" con decreto del Ministro per la pubblica istruzione. Contro tale provvedimento é ammesso ricorso al Governo per il riesame sia di merito che di legittimità, esame che il Governo deve compiere previo parere del Consiglio superiore delle antichità e belle arti e del Consiglio di Stato.

Dai principi di questo ordinamento si discosta la legge regionale 28 aprile 1960, n. 3, sulla tutela del paesaggio della Valle d'Aosta.

Se ne discosta l'art. 1, che dichiara indiscriminatamente e senza alcuna limitazione bellezza naturale di pubblico interesse e zona di particolare importanza turistica l'"intero" territorio regionale, allontanandosi così dal principio ispiratore della legge nazionale del 1939, che tutela soltanto le cose, individue o d'insieme, rivestite di un interesse pubblico "notevole", ossia particolare, specifico, differenziato, ed incidendo sulle proprietà immobiliari site nella Valle, in misura diversa ed enormemente più grave di quanto avvenga sulle proprietà del rimanente territorio dello Stato, senza alcuna cautela di accertamento amministrativo e con conseguente, inevitabile limitazione del sindacato giurisdizionale.

Se ne discosta poi l'art. 18, il quale, in attesa dell'emanazione del regolamento, conferisce al Presidente della Giunta regionale la facoltà di autorizzare l'esecuzione delle opere, delle costruzioni e delle demolizioni, in modo da assicurare la conservazione del paesaggio. Ma tutto ciò senza porre alcuna limitazione alla discrezionalità del potere presidenziale in ordine alla compressione del diritto di proprietà, malgrado che in base all'art. 42 della Costituzione questo diritto sia riconosciuto e tutelato con le solenni dichiarazioni che solo la legge ne determina i modi di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale, e che solo la legge può prevedere i casi di espropriazione della proprietà e salvo indennizzo.

La Società Fumagalli conclude per l'illegittimità costituzionale delle norme denunziate, mentre la Regione chiede, per i motivi dianzi riassunti, che la Corte dichiari non fondate le proposte questioni.

Considerato in diritto 

1. - Non ha fondamento la prima eccezione proposta dal Presidente della Valle d'Aosta per quel che si riferisce al giudizio di rilevanza ed alla sua motivazione.

L'ordinanza, con la quale l'incidente di costituzionalità é stato sollevato, ha dato adeguata ragione del perché la controversia principale non poteva essere definita senza la pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale. Indagare in questa sede se l'ordinanza abbia ritenuto ciò esattamente, alla stregua delle domande e delle eccezioni proposte in quel giudizio e dei fatti e degli atti ivi allegati, significherebbe sostituire l'apprezzamento di questa Corte a quello che, ai fini della rilevanza, spetta esclusivamente al giudice a quo.

2. - Egualmente infondata é l'eccezione relativa alla non legittima costituzione del collegio che pronunciò l'ordinanza.

Il caso attuale é così semplice da non richiedere, per la sua soluzione, la definizione dei principi generali riflettenti il fondamento e l'estensione dell'accertamento che la Corte deve compiere in ordine alla esistenza ed agli eventuali vizi dell'ordinanza del giudice a quo. Quale che sia l'estensione dei poteri relativi a questi accertamenti, nel caso attuale non possono sorgere questioni.

L'ordinanza, emanata da un organo nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali - la Giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta - é atto formalmente perfetto. É pacifico che il funzionario che, a norma di legge, fece parte del collegio giudicante era l'Intendente di finanza in carica. L'unico appunto mosso dalla Regione é che il decreto col quale la Giunta era stata costituita per il biennio 1960-61 e nel quale era stato indicato il funzionario che allora era titolare dell'ufficio di Intendente di finanza, non era stato modificato per sostituirvi il nome del nuovo titolare.

Ora, é ovvio che, anche se si dovesse ritenere che nel decreto di costituzione della Giunta fosse necessario indicare nominativamente l'Intendente di finanza in carica, l'omissione di tale nominativo o il mancato aggiornamento del decreto in ordine alle variazioni relative al nominativo stesso non può costituire causa di inesistenza dell'ordinanza di rinvio, quando sia certo, come é certo, che del collegio giudicante fece parte, a norma di legge, il funzionario che in atto era investito dell'ufficio di Intendente di finanza.

3. - La prima questione posta dall'ordinanza di rinvio é se l'art. 1 della legge regionale valdostana sia in armonia con l'art. 2 dello Statuto speciale per la Valle; se, cioè, la dichiarazione di tutto il territorio della Regione quale bellezza naturale di pubblico interesse e zona di particolare importanza turistica contrasti con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, posti dall'art. 2, prima parte, come limite alla potestà legislativa della Valle, e se la stessa norma regionale violi l'altra disposizione dell'art. 2, lett. g, secondo cui la Regione può emanare piani regolatori per zone di particolare importanza turistica.

Questa seconda questione deve essere esaminata per prima, come quella che prospetta non una violazione di limiti ma un puntuale contrasto con la norma statutaria che ha conferito il potere.

La Corte ritiene che la questione non sia rilevante ai fini del giudizio di legittimità dell'art. 1 della legge regionale. Giova ricordare che l'ordinanza di rinvio sottopone alla Corte l'esame di due sole disposizioni di detta legge: l'art. 1 e l'art. 18, secondo comma.

L'art. 1 si limita a dichiarare che il territorio della Valle é bellezza naturale di pubblico interesse e zona di particolare importanza turistica. Sono gli articoli successivi della legge - quelli non denunziati in questa sede - che disciplinano la materia dei piani regolatori, regionale e comunali.

Ma poiché la norma dell'art. 2, lett. g, dello Statuto regionale si riferisce ai piani regolatori, tale norma potrebbe, se mai, venire in considerazione nei confronti delle disposizioni della legge regionale che prevedono e disciplinano tali piani e non dell'art. 1 che contiene autonome dichiarazioni di carattere generale.

L'art. 1 può, pertanto, essere esaminato indipendentemente dagli articoli successivi, in ordine ai quali ogni questione di legittimità costituzionale resta impregiudicata.

Passando ad esaminare la questione se la disposizione dell'art. 1 contrasti con i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, é da rilevare che, secondo l'ordinanza di rinvio, tale contrasto sarebbe posto in evidenza dal fatto che il legislatore statale non ha mai seguito criteri così estensivi ed indiscriminati per l'imposizione di vincoli o limitazioni dirette a tutelare il paesaggio o proteggere le bellezze naturali. La difesa della parte privata soggiunge che, secondo il sistema della legge statale, le limitazioni al diritto di proprietà imposte per la tutela delle bellezze naturali sono circoscritte ad alcune ipotesi astrattamente predeterminate, relative a cose, individue o d'insieme, rivestite di un interesse pubblico particolare, specifico, differenziato, da accertare in concreto mediante un provvedimento amministrativo, di fronte al quale gli interessati hanno larghe possibilità di difesa, mentre la indiscriminata dichiarazione fatta dall'art. 1 della legge regionale grava sulle proprietà immobiliari site nella Valle in misura diversa ed enormemente più pesante di quanto avvenga sulle proprietà del rimanente territorio dello Stato, senza alcuna cautela di accertamento amministrativo e con conseguente, inevitabile limitazione del sindacato giurisdizionale.

La difesa regionale oppone che, avendo l'art. 2 dello Statuto attribuito alla Valle competenza legislativa primaria in materia di industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio, nell'esercizio di tale competenza rientra la possibilità di dichiarare l'intero territorio della Regione come interessante ai fini della tutela della bellezza del paesaggio e come importante ai fini turistici. Ciò sia perché le leggi nazionali non precludono la possibilità di fare le suddette dichiarazioni nei confronti di vaste zone di territorio, sia perché la potestà legislativa regionale é vincolata, in queste materie, all'osservanza non dei principi delle leggi dello Stato, bensì ai principi dell'ordinamento giuridico.

La Corte osserva che queste ragioni addotte dalla difesa della Valle potrebbero essere fondate se fosse esatto che si tratti di contrasto con i principi stabiliti dalle leggi dello Stato in materia turistica ed in materia di tutela delle bellezze naturali; ma la Corte ritiene che il principio informatore delle indicate leggi statali altro non é che l'applicazione di un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Questo principio generale consiste nella esigenza del giusto procedimento. Quando il legislatore dispone che si apportino limitazioni ai diritti dei cittadini, la regola che il legislatore normalmente segue é quella di enunciare delle ipotesi astratte, predisponendo un procedimento amministrativo attraverso il quale gli organi competenti provvedano ad imporre concretamente tali limiti, dopo avere fatto gli opportuni accertamenti, con la collaborazione, ove occorra, di altri organi pubblici, e dopo avere messo i privati interessati in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell'interesse pubblico.

Non solo le leggi più volte richiamate seguono questo sistema - con minori formalità quelle sul turismo; con più ampie garanzie quella sulle bellezze naturali - ma anche la maggior parte delle altre leggi non se ne discostano. Basterà ricordare la legge sulle espropriazioni per causa di pubblico interesse e la legge urbanistica. E si può aggiungere che anche quando, in questo dopoguerra, il legislatore ha stabilito un sistema straordinario secondo cui gli atti di espropriazione in sede di riforma fondiaria avevano forza di legge, tali atti sono stati l'epilogo di un procedimento durante il quale gli interessati hanno potuto addurre le difese utili nello ambito di quel sistema.

Vero é che il legislatore statale ha derogato tante volte dalla esigenza di stabilire un giusto procedimento - basterà ricordare i piani regolatori approvati per legge - ma ciò non infirma il principio generale dianzi esposto. D'altra parte, il legislatore statale non é tenuto al rispetto dei principi generali dell'ordinamento, quando questi non si identifichino con norme o principi della Costituzione, mentre il legislatore regionale é vincolato al rispetto delle norme costituzionali e dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Ed ecco perché sarebbe inconferente affermare che, come lo Stato potrebbe, direttamente con legge, vincolare, ai fini turistici o di tutela del paesaggio, l'intero suo territorio o parti del suo territorio più o meno ampie di quello della Valle, così la Valle possa fare altrettanto con propria legge in questa materia in cui la Regione ha competenza legislativa primaria: anche se lo Stato potesse farlo, non lo può la Regione, i cui poteri incontrano dei limiti che non esistono per il potere legislativo statale.

Così pure non é rilevante, ai fini della presente controversia, la questione se, secondo le leggi dello Stato, si possano o non vincolare, agli effetti suindicati, vaste zone di territorio: qui l'illegittimità della norma deriva dal fatto che la relativa dichiarazione proviene direttamente dalla legge con l'assoluta esclusione di quel procedimento che, in base ai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, la Regione é tenuta a non omettere.

4. - Nessuna denunzia é stata fatta nei riguardi della legittimità del primo comma dell'art. 18. Tanto nell'ordinanza di rinvio quanto nelle discussioni svolte in giudizio non c'é traccia di questioni relative alla disposizione contenuta in detto comma.

Per quanto attiene all'esame della legittimità della restante parte dell'art. 18, giova, anzitutto, richiamare alcuni precedenti articoli della stessa legge ed in primo luogo gli artt. 3 e 4, ai quali l'art. 18 fa espresso riferimento. L'art. 3 vieta di eseguire costruzioni o piantagioni, distruggere o modificare quelle esistenti o comunque introdurre modificazioni agli immobili, che rechino pregiudizio all'aspetto del paesaggio e dispone che chiunque intenda compiere opere, costruzioni, demolizione o modificazione degli immobili, che possano comunque alterare il paesaggio, deve munirsi di apposita autorizzazione, rilasciata dal Presidente della Giunta regionale nei casi e nei modi previsti dal regolamento. A norma dell'art. 4, le costruzioni o piantagioni che alterino l'aspetto del paesaggio, eseguite senza la previa autorizzazione, devono essere demolite ed i luoghi rimessi in pristino stato, salvo il pagamento di una indennità qualora il ripristino non fosse possibile.

Gli artt. 5, 6, 7, 8 e 9 definiscono il contenuto del piano regionale e dei piani regolatori comunali, urbanistici e paesaggistici. In particolare, l'art. 5 dispone che la disciplina dell'attività edificatoria, dello sviluppo urbanistico e della tutela del paesaggio si attua a mezzo del piano regolatore regionale da formarsi con le modalità stabilite dal regolamento, mentre l'art. 6 stabilisce che le autorizzazioni di cui all'art. 3 non possono essere concesse se le opere o le piantagioni non siano conformi al piano regolatore regionale

La Corte, avendo fatto riserva circa la legittimità di tutte le disposizioni della legge regionale, ad eccezione dell'art. 1 e dell'art. 18, secondo comma, non deve esaminare il contenuto delle norme non denunziate. Tuttavia, non si può disconoscere che la legge regionale ha creato un certo sistema.

Quando questo sistema entrerà in funzione, l'autorità amministrativa ed i privati avranno una qualche guida al loro operare. Autorità e privati avranno conoscenza del regolamento indicato nell'art. 2 della legge e richiamato varie volte negli articoli successivi: regolamento che, legittimamente o no, in questa legge ha una funzione essenziale. Solo allora autorità e privati avranno modo di sapere in quali casi e in quali modi le autorizzazioni potranno essere rilasciate (art. 3). E potranno poi prendere norma da quel piano regolatore regionale urbanistico e paesaggistico, in conformità del quale le opere o le piantagioni potranno essere autorizzate (art. 6).

Secondo l'art. 18, invece, per un tempo indeterminato - e cioè fino a quando non entrerà in vigore il regolamento, per la emanazione del quale la legge non pone alcun termine - tutto é affidato al Presidente regionale, assistito (e non in tutti i casi) da un Comitato consultivo.

Che le cose stiano in tal senso risulta chiaro ove si pensi che le espressioni contenute negli artt. 3 e 4 della legge sono così ampie che niente potrebbe essere fatto o disfatto nella Valle senza l'autorizzazione presidenziale, giacché, mancando un adeguato sistema normativo e mancando il piano regionale, qualunque innovazione potrebbe essere ritenuta pregiudizievole all'aspetto del paesaggio. Ne deriva una grave incertezza per l'autorità regionale e per i privati interessati. Questi non hanno alcun elemento certo per sapere se una innovazione sarà o no ritenuta alteratrice del paesaggio: di modo che o dovranno assoggettarsi in tutti i casi alla richiesta dell'autorizzazione o dovranno affrontare l'alea delle sanzioni previste dall'art. 4 della legge, ove, eseguita che sia qualunque innovazione, il Presidente della Regione ritenga che essa debba essere eliminata.

In definitiva, durante il periodo transitorio l'attività edilizia, ed in parte anche quella agricola, nella Valle d'Aosta saranno regolate con atti amministrativi senza una adeguata base legislativa. Questo é il significato e, comunque, l'effetto dell'art. 18. Ma ciò importa la violazione dell'art. 42 della Costituzione, il quale stabilisce che i limiti della proprietà privata devono essere determinati per legge; il che significa che non possono essere lasciati interamente in balia delle autorità amministrative.

Nell'ordinanza di rinvio si legge che manca non solo una regolamentazione ed una garanzia per l'obiettivo e regolare esercizio dei poteri dell'autorità amministrativa, ma mancano anche adeguati rimedi amministrativi e giurisdizionali.

Non é esatto che manchino rimedi giurisdizionali, in quanto i provvedimenti amministrativi della Regione non sono sottratti al controllo giurisdizionale, né la legge regionale ha dato disposizioni in senso contrario (e, del resto, non poteva darne). Ma é esatto che la legge non ha predisposto alcun rimedio amministrativo. Avverso il diniego di autorizzazione, come avverso l'irrogazione delle sanzioni previste nell'art. 4, l'interessato non ha altro ricorso che quello in sede di legittimità. Ciò significa che l'esame di merito, in una materia che manca, come si é visto, di idonea disciplina, é riservato, senza appello, ad un unico organo deliberante, anche quando questo proceda all'applicazione di sanzioni. Sola garanzia é data dall'intervento del Comitato consultivo, il cui parere é richiesto per il rilascio dell'autorizzazione e per il pagamento dell'indennità ai sensi del secondo comma dell'art. 4, mentre non é richiesto per la applicazione della sanzione prevista dal primo comma dello stesso articolo.

É un fatto consueto che le leggi, quando impongono obblighi o divieti, e specialmente quando comminano delle sanzioni, apprestano un sistema tale che sulla base di esso gli obbligati possano consapevolmente adeguare il proprio comportamento alla norma ed assumere le proprie responsabilità. E quando le leggi conferiscono dei poteri all'autorità amministrativa agli effetti della limitazione dei diritti, le leggi stesse, di regola, stabiliscono che l'interessato sia messo in grado di esporre le proprie ragioni davanti alla stessa od altra autorità amministrativa, specialmente prima che gli sia inflitta una sanzione.

Questi principi che, in relazione a determinati tipi di precetti e di sanzioni, hanno veste di norme costituzionali (artt. 24 e 25), rispetto ad altri precetti e ad altre sanzioni costituiscono dei punti costanti di orientamento nella legislazione e nella interpretazione ed applicazione che delle leggi fanno la giurisprudenza e la prassi: detti punti di orientamento hanno i titoli per essere considerati come facenti parte dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato.

Difforme da tali principi si presenta la norma in esame, la quale non assicura adeguata tutela agli interessati e non offre certezza né a chi deve osservare né a chi deve fare osservare la legge.

Giova soggiungere che la disposizione non potrebbe essere giustificata come norma di salvaguardia. É essenziale per norme di questo genere che esse si riferiscano a situazioni in corso di consolidamento; ma deve trattarsi di situazioni che abbiano una base certa. Il caso più comune é quello del piano regolatore deliberato ma non ancora approvato. Un altro aspetto essenziale delle norme di salvaguardia é che le misure da esse dettate abbiano carattere temporaneo.

L'art. 18 non pone limiti di tempo alla sua efficacia e, come si é messo in chiaro, non ha per presupposto una situazione certa di partenza: anzi c'é in partenza un vuoto che si vuole colmare con singoli provvedimenti amministrativi. E, pertanto, neanche sotto il profilo delle norme di salvaguardia il mancato rispetto dei principi generali può apparire giustificato.

Non va trascurato l'ultimo riflesso, sotto cui l'art. 18 si presenta illegittimo.

E pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che le leggi dello Stato sono vigenti nelle Regioni, anche se queste abbiano nella stessa materia potestà legislativa primaria, quando la Regione non abbia adottato o non adotti una propria legge. Nella specie, fino a quando la Valle d'Aosta non sostituirà alle leggi dello Stato vigenti in materia di tutela delle bellezze naturali un proprio ordinamento e non lo renderà concretamente attuabile, la Valle non potrà attribuire alle sue autorità amministrative poteri avulsi, ad un tempo, e dalla legge statale e dalla legge regionale, che, pur essendo entrata in vigore, non contiene una completa disciplina della materia e non é ancora in piena applicazione.

Fino a quando non si avrà tale applicazione, la Regione dovrà osservare e fare osservare le leggi dello Stato, adottando, con i poteri che le derivano dall'art. 5 del D.L.C.P.S. 23 dicembre 1946, n. 532, i provvedimenti previsti dalle leggi stesse: il che, del resto, varrà ad ovviare al pericolo che gli organi regionali possano trovarsi, in questo periodo transitorio, di fronte ad irreparabili - e deprecabili - manomissioni delle bellezze paesistiche della Valle.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

respinge le eccezioni proposte dalla Regione;

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 18, secondo comma, della legge della Regione della Valle d'Aosta 28 aprile 1960, n. 3: "Legge regionale urbanistica e per la tutela del paesaggio in Valle d'Aosta", in riferimento all'art. 42 della Costituzione ed all'art. 2, prima parte, dello Statuto speciale per la stessa Valle.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 2 marzo 1962.