Sentenza n. 31 del 1960
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SENTENZA N. 31

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto presidenziale 28 dicembre 1952, n. 4250, promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1958 dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra De Gennaro Adelchi e la Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione agraria in Puglia e Lucania, iscritta al n. 18 del Registro ordinanze 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 101 del 26 aprile 1958.

Udita nell'udienza pubblica del 16 marzo 1960 la relazione del Giudice Giuseppe Cappi;

uditi gli avvocati Raffaele Resta e Giuseppe De Gennaro, per De Gennaro Adelchi, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per l'Ente di riforma.

 

Ritenuto in fatto

 

Con scrittura privata 15 settembre 1942, redatta dal notaio Macchiagodena che la sottoscriveva come teste, premesso che il 15 aprile precedente il maggiore pilota della aeronautica Raffaele Pepe e la sig.na Antonietta De Gennaro si erano scambiati solenne e formale promessa di matrimonio, il sig. Adelchi De Gennaro, padre della fidanzata, "donava" alla medesima quattro terreni di varia estensione, concedendone immediatamente il pieno possesso e il godimento. Nella stessa scrittura il sig. De Gennaro si impegnava a trasformare la suddetta donazione, dichiarata "in riguardo al prossimo futuro matrimonio, in rogito notarile, o al termine della guerra in corso, o, quanto meno, a miglior occasione, costituendo detti beni immobiliari in dote o in patrimonio della nascente famiglia".

Il successivo 12 dicembre 1942, la De Gennaro e il Pepe celebravano il matrimonio.

Il 17 novembre 1948, con rogito Macchiagodena, il sig. De Gennaro donava i suddetti appezzamenti di terreno alla figlia Antonietta, irrevocabilmente e senza riserva alcuna, a titolo di costituzione in patrimonio familiare, col possesso legale "da oggi, avendone di già la donataria il possesso materiale".

Successivamente, in applicazione della legge 21 ottobre 1950, n. 841, la Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente per lo sviluppo e l'irrigazione delle Puglie, Lucania e Molise pubblicava contro il sig. Adelchi De Gennaro un piano di espropriazione nel quale la parte della proprietà De Gennaro soggetta all'esproprio stesso veniva calcolata in base ad una estensione terriera comprensiva anche dei circa 45 ha trasferiti alla figlia.

In seguito ad opposizione del De Gennaro, la Sezione specializzata per la riforma fondiaria pubblicava, il 29 settembre 1952, un secondo piano di esproprio, nel quale, in parziale accoglimento del reclamo proposto, la quota da espropriare veniva ridotta per la natura boschiva di una parte dei terreni, ma non si riconoscevano efficaci i due suddetti atti di trasferimento di beni alla figlia e con decreto presidenziale 28 dicembre 1952, n. 4250, pubblicato nel supplemento ord. della Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 1953, i terreni oggetto del piano passavano in proprietà all'Ente riforma, che per mezzo di suoi agenti ne prendeva possesso, per una estensione di Ha 11.07.76.

Con citazione 4 aprile 1955, il De Gennaro conveniva davanti al Tribunale di Larino la Sezione speciale dell'Ente di riforma chiedendo che fosse dichiarato illegittimo il decreto presidenziale 28 dicembre 1952, n. 4250, perché emesso in violazione della delega legislativa, in quanto non erano stati calcolati in decurtazione i beni precedentemente donati. Di conseguenza si chiedeva che l'Ente venisse condannato a restituire al sig. De Gennaro i terreni espropriati, oltre al risarcimento dei danni.

Chiedeva inoltre il De Gennaro che, nella ipotesi che i terreni non fossero rilasciati, l'Ente fosse condannato al risarcimento dei danni.

Secondo l'attore, il decreto presidenziale impugnato avrebbe dovuto essere dichiarato illegittimo in toto, giacché, se si fossero esclusi dalla sua proprietà i terreni donati alla figlia, la proprietà stessa non avrebbe superato il limite minimo richiesto per l'esproprio.

La Sezione convenuta, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, si costituiva in giudizio, opponendosi alla domanda, pur non contestando, senza tuttavia ammetterla espressamente, la circostanza che la De Gennaro era entrata in possesso e godimento dei terreni attribuitile con i due atti suddetti subito dopo la stipulazione del primo.

Con sentenza 30 dicembre 1955, il Tribunale di Larino respingeva la domanda del De Gennaro condannandolo alle spese. Riteneva il Tribunale che la scrittura privata 15 settembre 1942 doveva considerarsi radicalmente nulla come donazione; e quanto all'atto pubblico 17 novembre 1948, esso non poteva dare efficacia alla scrittura precedente, mentre, considerato a sé, non poteva ritenersi "donazione in contemplazione di matrimonio" agli effetti della esenzione dall'esproprio.

Con atto 4 marzo 1956, il De Gennaro proponeva appello alla Corte di Napoli, insistendo nei motivi già dedotti e nelle conclusioni formulate davanti al Tribunale, chiedendo inoltre che la questione di legittimità del decreto presidenziale impugnato fosse rimessa al giudizio della Corte costituzionale.

Con ordinanza 22 gennaio 1958, la Corte di appello di Napoli provvedeva in conformità a tale richiesta.

Secondo la Corte d'appello, nessun dubbio poteva aversi, anzitutto, sulla rilevanza della questione sollevata, mentre, a prescindere da altri argomenti dedotti dal De Gennaro, la questione non poteva ritenersi manifestamente infondata, dopo che la Corte costituzionale , con la sentenza n. 78 del 1957, aveva riscontrato una differenza tra la "donazione in contemplazione di matrimonio" prevista dalle leggi di riforma fondiaria e la fattispecie disciplinata nel Codice civile (art. 785). Riconosceva la ordinanza che nel caso deciso con tale sentenza l'atto formale di donazione, sebbene non vi facesse espresso riferimento, era stato stipulato prima delle nozze, mentre, nella fattispecie in esame, l'atto pubblico era stato posto in essere dopo il matrimonio. Si doveva tuttavia considerare che la documentazione offerta dall'appellante - pure se priva di autonoma rilevanza per difetto di forma (scrittura privata 15 settembre 1942) - dimostrava tuttavia che l'atto pubblico non aveva fatto "che sanzionare una situazione sorta prima del matrimonio ed in considerazione di questo".

Notificata e pubblicata l'ordinanza nelle forme di rito, la Sezione speciale dell'Ente di riforma e il De Gennaro si costituivano davanti a questa Corte, presentando brevi deduzioni e successivamente più estese memorie.

La Sezione speciale di riforma nelle sue argomentazioni difensive, svolte dall'Avvocatura generale dello Stato, fa anzitutto richiamo alle sentenze della Corte costituzionale 16 maggio 1957, n. 78 (causa Cuttano), e 25 novembre 1958, n. 73 (causa Boscarelli). In queste sentenze si era esaminata la questione della portata della espressione "donazioni in contemplazione di matrimonio", contenuta nell'art. 20 della legge stralcio. Nel primo caso (Cuttano) si trattava di una donazione che in fatto si dimostrava essere stata posta in essere riguardo ad un determinato futuro matrimonio, per quanto l'atto formale non contenesse menzione del matrimonio contemplato.

Nel secondo caso (Boscarelli) il padre donava congiuntamente ai tre figli che "espressamente accettavano" alcuni immobili e si aggiungeva che la donazione aveva "carattere definitivo e irrevocabile e che era fatta in contemplazione del matrimonio già avvenuto del figlio Pasquale e dei matrimoni dei figli Michele e Rosario che quanto prima avverranno" (era poi accaduto che dei due ultimi solo il Boscarelli Michele in prosieguo si era sposato).

Nel primo caso la donazione fu ritenuta opponibile, nel secondo no.

Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, sia nell'una che nell'altra sentenza risulta affermato e ribadito il principio che l'art. 20 della legge stralcio é conforme all'art. 785 Cod. civ. nel richiedere che le donazioni siano fatte in riguardo di un matrimonio determinato e futuro, secondo l'intento del legislatore di salvare la efficacia delle donazioni compiute per facilitare la formazione di nuove famiglie e non già di quelle compiute a favore di famiglie già costituite.

Nella specie, osserva l'Avvocatura, l'atto di donazione era stato fatto dopo il matrimonio, mentre nessun valore poteva attribuirsi, al riguardo, alla scrittura privata 15 settembre 1942.

L'atto di costituzione di patrimonio familiare, poi, secondo l'Avvocatura, é del tutto diverso, per contenuto, per natura, per effetti, dall'atto di donazione in contemplazione di matrimonio. Si tratta di un istituto a sé, ben configurato nel Codice, con finalità sue proprie, che il legislatore della riforma agraria ben avrebbe potuto - se lo avesse voluto - espressamente richiamare.

L'Avvocatura concludeva quindi nelle deduzioni per l'infondatezza delle questioni di costituzionalità.

La difesa del De Gennaro chiede invece che il decreto presidenziale impugnato sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, con ogni legale conseguenza.

Già nel giudizio davanti al Tribunale e alla Corte di appello la difesa del De Gennaro aveva discusso a lungo le questioni controverse, contestando la tesi che "le donazioni in contemplazione di matrimonio", ai sensi delle leggi di riforma, siano solo quelle "riguardo ad un determinato futuro matrimonio" previste nell'art. 785 Cod. civile. Al riguardo - accompagnando i suoi richiami con numerose citazioni di dottrina - esaminò diverse disposizioni di legge (art. 805 Cod. civ.; art. 61 legge registro; art. 3 T.U. sulla imposta straordinaria sul patrimonio; ecc.) nelle quali si parla di donazioni obnuziali, ma in senso che non coinciderebbe con quello dell'art. 785 Codice civile.

In questa sede la difesa del De Gennaro, senza ripetere le deduzioni precedenti, sottolinea tuttavia particolarmente il fatto che, mentre l'art. 785 Cod. civ. parla di "donazioni riguardo ad un determinato futuro matrimonio", gli aggettivi "determinato" e "futuro" non vengono ripetuti nell'art. 20 della legge stralcio.

Una importanza decisiva dovrebbe poi annettersi alla scrittura privata 15 settembre 1942 e al parere della Commissione parlamentare di cui all'art. 5 della legge Sila. La scrittura privata 15 settembre 1942, invero, benché nulla per difetto di forma, costituirebbe pur sempre un atto di liberalità, un donativo - tanto più importante se considerato nelle circostanze del momento (guerra e promesso sposo ufficiale d'aviazione combattente) - mentre il generale sconvolgimento degli anni seguenti sarebbe stato più che sufficiente a spiegare come mai solo nel 1948 si addivenne alla stipulazione dell'atto pubblico con il quale i beni donati furono costituiti in patrimonio familiare.

Quanto, infine, alle due sentenze della Corte costituzionale sopra menzionate, esse, secondo la difesa del De Gennaro, si integrerebbero a vicenda, confermando la fondatezza della sua tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'Avvocatura dello Stato ha sollevato un'eccezione di improponibilità e inammissibilità; ma ciò ha fatto per la prima volta soltanto in memoria e senza la menoma motivazione. La Corte non può quindi occuparsi che della questione di legittimità costituzionale, che formò oggetto del giudizio di merito e dell'ordinanza di rinvio: se, cioè, gli atti di liberalità compiuti dal sig. Adelchi De Gennaro a favore della figlia Antonietta possano valere ad escludere dall'esproprio i beni che ne formarono oggetto, e ciò in base all'art. 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841.

2. - La Corte ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia fondata.

La donazione obnuziale, che risale al diritto romano, fu considerata anche dalle successive legislazioni e da ultimo dalla nostra, la quale - nell'art. 785 del vigente Codice civile così la definisce: "Donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi; si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce effetto finché non segua il matrimonio".

La materia acquistò un carattere di maggiore attualità con le recenti leggi di riforma agraria che, in determinati casi, esentarono dall'esproprio le donazioni obnuziali. Per il caso di specie va ricordato l'art. 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, che é del seguente tenore: "... ai fini della presente legge sono inefficaci di diritto, nei confronti degli enti incaricati dell'attuazione della legge medesima, tutti gli atti tra vivi a titolo gratuito, posteriori al 10 gennaio 1948, ad eccezione delle donazioni in contemplazione di matrimonio e di quelle a favore di enti morali di beneficenza, assistenza ed istruzione".

Non manca in dottrina qualche opinione la quale, basandosi sulla differenza fra la formulazione dell'art. 785 del Codice civile e quella del su trascritto art. 20 della legge n. 841, sostiene che le donazioni obnuziali previste da detta legge si riferiscono anche a quelle fatte dopo la celebrazione del matrimonio. Si citano al riguardo gli artt. 167, 437 e 805 Cod. civ. dai quali si dedurrebbe la possibilità di donazioni obnuziali senza distinguere fra anteriori e posteriori al matrimonio.

La Corte ritiene che nella specie non occorra risolvere il punto suindicato, se, cioè, la donazione, agli effetti della legge stralcio, possa essere anche posteriore al matrimonio, giacché la questione può venire decisa con altre considerazioni, le quali portano a concludere che la donazione in esame si riferiva a un matrimonio futuro e determinato, come previsto dall'art. 785 Cod. civile.

Dai lavori preparatori si ricava che, nel disciplinare la materia, la legge 21 ottobre 1950, n. 841, si era ispirata sia al criterio del favor familiae, sia a quello di opporre un freno ai tentativi di eludere le disposizioni delle leggi agrarie.

Nella specie é indubbio lo scopo del donante di favorire la nuova famiglia, e d'altro canto sussistono elementi per dimostrare che nessun pericolo di elusione esiste e che il matrimonio, in considerazione del quale la donazione fu fatta, era futuro e determinato. Al riguardo valgono le osservazioni contenute in questo brano dell'ordinanza della Corte di Napoli: "La donazione é bensì posteriore al matrimonio; viene però offerta una documentazione che, se é priva di una autonoma rilevanza per difetto di forma, vale tuttavia, in concorso con altri elementi, a dimostrare che la stipulazione notarile non fece che sanzionare una situazione di fatto sorta storicamente prima del matrimonio ed in considerazione di questo".

A dir vero, l'atto pubblico di donazione del 17 novembre 1948 fu preceduto da una privata scrittura del 15 settembre 1942, anteriore al matrimonio, che fu celebrato il giorno 12 dicembre successivo. É indubbio che questa scrittura del 1942, sulla cui data e regolarità quale scrittura privata l'Avvocatura non ha sollevato eccezioni di sorta, contiene una chiara manifestazione di volontà di donazione obnuziale. É del pari certo e non contestato ex adverso che la donazione ebbe immediato effetto, con la trasmissione del pieno possesso e godimento dei beni alla donataria, l'apposizione di termini lapidei nei confini, ecc. Infine, la stessa scrittura é espressamente richiamata nell'atto pubblico del 1948, che riguarda esattamente gli stessi beni. Sussiste pertanto quel legame ideale e formale fra i due atti, che la Corte di Napoli ha posto in luce, traendone la convinzione, con l'accertamento dei dati di fatto suindicati, che la donazione, oltre ad essere sicuramente fatta in contemplazione di un matrimonio determinato, si riferiva altresì ad un matrimonio futuro.

Ove poi si consideri che nella scrittura del 1942 era già prevista la costituzione dei beni donati in patrimonio familiare, appare sempre più evidente l'indissolubile legame esistente fra i due atti e la loro unità sostanziale. Del tutto gratuita é la ipotesi, affacciata dall'Avvocatura, che con l'atto pubblico del 1948 il De Gennaro non abbia inteso attuare l'impegno assunto con la scrittura privata; come pure é frutto di evidente errore l'affermazione della stessa Avvocatura che il matrimonio, anziché due mesi dopo la scrittura privata, come risulta dall'atto dello stato civile, sia stato celebrato addirittura sei anni dopo.

3. - Le suesposte considerazioni sono confortate da altri argomenti non privi di un certo valore. Il primo é costituito dal parere unanime, a favore dell'esclusione dall'esproprio dei beni donati dal De Gennaro, espresso dalla Commissione interparlamentare istituita con l'art. 5 legge 12 maggio 1950, n. 230. La difesa si diffuse a lungo su questo punto, sostenendo anzi l'efficacia vincolante di detto parere, sulla cui esistenza l'Avvocatura non sollevò eccezione. Ben vero che tale parere é obbligatorio ma non vincolante; tuttavia anche questa Corte (sentenza n. 78 del 1957) ebbe a riconoscere che il parere della Commissione interparlamentare può essere "particolarmente rilevante anche per la conoscenza degli elementi di fatto".

4. - Nelle sue deduzioni la difesa del De Gennaro addusse anche alcuni argomenti sussidiari, fondati, a suo avviso, sull'articolo 805 Cod. civ., sull'art. 61 della vigente legge di registro e sul T.U. 9 maggio 1950 relativo all'imposta straordinaria sul patrimonio. La Corte ritiene di non doversi soffermare su tali argomenti, in quanto le altre considerazioni, fondate principalmente sull'interpretazione razionale delle disposizioni di legge in materia, convincono che nella specie la donazione che formò oggetto della causa deve ritenersi esclusa dall'esproprio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica n. 4250 in data 28 dicembre 1952, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 20, primo comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in quanto ha disposto la espropriazione di un fondo donato in contemplazione di matrimonio.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                   

 

Depositata in Cancelleria il 18 maggio 1960.