Sentenza n. 66 del 1961
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SENTENZA N. 66

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge regionale della Valle d'Aosta 6 ottobre 1960, riguardante l'autorizzazione all'emissione di azioni al portatore nella Regione autonoma della Valle d'Aosta, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 28 ottobre 1960 depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 3 novembre successivo ed iscritto al n. 22 del Registro ricorsi 1960.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione della Valle d'Aosta;;

udita nell'udienza pubblica del 18 ottobre 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Chiarelli;

uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per il Presidente della Regione della Valle d'Aosta.  

Ritenuto in fatto 

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con ricorso notificato il 28 ottobre 1960 e depositato il 3 novembre successivo, ha impugnato la legge della Valle d'Aosta 6 ottobre 1960 sulla "autorizzazione alla emissione di azioni al portatore nella Regione autonoma della Valle d'Aosta". Detta legge stabilisce che possono essere emesse azioni al portatore dalle società, esistenti o di nuova formazione, con sede nella Regione, le quali abbiano per oggetto la costituzione e l'esercizio di imprese agricole, industriali, commerciali, alberghiere e turistiche (art. 1) e favoriscano lo sviluppo economico e sociale della Regione (art. 2). L'emissione di tali azioni é subordinata ad autorizzazione, da concedersi con decreto del Presidente della Giunta regionale, secondo le modalità e alle condizioni (versamento di una cauzione) stabilite dalla legge stessa (art. 3 e segg.).

Col ricorso viene denunciata l'illegittimità costituzionale di tale legge, in quanto eccedente la competenza legislativa della Regione, di cui agli artt. 2 e 3 dello Statuto speciale, approvato con legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4. Essa, infatti, si sostiene nel ricorso, non trova fondamento nell'art. 2 St. citato, perché le materie ivi elencate non riguardano la disciplina delle azioni di società, e perché sulla potestà legislativa attribuita alla Regione per singole e separate materie non può basarsi un provvedimento legislativo, come quello impugnato, che sia innovativo rispetto a una norma di principio vigente in sede nazionale, avente finalità fiscali e concernente tutte le attività industriali e produttive nel loro complesso, qual'é la norma che stabilisce la nominatività delle azioni. Né la legge impugnata trova miglior fondamento nell'art. 3 St. speciale, che prevede una potestà di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica. A parte il rilievo che tale competenza legislativa non comprende l'emanazione di norme in materia di azioni, il potere di adattamento ivi previsto non può mai risolversi nell'emanazione di norme che siano in contrasto con quelle nazionali e sostanzialmente sopprimano la legge di cui dovrebbero disciplinare l'applicazione. Inoltre, secondo il ricorso, nella nominatività obbligatoria dei titoli azionari va riconosciuta una applicazione dei principi di cui agli artt. 47 e 53 Cost., come confermerebbe anche l'art. 17 legge 5 gennaio 1956, n. 1.

Al ricorso resiste la Regione della Valle d'Aosta, costituitasi con deduzioni depositate il 16 novembre 1960. In queste si osserva, preliminarmente, che le altre Regioni a Statuto speciale hanno adottato leggi eguali alla legge in oggetto: di esse, quella sarda e quella del Trentino-Alto Adige non sono state impugnate, mentre il ricorso contro la legge siciliana 8 luglio 1948 era stato precedentemente respinto dall'Alta Corte per la Regione siciliana. La Regione della Valle d'Aosta non ha poteri inferiori a quelli attribuiti dai rispettivi Statuti alla competenza legislativa delle altre Regioni, e comunque, nella specie, non ha superato i limiti della propria competenza. La legge impugnata, infatti, in quanto riguarda società che abbiano per oggetto l'esercizio di imprese agricole, alberghiere e turistiche, o industriali e commerciali, é conforme all'art. 2 St. speciale, che comprende nella competenza legislativa primaria della Regione l'agricoltura e foreste e l'industria alberghiera e turismo (lett. d e q), ed é conforme all'art. 3, che comprende, nella competenza a emanare norme di integrazione e attuazione delle leggi della Repubblica, l'industria e il commercio (lett. a). In quest'ultima materia, sostiene la difesa regionale, la potestà della Regione della Valle d'Aosta é uguale a quella delle Regioni sarda e del Trentino-Alto Adige; se così non fosse, solo essa non disporrebbe di una potestà legislativa secondaria, e avrebbe un'autonomia inferiore a quella delle Regioni a ordinamento normale. Ma, a parte tale considerazione, la Regione si é mantenuta, con la legge impugnata, nel potere di adattamento delle leggi della Repubblica, che implica un potere di limitare e di modificare queste ultime, per adeguarle alle esigenze regionali. Né, prosegue la difesa della Regione, esiste un vincolo costituzionale per cui con un unico provvedimento legislativo non si possa esercitare, simultaneamente e cumulativamente, la potestà attribuita alla Regione, in materie diverse. Infine, si nega che la nominatività obbligatoria delle azioni, disposta dal decreto - legge 25 ottobre 1941, n. 1148, costituisca un principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, ed un'applicazione degli artt. 53 e 47 Cost., mentre, invece, le azioni al portatore sono previste dall'art. 2355 Cod. civile.

In via subordinata, la Regione chiede che ove, per ipotesi, questa Corte ritenga fondata la questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 3 St. speciale, voglia limitare la dichiarazione di incostituzionalità a quella parte dell'art. 1 della legge impugnata che riguarda le imprese industriali e commerciali, dichiarando non fondata la questione di legittimità per tutti i rimanenti articoli della legge, in conseguenza della modifica del detto art. 1 che risulterebbe da tale pronuncia.

L'Avvocatura generale dello Stato il 2 ottobre 1961 ha presentato una memoria in cui, dopo aver osservato che la mancata impugnativa di leggi analoghe alla presente non implica l'esistenza nella Regione della contestata competenza, ribadisce che la legge impugnata non ha fondamento né nell'art. 2 St. speciale, né nell'art. 3, che attribuisce alla Regione una potestà più regolamentare che legislativa, e riafferma che la Regione non può innovare alla legge della Repubblica sulla nominatività dei titoli azionari. Alla domanda subordinatamente posta dalla Regione, l'Avvocatura oppone che la Corte costituzionale non può sostituirsi al legislatore, modificando la legge impugnata. La memoria conclude con considerazioni d'ordine economico e finanziario.

La difesa della Regione, nella memoria depositata il 4 ottobre 1961, insiste negli esposti argomenti. Essa rileva come il decreto legge 25 ottobre 1941 corrispondeva a esigenze del tempo di guerra, mentre nella successiva emanazione del Codice civile il legislatore ha considerato la nominatività come un elemento del tutto contingente nella struttura delle società per azioni, da regolare in relazione alle circostanze. La legge impugnata, pertanto, é conforme all'art. 3 St. speciale, perché costituisce un adattamento della legislazione generale dello Stato, in materia di società, alle esigenze peculiari della Regione, e perché la materia rientra nel grande settore dell'industria e commercio, attribuito da quell'articolo alla competenza legislativa regionale di attuazione e di integrazione. La memoria illustra, infine, brevemente, sempre in relazione al l'art. 3 St. speciale, la domanda subordinata, proposta con le deduzioni, affermando che la potestà legislativa, di cui in tale articolo, comprende la materia delle società che operano nei settori in esso indicati (industria e commercio). Conclude con considerazioni sullo sviluppo economico - sociale della Regione.

Nell'udienza del 18 ottobre 1961 i difensori delle parti hanno illustrato le tesi svolte negli scritti difensivi, confermando le rispettive conclusioni.  

Considerato in diritto 

Nel resistere al ricorso, la difesa della Regione, pur senza sollevare formalmente una eccezione pregiudiziale, ha insistito sulla circostanza che altre Regioni a Statuto speciale hanno in precedenza emanato leggi di contenuto identico a quella in oggetto, le quali però non sono state impugnate. Il comportamento dello Stato, che ha viceversa ritenuto di proporre il presente ricorso, viene ricondotto dalla detta difesa alla figura dell'eccesso di potere.

A sgombrare il campo da questo preliminare rilievo, va osservato che, a parte le differenze esistenti nelle norme dei singoli Statuti circa la competenza legislativa delle varie Regioni, la mancata impugnazione di leggi analoghe non influisce sulla ammissibilità dell'attuale ricorso, né sui termini della questione proposta.

Da quanto si é precedentemente esposto risulta come la questione che si presenta come fondamentale nell'attuale giudizio é se la disciplina dei titoli azionari possa considerarsi compresa nelle materie dell'agricoltura e del turismo, e dell'industria e commercio, attribuite, con diversi limiti, alla potestà legislativa della Regione della Valle d'Aosta dagli artt. 2 e 3 St. speciale, approvato con legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4.

In conformità alla giurisprudenza di questa Corte, é innanzi tutto da escludere che a stabilire la legittimità costituzionale della legge possa essere determinante la considerazione del fine, che essa si é proposto, di dare incremento nella Regione all'agricoltura, al turismo, all'industria e al commercio. Già in precedenti sentenze si é avuto occasione di affermare che la tassativa elencazione di materie contenuta negli Statuti pone un limite alla competenza legislativa delle Regioni, che non consente l'emanazione di provvedimenti legislativi fuori dell'ambito di esse, anche se preordinati al conseguimento di finalità inerenti alle dette materie (sent. n. 124 del 1957, nn. 2 e 32 del 1960). Occorre, dunque, aver riguardo all'oggetto della legge regionale e al contenuto delle sue norme, per rapportarli alla sfera di competenza legislativa attribuita alla Regione nelle singole materie indicate nello Statuto.

Nella specie, l'oggetto della legge impugnata rientra nella disciplina delle società e della circolazione dei titoli di credito. Essa, inoltre, contiene una regolamentazione pubblicistica di rapporti economici, in quanto prevede un'autorizzazione dell'autorità regionale all'emissione di azioni al portatore, e un controllo sull'attività delle imprese, con relative sanzioni, come l'incameramento della cauzione e la revoca dell'autorizzazione.

A giudizio di questa Corte, tale oggetto e tale disciplina sono fuori della competenza della Regione.

Con l'attribuire alla Regione una competenza legislativa in materia di agricoltura, o di industria e commercio, si é conferita ad essa una potestà di emanare norme aventi per oggetto l'attività agricola, industriale o commerciale. La disciplina di tali attività può comprendere l'emanazione di norme relative alla loro organizzazione e ai rapporti in cui esse si esplicano, ma solo in quanto tale organizzazione e tali rapporti siano propri delle dette attività, siano da esse peculiarmente caratterizzati e si esauriscano nell'ambito di esse. Non rientra, invece, nella potestà legislativa della Regione modificare, in relazione alle singole attività di cui é stata affidata ad essa la disciplina, la regolamentazione di istituti e di rapporti giuridici, che hanno nell'ordinamento giuridico generale una loro propria, unitaria disciplina, che trascende l'ambito delle singole materie attribuite alle Regioni e si ispira a propri principi e a individuate esigenze generali. Se così non fosse, la competenza legislativa delle Regioni si estenderebbe, potenzialmente, a tutto l'ordinamento giuridico, in quanto, salvo i principi, ogni norma di esso potrebbe essere modificata in relazione alle dette materie; e, per converso, tutta la potestà legislativa dello Stato sarebbe limitata dalla potestà della Regione di regolare qualunque rapporto giuridico, nel campo delle attività attribuite alla competenza regionale, in modo diverso dalla legislazione statale. Il che é manifestamente contrario a quella delimitazione di ben precisate competenze che con gli Statuti si é voluto attuare.

Applicando gli esposti criteri al caso presente, va osservato che nel nostro ordinamento la disciplina delle società non riguarda i soggetti di questa o quella attività economica, ma riguarda, in generale, le forme di esercizio collettivo dell'impresa. Se, come vuole un corretto criterio ermeneutico, le formule adoperate negli Statuti si debbono interpretare secondo il significato che hanno nel comune linguaggio legislativo e nel vigente ordinamento giuridico, si é portati a riconoscere che l'espressione "agricoltura" o "industria e commercio" non può essere stata in essi adoperata in un senso comprensivo della disciplina delle società, la quale aveva già nel Codice civile una organica e unitaria sistemazione. Se si fosse voluto attribuire alla Regione una competenza in questa materia, lo si sarebbe detto esplicitamente, come in altri casi in cui la norma statutaria fa riferimento non ad una attività, ma a determinati istituti giuridici (ad es., gli usi civici, l'espropriazione per pubblica utilità per opere non a carico dello Stato, ecc.).

Alla ragione ermeneutica corrisponde la ragione sistematica. La disciplina delle società forma una parte integrante fondamentale dell'ordinamento giuridico, in quanto attiene, da una parte, alla determinazione dei soggetti dell'ordinamento e delle loro strutture; dall'altra, all'organizzazione dell'attività produttiva. Essa, pertanto, non può essere che unitaria, e l'intento di favorire lo sviluppo di una attività economica, in una Regione, non può considerarsi prevalente sull'esigenza di questa unitarietà.

Si può, pertanto, concludere su questo punto che l'attribuzione di una potestà legislativa su determinate attività economiche, o rami di attività economica, non implica una competenza in materia di società, e, quindi, resta esclusa la possibilità di modificare la relativa disciplina statale. Nella specie, lo stesso voler fondare la legittimità costituzionale della legge su due articoli dello Statuto, relativi a diverse forme di potestà legislativa, indica come la materia delle società non rientra senza residui in nessuna delle materie in quegli articoli elencate, come non rientra in alcuna di queste la possibilità di modificare i modi di essere dei soggetti di diritto, delineati dall'ordinamento generale. E se é vero che con unico atto legislativo la Regione può regolare materie distintamente considerate dallo Statuto, é anche vero che in tale esercizio contestuale di distinte competenze la Regione non può avere poteri maggiori di quelli che non abbia in ciascuna di esse.

La violazione dei limiti assegnati alla competenza regionale dalle citate norme dello Statuto é resa, poi, tanto più evidente dal fatto che la legge impugnata introduce, come si é innanzi rilevato, una particolare disciplina pubblicistica nell'ordinamento delle società, e stabilisce apposite sanzioni, nello stesso momento in cui, derogando al decreto legge 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito nella legge 9 febbraio 1942, n. 96, deroga alle sanzioni penali ivi previste.

D'altra parte, anche se la legge in questione potesse farsi rientrare, quanto meno in parte, nella materia dell'industria e commercio, attribuita dall'art. 3 St. speciale alla competenza regionale - come é stato sostenuto dalla difesa della Regione anche nella discussione orale -, essa esorbiterebbe ugualmente dai limiti statutari, in quanto la Regione, nell'esercizio della potestà legislativa di integrazione ed attuazione delle leggi della Repubblica, non può derogare a queste ultime, come ha fatto nella specie.

Non vale richiamarsi in proposito all'art. 2355 Cod. civile, che prevede le azioni al portatore, perché la disposizione contenuta in questo articolo, per l'art. 109 disp. att., non é attualmente vigente. E noto che sono, invece, in vigore le norme del citato decreto legge n. 1148 del 1941. Agli effetti della competenza regionale non é rilevante che tale decreto abbia carattere temporaneo. Quello che ha rilievo é che, nella quiescenza dell'art. 2355 Cod. civile, la norma attualmente vigente nell'ordinamento dello Stato esclude l'emissione di azioni al portatore, e la Regione non può anticipare la reviviscenza di una norma che, sia pure temporaneamente, non é efficace, per effetto di altra norma statale attualmente in vigore.

Inoltre, non può trascurarsi la considerazione che il decreto legge 25 ottobre I941, n. 1148, pur non modificando norme tributarie, incide di fatto sulla loro applicazione, producendo conseguenze di natura fiscale. Ciò é dimostrato, tra l'altro, dalla conferma che il principio della nominatività ha avuto nella legge 5 gennaio 1956, n. 1, integrativa della legge sulla perequazione tributaria.

Ora, é un principio dell'ordinamento speciale delle Regioni, ripetutamente affermato da questa Corte, che l'attività legislativa di esse non può interferire nel sistema fiscale dello Stato, creando difformità nella posizione contributiva dei cittadini e squilibrio nel sistema tributario generale. Anche sotto questo riflesso, quindi, la deroga alle disposizioni sulla nominatività dei titoli azionari si presenta costituzionalmente illegittima.

Tale deroga, infine, col legittimare nella Regione atti considerati come reati dalla legislazione dello Stato (art. 13 del R.D.L. 25 ottobre 1941; art. 29 del R.D.L. 29 marzo 1942, n. 239), implica l'esercizio di una potestà legislativa in materia penale, che la Regione sicuramente non ha.

Le considerazioni qui svolte, quale che sia il giudizio che in sede di politica legislativa e finanziaria possa darsi circa la preferibilità del sistema della nominatività o delle azioni al portatore, mentre confermano quell'esigenza di unitarietà del sistema legislativo, in materia di società e di titoli di credito, in cui é la ratio dell'appartenenza di questa materia alla competenza legislativa dello Stato, portano a negare che la legge impugnata sia stata nei limiti della competenza legislativa attribuita alla Regione, sia dall'art. 2 che dall'art. 3 dello Statuto speciale.

Nel riconoscere, per gli esposti motivi, l'illegittimità costituzionale della legge impugnata, resta assorbita ogni questione relativa alla asserita conformità del sistema delta nominatività dei titoli azionari agli artt. 53 e 47 Costituzione. Viene ugualmente a cadere la domanda, proposta in via subordinata dalla difesa della Regione, di limitare la dichiarazione di illegittimità costituzionale a quella parte della legge che riguarda le società per la gestione di imprese industriali e commerciali.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara la illegittimità costituzionale della legge regionale della Valle d'Aosta 6 ottobre 1960, riguardante l'autorizzazione all'emissione di azioni al portatore nella Regione autonoma della Valle d'Aosta, in relazione agli artt. 2 e 3 Statuto speciale per la Regione della Valle d'Aosta.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 dicembre 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1961.