Sentenza n. 59 del 1959
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SENTENZA N. 59

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma - seconda proposizione - dell'articolo 133 del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 20 settembre 1958 dal Tribunale di Pescara nel procedimento penale a carico di Bisbano Antonio, Dragani Ginseppe e Gnagnarella Carminantonio, iscritta al n. 8 del Registro ordinanze 1959 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45 del 21 febbraio 1959.

Udita la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli nella camera di consiglio del 10 novembre 1959.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Pretore di Pescara, con sentenza 11 aprile 1957, condannava Bisbano Antonio, Dragani Giuseppe e Gnagnarella Carminantonio a pene varie per concorso nel delitto di truffa. Nel dibattimento davanti al Pretore gli imputati furono assistiti da un unico difensore di ufficio.

In grado di appello, proposto da tutti e tre gli imputati, costoro nominarono rispettivamente il proprio difensore.

Nell'udienza davanti al Tribunale di Pescara il difensore del Dragani, richiamandosi al primo motivo dell'atto di appello, eccepiva la nullità del dibattimento di primo grado, e quindi della sentenza, per violazione dell'art. 185, n. 3, Codice proc. penale.

Rilevava in proposito che il diritto dell'imputato all'assistenza sarebbe stato gravemente pregiudicato per avere il primo giudice nominato un unico difensore di ufficio a tutti e tre gli imputati le cui posizioni processuali non erano soltanto incompatibili, ma addirittura tra di loro contrastanti. E soggiungeva che, ove mai l'art. 133 Cod. proc. pen. dovesse ritenersi tuttora in vigore e non abrogato dall'art. 185, n. 3, Cod. proc. pen., esso sarebbe incostituzionale perché in violazione dell'art. 24 della Costituzione, che sancisce la inviolabilità del diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento; principio informatore della legge 18 giugno 1955, n. 517. Aderiva la difesa degli altri imputati.

Il Tribunale, con ordinanza del 20 settembre 1958, premesso:

che la dedotta ed accertata incompatibilità della difesa dei tre coimputati da parte dell'unico difensore d'ufficio costituisce ipotesi espressamente contemplata nella prima parte dell'art. 133 Cod. proc. penale;

che, ai sensi della stessa disposizione, siffatta incompatibilità non può in questo grado di giudizio, anche se oggetto di motivo di impugnazione, essere fatta valere non avendola gli interessati tempestivamente rilevata; e ciò perché l'ultima parte dell'art. 185 Cod. proc. pen. non contiene una abrogazione implicita della specifica sanatoria prevista dal citato art. 133;

ritiene in conseguenza che la lamentata nullità deve considerarsi sanata e che perciò va presa in esame la eccezione di illegittimità costituzionale sollevata in subordine dalla difesa, secondo la quale l'art. 133 Cod. proc. pen. nella parte relativa alla menzionata sanatoria sarebbe in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, che riconosce la inviolabilità del diritto alla difesa in ogni stato e grado del procedimento;

e, poiché tale eccezione appare rilevante e non é manifestamente infondata, sospende il giudizio e rinvia gli atti alla Corte costituzionale.

Non essendosi le parti costituite, il Presidente della Corte, con decreto del 20 luglio 1959, ha disposto che la causa sia trattata nella camera di consiglio del 10 novembre 1959 (legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 26, secondo comma; Norme integrative, art. 9, primo comma).

 

Considerato in diritto

 

La Corte é chiamata a decidere se la norma contenuta nell'articolo 133, primo comma (seconda proposizione) Cod. proc. pen. sia in contrasto col principio della inviolabilità del diritto alla difesa enunciato dall'articolo 24, secondo comma, Costituzione.

L'articolo 133, primo comma, dopo avere affermato che, quando non vi é incompatibilità, la difesa di più imputati può essere affidata ad un difensore comune, soggiunge che la incompatibilità:

a) deve essere rilevata da chi vi ha interesse, appena ne viene a conoscenza e, comunque, in tempo utile perché si possa provvedere alla sostituzione del difensore, senza sospendere gli atti del procedimento; b) non può, in seguito, essere opposta, né in via di eccezione, né come motivo di impugnazione.

Ciò costituisce un limite all'esercizio del diritto di difesa, che viola la norma contenuta nell'articolo 24, secondo comma, della Costituzione, secondo la quale "la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".

Invero l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato devono servire come strumento processuale per garantire la sostanza della difesa, la quale non può essere operativa, quando lo stesso difensore si venga a trovare di fronte a situazioni di fatto e di diritto inconciliabili.

Il conflitto di interessi, determinato da posizioni riguardanti imputati diversi, paralizza la difesa stessa e trasforma la incompatibilità in mancanza di assistenza. Viene, cioè, meno il contrasto che qualifica l'essenza del rapporto processuale, il quale sarebbe pertanto inidoneo a determinare una cooperazione utile per l'applicazione della legge.

Come questa Corte ha avuto occasione di affermare (sent. n. 46 dell'8 marzo 1957), il diritto della difesa, garantito anche ai non abbienti (cit. art. 24, terzo comma), importa la possibilità effettiva dell'assistenza tecnico-professionale per assicurare il contraddittorio e rimuovere ogni ostacolo a fare valere le ragioni delle parti. La difesa dell'imputato si viene, in tal modo, ad inserire nell'iter del processo con carattere di essenzialità tanto da essere intimamente legata alla regolare esplicazione del potere giurisdizionale.

Consegue che, nel superiore interesse della giustizia, l'incompatibilità deve essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento; e che la valutazione della incompatibilità non può essere rimessa alla parte che vi ha interesse. Il superamento dei limiti prescritti dall'art. 133 Cod. proc. pen. viene, così, a garantire la difesa con la estensione voluta dalla norma costituzionale.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, primo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma - seconda proposizione - dell'articolo 133 Cod. proc. pen. (riguardante la incompatibilità della difesa di più imputati affidata ad un difensore comune), sollevata con ordinanza del Tribunale di Pescara del 20 settembre 1958, in riferimento all'articolo 24, secondo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1959.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.

 

Depositata in cancelleria il 1 dicembre 1959