Sentenza n. 14 del 1960
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SENTENZA N. 14

ANNO 1960

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, e dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1959, n. 97, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza", promosso con ricorso del Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, notificato il 27 aprile 1959, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 2 maggio 1959 ed iscritto al n. 12 del Registro ricorsi 1959.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 17 febbraio 1960 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi gli avvocati Pietro Gasparri e Giuseppe Guarino, per il ricorrente, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreto del Presidente della Repubblica del 26 gennaio 1959, n. 97, furono emanate norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di assistenza e beneficenza.

Le dette norme dispongono, fra l'altro, all'art. 7, primo comma, che: "i provvedimenti di sospensione e di scioglimento delle amministrazioni delle istituzioni di assistenza e beneficenza sono adottati, nella Regione Trentino-Alto Adige, con decreto del Commissario del Governo, oltre che per motivi di ordine pubblico, anche nei casi di persistenti violazioni di leggi, se gli organi regionali non provvedono entro tre mesi dalla richiesta del Commissario del Governo".

All'art. 9, inoltre, le norme in parola dispongono: "nell'esercizio dei poteri attribuiti al Prefetto dall'art. 4, lett. b, della legge 3 giugno 1937, n. 847, modificata dal R.D.L. 14 aprile 1944, n. 125, e dal decreto del Presidente della Repubblica 19 agosto 1954, n. 968, in materia di riparto dei fondi per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza, il Commissario del Governo provvederà d'intesa col Presidente della Giunta regionale".

In seguito a deliberazione del Consiglio regionale in data 18 aprile 1959 il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, rappresentato dagli avvocati Pietro Gasparri e Giuseppe Guarino, con ricorso notificato il 27 aprile 1959 al Presidente del Consiglio dei Ministri e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 2 maggio 1959, ha promosso avanti alla Corte la questione di legittimità costituzionale delle sopra menzionate disposizioni del ricordato D.P.R. n. 97 del 1959, e precisamente, per quanto riguarda l'art. 7, primo comma, per violazione degli artt. 5, n. 2, 13, 76 e 77 dello Statuto speciale della Regione, nonché dei principi costituzionali in materia di controllo sulle Regioni, e, per quanto riguarda l'art. 9, per violazione degli artt. 4, n. 1, 5, n. 2, e 13 dello Statuto. Il ricorso, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, é stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 9 maggio 1959.

2. - Quanto all'art. 7, primo comma, il ricorrente osserva, col primo motivo, che, se può ammettersi il potere del Commissario del Governo di procedere allo scioglimento o alla sospensione delle amministrazioni delle istituzioni di assistenza e beneficenza esistenti nella Regione per motivi di ordine pubblico, potendosi desumere tale attribuzione dall'art. 77 dello Statuto, che affida appunto al Commissario il mantenimento dell'ordine pubblico nella Regione, illegittima é invece l'estensione del accennato potere anche all'altra ipotesi contenuta nella norma impugnata.

Invero questo potere, se inteso a regolare rapporti e attività concernenti la organizzazione degli enti assistenziali e benefici della Regione, inciderebbe in un campo che é riservato al legislatore regionale a norma dell'art. 5, n. 2, dello Statuto speciale, secondo cui spetta alla Regione legiferare, "nei limiti del precedente articolo e dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato", "in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza", cioè, a dire del ricorrente, riguardo sia all'attività in questione, sia agli organi che la svolgono, ivi compresa la disciplina dei controlli sul funzionamento e la efficienza degli organi.

Col secondo motivo il ricorrente sostiene che, in base al disposto dell'art. 13 dello Statuto, che stabilisce che nelle materie per le quali la Regione ha comunque potestà legislativa sono passate alla Regione anche le relative potestà amministrative che in base all'ordinamento preesistente erano attribuite allo Stato, deve ritenersi passata alla Regione la potestà amministrativa di controllo, prima spettante al Prefetto, sugli istituti di assistenza e beneficenza; conseguentemente é da escludersi ogni competenza del Governo centrale al riguardo, con il che é in aperto contrasto la disposizione impugnata, la quale "sovrappone" alla competenza regionale una competenza statale.

A ciò, prosegue con il terzo motivo, si aggiunge la violazione degli artt. 76 e 77 dello Statuto, che elencano tassativamente i poteri del Commissario del Governo, senza che possa ivi ravvisarsi alcuna disposizione idonea a giustificare i poteri attribuiti al Commissario stesso nel comma in esame.

Infine, col quarto motivo, il ricorrente sostiene che lo Statuto del Trentino-Alto Adige tace riguardo ad eventuali controlli sulla attività amministrativa della Regione da parte dello Stato. Pertanto, anche, prescindendo dalla questione se con ciò debba intendersi precluso qualsiasi tipo di controllo, a dire del ricorrente dovrebbe ritenersi inammissibile quello sostitutivo, quale é quello attribuito al Commissario del Governo nel comma impugnato che, oltre tutto, "ripugnerebbe al nostro sistema costituzionale generale". Il ricorrente trae argomento a favore di tale conclusione dall'art. 130 della Costituzione che, mentre sancisce il controllo sugli atti delle Regioni ad autonomia ordinaria, tace sui controlli sostitutivi, ai quali neppure accennerebbe la legge 10 febbraio 1953, n. 62.

3. - Per quanto concerne la illegittimità costituzionale dell'art. 9 delle richiamate norme di attuazione, il ricorrente osserva, che, secondo l'art. 4, lett. b, della legge 3 giugno 1937, n. 847, modificato dall'art. 17 D.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, una aliquota dei fondi stanziati annualmente per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza deve essere ripartita fra le province a cura del Ministro dell'interno affinché i Prefetti la distribuiscano fra gli enti interessati. Ora, a mente degli artt. 5, n. 2, e 13 dello Statuto, essendo passata alla Regione la competenza amministrativa in materia di assistenza e beneficenza, dovrebbe intendersi passata alla Regione anche la competenza del riparto in questione.

Ed anche sotto altro profilo la norma sarebbe, a dire del ricorrente, incostituzionale. Infatti l'art. 4, n. 1, dello Statuto regionale attribuisce alla Regione la competenza legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli uffici regionali", e quindi anche l'assegnazione all'uno o all'altro dei propri organi esecutivi delle funzioni amministrative ad essi affidate. Invece la norma impugnata, in violazione di tale principio, attribuisce al Presidente della Giunta una competenza, sia pure parziaria, in materia di ripartizione dei detti fondi, invadendo la sfera di autonomia organizzativa della Regione.

La difesa della Regione ha quindi concluso chiedendo dichiararsi l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

4. - Si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni nella cancelleria della Corte il 16 maggio 1959.

Osserva l'Avvocatura che il problema centrale da risolvere é quello concernente la estensione dei poteri di controllo attribuiti dall'art. 48, n. 5, dello Statuto Trentino-Alto Adige alle Province sulle amministrazioni comunali, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e, in genere, sugli enti ed istituti locali. Al riguardo richiama, innanzi tutto, la sentenza n. 24 del 21 gennaio 1957 della Corte costituzionale, con la quale fu stabilito che, in base all'art. 46 dello Statuto regionale sardo, il controllo sugli atti degli enti locali, attribuito alla Regione, dovrebbe intendersi come comprensivo dei controlli sostitutivi, ma "con esclusione di qualsiasi controllo sugli organi dei predetti enti, inteso come potere di emanare provvedimenti a carico delle persone", ritenendosi pertanto che questo controllo, da parte della Regione, "quale espressione di un potere sostanzialmente disciplinare", é inconciliabile con l'autarchia degli enti locali e perciò può essere riconosciuto "solo se eccezionalmente imposto con una norma di legge", il che era appunto da escludere riguardo alla Regione sarda. Ciò posto, rileva la difesa dello Stato che la assunta distinzione, secondo cui il potere di scioglimento delle amministrazioni delle istituzioni di assistenza e beneficenza da parte del Commissario del Governo sarebbe concepibile solo per motivi di ordine pubblico e non per ripetute violazioni di legge, non é ammissibile, essendo, in ogni caso, attuazione di un controllo sostanzialmente disciplinare sulle persone che, nel sistema costituzionale italiano, trova attuazione unitaria, per qualunque causa venga conferito, come si evince dalle norme costituzionali che attribuiscono allo Stato il potere di sciogliere i consigli e le assemblee regionali sia per ragioni di ordine pubblico, sia per gravi e persistenti violazioni dileggi, sia per il mancato accoglimento dell'invito del Governo di sostituire la Giunta o il Presidente che abbiano compiuto analoghi atti o violazioni (Cost. art. 126; Statuto speciale sardo, art. 50; Statuto speciale Sicilia, art. 8; Statuto speciale Trentino-Alto Adige, art. 77; Statuto speciale Valle d'Aosta, art. 48).

D'altronde, anche prescindendo dalle dette considerazioni, l'Avvocatura sostiene che il controllo sugli organi degli enti locali non possa rientrare nella vigilanza e tutela genericamente attribuite alla Giunta provinciale dall'art. 48, n. 5, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Ciò deriverebbe dalla differenza ontologica tra le due forme di controllo, sanzionata dalla ricordata sentenza della Corte costituzionale. Spettando il controllo sugli organi istituzionalmente allo Stato, solo in presenza 4i una norma specifica di legge che tale controllo trasferisca alla Regione potrebbe accogliersi la tesi del ricorrente. E ciò non potrebbe ravvisarsi nell'art. 48, n. 5, dello Statuto, che contiene una semplice norma di ripartizione di competenze, sulla base della attribuzione generale di funzioni stabilita nel titolo I, capo II, nei riguardi della Provincia, e non potrebbe quindi contenere una attribuzione di natura eccezionale come quella in esame.

La difesa dello Stato, inoltre, a sostegno della legittimità della disposizione impugnata, osserva che, siccome la potestà amministrativa della Regione in materia di enti di assistenza e beneficenza deve essere esercitata, a norma dell'art. 13 dello Statuto regionale nei limiti, fra l'altro, dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, dovrebbe, di conseguenza, inquadrarsi l'attribuzione di poteri di cui all'art. 48, n. 5, citato, nel sistema generale del controllo sugli enti locali risultante, oltre che dalla Costituzione, dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62, sull'ordinamento delle Regioni a statuto ordinario. E poiché tale legge nettamente distingue il controllo normale sugli atti, attribuito agli organi della Regione, dal controllo straordinario sugli organi, attribuito allo Stato, in conformità di tale principio resterebbe escluso il controllo sugli organi dall'attribuzione di cui al citato art. 48, n. 5. Cosicché, con la norma impugnata non solo non si sarebbe violato alcun precetto costituzionale, ma si sarebbe esercitata una delega condizionata, alla Regione, dei poteri dello Stato in materia.

Infine la difesa dello Stato afferma che, anche a voler accedere alla tesi del ricorrente, circa la spettanza alla Provincia del potere in questione, la disposizione impugnata sarebbe egualmente legittima dovendosi in ogni caso ammettere a favore dello Stato il potere di controllo sostitutivo speciale sugli atti della Regione. Anche se lo Statuto speciale tace al riguardo, non per questo può ritenersi escluso il controllo sostitutivo dello Stato, che concettualmente rientra nel controllo sugli atti, previsto, in linea generale, dall'art. 125 della Costituzionale ben si accorderebbe con il potere concesso allo Stato (art. 27, Statuto speciale Trentino-Alto Adige) di sciogliere il Consiglio regionale quando compie gravi violazioni di legge ed in altri casi di analoga gravità.

5. - Quanto all'art. 9 impugnato, la difesa dello Stato osserva che la questione é infondata perché, se si ritiene che le norme regolanti l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza si applicano anche alla Regione Trentino-Alto Adige, il riparto dei fondi relativi deve essere effettuato dal Commissario, in quanto fondi statali non possono essere erogati che da organi statali. Se invece si ritiene l'inapplicabilità alla Regione delle norme suddette in quanto si intenda la materia devoluta alla Regione in via esclusiva, ne consegue la preclusione di ogni intervento statale e la necessità che le relative erogazioni gravino sulla Regione.

Aggiunge infine di non ritenere che la Regione abbia interesse a dolersi della attribuzione di competenza stabilita dall'art. 9 d'intesa col Presidente della Giunta regionale, dato che ciò si risolve in un evidente vantaggio per la Regione stessa.

L'Avvocatura dello Stato pertanto conclude chiedendo che il ricorso sia respinto.

6. - La difesa della Regione ha depositato nella cancelleria della Corte una memoria con cui insiste sulle già prese conclusioni, sviluppando ed ampliando le argomentazioni svolte nel ricorso.

In sostanza la difesa della Regione osserva, innanzi tutto, che nella specie é fuor di luogo il richiamo ai precedenti giurisprudenziali della Corte citati dall'Avvocatura perché concernenti ipotesi differenti da quella in esame.

Contesta poi che possa attribuirsi allo Stato, "per una specie di diritto naturale prepositivo", il potere di scioglimento delle amministrazioni locali, come avrebbe ritenuto la difesa dello Stato, ed afferma che, anzi, tale potere é da escludere in base a norme costituzionali, in quanto l'art. 48, n. 5, dello Statuto Trentino - Alto Adige attribuisce alla Giunta provinciale il potere di vigilanza e tutela sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, potere entro cui é certamente da comprendere anche lo scioglimento degli organi, sia perché l'espressione viene così comunemente intesa dalla dottrina, sia perché la detta disposizione non si riferisce, come avrebbe potuto, al solo controllo sugli atti, ma contempla espressamente le amministrazioni e le istituzioni, cioè il lato organizzativo ed istituzionale degli enti. E del resto, il potere di scioglimento delle amministrazioni degli istituti di assistenza e beneficenza, così come era contemplato nella legge 17 luglio 1890, n. 6972, rappresenterebbe appunto un aspetto della tutela sugli istituti medesimi.

Altra argomentazione, a favore di questa tesi, la difesa della Regione trae poi dall'art. 6 dello stesso decreto 26 gennaio 1959, n. 97, poiché afferma che tale norma, trasferendo alla Regione l'alta sorveglianza sugli istituti in parola, già spettante al Ministro dell'interno, ha attribuito alla Regione il presupposto del potere di scioglimento, onde sarebbe illogico ritenere che poi questo sia rimasto allo Stato. E richiama al riguardo la sentenza n. 2 del 1960 della Corte costituzionale, affermando che la stessa, in una analoga fattispecie, avrebbe riconosciuto che la norma di attuazione con cui lo Stato si era riservato la nomina e la revoca degli amministratori degli istituti autonomi delle case popolari delle Province di Trento e Bolzano, costituiva un "penetrante controllo", "non conforme alla logica del sistema", perché in contrasto con la sostanza del potere di vigilanza attribuito alla Provincia sugli istituti stessi dalle norme di attuazione medesime.

Aggiunge poi la difesa della Regione che, comunque, a torto la difesa dello Stato si é richiamata all'art. 48, n. 5, dello Statuto Trentino-Alto Adige, giacché questo riguarda solo la competenza della Giunta provinciale, mentre l'impugnativa é stata mossa in difesa dei poteri amministrativi della Regione, e con riferimento agli artt. 5 e 13 dello Statuto, che appunto tali poteri determinano, e nell'ambito dei quali non potrebbero non rientrare i poteri di scioglimento delle amministrazioni degli istituti di beneficenza, data la natura evidentemente amministrativa dei poteri stessi. Nega altresì la difesa della Regione che le disposizioni della legge n. 62 del 1953, applicabili solo alle Regioni comuni, possano servire ad individuare i principi generali dei controlli sulle amministrazioni di beneficenza, che invece devono essere desunti unicamente dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, dalla quale si evincerebbe che i poteri in questione vanno esercitati in sede amministrativa locale.

Altro argomento a favore della propria tesi la Regione poi sviluppa affermando che le competenze amministrative passano alla Regione per intero, anche nel caso in cui, come in quello in esame, la competenza legislativa ha carattere concorrente: l'obbligo di uniformità ai principi stabiliti dalle leggi dello Stato significherebbe solo che l'attività amministrativa della Regione deve essere disciplinata da leggi conformi a tali principi.

Confutando poi la tesi dell'Avvocatura, secondo cui, in ogni caso, competerebbe allo Stato un potere di controllo sostitutivo nei confronti della Regione, afferma che la Regione Trentino-Alto Adige é sottoposta, per i suoi atti amministrativi, al solo controllo di legittimità della Corte dei conti, e che, comunque, il controllo sostitutivo in questione, attenendo al merito e non alla mera legittimità, risulterebbe estraneo persino al sistema dettato dagli artt. 125 della Costituzione e 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, per le Regioni di diritto comune.

Passando quindi ad illustrare l'impugnativa mossa all'art. 9 del D.P.R. 26 gennaio 1959, n. 97, la Regione, dopo avere ribadito i concetti già sostenuti circa il carattere amministrativo della attività di ripartizione di fondi già attribuita al Prefetto a norma dell'art. 4 della legge 3 giugno 1937, n. 847, e la natura strettamente regionale degli interessi ad essa relativi, sostiene che, comunque, il detto art. 9 sarebbe in contrasto col principio dell'autonomia finanziaria della Regione. Invero, il sistema di funzionamento di una determinata attività regionale attraverso contribuzioni speciali dello Stato, come quella in esame, priverebbe la Regione di ogni relativa competenza normativa e amministrativa, per la ingerenza che lo Stato verrebbe ad esercitare e nella disciplina e nella amministrazione dei fondi contributivi, in quanto appartenenti ad esso Stato e non alla Regione, la quale pertanto si vedrebbe esclusa dall'esercizio delle sue competenze istituzionali. E la difesa della Regione richiama in proposito le deduzioni già svolte, riguardo a tale questione, in una precedente controversia, conclusa con la sentenza n. 2 del 1960.

7. - Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con la quale, dopo avere confermato le precedenti deduzioni, afferma:

Il primo motivo del ricorso sarebbe infondato in quanto, avendo lo Stato emanato norme di attuazione dello Statuto regionale, si é mantenuto nell'ambito della potestà legislativa riservatagli a norma dell'art. 95 dello Statuto Trentino-Alto Adige. E non sarebbe ipotizzabile un contrasto fra la norma impugnata e l'art. 5, n. 2, dello Statuto perché la disciplina dei controlli é specificamente prevista dall'art. 48, n. 5, dello Statuto stesso, cui deve perciò farsi riferimento.

Anche il richiamo all'art. 13 dello Statuto sarebbe fuori luogo, in quanto tra i poteri amministrativi in virtù di questo trasferiti alla Regione non potrebbe figurare il potere di controllo in questione, che é invece regolato espressamente dall'art. 48, n. 5, dal cui ambito, secondo le precedenti deduzioni, esula la materia dei controlli sostitutivi sugli organi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.

Infondato sarebbe altresì il terzo motivo di ricorso, perché, dovendosi la materia dei controlli ritenere di competenza dello Stato, che l'avrebbe delegata alla Regione con la norma impugnata, ben troverebbe applicazione la disciplina degli artt. 76 e 77 dello Statuto speciale, che attribuiscono appunto al Commissario dello Stato il potere di vigilanza sulle funzioni statali delegate alla Regione.

Infondato, infine, sarebbe il quarto motivo perché , se deve ritenersi avvenuta la detta delega di funzioni statali, ed in mancanza di disposizioni costituzionali che lo vietino, é da ammettersi che il controllo sostitutivo dello Stato possa essere liberamente disposto con la stessa legge di delega, anche indipendentemente da un ipotizzabile acquisto della qualità di organi statali da parte degli organi regionali delegati, in analogia a quanto avviene per il sindaco quando agisce quale ufficiale di governo.

 

Considerato in diritto

 

1. - La difesa della Regione Trentino-Alto Adige riassume nei seguenti termini la prima questione proposta col ricorso, relativa alla legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1959, n. 97: lo Stato non ha alcun potere diretto di sospendere o sciogliere le amministrazioni delle istituzioni di assistenza e beneficenza nella Regione; più particolarmente, lo Stato non ha il potere di sostituirsi alla Regione che abbia omesso di adottare, nei confronti delle dette amministrazioni, il provvedimento di sospensione o di scioglimento.

É bene precisare che la Regione non nega quanto é stabilito nello stesso comma dell'art. 7, che lo Stato, attraverso il suo rappresentante nella Regione, e cioè il Commissario del Governo, ha il potere di adottare gli indicati provvedimenti per motivi di ordine pubblico. Si tratta dunque di accertare se sia costituzionalmente legittima l'attribuzione di tale potere allo Stato anche quando quei provvedimenti siano richiesti nei casi di "persistenti violazioni dileggi", se gli organi della Regione non abbiano provveduto.

2. - É fuori dubbio che per l'art. 5, n. 2, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, la materia delle "istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza" appartiene alla competenza così detta "concorrente" della Regione; e del pari non é dubbio - ed é questo un punto basilare della difesa della Regione - che, per l'art. 13 dallo Statuto, le "potestà amministrative relative" alle materie sulle quali la Regione può emanare norme legislative sono esercitate dalla Regione (o dalla Provincia). Bisogna tener conto, d'altra parte, del principio sviluppato con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, basato sulla disposizione VIII della Costituzione, secondo cui il concreto passaggio alle Regioni delle funzioni amministrative statali a queste attribuite deve essere regolato con leggi della Repubblica. Tale é la finalità delle norme di attuazione degli statuti speciali, le quali hanno, fra l'altro, lo scopo di porre disposizioni di carattere normativo anche per le relazioni - sulle quali si controverte appunto nel presente giudizio - fra lo Stato e le Regioni (sentenza 29 giugno 1956, n. 20). Occorre, infine, notare che lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel parlare delle istituzioni di assistenza e beneficenza, non dà una compiuta disciplina della materia dei controlli su di esse. L'art. 48, n. 5, considera bensì i poteri di vigilanza e di tutela, ma non gli altri controlli (v. sentenza Corte costituzionale 16 aprile 1959, n. 23).

3. - Se così é, per risolvere la questione portata all'esame della Corte occorre inquadrare l'art. 7, della cui costituzionalità si discute, nel sistema delle relazioni mutue e delle competenze della Regione e dello Stato, che sono state stabilite, con riferimento alle disposizioni dello Statuto speciale, con le disposizioni delle norme di attuazione, di cui l'art. 7 stesso fa parte, emanate col decreto presidenziale del 26 gennaio 1959, n. 97. Sono queste le norme che lo Stato ha emanato per impartire concrete disposizioni sulla materia delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza nel Trentino-Alto Adige; ed é appena il caso di notare che esse sono state emanate - come espressamente risulta nelle premesse del decreto - con l'esplicito richiamo degli artt. 5, n. 2, e 48, n. 5, dello Statuto speciale, ossia proprio degli articoli sui quali dalle parti in causa si controverte.

Bisogna rilevare che, in aderenza all'art. 5, n. 2, dello Statuto speciale, con l'art. 1 del detto decreto tutta la materia riguardante le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, in quanto già di competenza dello Stato, é attribuita alla Regione. L'art. 1 si richiama al testo fondamentale, e cioè alla legge del 1890, al regolamento di esecuzione e alle altre successive norme, che all'uopo vengono indicate, per dichiarare che "sono trasferite alla Regione le attribuzioni amministrative che la legge 17 luglio 1890, n. 6972, il relativo regolamento di esecuzione ecc..., e altre norme legislative di modificazione e integrazione demandano al Governo della Repubblica, al Ministro per l'interno, al Prefetto ed al Comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica, in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza".

Tuttavia, se questa norma é di tale ampiezza da doversi ritenere trasferita agli organi regionali tutta la materia relativa alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, ciò non implica che ai detti organi siano passate anche funzioni di carattere essenzialmente statali; ed appunto nello stesso art. 1 si trova l'indicazione di deroghe a quel pieno trasferimento. Si trova così, riaffermata la competenza statale riguardo alla disciplina degli istituti scolastici e di istruzione, di risparmio, di previdenza, di cooperazione e di credito, di cui al penultimo e all'ultimo comma dell'art. 1 e al secondo comma dell'art. 4 della legge del 1890; riguardo ai comitati di soccorso e alle fondazioni e associazioni private, di cui all'art. 2 della legge stessa; all'annullamento di ufficio degli atti illegittimi. Inoltre, l'art. 2 stabilisce che il Commissario del Governo può intervenire in tutti i giudizi in cui sia interessata la pubblica beneficenza; e, naturalmente, restano di competenza statale (art. 3) le istituzioni che prestino assistenza o che eroghino la beneficenza a favore dei poveri di tutta la Repubblica o di più Province, una delle quali sia compresa nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige. Significativa, ben vero, ai fini della controversia in esame, é, d'altra parte, la disposizione dell'art. 6. L'art. 44 della legge del 1890 stabilisce - com'è noto - che l'alta sorveglianza sulla pubblica beneficenza spetta al Ministro dell'interno. "Esso in vigila - prescrive tale articolo - sul regolare andamento delle istituzioni, ne esamina le condizioni così nei rapporti amministrativi, come in relazione ai loro fini, e cura l'osservanza della presente legge, delle tavole di fondazione, degli statuti e dei regolamenti". Col detto art. 6, l'esercizio di quell'alta sorveglianza viene passato alla Regione.

Deve dunque riconoscersi che le norme di attuazione in esame, con lo stabilire le competenze rispettive della Regione e dello Stato, adempiono proprio a quella che é una finalità fondamentale delle norme di attuazione, quale - secondo la pronuncia sopra ricordata di questa Corte, del 29 giugno 1956, n. 20 - é la definizione dei rapporti fra lo Stato e le Regioni e delle rispettive potestà. La qual cosa assume maggiore importanza - come di seguito si vedrà - quando si tratta della competenza degli organi regionali relativa a materia attribuita alla Regione in via complementare o concorrente.

4. - Ciò posto, appare chiaro quale sia la finalità e quale debba essere la interpretazione del primo comma dell'art. 7.

Ferma la competenza del Commissario del Governo di decretare la sospensione o 10 scioglimento delle amministrazioni delle istituzioni di assistenza e beneficenza per motivi di ordine pubblico - la quale potestà dev'essere riannodata alla diretta responsabilità del Commissario per il mantenimento, nella Regione, dell'ordine pubblico, del quale risponde verso il Ministro dell'interno (art. 77 Statuto speciale) la competenza ad adottare i detti provvedimenti nei casi di "persistenti violazioni di leggi" é attribuita, nel detto articolo, agli organi regionali. Bene tale competenza può essere riannodata alla disposizione del precedente art. 6, sopra ricordato, che devolve anche alla Regione l'alta sorveglianza sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, già devoluta dall'art. 44 della legge del 1890 al Ministro dell'interno. Ma l'art. 7 stabilisce, ancora, che "i provvedimenti di sospensione e di scioglimento delle amministrazioni delle istituzioni di assistenza e beneficenza sono adottati... con decreto del Commissario del Governo... anche nei casi di persistenti violazioni di leggi se gli organi regionali non provvedano entro tre mesi dalla richiesta del Commissario del Governo". Si afferma, dunque, anche in questi casi, la competenza del Commissario del Governo, il quale può prendere l'iniziativa di richiedere agli organi regionali l'adozione dei provvedimenti, e può provvedere, direttamente, nel caso che i detti organi non provvedano nel termine suddetto.

5. - Nel caso in esame, il richiamo agli schemi tradizionali che eventualmente possano definire siffatta potestà, quale primaria o secondaria, diretta o indiretta, principale o subordinata, propria o sostitutoria, forse poco giovano a giustificarne la portata costituzionale. Si é, invero, di fronte a nuovi rapporti, posti in essere dall'ordinamento regionale e, particolarmente, da quello stabilito per le Regioni a statuto speciale.

Una prima giustificazione é da ravvisare, a giudizio della Corte, in un concetto fondamentale affermato dalla stessa Corte costituzionale. In sede di norme di attuazione o in occasione dell'adeguamento della legislazione statale alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni, ai sensi della disposizione IX della Costituzione - ritenne la Corte con la sentenza n. 58 del 18 novembre 1958 -, la collaborazione fra la Regione e lo Stato potrà essere disciplinata a questo riguardo nel modo più opportuno, anche col riconoscimento alla Regione di poteri più vasti di quelli che sono consentiti dai principi delle leggi vigenti. Ma la Corte ravvisò pur un limite: non potrà mai avvenire che l'organo statale non si riservi in definitiva "poteri decisivi". E questi poteri decisivi bisogna ammetterli - e li ammetteva la Corte - quando si tratti di interessi generali dello Stato.

Ed un interesse generale - ed é questa la seconda giustificazione, cui non può non riconoscersi importanza essenziale e fondamentale in ordine alla riserva di quella potestà - é appunto la tutela dell'ordine giuridico derivante dall'osservanza delle leggi, che obbliga tutti i cittadini e, innanzi tutto, i pubblici poteri e i pubblici enti ed istituti. Se lo Stato non può disinteressarsi dell'ordine pubblico, non può certamente rimanere indifferente di fronte a "persistenti violazioni di leggi", quando, per giunta, abbia richiamato gli organi responsabili a provvedere.

Per queste ragioni, non ritiene la Corte che possa considerarsi fondata la prima questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione, riguardante l'art. 7.

6. - Del pari non fondata si appalesa l'altra questione: quella riflettente l'art. 9 delle norme di attuazione in esame.

L'art. 9, come innanzi si é visto, stabilisce che, "nell'esercizio dei poteri attribuiti al Prefetto dall'art. 4, lett. b, della legge 3 giugno 1937, n. 847, modificata dal R.D.L.14 aprile 1944, n. 125, e dal D.P.R. 19 agosto 1954, n. 968, in materia di riparto dei fondi per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza, il Commissario del Governo provvederà d'intesa col Presidente della Giunta regionale".

Si duole la Regione che questa attribuzione di potestà, per il riparto dei fondi di integrazione, non sia stata fatta esclusivamente agli organi regionali, con esclusione quindi di ogni ingerenza del Commissario del Governo; e denuncia la violazione dell'art. 13 dello Statuto speciale, nel presupposto - come già si é veduto - che tutta la materia delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza é passata, nella Regione, alla competenza della Regione stessa, e conseguentemente anche ogni relativa potestà amministrativa. Assume la difesa della Regione, nella memoria, che se attraverso la corresponsione di contributi da parte dello Stato, nelle materie di competenza regionale, si ammettesse la possibilità di sottrarre alla Regione, relativamente a quei contributi, la competenza ad essa spettante, si ferirebbe l'autonomia regionale e si lederebbe il sistema finanziario stabilito costituzionalmente per la Regione con lo Statuto speciale: ogni entrata della Regione deve, invece, far parte di questo sistema e deve essere da essa amministrata.

Ma tale assunto si rivela privo di fondamento se si ha riguardo alla natura delle somme date dal Ministero dell'interno a titolo di integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. Se si trattasse di cespiti finanziari della Regione, essi certamente dovrebbero entrare nel sistema finanziario della medesima e per essi dovrebbe affermarsi la competenza amministrativa degli organi regionali; ma questa natura quelle somme non hanno, e però non sussiste l'assunta ipotesi di violazione delle potestà della Regione e dell'autonomia regionale, e di infrazione del suo sistema finanziario. Si tratta, invero, di somme prelevate da un fondo speciale costituito presso il Ministero dell'interno, di cui il Ministero dispone il riparto fra le varie Province "in relazione alla necessità dell'assistenza" (art. 4, legge 3 giugno 1937, n. 847), e quindi con criterio volutamente e necessariamente discrezionale. Esula perciò qualsiasi elemento che possa fare assumere a quei contributi un carattere tale da poter essere incorporati nel sistema finanziario della Regione, costituzionalmente stabilito con lo Statuto. E deve aggiungersi - e ciò comprova ancora la natura discrezionale dell'attività svolta dal Ministro in materia - che quando il Ministro dell'interno dispone, per ogni esercizio finanziario, il riparto per Province, non può esaurire tutto il fondo, ma deve disporre soltanto dei quattro quinti: il residuo quinto - stabilisce l'art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica del 19 agosto 1954, n. 968 - resta a disposizione del Ministero per fronteggiare successive esigenze inerenti all'integrazione dei bilanci degli enti predetti.

La natura speciale delle somme costituenti queste integrazioni, la loro origine e l'attività discrezionale insita nella loro ripartizione sono tutti elementi che non possono non riflettersi anche nella attribuzione fatta dalla legge ai Prefetti, quali organi diretti del Ministero dell'interno, della competenza circa la distribuzione di quelle somme ai singoli enti (citato art. 17 della legge n. 968 del 1954). Non viola perciò alcuna disposizione dello Statuto speciale e non viola in alcun modo l'autonomia della Regione la disposizione dell'art. 9 delle norme di attuazione in esame, che attribuisce al Commissario del Governo la competenza a provvedere al riparto delle somme concesse dal Ministero dell'interno per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza, quando, per giunta, tenendosi conto di una spiegabile ingerenza degli organi regionali, si é stabilito, nell'articolo stesso, che la ripartizione deve avvenire "d'intesa" col Presidente della Giunta regionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni proposte dal Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, con ricorso notificato il 17 aprile 1959 sulla legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, e dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 26 gennaio 1959, n. 97, recante "Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza", in riferimento, rispettivamente, agli artt. 5, n. 2, 13, 76 e 77, ed agli artt. 4, n. 1, 5, n. 2,e 13 dello Statuto stesso;

respinge, in conseguenza, il ricorso.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 marzo 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.                                                                               

 

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 1960.