Sentenza n. 30 del 1960
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SENTENZA N. 30

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 4 febbraio 1958, n. 23, contenente norme per il conglobamento e perequazioni salariali in favore dei portieri ed altri lavoratori addetti alla pulizia e custodia di stabili urbani, promosso con ordinanza emessa il 19 giugno 1959 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra D'Angelo Salvatore e Lepre Elisa ed altri, iscritta al n. 90 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 220 del 12 settembre 1959.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 30 marzo 1960 la relazione del Giudice Antonio Manca;

udito il vice avvocato generale dello Stato Achille Salerni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Tribunale di Napoli, nel corso di un giudizio civile vertente fra D'Angelo Salvatore e i condomini di uno stabile Lepre Elisa, Alessandro e Raffaele (in relazione a retribuzioni spettanti alla defunta Franciopilla Teresa, coniuge del D'Angelo e già portiera nello stabile stesso), con ordinanza del 19 giugno 1959 ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 4 febbraio 1958, n. 23 (contenente norme per il conglobamento e perequazioni salariali in favore dei portieri ed altri lavoratori addetti alla pulizia e custodia di stabili urbani), in riferimento agli artt. 36 e 37 della Costituzione.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12 settembre 1959, n. 220.

Il Tribunale ha premesso che, in base al decreto legislativo del 22 aprile 1947, n. 285 (istitutivo dell'indennità giornaliera di contingenza ai lavoratori addetti alla vigilanza, custodia e pulizia degli immobili urbani), tale indennità, successivamente aumentata, sarebbe concessa in misura diversa in relazione:

a) al sesso del prestatore d'opera;

b) alla sua qualità di capo famiglia o non capo famiglia;

c) al fatto che sia o no autorizzato ad esercitare altro mestiere nello stabile;

d) alla categoria dello stabile in dipendenza del numero dei vani;

c) alla prestazione d'opera di portiere o di addetto, con rapporto continuo, alla pulizia del fabbricato.

Rileva il Tribunale che la ricordata legge del 4 febbraio 1958, nel conglobare in un 'unica retribuzione, a tutti i fini contrattuali e di legge, i minimi salariali e le diverse indennità indicate nell'art. 1, ha considerato espressamente la posizione degli uomini e delle donne, parificandola anche ai fini dell'indennità caro - vita (art. 1) e che, circa l'autorizzazione ad esercitare un altro mestiere, ha stabilito, nell'art. 2, una riduzione della retribuzione conglobata nella misura non superiore al 20%.

Peraltro, secondo l'interpretazione data dal Tribunale alla stessa legge del 1958 (in contrasto con quella dell'attore, che sosteneva l'assorbimento integrale di tutte le indennità senza distinzione), resterebbero ancora operanti le seguenti differenziazioni, in relazione alla misura della retribuzione:

a) quella relativa alla categoria dello stabile;

b) quella concernente la qualità specifica della prestazione;

c) quella concernente la qualità di capo famiglia o non capo famiglia.

Ma, mentre riguardo alle prime due situazioni, nessuna illegittimità sarebbe ravvisabile, in quanto la diversità della retribuzione si ricollegherebbe alla diversità quantitativa e qualitativa della prestazione, il dubbio circa la illegittimità, per contrasto con gli artt. 36 e 37 della Costituzione, sorgerebbe invece circa la differenza di retribuzione a seconda che si tratti di capo famiglia o non capo famiglia.

Osserva al riguardo il Tribunale che dall'art. 36 si deducono due - che si integrano fra loro con pari efficienza. La proporzionalità della retribuzione in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, e la sufficienza della retribuzione stessa ai bisogni del lavoratore e della sua famiglia. Principi dai quali deriverebbe la necessità di considerare la retribuzione sotto il duplice aspetto della proporzionalità all'entità del lavoro e della idoneità al sostentamento familiare. Proporzionalità che troverebbe conferma anche nella disposizione dell'art. 37 della Costituzione, per quanto riguarda il lavoro delle donne e dei minori.

In relazione al caso concreto, nell'ordinanza si rileva inoltre che, sebbene nella tabella annessa al decreto legislativo del 22 aprile 1947 la distinzione fra capo famiglia e non capo famiglia circa l'indennità di contingenza, riguardi soltanto gli uomini e non le donne, la distinzione stessa, tuttavia, si rifletterebbe anche rispetto a queste ultime, data l'accennata parificazione agli uomini in base all'art. 1 della legge n. 23 del 1958.

In questa sede si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha depositato le deduzioni il 31 luglio 1959, concludendo perché si dichiari infondata la questione sollevata dal Tribunale di Napoli.

Osserva al riguardo che il conglobamento disposto dalla legge del 1958 non contrasterebbe con l'art. 36 della Costituzione. Ciò perché, dei due precetti contenuti nel detto art. 36, uno riguarderebbe la corrispondenza fra la quantità e la qualità del lavoro e la retribuzione, l'altro avrebbe diversa finalità: quella cioè di mantenere, con indennità variabili per zone, quel livello di vita che l'art. 36 della Costituzione richiede per il lavoratore e per la sua famiglia. Il precetto costituzionale prescriverebbe pertanto che la retribuzione dovrebbe essere anche adeguata ai bisogni del lavoratore e della famiglia, ma non porrebbe alcun limite circa il modo con il quale tale adeguamento deve essere attuato.

Non sussisterebbe d'altra parte alcuna violazione dell'art. 37 della Costituzione, in quanto, in base all'ultimo comma dell'art. 1 della legge del 1958, sarebbe attuata quella parificazione fra uomini e donne disposta dal precetto costituzionale.

Non é stata presentata memoria.

 

Considerato in diritto

 

L'art. 1 della legge 4 febbraio 1958, n. 23, stabilisce che sono conglobati, a tutti i fini contrattuali e di legge, in un 'unica voce retributiva, uguale per uomo e donna, oltre i salari minimi spettanti ai portieri ed ai lavoratori addetti, con rapporto continuativo, alla pulizia degli immobili urbani, anche le indennità di caro - vita, di caropane e quella di contingenza, di cui all'articolo unico del decreto legislativo 22 aprile 1947, n. 285, aumentata da altre leggi successivamente emanate. In relazione appunto a questa indennità é stata proposta la questione di legittimità costituzionale dell'accennata disposizione della legge del 1958. Il Tribunale di Napoli infatti ha sollevato il dubbio che la disposizione stessa sia in contrasto con il primo comma dell'art. 36 e con l'art. 37 della Costituzione, in quanto, nel disporre il conglobamento delle varie voci retributive, avrebbe mantenuta ferma, riguardo alla misura dell'indennità di contingenza, la distinzione fra capo famiglia e non capo famiglia, contenuta nella tabella A allegata al decreto legislativo 22 aprile 1947, già ricordato, richiamato espressamente dalla legge del 1958.

Ora, l'interpretazione in tal senso di detta legge, come presupposto logico della questione di costituzionalità, dove ritenersi esatta. É da premettere infatti che il conglobamento di per sé non porta necessariamente a ritenere soppressa la distinzione di cui si é fatto cenno, dato che, nella determinazione della retribuzione unificata da attribuire rispettivamente al capo famiglia e al non capo famiglia, possono confluire elementi differenti, in dipendenza della diversa misura delle varie indennità e quindi anche di quella di contingenza.

Risulta d'altra parte dai lavori preparatori che la legge del 1958, ora in esame, ha testualmente riprodotto l'art. 1 di una delle tre proposte di legge di iniziativa parlamentare, presentate per favorire i portieri e gli altri lavoratori addetti alla pulizia e custodia degli immobili urbani. Non ha invece riprodotto l'art. 2 della proposta stessa, che, allo scopo di uniformare e rendere omogenee le retribuzioni, stabiliva minimi salariali a carattere nazionale, da valere per uomini e donne, eliminando anche per l'indennità di contingenza ogni distinzione, compresa quella fra capo famiglia e non capo famiglia, com'é precisato nella relazione; e stabilendo soltanto un diverso trattamento salariale in relazione alle due zone nelle quali era, al riguardo, diviso il territorio nazionale, e tenuto conto delle qualità di portiere addetto alla pulizia e custodia degli stabili, o di lavoratore addetto soltanto alla pulizia. Se ne può fondatamente desumere che, nella legge del 1958, per quanto attiene al conglobamento, si é seguito un sistema diverso da quello adottato nell'accennata proposta. Con la conseguenza quindi che, essendosi, nella predetta legge, soppressa la distinzione relativa al sesso, ed essendosi consentita, riguardo ai portieri che esercitano altro mestiere, una riduzione non superiore al 20% della retribuzione complessiva, in luogo di una diversa misura dell'indennità di contingenza, rimangono tuttora operanti le altre differenziazioni prevedute, per l'indennità stessa, dal decreto legislativo del 1947, e, in particolare, quella inerente alla qualità o meno di capo famiglia. Il che del resto, secondo quanto risulta dalla circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 17381/41 G del 15 settembre 1958, corrisponde all'interpretazione che le organizzazioni sindacali interessate hanno dato pacificamente quasi ovunque alla citata legge del 1958.

Come si desume inoltre dall'ordinanza, il Tribunale ha ritenuto che la questione circa la legittimità costituzionale di tale distinzione sia rilevante per la definizione del giudizio principale (riguardante le indennità dovute ad una donna che esercitava il mestiere di portiera), osservando esattamente dal punto di vista giuridico che, data la parificazione delle donne agli uomini stabilita dall'art. 1 della legge del 1958, sopra ricordata, la qualità di capo famiglia o di non capo famiglia riguarda, in base a tale disposizione, anche le donne. E ciò a differenza di quanto stabiliva il decreto legislativo del 1947 (tabella A), che commisurava l'indennità di contingenza all'esistenza o meno di tale qualità soltanto per gli uomini, mentre per le donne prevedeva una diversa indennità esclusivamente in relazione all'esercizio o meno di altro mestiere.

La questione per altro non può ritenersi fondata. Il primo comma dell'art. 36 della Costituzione attribuisce al lavoratore il diritto "ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa". La retribuzione quindi deve rispondere a due fondamentali e diverse esigenze. L'una si ricollega al rapporto di scambio tra prestatore d'opera e datore di lavoro, considerando la prestazione di lavoro nella sua consistenza quantitativa e qualitativa; l'altra si riferisce alla situazione familiare del lavoratore. Ciò é pure ammesso dal Tribunale, il quale pone in rilievo che, nel precetto costituzionale, sono contenuti due principi relativi all'elemento di carattere obiettivo e a quello subiettivo, che si integrano a vicenda, di guisa che la retribuzione del lavoratore "va riguardata nello stesso tempo sotto duplice aspetto: quello della proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato e quello dell'idoneità della retribuzione al sostentamento del lavoratore e della sua famiglia". Esprime tuttavia il dubbio che, con la diversa misura della retribuzione, derivante dalla qualità o meno di capo famiglia, si verrebbe a stabilire "a parità di lavoro un' imparità della retribuzione stessa" in contrasto con la norma costituzionale.

Senonché il criterio di proporzionalità all'entità dell'opera prestata, che condiziona la misura del salario base, non può essere richiamato per determinare anche quella parte della retribuzione che deve assicurare al lavoratore un dignitoso tenore di vita, poiché, sotto tale aspetto, si deve tener conto del fatto che il lavoratore abbia o no famiglia. Ciò si può desumere sia dalla formulazione della norma costituzionale, sia dai precedenti storici della norma stessa. La quale, per quanto attiene al tenore di vita libero e dignitoso che la retribuzione deve assicurare, considera separatamente la persona del lavoratore e la sua famiglia. É pure da tener presente che, nella discussione svoltasi nell'Assemblea costituente a proposito dell'art. 32 del progetto, fu rilevato che commisurare la retribuzione alle esigenze oltreché del lavoratore anche della famiglia, avrebbe dato luogo a discriminazioni fra lavoratori che compiono un identico lavoro. Ma l'Assemblea approvò l'art. 32 (che corrisponde, con lievi modificazioni di forma, all'art. 36 della Costituzione) secondo il testo proposto dalla Commissione; il cui Presidente aveva insistito sulla necessità che il salario debba corrispondere, oltreché alle esigenze personali del lavoratore, anche a quelle della famiglia.

Ora, in base a siffatta distinzione, si giustifica che il corrispettivo, dovuto al prestatore d'opera, possa essere diverso nell'ammontare complessivo, in relazione alla situazione personale del medesimo. Poiché la retribuzione, di una certa misura, può essere sufficiente per le esigenze della vita di un lavoratore non avente familiari a carico, ma non esserlo nell'ipotesi contraria.

Pertanto, dato che, come ha già ritenuto questa Corte (sentenze nn. 1 e 6 del 1960), il fatto che la Costituzione attribuisca, come nel caso, un diritto subiettivo perfetto, senza rinvio ad una legge ordinaria, non esclude che questa possa intervenire per regolare in concreto l'esercizio del diritto medesimo, ne consegue che la disposizione del decreto legislativo del 1947, richiamata dall'art. 1 della legge del 1958 ora in esame, che stabilisce una misura diversa dell'indennità di contingenza in relazione alla qualità o meno di capo famiglia dei portieri, per quanto si é detto, non appare in contrasto, ma si adegua alla norma dell'art. 36, primo comma, della Costituzione. E si adegua altresì al principio dell'uguaglianza, contenuto nell'art. 3; principio che, come ha più volte ritenuto questa Corte, non esclude che il legislatore ordinario possa dettare norme diverse per regolare situazioni considerate diverse.

Appena occorre aggiungere, infine, che nessuna violazione può ravvisarsi dell'art. 37 della Costituzione, del resto incidentalmente richiamato nell'ordinanza, poiché alla parificazione delle donne agli uomini, per quanto riguarda la retribuzione nel caso di uguali prestazioni, ha espressamente provveduto, come si é in precedenza accennato, l'art. 1, ultimo comma, della legge 4 febbraio 1958, n. 23. Con la conseguenza, riguardo all'attuale controversia, che le retribuzioni dovute ai portieri di entrambi i sessi, devono essere equiparate, anche quando essi abbiano rispettivamente la qualità di capo famiglia o di non capo famiglia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta con ordinanza del 19 giugno 1959 del Tribunale di Napoli, sulla legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 4 febbraio 1958, n. 23 (contenente norme per il conglobamento e perequazioni salariali in favore dei portieri ed altri lavoratori addetti alla pulizia e custodia di stabili urbani), in riferimento agli artt. 36 e 37 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 aprile 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                   

 

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 1960.