Sentenza n. 73 del 1961
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SENTENZA N. 73

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio promosso dal Presidente della Giunta provinciale di Bolzano con ricorso notificato l'8 febbraio 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 22 febbraio successivo ed iscritto al n. 5 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra la Provincia di Bolzano e la Regione Trentino-Alto Adige, sorto a seguito della deliberazione della Giunta regionale del Trentino-Alto Adige del 28 luglio 1960, n. 1311.

Udita nell'udienza pubblica del 22 novembre 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi l'avv. Karl Tinzl, per il Presidente della Giunta provinciale di Bolzano, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige.  

Ritenuto in fatto 

L'Azienda elettrica consorziale delle città di Bolzano e Merano, con deliberazione 10 maggio 1958 (n. 33/4), approvava una transazione, stipulata dal Commissario straordinario dell'Azienda col dott. Tullio Menestrina, per la definizione di diverse cause pendenti.

Con provvedimento 29 maggio 1958 (n. 14916/5015), la Giunta provinciale di Bolzano annullava detta deliberazione, ai sensi dell'art. 17, ultimo comma, T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578, ritenendola lesiva degli interessi dell'Azienda. Contro il provvedimento della Giunta, il dott. Menestrina propose ricorso al Ministero dell'interno, ma questo, con atto 11 aprile 1959, si dichiarò incompetente. Il dott. Menestrina presentò allora nuovo ricorso alla Giunta regionale del Trentino-Alto Adige, la quale, con deliberazione 28 luglio 1960, n. 1311, ritenuta la propria competenza, accolse il ricorso, e dichiarò valida ed operante la deliberazione con cui l'Azienda aveva approvato la transazione.

In riferimento a tale deliberazione della Giunta regionale, la Provincia di Bolzano, rappresentata dall'avv. Tinzl, con atto notificato l'8 febbraio 1961 al Presidente della Giunta regionale e al Presidente del Consiglio dei Ministri e depositato il 22 febbraio successivo, ha proposto ricorso per regolamento di competenza, chiedendo che questa Corte dichiari l'incompetenza della Regione e della Giunta regionale. Il ricorso rileva che, non esistendo un rapporto di dipendenza gerarchica tra Provincia e Regione, ed essendo anzi le Province di Trento e di Bolzano fornite di una speciale autonomia che le pone sullo stesso piano della Regione, manca il presupposto di un ricorso amministrativo dalla Giunta provinciale alla Giunta regionale; d'altra parte, l'art. 38 dello Statuto speciale non comprende fra i poteri della Giunta regionale il controllo sulle Giunte provinciali, e l'art. 48, nel comprendere fra le attribuzioni della Giunta provinciale la vigilanza e la tutela sulle Amministrazioni comunali, sui consorzi ecc., non sottopone l'attività della stessa Giunta ad alcuna sorveglianza della Giunta regionale. Né la competenza di quest'ultima può fondarsi sul combinato disposto degli artt. 5, 13 e 92 dello Statuto speciale, in quanto, sostiene la ricorrente, la competenza legislativa della Regione, di cui all'art. 5, nn. 1 e 6, non si estende ai controlli di cui trattasi, e manca, quindi, il presupposto perché, ai sensi dell'art. 13, la Regione possa esercitare potestà amministrativa in questo campo. Né vale invocare l'art. 92 dello Statuto speciale, perché la legge dello Stato che, in mancanza della legge regionale, si dovrebbe applicare, secondo tale articolo, é il ricordato art. 48 dello stesso Statuto; se così non fosse, si dovrebbe continuare ad applicare l'art. 17 della legge 15 ottobre 1925, secondo cui competente a decidere il ricorso contro l'atto di controllo negativo della Giunta provinciale sarebbe il Ministro per l'interno.

Si é costituita in giudizio la Regione Trentino-Alto Adige, rappresentata dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 25 febbraio 1961. In esse si sostiene che é ammissibile il ricorso amministrativo alla Regione contro atti della Provincia, in quanto, pur non sussistendo un vero e proprio rapporto di gerarchia tra la Giunta provinciale e la Giunta regionale, non v'é tra esse un'assoluta estraneità, e il ricorso amministrativo é ben giustificato per la maggiore sfera di competenza della seconda, e perché le autonomie delle due Province si inseriscono nell'unitaria rappresentanza di interessi attribuita alla Regione. Si considera, inoltre, che la Regione, per l'art. 5, nn. 1 e 2, dello Statuto speciale, può disciplinare legislativamente la vigilanza e la tutela sugli enti locali, e per l'art. 13 può esercitare fin d'ora le potestà attribuite dall'ordinamento agli organi dello Stato. D'altra parte, le dette competenze della Regione e delle Province trovano un limite nei principi fissati dalle leggi dello Stato, tra cui é da annoverare il principio della non definitività degli atti di controllo negativi e repressivi, enunciato nell'art. 343 della legge comunale e provinciale del 1934. La non definitività di tali atti non é contraddetta dall'art. 48, n. 5, dello Statuto speciale, mentre é confermata dagli artt. 13 e 38, che attribuiscono alla Giunta regionale l'attività amministrativa per gli affari di interesse regionale, ed in particolare le potestà che l'ordinamento preesistente attribuiva agli organi dello Stato. Escluso, quindi, che possa considerarsi tuttora in vigore il potere del Ministro per l'interno di decidere i ricorsi de quibus, la Regione conclude perché sia dichiarata la competenza della Giunta regionale.

La Provincia di Bolzano, in data 6 novembre 1961, ha presentato un'ampia memoria illustrativa. In essa si riafferma il carattere definitivo degli atti di controllo emessi dalla Giunta provinciale, desumendolo dagli artt. 48, n. 5, e 38 dello Statuto speciale, e dall'art. 63 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sugli organi delle Regioni di diritto comune. Si soggiunge che, se dovesse applicarsi l'art. 343 della legge comunale e provinciale 1934, competente a decidere il ricorso contro gli atti di controllo negativi della Giunta provinciale sarebbe il Ministro per l'interno, e mai la Giunta regionale. Quanto all'art. 13 dello Statuto speciale, la difesa della Provincia osserva che, per interpretazione acquisita, presupposto per il passaggio del potere amministrativo dallo Stato agli organi regionali é che siano state emanate le norme di attuazione o che l'ente abbia fatto uso del potere legislativo in materia: presupposti, entrambi, non sussistenti nella specie. Né, d'altra parte, la Regione avrebbe potuto con sue leggi attribuire alla propria Giunta un potere di controllo su atti della Giunta provinciale, previsti da norma statutaria che non contempla quel controllo; in ogni caso, poi, la potestà legislativa della Regione avrebbe trovato un limite nel ricordato art. 63 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, che attribuisce carattere definitivo agli atti di controllo degli organi regionali. Infine, ricordata la posizione di parità delle Province con la Regione nelle materie assegnate alle prime dallo Statuto, la memoria nega che, in mancanza di una norma positiva ed esplicita, si possa attribuire una competenza di controllo alla Regione, ed esclude che, nella specie, possa configurarsi un ricorso gerarchico improprio, giacché il ricorso gerarchico presuppone, nell'autorità a cui é affidato il riesame, la stessa competenza di quella che ha emesso l'atto.

L'Avvocatura dello Stato ha presentato memoria in data 30 settembre 1961. In essa si richiama un parere del Consiglio di Stato, facendo proprie le ragioni in base alle quali é stato ritenuto che per l'art. 13 dello Statuto speciale, si é verificato ope legis il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alla Regione, e che l'art. 343 del T.U. 3 marzo 1934, n. 383, sostituito dall'art. 18 della legge 9 giugno 1947, n. 530, deve trovare applicazione nell'ordinamento regionale. Non può, infatti, ritenersi che in tale ordinamento siano venute a cessare le funzioni innanzi esercitate dall'Amministrazione centrale dello Stato nei confronti degli organi periferici di vigilanza e tutela. Che non ci sia stata una volontà abrogativa, in tal senso, si desume, attraverso una interpretazione sistematica, dallo Statuto regionale, il quale ha stabilito una correlazione tra la potestà legislativa della Regione, comprensiva dell'ordinamento dei Comuni, delle Province e degli enti locali (e, quindi, dei relativi controlli), e la sua potestà amministrativa, che conseguentemente si estende alle funzioni di vigilanza e tutela. Tali funzioni sono da ritenere comprese tra gli affari amministrativi di interesse regionale, attribuiti alla competenza della Giunta regionale, alla quale va riconosciuta una posizione di supremazia amministrativa rispetto alla Giunta provinciale. L'esposta tesi trova conferma, conclude la memoria, nell'art. 130 Cost., che attribuisce agli organi regionali i controlli su gli atti dei Comuni, delle Province e degli enti locali, ed in altre norme di legge, che espressamente prevedono il ricorso alla Giunta regionale avverso provvedimenti della Giunta provinciale. 

Considerato in diritto 

Il ricorso della Provincia di Bolzano pone la questione se contro un atto della Giunta provinciale di Trento o di Bolzano, che neghi l'approvazione al provvedimento di un ente soggetto alla sua vigilanza e tutela ai sensi dell'art. 48, n. 4, dello Statuto speciale, sia ammesso ricorso gerarchico improprio alla Giunta regionale, in applicazione dell'art. 343, secondo comma, T.U. legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, successivamente modificato.

Osserva la Corte che l'ordinamento regionale, previsto dalla Costituzione e instaurato dagli Statuti per le Regioni a ordinamento speciale, ha dato luogo a un sistema di autonomie e di decentramento, che comprende la disciplina dei controlli sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. Tale disciplina, basata sull'art. 130 Cost., é contenuta in norme dei singoli Statuti e, in maniera organica, nella legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulle Regioni a statuto ordinario. Una applicazione del principio di autonomia, sui cui si fonda il sistema, e del criterio di decentramento, secondo cui la Costituzione vuole sia esercitato il controllo sugli enti locali (art. 130 cit.), consiste nel carattere definitivo delle pronunce degli organi a cui é affidato il detto controllo. La impugnabilità di esse in via amministrativa, infatti, implicherebbe una posizione di subordinazione gerarchica di tali organi, quanto meno impropria, che contrasterebbe con l'autonomia dell'ente a cui essi appartengono. É noto, del resto, che la definitività degli atti di controllo, nel campo dell'ordinamento regionale, é enunciata nell'art. 63 della citata legge n. 62 del 1953: e questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, pur riferendosi tale legge alle Regioni a statuto ordinario, da essa possono desumersi i principi delle leggi dello Stato, a cui si richiamano gli Statuti delle Regioni a ordinamento speciale. É vero che tali principi possono dedursi anche da altre norme statali sui controlli amministrativi, ma solo in quanto si inquadrino nel sistema dell'ordinamento regionale, e nei suoi principi fondamentali, costituzionalmente garantiti. Non é questo il caso, a giudizio della Corte, della disposizione dell'art. 343, secondo comma, legge comunale e provinciale 1934, giacché detta disposizione introdurrebbe nell'ordinamento regionale una figura di ricorso gerarchico improprio, in antitesi coi richiamati principi di autonomia. Può aggiungersi che, se si fosse voluto riprodurre in tale ordinamento quella eccezione al generale principio della definitività degli atti degli enti autarchici, che é rappresentata dal secondo comma dell'art. 343, lo si sarebbe detto esplicitamente nel ricordato art. 63 della legge 10 febbraio 1953, n. 62: avendo, invece, detto articolo stabilita indiscriminatamente la definitività degli atti di controllo per le Regioni a statuto ordinario, si é portati a riconoscere a maggior ragione tale carattere negli atti di controllo compresi negli Statuti speciali, che attribuiscono una più ampia e penetrante autonomia alle rispettive Regioni.

Le esposte considerazioni vanno riferite al caso in oggetto.

Lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nell'art. 48, n. 5, ha assegnato alle Giunte provinciali quei poteri di controllo sui Comuni e gli enti locali, che gli altri Statuti speciali hanno affidato ad organi della Regione (art. 46 Stat. sardo; art. 43 Stat. Valle d'Aosta). E questo un aspetto della particolare autonomia che si é inteso attribuire alle Province di Trento e di Bolzano. In applicazione dei principi innanzi esposti, deve ritenersi che gli atti di controllo compiuti dalle dette Province abbiano quel carattere di definitività che é proprio, nell'ordinamento regionale, delle pronunce di controllo sugli atti degli enti locali.

Né lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige contiene elementi da cui possa desumersi una deroga all'enunciato principio.

Secondo la tesi della Regione si dovrebbe configurare, come si é detto, un ricorso gerarchico improprio alla Giunta regionale contro i cosiddetti atti di controllo negativi emessi dalla Giunta provinciale. Se non che va osservato, in proposito, che é ormai pacifico in giurisprudenza e in dottrina che il ricorso gerarchico improprio é un rimedio eccezionale, che deve essere espressamente previsto dalla legge. Nella specie, non solo non é contemplato dallo Statuto, ma l'ammissibilità di esso non si può neanche desumere dai richiami in questo contenuti alle potestà e alle leggi dello Stato, né si inquadra nei rapporti tra Provincia e Regione, quali sono garantiti dallo stesso Statuto. A dimostrarlo é sufficiente una breve analisi delle norme su cui si é imperniata la discussione tra le parti.

L'art. 5 dello Statuto speciale attribuisce alla potestà legislativa secondaria della Regione l'"ordinamento dei Comuni e delle Province". Prescindendo dalla questione se tale indicazione comprende la materia dei controlli e se la Regione, nell'esercizio della detta competenza, possa attribuire a se stessa dei poteri in questa materia, é rilevante la considerazione che la competenza legislativa regionale di cui al detto art. 5 trova un limite nei "principi stabiliti dalle leggi dello Stato". Ora se - come si é visto - la definitività degli atti di controllo é un principio stabilito dalla legge dello Stato in relazione all'ordinamento regionale, e deriva, per di più, dai principi costituzionali di autonomia e di decentramento, ne consegue che in nessun caso la Regione potrebbe derogare, con una propria legge, al detto principio. A parte il fatto che una tale legge non é stata, nella specie, emanata dalla Regione.

Ulteriore conseguenza é che non vale a dimostrare l'ammissibilità del ricorso in questione far riferimento all'art. 13 dello stesso Statuto. Tale articolo attribuisce, rispettivamente, alla Regione e alla Provincia le potestà amministrative già dello Stato, nelle materie e nei limiti in cui Regione e Provincia hanno competenza legislativa; ma, se la competenza legislativa della Regione ha un limite nella inderogabilità del principio della definitività degli atti di controllo, manca il presupposto perché la Regione possa essere considerata titolare di una potestà amministrativa di conoscere dell'impugnativa contro i detti atti.

Risulta, invece, chiaramente dallo Statuto che la potestà di controllo sugli atti dei Comuni e degli altri enti locali, già esercitata da organi statali, é stata interamente trasferita alla Provincia, senza possibilità di ulteriori gravami.

É vero che la disposizione dell'art. 48, n. 5, dello Statuto speciale, richiede l'integrazione di altre norme, relative ai casi, ai modi e ai procedimenti di vigilanza e di tutela, e che, in mancanza di leggi regionali o provinciali, per l'art. 92 dello Statuto si applicano le leggi dello Stato; ma tali leggi si applicano nell'ambito delle competenze attribuite alla Regione o alla Provincia e non si può, attraverso il riferimento ad esse, riconoscere alla Regione una competenza che non le sia stata già attribuita dallo Statuto.

Né vale richiamarsi all'art. 38, n. 1, dello Statuto speciale, che attribuisce alla Giunta regionale l'"attività amministrativa per gli affari di interesse regionale": in primo luogo, é chiaro che la norma intende far riferimento all'amministrazione cosiddetta attiva; in secondo luogo, la decisione di ricorsi, anche in materia di pura legittimità, non può considerarsi affare di interesse regionale e, quando anche la Regione potesse essere ritenuta titolare di un interesse alla legittimità degli atti delle Province, da ciò non deriverebbe un suo potere di decidere ricorsi contro tali atti.

Maggior pregio non ha la considerazione che la Regione ha una sfera di interessi più ampia di quella della Provincia. A parte il fatto, per se stesso decisivo, che la maggiore ampiezza di interessi non basta a determinare un rapporto di gerarchia impropria, che - come si é visto - solo la legge può, eccezionalmente ed esplicitamente, stabilire tra enti autonomi, va riconosciuto che lo Statuto del Trentino-Alto Adige ha compiuto una precisa e del tutto particolare distribuzione di competenze tra Regione e Provincia legge che non può essere alterata dalla indubbia esigenza che l'attività delle Province si svolga in armonia con gli interessi della Regione, nel quadro dell'unitario ordinamento dello Stato.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara che non spetta alla Regione Trentino-Alto Adige decidere ricorsi proposti avverso atti di controllo adottati dalla Giunta provinciale ai sensi dell'art. 48 dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige;

annulla per conseguenza la deliberazione della Giunta regionale del Trentino-Alto Adige 28 luglio 1960, n. 1311.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1961.