Sentennza n. 69 del 1959
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SENTENZA N. 69

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D. P. R. n. 1415 del 18 dicembre 1951, promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1958 dalla Corte di appello di Catanzaro nel procedimento civile vertente tra Fasanella Giuseppe e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 3 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26 del 31 gennaio 1959.

Udita nell'udienza pubblica del 16 dicembre 1959 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi l'avv. Antonio Sensi per Fasanella Giuseppe e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per l'Opera per la valorizzazione della Sila.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il D. P. R. del 18 dicembre 1951, n. 1415, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, suppl. n. 299 del 31 dicembre 1951, disponeva a favore dell'Ente valorizzazione Sila e a carico di Giuseppe Fasanella fu Luigi, l'espropriazione di due terreni, denominati Maranella e Tarametà: il provvedimento era preso a norma degli artt. 5 e 2 legge 12 maggio 1950, n. 230 (c. d. legge Sila), essendosi constatato, sulla base di dati catastali, che il Fasanella aveva, al 15 novembre 1949, un patrimonio terriero d'estensione superiore ai 300 ettari.

Ma Giuseppe Fasanella, con citazione dei 19 febbraio 1953, chiamava dinanzi al Tribunale di Cosenza l'Ente valorizzazione Sila, chiedendo il rilascio dei due fondi, la restituzione dei frutti e il risarcimento dei danni, subordinatamente il solo risarcimento dei danni. Il Fasanella sosteneva che il D. P. R. era manifestamente viziato da errore: infatti egli, molto prima del 15 novembre 1949, con scrittura del 19 gennaio 1933, avente data certa e comunque registrata il 20 novembre 1941, aveva trasferito a suo padre, Luigi Fasanella, quasi tutto il proprio patrimonio; più tardi aveva, sì, ereditato dal padre, morto l'anno dopo, questi beni e altri ancora, ma solo nella misura di 1/3, perché insieme con lui succedevano anche due suoi fratelli; che perciò il suo patrimonio, alla data del 15 novembre 1949, mentre il catasto gli attribuiva ancora i terreni già alienati a suo padre, non toccava quei limite di 300 ettari senza il raggiungimento del quale é escluso l'esproprio ex art. 2 legge Sila; dunque, concludeva Giuseppe Fasanella, a norma di questo articolo egli non poteva esser soggetto ad espropriazione.

L'Ente valorizzazione Sila riconosceva che, se avesse avuto efficacia anche nei propri confronti l'atto di alienazione dei 19 gennaio 1933, il patrimonio del Fasanella sarebbe stato inferiore ai 300 ettari; sosteneva però, contemporaneamente, che tale atto non gli era opponibile perché, a differenza dal provvedimento d'esproprio, non era stato trascritto (art. 2644 Cod. civ.): nei riguardi dell'Ente l'alienazione fatta il 19 gennaio 1933 non poteva considerarsi avvenuta e perciò i relativi terreni erano rimasti, rispetto ad esso, nel patrimonio dell'espropriato; il quale dunque, se si sommano quei beni con quelli acquistati da lui successivamente, cioè dopo il 1933 e prima del 1949, aveva a questa data un patrimonio terriero d'estensione superiore ai 300 ettari; l'atto di espropriazione, che lo aveva colpito, doveva quindi ritenersi legittimo.

Il Tribunale accoglieva questa tesi dell'Ente Sila e rigettava la domanda di Giuseppe Fasanella: riconosceva che questi aveva proposto una questione di legittimità costituzionale (infatti il Governo, che espropri una persona il cui patrimonio sia inferiore ai 300 ettari, va oltre i limiti indicati nella delega legislativa), ma la considerava manifestamente infondata. Tuttavia il Fasanella ricorreva alla Corte di appello di Catanzaro, la quale invece, ritenendo non manifestamente infondata tale questione di legittimità costituzionale, sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti a questa Corte. L'ordinanza di rimessione, pronunciata l'11 novembre 1958, é stata notificata il 9 dicembre 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio 1959, n. 26.

Il Fasanella si é costituito nel giudizio dinanzi a questa Corte con deduzioni e con una memoria presentate rispettivamente l'11 dicembre 1958 e il 25 novembre 1959; l'Ente valorizzazione Sila ha fatto altrettanto, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni e con una memoria depositate il 9 febbraio 1959 e il 2 dicembre 1959.

2. - L'ordinanza della Corte di appello di Catanzaro afferma che la questione di legittimità costituzionale affiorata nei giudizio é rilevante poiché le domande proposte dal Fasanella (rilascio dei terreni, ecc.) "non possono essere prese in esame se non sia prima risolto il problema della legittimità del decreto d'esproprio"; aggiunge che l'atto, con cui il Fasanella si era spogliato il 19 gennaio 1933 di quasi tutto il suo patrimonio a favore del padre Luigi Fasanella, ha indubbiamente data certa; conclude ritenendo che la mancata trascrizione di quell'atto non lo rende inopponibile all'Ente valorizzazione Sila: infatti la norma dell'art. 2644 Cod. civ. si riferisce al conflitto tra due persone che acquistano lo stesso bene da un unico titolare, conflitto che appunto l'articolo risolve dando la preferenza a chi ha trascritto per primo; qui invece, "nella ipotesi della espropriazione in tema di riforma fondiaria, l'acquisto del diritto di proprietà da parte dell'ente espropriante... é preceduto da una operazione preliminare di accertamento del patrimonio dell'espropriando: tale accertamento... é ancora al di fuori delle operazioni di esproprio ed é cosa nettamente distinta dall'acquisto dei diritto di proprietà, ai cui fini vale la norma della preferenza dell'atto trascritto".

D'altra parte, sempre secondo la Corte di appello, il legislatore, se avesse voluto estendere al caso la norma del Cod. civ., lo avrebbe detto espressamente in quell'art. 27 legge Sila che contiene varie eccezioni proprio alla disciplina degli atti traslativi dei beni. In conclusione, se l'atto, con cui il Fasanella alienava gran parte dei suo patrimonio, può essere fatto valere anche nei riguardi dell'Ente valorizzazione Sila e poiché, dato ciò, il suo patrimonio terriero al 15 novembre 1949 avrebbe avuto un'estensione inferiore ai 300 ettari, la questione di legittimità costituzionale (c. d. eccesso di delega) per la Corte di appello non é manifestamente infondata.

3. - Giuseppe Fasanella per parte sua prospetta tre ordini di ragioni:

a) Innanzi tutto ricorda che nell'art. 2 legge Sila é indicato espressamente il limite minimo di 300 ettari ai fini dell'espropriazione; si duole che il Governo gli abbia attribuito un patrimonio terriero maggiore di quello del quale era effettivamente titolare: tale attribuzione contrasta con la situazione di fatto che, come risulta nell'ordinanza di rimessione, é stata accertata dalla Corte di Catanzaro, "giusta il potere e la competenza ad essa" spettanti; conclude che, proprio allo scopo di accertare la situazione di fatto, il problema relativo all'efficacia od opponibilità del discusso atto di alienazione 19 gennaio 1933 é stato già risolto positivamente nell'ordinanza della Corte di appello e non può più essere affrontato in questa sede.

b) Del resto, prosegue il Fasanella, "a perfezionare un trasferimento (come quello a cui mirava il citato atto 19 gennaio 1933) basta l'accordo delle parti contraenti sulla cosa e sul prezzo"; di più, in questo caso, l'alienazione fatta nel 1933 rimase tutt'altro che occulta: non fu trascritta la scrittura del 1933, ma lo fu la denunzia di successione dell'8 gennaio 1942 nella quale figurano appartenenti al padre Luigi proprio quei beni che lo espropriato gli aveva venduto con la suddetta scrittura; comunque i due terreni espropriati a favore dell'Ente valorizzazione Sila (Maranella e Tarametà) non hanno niente a che fare coi beni alienati nell'atto 19 gennaio 1933: perciò rispetto ad essi non c'é conflitto tra due acquirenti d'un medesimo bene dalla stessa persona, cioè tra il padre del Fasanella, che acquistava nel 1933, e l'Ente valorizzazione Sila che acquistava per esproprio nel 1951: se ne dovrebbe concludere che il citato art. 2644 Cod. civ., poiché intende risolvere solo i conflitti di quel tipo, non può essere invocato in questo caso.

c) Infine Giuseppe Fasanella conclude che, quand'anche non si volesse tener conto della discussa scrittura 19 gennaio 1933, la superficie del suo patrimonio al 15 novembre 1949 risulterebbe comunque inferiore ai 300 ettari: infatti i terreni dell'eredità paterna ammonterebbero a 420 ettari (vale a dire i 516 ettari calcolati dal consulente d'ufficio meno i 96, che, essendo inopponibile la scrittura del 1933, sarebbero rimasti nel patrimonio del figlio); di questi 420 ettari Giuseppe Fasanella avrebbe acquistato, per successione ereditaria, solo un terzo (140 ettari), poiché con lui concorrevano altri due fratelli; così, 140 ettari dell'asse paterno più 96 ettari, rimastigli nonostante l'atto del 1933, più altri 22 ettari acquistati da lui in vario modo farebbero in tutto un patrimonio terriero di 258 ettari: il limite di 300 ettari non sarebbe toccato.

4. - L'Avvocatura dello Stato, a nome dell'Ente valorizzazione Sila, poiché il Fasanella nel catasto appariva proprietario di beni d'estensione superiore ai 300 ettari, nelle deduzioni del 9 febbraio 1959 aveva sostenuto ancora una volta che, ai fini dell'esproprio, per la determinazione dei patrimonio dell'espropriando le risultanze catastali sono decisive; ma successivamente, nella memoria depositata il 2 dicembre 1959, ha dichiarato di abbandonare queste tesi oramai contraddette dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

L'Avvocatura dello Stato peraltro difende la legittimità dell'atto di esproprio: per esso il patrimonio di Giuseppe Fasanella al 15 novembre 1949 eccedeva in estensione i 300 ettari poiché l'atto di alienazione del 19 gennaio 1933, che ne faceva uscire gran parte dei beni, non é opponibile all'ente espropriante: infatti tanto Luigi, che nel 1933 acquistò quasi tutti i beni di Giuseppe Fasanella, quanto l'Ente valorizzazione Sila, beneficiario dello esproprio, sono aventi causa dello stesso Giuseppe Fasanella; c'é dunque un conflitto tra i due acquirenti e il conflitto si risolve a vantaggio dell'Ente, proprio in virtù del citato art. 2644; é vero che Luigi Fasanella, padre dell'espropriato e acquirente dei suoi beni con l'atto del 19 gennaio 1933, é qui fuori causa; ma é pure indiscutibile che Giuseppe Fasanella, espropriato, entra in giuoco come successore di suo padre: infatti quale "erede pretende sostenere l'efficacia dell'acquisto del suo dante causa (cioè di suo padre) per dedurne che parte del suo patrimonio terriero era uscito dalla sua sfera patrimoniale": ne deriverebbe che il discusso atto del 19 gennaio 1933 come non sarebbe opponibile all'Ente dal padre Luigi Fasanella non può essergli opposto neanche dal figlio Giuseppe, attuale espropriato.

D'altronde, a parere dell'Avvocatura dello Stato, l'atto, con cui s'e accertata la estensione dei patrimonio di Giuseppe Fasanella al 15 novembre 1949, non é un qualche cosa che stia fuori dal procedimento d'esproprio e che perciò si sottragga all'art. 2644; esso invece rientra, a differenza di quanto dice la Corte di appello, nell'unità dei procedimento che sfocia nell'acquisto dei terreni da parte dell'ente espropriante; insomma é "parte integrante dell'acquisto del diritto di proprietà, ai cui fini vale la norma di preferenza dell'atto trascritto": come dire che per l'atto iniziale d'accertamento può ripetersi ciò che la legge, nel caso il citato art. 2644, stabilisce per gli atti d'acquisto; per conseguenza la mancata trascrizione del contratto 19 gennaio 1933 ne paralizza l'efficacia anche di fronte al procedimento di esproprio.

Quanto poi all'affermazione del Fasanella, secondo cui, anche negando valore alla scrittura del 1933, il suo patrimonio fondiario risulterebbe comunque inferiore ai 300 ettari (v. num. prec., lett. c), l'Avvocatura dello Stato risponde che la questione, non essendo neppure sfiorata nell'ordinanza della Corte di appello e attenendo al merito, é ovviamente sottratta al giudizio di questa Corte.

5. - Nella discussione orale le difese delle parti hanno illustrato le tesi già svolte negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Fasanella sostiene che, anche negando valore all'atto di alienazione del 19 gennaio 1933, il suo patrimonio terriero al 15 novembre 1949 avrebbe avuto un'estensione inferiore ai 300 ettari. La questione é di mero fatto, non é stata decisamente affrontata dalle Corti di merito ed é estranea al contenuto dell'ordinanza di rinvio: benché dalla consulenza tecnica d'ufficio si possano trarre forse elementi per ritenerla fondata, essa é sottratta alla competenza di questa Corte.

2. - Da respingere é inoltre la tesi, prima difesa poi abbandonata dall'Ente valorizzazione Sila, secondo la quale le rilevanze catastali sarebbero decisive per la determinazione del patrimonio terriero dell'espropriando: la Corte costituzionale in precedenti sentenze, a cui si rinvia (n. 8, 10 e 57 del 1959), ha già escluso che l'art. 16 legge 25 giugno 1865, n. 2359, sull'espropriazione per p. u. sia estensibile ai procedimenti d'esproprio previsti dalle leggi di riforma fondiaria.

3. - Né può essere presa in esame la tesi del Fasanella, secondo cui i beni alienati con la discussa scrittura del 19 gennaio 1933 sarebbero diversi da quelli espropriati a favore dell'Ente valorizzazione Sila e che perciò non vi sarebbe quel contrasto fra due acquisti che legittima, in ipotesi, il ricorso all'art. 2644 Codice civile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del D. P. R. n. 1415 del 18 dicembre 1951 in quanto ha proceduto all'esproprio relativamente a un patrimonio che, al 15 novembre 1949, non superava i 300 ettari, In relazione all'art. 2 legge 12 maggio 1950, n. 230, e in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1959.

Gaetano AZZARITI - Giusepe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.

 

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1959.