Sentenza n. 75 del 1960
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SENTENZA N. 75

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, n. 2717, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1959 dalla Corte di appello di Firenze nel procedimento civile vertente tra Ricci Carlo Alberto e l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e del territorio del Fucino, il Ministero dell'agricoltura e delle foreste e con l'intervento di Bracci Olga vedova Ricci, iscritta al n. 120 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 del 5 dicembre 1959.

Udita nell'udienza pubblica del 7 dicembre 1960 la relazione del Giudice Gaspare Ambrosini;

uditi gli avvocati Sebastiano Luigi Noto e Vincenzo Vacirca, per Ricci Carlo Alberto, l'avv. Guido Astuti, per l'Ente Maremma, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Ministero dell'agricoltura e delle foreste.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto 29 novembre 1952, n. 2717, del Presidente della Repubblica, venne disposto il trasferimento all'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e del territorio del Fucino, di terreni di proprietà di Ricci Carlo Alberto posti in Pomarance (Pisa), per complessivi Ha. 63.19.67, con reddito dominicale di lire 12.704,15 attribuendoglisi l'indennizzo di lire 1.418.994,67.

Nel corso del giudizio per retrocessione dei beni espropriati, promosso contro il Ministero dell'agricoltura e contro l'Ente Maremma davanti al Tribunale di Firenze con atto notificato il 21 e il 24 marzo 1953, il Ricci sollevò la questione di legittimità costituzionale avverso il citato decreto presidenziale per diversi motivi, tra i quali quello concernente l'applicazione dei dati del nuovo catasto ai fini del calcolo della percentuale di scorporo.

Il Tribunale con sentenza 25 novembre 1954-12 febbraio 1955 respingeva la domanda dell'attore. Proponendo appello con atto 26 aprile 1955 avverso la detta sentenza, il Ricci insistette sui motivi esposti nel giudizio di primo grado, aggiungendone altri e chiedendo, quindi, che fosse disposta la sospensione del giudizio e fossero rimesse le questioni di legittimità costituzionale del decreto presidenziale del 29 novembre 1952, n. 2717, alla Corte costituzionale.

Con ordinanza del 20 aprile 1959 la Corte di appello di Firenze respinse come manifestamente infondate le varie questioni di illegittimità costituzionale prospettate dal Ricci, salvo quella con la quale egli, premesso che il calcolo della percentuale di scorporo fu, nel caso, effettuato applicando i dati del nuovo catasto entrato in attuazione nel Comune di Pomarance successivamente all'entrata in vigore della legge 21 ottobre 1950, n. 841, assumeva che con ciò il decreto presidenziale n. 2717 del 1952 aveva violato l'art. 4 della legge, secondo cui, ai fini dello scorporo, il reddito dell'intera proprietà é determinato dall'applicazione della tariffa di estimo in vigore al 1 gennaio 1943, con riferimento alla consistenza stabilizzata al 15 novembre 1949.

In proposito, la Corte di Firenze si é richiamata alla sentenza 15 novembre 1958, n. 70, della Corte costituzionale, la quale, decidendo una identica questione, ha affermato il principio che ai fini della applicazione della tabella di scorporo annessa alla legge stralcio, si deve tenere conto dei dati risultanti dal catasto in vigore alla data del 15 novembre 1949.

L'ordinanza della Corte di appello di Firenze ritualmente notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle Camere, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 5 dicembre 1959, n. 295.

Nei termini di legge si sono costituiti nel presente giudizio l'ing. Carlo Alberto Ricci, l'Ente Maremma e il Ministero della agricoltura e delle foreste.

La difesa del Ricci ha depositato delle deduzioni nelle quali sostiene, riferendosi a varie sentenze della Corte costituzionale, che l'impugnato D.P.R. 29 novembre 1952, n. 2717, é viziato di eccesso di delega legislativa per avere applicato, ai fini dello scorporo, i dati del nuovo catasto entrato in attuazione nel Comune di Pomarance successivamente all'entrata in vigore della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e non, invece, le risultanze catastali al 15 novembre 1949, e inoltre per avere incluso nello scorporo anche i boschi che in Comune di Pomarance sono soggetti al vincolo idrogeologico, come da attestazione dell'Ispettorato dipartimentale del Ministero dell'agricoltura.

La difesa dell'Ente Maremma fa del pari riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 70 e 71 del 1958, con le quali venne deciso che ai fini dello scorporo si deve aver riguardo ai dati del catasto in conservazione alla data del 15 novembre 1949 per il classamento, la qualità di coltura e l'estensione dei terreni; ma assume che nelle fattispecie decise dalla Corte si trattava di proprietà che in base ai dati catastali vigenti al 15 novembre 1949 avevano un reddito dominicale imponibile inferiore alla somma di lire 30.000, e cioè inferiore alla quota base esente da scorporo, mentre nel caso in esame trattasi, invece, di una proprietà che sarebbe suscettibile di espropriazione anche secondo i dati del catasto vigente al 15 novembre 1949, avendo un reddito superiore a lire trentamila. Sostiene, poi, che il termine "consistenza" usato dall'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, significa "quantità", non già classificazione catastale, e che la data del 15 novembre 1949 debba tenersi presente unicamente per quanto concerne la determinazione del patrimonio dei soggetti passivi al fine di rendere irrilevanti le alienazioni e gli acquisti avvenuti dopo tale data e da assoggettare all'espropriazione solo i patrimoni che a tale data avevano un reddito imponibile dominicale totale superiore a lire trentamila.

Questa interpretazione dell'art. 4 troverebbe conferma nella norma del successivo art. 6 della stessa legge n. 841, per cui "nelle zone dove sono in vigore i vecchi catasti l'Ente espropriante e il proprietario espropriato hanno facoltà di ricorso ai fini della determinazione definitiva del reddito dominicale imponibile per ogni questione riflettente la non corrispondenza dell'estensione, della classe di produttività e della quantità di coltura del fondo rispetto ai dati risultanti dal catasto". La legge, cioè, avrebbe preso in considerazione le risultanze catastali al momento della sua entrata in vigore, non alla data del 15 novembre 1949. Secondo l'Ente la prova della fondatezza della sua tesi é costituita dagli artt. 1 e 4 della legge 15 marzo 1956, n. 156, in quanto l'art. 1, secondo comma, lett. a, fa riferimento esplicito alla ipotesi di terreni espropriati "secondo redditi rilevati dal nuovo catasto, già in conservazione all'atto della pubblicazione dei piani particolareggiati di espropriazione", e l'art. 4 dispone che nei Comuni "dove era in vigore il vecchio catasto, alla data di pubblicazione dei piani particolareggiati di espropriazione, l'indennità viene liquidata nella misura indicata nei decreti di espropriazione"; cosicché il riferimento alla data di pubblicazione dei piani sarebbe determinante.

In via subordinata, la difesa dell'Ente rileva che, qualora la Corte dovesse ritenere la illegittimità costituzionale del decreto in questione, il vizio di illegittimità dovrebbe incidere solo pro parte sul contenuto del provvedimento, in quanto abbia potuto determinare, con riferimento ai dati del nuovo catasto anziché a quelli del vecchio catasto vigente il 15 novembre 1949, l'espropriazione di una estensione superiore a quella da calcolare in base all'art. 4 della legge n. 841. Conclude chiedendo che venga dichiarata infondata la proposta questione di legittimità costituzionale.

Per il Ministero dell'agricoltura e foreste l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato le deduzioni in data 22 settembre 1959, nelle quali anzitutto sostiene l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta dalla Corte di appello di Firenze con l'ordinanza in esame, adducendo che questa, nonostante l'apparente completezza della motivazione, é lacunosa, in quanto non rende conto della rilevanza della questione ai fini della decisione del giudizio principale, e, in definitiva, lascia incerti sull'oggetto stesso della questione medesima.

Nel merito esprime dubbi e perplessità circa il principio affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 1958, ove allo stesso si dia valore generale ed assoluto. Sembra alla difesa del Ministero dell'agricoltura che l'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, debba essere considerato nella luce interpretativa che su di esso proietterebbe l'art. 1 della legge 15 marzo 1956, n. 156, che prevede espressamente l'ipotesi che terreni, ricadenti in zone a vecchio catasto alla data del 28 marzo 1947, siano stati espropriati secondo redditi rilevati dal nuovo catasto, già in conservazione alla data dei piani particolareggiati di espropriazione.

Dalla lettera della disposizione in esame, l'Avvocatura dello Stato desume che il legislatore non solo ha considerato legittima l'espropriazione avvenuta sulla base di dati (e di redditi), vigenti all'atto della pubblicazione dei piani di esproprio, anche se diversi da quelli in vigore al 15 novembre 1949, ma che ha dettato una speciale disciplina normativa ad hoc. Il disposto dell'art. 1, primo capoverso, lett. a, della citata legge non sarebbe un precetto autonomo e slegato, ma formerebbe sistema con il meccanismo legislativo escogitato per la liquidazione dell'indennità, tanto nel primo comma dello stesso art. 1, quanto nel successivo art. 4.

Pertanto, l'Avvocatura dello Stato conclude perché la Corte costituzionale dichiari inammissibile quanto meno allo stato degli atti, o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dalla Corte di appello di Firenze con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Successivamente e nei termini le parti hanno presentato delle memorie.

Nella memoria a stampa del 24 novembre 1960, la difesa del Ricci insiste nelle precedenti tesi. Combattendo l'eccezione sollevata dalle controparti in ordine all'insufficienza del giudizio di rilevanza della questione di legittimità costituzionale formulato dalla Corte di appello, richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 60 del 25 maggio 1957 e n. 4 del 27 gennaio 1959, sostenendo che é inammissibile il sindacato della Corte costituzionale sul merito del giudizio di rilevanza. Il carattere meramente delibativo dell'atto del giudice che prospetta la questione di legittimità costituzionale permetterebbe che, una volta affermata la identità della questione stessa con altra già decisa alla Corte (sent. n. 70 del 15 novembre 1958), l'ordinanza sia sufficientemente motivata, anche se soltanto per relationem.

Per quanto riguarda la diversità delle fattispecie tra il caso presente e quello della citata sentenza n. 70 del 1958, asserita dall'Ente Maremma, la difesa del Ricci si richiama a quanto essa ha sostenuto nel giudizio di merito - e cioé che il reddito dominicale della proprietà, ai fini dello scorporo, avrebbe dovuto essere valutato in lire 28.699,58 (vale a dire, come nel caso della sentenza n. 70, in una somma inferiore a lire 30.000, e quindi esente) assumendo che l'ordinanza della Corte di appello ha accolto implicitamente questi dati come un suo presupposto logico-giuridico. Ammettere che l'Ente Maremma possa ora fornire il calcolo della quota scorporabile in base al vecchio catasto si risolverebbe, si dice, in un inammissibile sindacato sul merito del giudizio di rilevanza.

La difesa del Ricci, infine, nega che la legge 15 marzo 1956, n. 156, possa essere invocata al fine di ottenere un cambiamento della giurisprudenza della Corte sull'interpretazione dell'art. 4 della legge n. 841 del 1950, giacché la legge del 1956 non avrebbe a che vedere con i criteri attinenti al calcolo della quota di scorporo, limitandosi ad integrare le norme per la liquidazione della indennità.

Nella memoria del 21 novembre 1960 l'Ente Maremma dichiara di non insistere, di fronte alla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, nella richiesta di svincolare dalla data 15 novembre 1949 il riferimento dei dati catastali; ma sostiene che non potrebbe in ogni caso arrivarsi ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale totale del decreto impugnato, sibbene soltanto parziale. Adduce all'uopo dei dati di confronto tra la situazione della proprietà terriera del Ricci secondo il nuovo catasto e quella del vecchio catasto; dai quali dati si desumerebbe che secondo le risultanze del vecchio catasto la proprietà del Ricci sarebbe sempre sottoposta a scorporo pur in misura inferiore a quella fissata dall'impugnato decreto di espropriazione.

Per quanto riguarda i boschi inclusi nello scorporo l'Ente Maremma afferma che "la pretesa illegittimità costituzionale non sussiste, perché la norma dell'art. 5 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, cui la controparte si riferisce, é stata modificata dall'art. 7 della legge 18 maggio 1951, n. 333", che autorizza l'espropriazione di limitate superfici boschive soggette a vincolo idrogeologico.

Nella memoria del 22 novembre 1960, la difesa del Ministero dell'agricoltura e foreste insiste nelle argomentazioni già svolte, sottolineando che, dato che il Ricci non ha fornito la prova del torto subito, la questione di legittimità costituzionale del decreto di espropriazione é prematura, e che, in ogni caso, non essendo l'interessato esente totalmente dallo scorporo, il Ricci potrebbe solo fare una questione di indennità - non ammissibile peraltro in questa sede.

 

Considerato in diritto

 

Sull'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale proposta dalle Corte di appello di Firenze con l'ordinanza del 20 aprile 1959, é da osservare che questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudizio di rilevanza é di competenza esclusiva del giudice di merito, e che é insindacabile da parte della Corte costituzionale, salvo nel caso di omessa o insufficiente motivazione.

Ora, l'ordinanza in esame non può considerarsi, come sostiene l'Avvocatura generale dello Stato, lacunosa, non soltanto perché da tutto il suo contesto risulta la rilevanza della proposta questione ai fini della decisione del giudizio principale, ma anche perché nel passo specifico riguardante la questione, l'ordinanza, riferendosi agli assunti del Ricci, richiama, da un lato, l'addotto errore di applicazione dei dati del nuovo catasto di Pomarance entrato in attuazione dopo il 15 novembre 1949, ed indica, dall'altro, con chiarezza l'oggetto di essa questione, l'assunta violazione cioè dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841.

L'eccezione pregiudiziale di inammissibilità della proposta questione va, quindi, respinta.

Per quanto riguarda il merito, le difese delle parti hanno addotto dati e rilievi di fatto relativi alla condizione della proprietà terriera del Ricci secondo le risultanze del vecchio catasto in vigore nel Comune di Pomarance al 15 novembre 1949, sottoponendoli all'esame della Corte al fine di dimostrare rispettivamente i loro contrastanti assunti: la difesa del Ricci, da una parte, per dimostrare che, in base ai dati da essa indicati come risultanti dal vecchio catasto, la di lui proprietà terriera aveva un reddito imponibile dominicale totale inferiore alla somma di lire 30.000, e che pertanto era esente da scorporo ed in ogni caso non sottoponibile che allo scorporo di una estensione irrilevante di ettari; e, d'altra parte, la difesa dell'Ente Maremma e del Ministero dell'agricoltura per dimostrare che, anche secondo le risultanze del vecchio catasto, la proprietà terriera del Ricci aveva un reddito dominicale imponibile totale superiore alle lire 30.000, e che, pertanto, il decreto presidenziale impugnato non é inficiato dall'indicato vizio di legittimità costituzionale, e che in ogni caso non ne sarebbe viziato che in parte, in quanto, riferendosi ai dati del nuovo catasto, possa avere disposto lo scorporo di una estensione superiore a quella prevista dall'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841.

Ma l'accertamento e la valutazione degli addotti dati di fatto, su cui per giunta le parti non sono d'accordo, competono al giudice del così detto giudizio principale.

Ora nell'ordinanza in esame la questione proposta é una, e precisamente questa: "se il sopracitato decreto presidenziale 29 novembre 1952, n. 2717, tenendo conto, ai fini del calcolo della percentuale di scorporo, dei dati del nuovo catasto entrato in attuazione nel Comune di Pomarance nel 1951, abbia violato l'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e sia, pertanto, viziato di illegittimità costituzionale".

La questione, della quale la Corte si é diverse volte occupata, é stata da essa risolta sempre nel senso che bisogna, secondo il disposto dell'art. 4 della legge n. 841 del 1950, tenere conto, ai fini del calcolo dell'eventuale scorporo, dei dati risultanti dal catasto al 15 novembre 1949, e che conseguentemente sono viziati di illegittimità costituzionale quei provvedimenti di scorporo che hanno posto a base del calcolo i dati del nuovo catasto entrato in attuazione dopo quel giorno.

La difesa dell'Ente Maremma e l'Avvocatura generale dello Stato assumono che l'art. 4 suddetto dovrebbe essere considerato nella luce interpretativa che su di esso proietterebbe l'art. 1 della legge 15 marzo 1956, n. 156, e che conseguentemente sarebbe legittimo l'esproprio avvenuto sulla base di dati approvati anche nel tempo successivo al 15 novembre 1949 sino al giorno della pubblicazione dei piani di esproprio.

Ma quest'ultima legge detta "norme per il pagamento delle indennità dovute in forza delle leggi di riforma agraria", e non apporta innovazioni ai criteri stabiliti nell'art. 4 della legge del 1950, n. 841, per i calcoli relativi alla procedura dell'espropriazione.

Nel sistema dell'art. 4, la data anzidetta del 15 novembre 1949 costituisce un termine costante ed invalicabile di riferimento in riguardo agli elementi che debbono prendersi in considerazione ai fini dello scorporo e della determinazione della superficie da scorporare.

Il provvedimento di espropriazione che, come quello in esame, é stato emesso sulla base dei dati risultanti dal nuovo catasto entrato in attuazione dopo il 15 novembre 1949, ha, quindi, violato le norme dell'art. 4 della legge del 1950, n. 841, e perciò non può sottrarsi alla dichiarazione di illegittimità nella parte che risulti essere superiore a quella che in base al vecchio catasto era consentito espropriare.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta ogni eccezione pregiudiziale;

dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica del 29 novembre 1952, n. 2717, in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, ed in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, in quanto il computo ai fini dell'espropriazione é stato eseguito sulla base dei dati del nuovo catasto entrato in attuazione nel Comune di Pomarance dopo i 15 novembre 1949.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 dicembre 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI.

 

Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 1960.