Sentenza n. 50 del 1959
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SENTENZA N. 50

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto-legge della Regione siciliana 1 luglio 1959, n. 1, recante "Provvidenze in favore del Comune di Taormina", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana notificato il 3 luglio 1959, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il giorno 4 successivo ed iscritto al n. 15 del Registro ricorsi del 1959.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione siciliana;

udita nella pubblica udienza del 27 luglio 1959 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi per il ricorrente e gli avvocati Giuseppe Chiarelli, Leopoldo Piccardi e Giuseppe Guarino per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 3 luglio 1959 al Presidente della Regione siciliana e depositato nella cancelleria di questa Corte il 4 luglio 1959, il Commissario dello Stato presso la Regione siciliana ha impugnato il decreto-legge 1 luglio 1959, n. 1, recante "Provvidenze in favore del comune di Taormina", comunicato lo stesso 1 luglio al Commissario dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello Statuto speciale della Regione siciliana. Del deposito del ricorso nella cancelleria é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 164 dell'11 luglio 1959, e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, n. 41 della stessa data, dal Presidente della Corte costituzionale, il quale con decreto in data 4 luglio 1959 ha anche provveduto alla riduzione dei termini per la presentazione delle deduzioni e per la costituzione delle parti, nonché per il deposito di memorie illustrative, ai sensi dell'art. 9 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, considerati i motivi di particolare urgenza, che erano il presupposto stesso del provvedimento adottato dalla Regione siciliana nella forma di decreto legge, e che rendevano necessaria la sollecita definizione del giudizio di legittimità costituzionale.

Il decreto legge impugnato, che reca le firme del Presidente della Regione e degli Assessori per il turismo e lo spettacolo e per le finanze, richiama nel preambolo lo Statuto della Regione siciliana, una mozione approvata dall'Assemblea regionale nella seduta del 1 settembre 1947 e l'ordine del giorno approvato dalla stessa Assemblea nella seduta pomeridiana del 21 marzo 1958, nonché la deliberazione della Giunta regionale. Afferma l'urgente e assoluta necessità di adottare provvidenze idonee alla valorizzazione del centro turistico di Taormina, che trovasi in fase di regresso rispetto ad altre privilegiate località del territorio nazionale, e la cui ripresa é di vitale importanza, oltre che per le popolazioni della zona, per tutto lo sviluppo del turismo in Sicilia. Aggiunge che l'adozione delle provvidenze previste, indispensabili anche ai fini del risanamento del bilancio del comune di Taormina, soddisfa alle condizioni particolari e alle esigenze proprie della Regione.

Il decreto legge consta di tre articoli. Il primo dispone che é confermata, per la durata di venti anni, rinnovabili, alla società "A. Zagara", società per azioni, con sede in Palermo, avente causa dall'E. T. A. L. (vale a dire dall'Ente turistico ed alberghiero della Libia), l'autorizzazione concessa dal decreto 27 aprile 1949, n. 1, dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo, riguardo a tutte le attività in esso contemplate. La predetta autorizzazione ha efficacia anche nei confronti dei terzi.

L'art. 2 dispone che l'esercizio delle attività previste nel precedente articolo sarà effettuato con le modalità, nei limiti ed alle condizioni di cui al decreto presidenziale 28 maggio 1959, n. 203/A; che la società concessionaria dovrà iniziare, in via provvisoria, l'esercizio delle predette attività entro cinque giorni dalla pubblicazione del decreto legge, nel locale "Le Rocce", di pertinenza della Amministrazione regionale; che, in difetto, l'Amministrazione regionale é autorizzata a gestire i servizi concernenti le attività anzidette, sia direttamente ai sensi del decreto legislativo 9 maggio 1950, n. 17, che per il tramite del comune di Taormina.

Secondo l'art. 3 il decreto legge entrerà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana e sarà presentato immediatamente alla Assemblea regionale per la sua conversione in legge.

2. - I voti e i provvedimenti richiamati nel testo del decreto legge impugnato hanno il contenuto seguente.

Nella mozione approvata dalla Assemblea regionale siciliana il 1 settembre 1947 si legge che detta Assemblea, considerate le disastrose condizioni in cui versa il comune di Taormina, la paralisi dell'industria turistica di quel centro e la conseguente stasi dello sviluppo turistico siciliano, che da Taormina prende vita e vigore, la crisi in cui é Venuta pertanto a trovarsi l'intera classe lavoratrice del luogo e della zona,... considerati i provvedimenti straordinari presi in simili circostanze per altri centri turistici del continente, come S. Remo, Campione e Venezia, rispetto ai quali Taormina trovasi in condizioni di ben più assillante necessità, considerato quanto più recentemente é stato fatto dal Governo autonomo di Val d'Aosta, per il comune di Saint Vincent,... "delibera di promuovere e sostenere tutti i provvedimenti idonei a risollevare le condizioni del comune di Taormina ed adeguare tale centro - come già San Remo, Venezia, Campione e Saint Vincent - alle esigenze moderne del turismo internazionale"; un emendamento aggiuntivo specificava: "consentendo, tra l'altro, con tutti gli accorgimenti del caso, la istituzione di un casinò da giuoco".

Nell'ordine del giorno approvato nella seduta pomeridiana del 21 marzo 1958 (nel corso della discussione di un disegno di legge, divenuto poi legge regionale 18 aprile 1958, n. 12) l'Assemblea regionale, considerato fra l'altro "che il problema dell'aggiornamento e dello sviluppo delle attrezzature turistiche della zona Taormina-Etnea, con enormi ripercussioni benefiche per tutto il turismo siciliano, sarebbe largamente risolto con la concessione della gestione di un casinò a Taormina, che da tempo immemorabile lo chiede, e con maggiore insistenza oggi perché il decorso del tempo peggiora la situazione di quella stazione di soggiorno, impegna il Governo ad adottare gli opportuni provvedimenti per la realizzazione di un complesso edilizio da destinare al Casinò di Taormina ed iniziative annesse, e per assicurarne con tutte le necessarie garanzie il migliore esercizio, tale da costituire quel richiamo al movimento turistico internazionale, che simili attrazioni producono ovunque esse siano state realizzate, compresi altri centri turistici italiani".

Il decreto 27 aprile 1949, n. 1, dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, 30 aprile 1949, n. 19), del quale si fa menzione nell'art. 1 del decreto legge impugnato, dispone che l'Ente turistico ed alberghiero della Libia (E. T. A. L.) é autorizzato per venti anni a svolgere in Sicilia i programmi inerenti al proprio scopo di incremento turistico e alberghiero e tutte le attività connesse con lo scopo anzidetto. già esercitate in Libia, ivi compreso l'esercizio del giuoco d'azzardo. Nel preambolo si richiamavano i provvedimenti legislativi dello Stato o del Governo generale della Libia, con i quali l'E. T. A. L. era stato istituito (R. D. 31 maggio 1935, n. 1410), autorizzato ad esercitare in Tripoli il giuoco d'azzardo, e successivamente, in conseguenza degli eventi bellici, ad esercitare in Italia tutte le attività economiche già condotte in Libia (R. D. 22 aprile 1943, n. 560, e decreto ministeriale 30 aprile 1947).

Il R. D. 31 maggio 1935, n. 1410, aveva istituito l'E. T. A. L., con personalità giuridica e sede in Tripoli, "avente lo scopo di promuovere e di incrementare il movimento turistico in Libia, di dirigere e coordinare l'azione che istituti, organizzazioni, società, comitati e privati svolgono in tale campo, nonché di gestire alberghi e svolgere ogni altra attività attinente allo scopo predetto".

Il decreto 30 aprile 1947 (in Gazzetta Ufficiale del 19 giugno 1947, n. 137) emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro ad interim per l'Africa italiana, di concerto con i Ministri per le finanze e il tesoro e per l'industria e commercio, richiamava la legge 18 maggio 1942, n. 669, per la gestione in Italia delle attività economiche esercitate nell'Africa orientale italiana, ed il decreto 22 aprile 1943, n. 560, che estendeva l'applicazione delle norme della stessa legge alle attività economiche esercitate in Libia, per accordare anche all'E. T. A. L. l'autorizzazione ad esercitare in Italia gestioni alberghiere e le altre attività economiche previste nell'art. 1 del decreto istitutivo dello stesso Ente.

Il decreto legislativo presidenziale 9 maggio 1950, n. 17, concerne fra l'altro le aziende regionali non costituite in forma autonoma e le gestioni di particolari servizi od amministrazioni esercitate dalla Regione.

Infine, il decreto presidenziale 28 maggio 1959, n. 203/A, al quale rinvia l'art. 2 del decreto legge impugnato dal Commissario dello Stato, é un provvedimento del Presidente della Regione siciliana pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione stessa, n. 34 del 6 giugno 1959, che risulta annullato di ufficio perché illegittimo, con decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1959, n. 1098. Con esso si confermava alla società "A. Zagara", quale avente causa dell'E. T. A. L., l'autorizzazione concessa nel decreto 27 aprile 1949, n. 1, dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo, per la durata di venti anni (art. 1), si poneva a carico della società la costruzione dell'apposito Kursaal (art. 3), si determinavano limiti alla posta dei "giuochi di fortuna" (art. 4) e la esclusione dal giuoco dei cittadini residenti in Taormina, degli impiegati dello Stato e degli enti pubblici, dei militari e dei minorenni (art. 5), si stabilivano le percentuali da corrispondere alla Regione ed ai comuni di Messina e di Taormina sui proventi lordi del giuoco (art. 7), si disciplinavano altre modalità di esecuzione.

3. - I motivi, in base ai quali il Commissario dello Stato presso la Regione siciliana ha chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale del decreto legge 1 luglio 1959, si trovano esposti come segue nel ricorso.

Il ricorrente osserva che nel nostro ordinamento la determinazione delle competenze ha carattere inderogabile e che ogni spostamento della competenza legislativa non può non rappresentare un atto illegittimo, se non trova fondamento in apposita norma costituzionale. Pertanto l'autoassunzione da parte dell'organo esecutivo, in Sicilia, di poteri che competono all'organo legislativo concreta una vera e propria alterazione dell'ordinamento costituzionale della Regione. Esclusa la possibilità di una applicazione analogica del disposto dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione, che rappresenta una deroga al principio generale del sistema costituzionale, il ricorrente afferma che la emanazione di decreti legge regionali può ammettersi solo per quelle regioni, il cui statuto speciale espressamente li prevede, come lo Statuto del Trentino-Alto Adige (art. 38, n. 5) e quello della Val d'Aosta (art. 36). D'altra parte, il Governo della Regione siciliana non si era mai avvalso finora di questa forma di attività legislativa.

Osserva inoltre il ricorrente, che in ogni caso deve essere sempre rispettata la rigorosa disciplina posta all'istituto dallo stesso art. 77 della Costituzione, che riconosce al Governo la potestà di adottare provvedimenti dotati di valore di legge, soltanto in casi straordinari e di urgenza; il che presuppone indubbiamente, per l'esercizio della eccezionale facoltà, la sussistenza di condizioni idonee a giustificare provvedimenti, la cui omissione potrebbe determinare conseguenze dannose per il pubblico interesse. Tali condizioni non sussisterebbero nella specie, non vedendosi a quale assoluta ed impellente necessità possa rispondere il dare attuazione a provvedimenti, la cui origine risale al 1947, tanto più in un momento in cui era stata eletta e già convocata, per la seduta del 7 luglio, la nuova Assemblea regionale.

Sotto un altro profilo il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato deve essere dichiarato illegittimo, a prescindere dalla forma prescelta dal Governo della Regione, perché esso comporta l'esercizio di una attività legislativa, che non può essere riconosciuta nemmeno all'Assemblea regionale. A detta del ricorrente, sembra fuori di ogni dubbio che il fine principale del provvedimento é quello di autorizzare l'esercizio di una casa da giuoco, i cui proventi alimenterebbero attività turistiche ed alberghiere connesse; ma, se per questa ultima parte non si può contestare alla Regione la competenza legislativa ex art. 14, lett. n, dello Statuto, non potrebbe assolutamente ammettersi che nei poteri in materia di turismo possa rientrare la facoltà di deroga alla legge penale, e in particolare alle disposizioni dettate nel Codice penale agli articoli da 718 a 723. La materia penale in senso proprio, con riguardo, cioè, al sistema di norme che regolano a fini generali la condotta dei cittadini sotto il profilo della individuazione dei reati, sarebbe sottratta alla competenza regionale anche per costante giurisprudenza.

Secondo il ricorrente, anche il generico richiamo allo Statuto contenuto nelle premesse del decreto non indica in alcun modo da quale norma di esso il Governo regionale abbia creduto di potere trarre la potestà di emettere il decreto in questione.

Infine, un altro motivo di censura si dovrebbe ravvisare nel fatto che il provvedimento richiama il decreto del Presidente della Regione in data 28 maggio 1959, n. 203/A, e il decreto dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo del 27 aprile 1949, n. 1, annullati e privati di efficacia dal ricordato decreto del Presidente della Repubblica.

In difesa del Commissario dello Stato per la Regione siciliana si é costituita in giudizio l'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 4 luglio 1959 nella cancelleria della Corte.

4. - In data 14 luglio 1959 si é costituito in giudizio il Presidente della Regione siciliana, mediante deposito in cancelleria di procura alle liti, con elezione di domicilio in Roma, conferita con atto autenticato 11 luglio 1959, e delle deduzioni.

In queste il resistente conclude perché il ricorso proposto dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana sia dichiarato inammissibile e subordinatamente respinto perché infondato.

Premessa una esposizione delle vicende legislative in materia di case da giuoco in Libia, ed anche in alcune località del territorio metropolitano, l'apertura delle quali venne autorizzata mediante provvedimenti di varia natura e diverso valore formale, la difesa della Regione ravvisa in tali vicende un sintomo della piena compatibilità del gioco di azzardo "autorizzato" con le disposizioni penali. Analogamente osserva che l'autorizzazione concessa all'E. T. A. L. nel 1947 venne bensì revocata con decreto ministeriale 3 marzo 1951, ma perché ne erano venute meno le ragioni, senza alcun accenno a un preteso contrasto di essa con le norme penali e con l'ordine pubblico.

In quanto alle "ragioni storiche che hanno provocato l'emanazione del decreto legge impugnato", la difesa della Regione le ravvisa nel fatto che il decreto del Presidente della Regione 28 maggio 1959, n. 203/A, anziché essere impugnato dallo Stato davanti alla Corte costituzionale, venne annullato di ufficio in base all'art. 6 della legge comunale e provinciale. Con questo comportamento, che il resistente qualifica "incostituzionale e scorretto", in quanto "privava la Sicilia del suo giudice naturale per la questione di costituzionalità", "la Regione é stata costretta, per far valere la sua volontà nei limiti garantiti dalla Costituzione, ad utilizzare un atto di efficacia formale superiore, emanando quindi un decreto avente forza di legge".

Esposte queste premesse di fatto, la difesa della Regione afferma che il ricorso deve essere anzitutto dichiarato inammissibile, per la parte in cui viene contestata la legittimità dell'uso del decreto legge, poiché in casi del genere non sarebbe ammesso ricorso in via principale per pretesa violazione in senso stretto della Costituzione, ma solo per questioni di competenza, ai sensi degli articoli 127 della Costituzione e 31 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87. Nemmeno potrebbe essere utilizzato al proposito l'art. 25 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, in primo luogo poiché questa norma concerne le sole leggi e non anche gli atti aventi forza di legge, in secondo luogo poiché la norma é stata dettata per l'Alta Corte e non per la Corte costituzionale.

La stessa difesa aggiunge, in via più subordinata, che la Corte costituzionale non può valutare il grado di indifferibilità ed urgenza, essendo rimesso il sindacato su questo requisito esclusivamente al giudizio politico dell'Assemblea.

Altro motivo di inammissibilità del ricorso, nella parte in cui censura il contenuto del decreto legge, sarebbe costituito secondo la Regione dalla acquiescenza, per il fatto che lo Stato non ha fatto ricorso per conflitto di attribuzione in relazione ai diversi provvedimenti emanati dalla Regione nella materia, nel 1949, nel 1950 e, da ultimo, con il decreto presidenziale 28 maggio 1959, n. 203/A. Con tale inattività lo Stato avrebbe riconosciuto in modo specifico la piena appartenenza della materia alla competenza regionale.

Nel merito la difesa della Regione afferma che il ricorso é infondato, anzitutto perché il potere di decretazione di urgenza trova il suo fondamento nello stato di necessità e sussiste quindi anche nel silenzio della legge, salva la responsabilità politica del Governo nei confronti dell'Assemblea. Esso può essere giustificato in base a un principio generale dell'ordinamento positivo, desumibile da una pluralità di norme e che trova un esplicito fondamento, rispetto alle Regioni, nell'art. 126 della Costituzione; né si deve dimenticare che lo Statuto siciliano fu emanato prima della Costituzione e mentre vigevano, per gli organi del Governo centrale, le norme della legge 31 gennaio 1926, n. 100. Infine, una sentenza dell'Alta Corte per la Regione siciliana (7febbraio 1950, n. 13), che riconobbe la applicabilità alla Sicilia dell'art. 76 della Costituzione, dovrebbe indurre ad ammettere la estensione analogica anche delle norme sulla decretazione di urgenza.

In quanto al motivo della incompetenza della Regione, affermato nel ricorso sul presupposto che essa avrebbe legiferato in materia penale, interferendo nella materia disciplinata negli articoli 718 e seguenti del Codice penale, i quali vietano il gioco d'azzardo, la difesa del resistente espone diverse considerazioni. Essa osserva in via preliminare che altro é modificare la norma penale, altro modificare il presupposto normativo che rende la norma penale applicabile, quali i numerosi precetti in materia di agricoltura, industria e commercio, urbanistica, miniere, che sono sanzionati penalmente: autorizzando l'esercizio della casa da gioco, la norma siciliana non avrebbe modificato la norma penale, ma solo fatto venir meno, in un caso particolare, il presupposto per la sua applicazione.

Aggiunge che gli articoli 718 e seguenti del Codice penale si applicano solo nei confronti delle case da gioco non autorizzate, altrimenti dovrebbero considerarsi illecite tutte le altre case esistenti in Italia, che hanno avuto a fondamento meri atti amministrativi e non leggi modificatrici del precetto sanzionato penalmente. Del resto, il decreto legge impugnato non avrebbe neppure rilasciato l'autorizzazione per il gioco d'azzardo, perché tale autorizzazione era già posseduta dalla società "A. Zagara", quale avente causa dell'E. T. A. L., ma solo consentito l'esercizio del gioco a Taormina; di guisa che il decreto in questione, malgrado la forma di legge, non sarebbe che un atto di attuazione della legge 18 maggio 1942, n. 662, al pari del decreto interministeriale del 1947, della cui liceità nessuno avrebbe mai dubitato, tanto che esso venne poi revocato nel 1951 per ragioni di opportunità, non di legittimità.

Richiama infine le finalità e le caratteristiche obbiettive del decreto impugnato, da inquadrare nella materia del turismo. Sulla base dei precedenti legislativi esistenti, la difesa della Regione sostiene che nel nostro ordinamento il divieto del gioco d'azzardo "non é assoluto, ma poggia su una valutazione comparativa delle esigenze della moralità e delle altre esigenze pubbliche"; poiché sarebbe "rimesso al potere discrezionale del legislatore stabilire caso per caso se debba darsi la preminenza alle esigenze del buon costume o a quelle turistiche, finanziarie e così via", sempre secondo la difesa, "detenendo potestà legislativa esclusiva in materia turistica, la Regione siciliana detiene quindi anche il potere di assegnare, con determinate cautele, la preminenza in un particolare caso ai fini turistici, rispetto alla tutela del buon costume".

5. - Successivamente l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria, che reca la data del 18 luglio 1959, nella quale sono maggiormente illustrati gli argomenti esposti nelle deduzioni, anche con la esposizione di alcuni dati di fatto, come quello che il decreto del 1949 dell'Assessore regionale non fu mai registrato e quindi non fu mai efficace, e con la riproduzione dei testi dei provvedimenti e del parere del Consiglio di Stato, Sez. I, 23 giugno 1959, relativo alla proposta di annullamento d'ufficio del decreto 28 maggio 1959, n. 203/A, del Presidente della Regione.

Con memoria che reca la data del 20 luglio 1959, la difesa della Regione ha pure insistito sugli argomenti già esposti ed ha affermato essere incontestabile che sia il decreto del Presidente della Regione 28 maggio 1959, n. 203/A, sia il decreto legge 1 luglio 1959, malgrado la diversa efficacia formale, non costituiscono che "atti accessori" dell'iniziale decreto 27 aprile 1949, di cui rappresentano lo svolgimento. Ha poi sviluppato particolarmente, in replica al secondo motivo del ricorso, la tesi che possono aversi tipi di beni giuridici, protetti da norme penali, che hanno il carattere della disponibilità e che, entro questa categoria, ne esistono alcuni che sono disponibili non già da parte di un privato cittadino, ma da parte di pubblici poteri. Poiché di solito il potere di disporne é esercitato dallo stesso legislatore che pone la norma penale, il fenomeno é sfuggito all'attenzione, ma esso merita di essere considerato quando, esclusa la competenza legislativa regionale a emanare norme penali, si ponga invece il problema se la Regione possa, in una materia che é compresa nella propria competenza e al fine di soddisfare interessi pubblici che ad essa fanno capo, disporre di beni giuridici protetti da norme penali; con che essa non emanerebbe, né abrogherebbe alcuna norma penale, e neppure vi derogherebbe, ma eliminerebbe uno degli elementi, in considerazione dei quali il legislatore ha considerato una determinata azione come illecita e l'ha quindi configurata come reato.

All'udienza i difensori delle parti hanno illustrato le tesi svolte negli scritti difensivi, confermando le rispettive conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione ha opposto al ricorso le eccezioni di inammissibilità, che si sono riferite, e che la Corte ritiene opportuno esaminare congiuntamente, anziché singolarmente in relazione ai motivi del ricorso.

Nelle deduzioni scritte, nella memoria e nella discussione orale la difesa della Regione ha svolto ampiamente la tesi che il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile, in particolare per quanto concerne il primo motivo, perché la legge non consentirebbe qualsiasi ricorso in via principale fondato sulla violazione della Costituzione, ma solo quello per vizi di competenza. Perciò si é anche accennato in tali scritti alla figura del conflitto di attribuzione, che non ricorre e non può ricorrere nel caso del presente giudizio, il quale concerne la legittimità di un atto legislativo, emesso in forma capace di attribuire alle sue disposizioni forza di legge, anche se poi si sostiene che esso sarebbe semplicemente un atto necessario e di esecuzione di un precedente provvedimento amministrativo.

Gli argomenti addotti dalla difesa della Regione a sostegno di questa tesi non sono da accogliere. Si é affermato che nella specie dovrebbe considerarsi applicabile, anche per il principio generale della unità giurisdizionale, che escluderebbe la ammissibilità di un trattamento diverso per la Sicilia rispetto alle altre Regioni, la norma dell'art. 127 della Costituzione. Si é poi detto che questo disciplina anzitutto il controllo preventivo di legittimità e lo contiene entro i limiti della questione di competenza, come risulta dal tenore del quarto comma, che prevede il rinvio della legge solo per il vizio di incompetenza; e che, d'altra parte, il comma seguente deve considerarsi strettamente legato al quarto. Il controllo di legittimità costituzionale, che va tenuto ben distinto da quello sulla osservanza della ripartizione delle competenze, sempre secondo la difesa della Regione, sarebbe sempre regolato nel sistema costituzionale italiano in modo del tutto diverso, e cioè attraverso la proposizione in via incidentale della questione di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni; così soltanto si potrebbe attuare infatti una duplice fase di controllo, esercitato prima ad opera del giudice del processo principale e successivamente, se del caso, della Corte costituzionale.

Senonché questa Corte ha già avuto più volte occasione di interpretare l'art. 127 della Costituzione, anche in tema di ricorsi proposti dallo Stato contro le Regioni, ed ha ritenuto che la parola "competenza" usata in tale disposizione comprenda ogni violazione di norme costituzionali, quale che sia il vizio di legittimità costituzionale denunciato, compreso quello di illegittimità formale.

Essa ha anche precisato recentemente che la Regione eccede dalla propria competenza legislativa non soltanto se legifera in materia non compresa nella specifica elencazione della norma statutaria, ma anche quando emana disposizioni legislative in contrasto con la Costituzione, e che in tal caso vizio di competenza e vizio di illegittimità costituzionale coincidono (sentenza 30 aprile 1959, n. 30); ed ha poi ritenuto tale principio valido per tutte le Regioni, compresa la Sicilia (sentenza 15 luglio 1959, n. 47).

La eccezione di inammissibilità del ricorso per questa parte non può pertanto essere accolta.

2. - Secondo la difesa della Regione, il ricorso del Commissario dello Stato sarebbe poi, per altro verso, inammissibile per acquiescenza: il decreto impugnato non costituisce il primo atto di intervento della Regione nella materia; vi erano stati per il passato il decreto assessoriale 27 aprile 1949, il decreto assessoriale 20 maggio 1950 e, da ultimo, il decreto del Presidente della Regione 28 maggio 1959, n. 203/A, i quali tutti non hanno formato oggetto di ricorso per conflitto di attribuzione. Con tale inattività lo Stato avrebbe riconosciuto, in modo specifico, la piena appartenenza della materia alla competenza regionale.

Anche su questo punto, peraltro, la Corte costituzionale ha già avuto più volte occasione di pronunciarsi. Con sentenza 7 marzo 1957, n. 44, essa, pur non escludendo a priori che nei giudizi di legittimità costituzionale proposti in via principale possano avere rilevanza preclusioni che spiegano efficacia nei giudizi inter partes, dichiarava che in tali giudizi non possono trovar posto istituti, come quello della inammissibilità del ricorso per acquiescenza, quali sono stati specialmente elaborati nella giurisprudenza amministrativa. Con la sentenza 16 dicembre 1958, n. 77, la Corte confermava tale principio, osservando che il Collegio non si era discostato e non riteneva di doversi discostare da questo indirizzo. E altrettanto ritiene nel caso del presente giudizio.

3. - Respinte le eccezioni di inammissibilità proposte dalla difesa della Regione; si deve passare all'esame del primo motivo del ricorso del Commissario dello Stato, il quale sostiene che la Regione siciliana non può emanare decreti legge, ma soltanto leggi.

Lo Statuto speciale della Sicilia non contiene alcuna disposizione esplicita sull'argomento. Da questa constatazione il Commissario dello Stato deduce la conseguenza che i decreti legge non sono ammissibili perché, trattandosi di una forma eccezionale di attività legislativa, che importa una deroga alle regole di competenza, sarebbe stata necessaria una norma costituzionale apposita. La difesa della Regione, al contrario, afferma che il potere di decretazione di urgenza trova il suo fondamento nello stato di necessità e sussiste quindi anche nel silenzio della legge; aggiunge poi che esso corrisponde ad un principio generale dell'ordinamento positivo, desumibile da una pluralità di norme, quali l'art. 77 della Costituzione, la legge 13 gennaio 1926, n. 100, l'art. 7 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, gli articoli 153, 140, 251, 324 della legge comunale e provinciale del 1915 e l'art. 342 di quella del 1934, l'art. 353 del testo unico delle leggi sanitarie, ecc. Essa attribuisce poi un valore particolare alla norma contenuta, per le Regioni a statuto ordinario, nell'art. 126 della Costituzione, che riconoscerebbe il potere di decretazione d'urgenza alla Giunta (rectius, Commissione di tre membri) nominata a seguito dello scioglimento del Consiglio regionale. Essa ricorda anche la sentenza 7 febbraio 1950, n. 13, dell'Alta Corte per la Regione siciliana, che riconobbe l'applicabilità alla Sicilia dell'art. 76 della Costituzione, con un procedimento analogico che dovrebbe valere anche per le norme sulla decretazione di urgenza; e osserva che ogni delegazione presuppone una particolare posizione dell'organo delegato, capace di esercitare il potere che gli viene conferito, e che, se il Governo regionale può emanare norme in base alla delegazione, non si vede perché non potrebbe farlo ove sussistano le condizioni della decretazione di urgenza. Rileva poi gli inconvenienti e i pericoli di una soluzione negativa, contestando decisamente che su materie di competenza regionale possa emettere decreti legge lo Stato. In quanto alle difficoltà di funzionamento della procedura di controllo preventivo su provvedimenti di urgenza regionale, afferma che il principio di urgenza dovrebbe prevalere comunque anche sui controlli previsti per le leggi ordinarie.

4. - Ad avviso della Corte, questi argomenti non possono condurre ad una soluzione affermativa del problema in esame, come non può trovare applicazione nella specie la tesi che attribuisce carattere ed efficacia di fonte del diritto alla necessità, poiché nell'ambito dell'ordinamento costituito non esiste alcuna possibilità di derogare all'ordine delle competenze. Né il richiamo all'art. 134 della Costituzione, né quello all'art. 33 della legge 11 marzo 1953, n. 87, possono valere ai fini della presente causa, perché né l'una né l'altra norma prevedono o escludono espressamente la figura del decreto legge.

Nemmeno si può ritenere che dalle numerose disposizioni legislative, ricordate dalla difesa della Regione, le quali regolano ipotesi molto diverse fra loro, e le regolano con soluzioni diverse, possa desumersi la sussistenza di un principio generale dell'ordinamento, per il quale gli organi del potere esecutivo sarebbero autorizzati a sostituirsi a quelli legislativi ogni qualvolta ravvisassero, o pretendessero di ravvisare, situazioni esigenti un pronto intervento del legislatore.

L'art. 77 della Costituzione, approvato non senza opposizioni dall'Assemblea costituente, proclive a diffidare di possibili abusi, da parte del potere esecutivo, subordina l'adozione di provvedimenti provvisori con forza di legge da parte del Governo a presupposti molto gravi (casi straordinari di necessità e d'urgenza) ed esige adempimenti successivi sottoposti a termini rigorosi, al punto che, se le Camere legislative chiamate a convertire in legge quei provvedimenti sono sciolte, esse devono essere convocate appositamente e riunirsi entro cinque giorni.

Lo Statuto speciale della Regione siciliana, che non prevede siffatti provvedimenti provvisori, non contiene ovviamente neppure alcuna precisazione di presupposti, di termini e forme per la conversione, tanto che il Presidente della Regione ha ritenuto di dovere egli stesso dettare una disposizione apposita (art. 3).

Nessun argomento si può ricavare dalla esistenza in Sicilia di leggi di delegazione e tanto meno dalla giurisprudenza di questa Corte, che non ha avuto ancora occasione di esaminare ex professo la questione della ammissibilità di siffatte leggi nell'ordinamento siciliano. Anzi, dal testo della legge regionale 26 gennaio 1949, n. 4 (modificata con le leggi 1 settembre 1949, n. 52, e 3 gennaio 1952, n. 1), recante una "Delegazione temporanea di potestà legislativa al Governo della Regione", poi rinnovata ripetutamente, si desumono argomenti in senso del tutto opposto.

Nell'art. 1 di detta legge si leggeva invero una delegazione della potestà di emanare norme aventi forza di legge al Governo della Regione, oltretutto "su conforme parere delle Commissioni legislative permanenti dell'Assemblea, nei limiti delle rispettive competenze", tanto in ordine all'organizzazione ed al funzionamento provvisorio degli uffici e dei servizi della Regione, quanto "nei casi in cui sia opportuno provvedere con urgenza in rapporto alle condizioni particolari ed alle esigenze proprie della Regione".

Il conferimento di una siffatta potestà legislativa di urgenza al Governo della Regione da parte dell'Assemblea regionale, per tempo determinato e previo parere vincolante delle Commissioni legislative, dimostra che l'Assemblea stessa riconosceva che il Governo regionale non era già investito di tale potestà, perché non si poteva ritenere applicabile, neppure in via analogica, la norma contenuta nell'art. 77 della Costituzione della Repubblica. Perciò l'Assemblea credette di poter supplire, con una legge ordinaria, al difetto di una norma attributiva di competenza.

D'altra parte non sussistono le pretese analogie fra l'istituto della delegazione legislativa e quello della decretazione di urgenza, che si fondano su presupposti del tutto diversi. Il primo deriva infatti da una unità di intenti fra l'organo titolare del potere legislativo ed il Governo, a cui le Assemblee stesse conferiscono la potestà di legiferare su materie, che difficilmente si presterebbero ad essere regolate attraverso lunghi e complicati dibattiti da collegi molto numerosi; e, del resto, nel nostro sistema, l'esercizio del potere delegato é limitato nel tempo e vincolato a direttive precisate nella legge di delegazione. Tali presupposti non ricorrono invece nel caso del decreto legge, che é un atto del quale il Governo si assume da solo tutta la responsabilità e che deve trovare immediata applicazione, così che l'accertamento della sussistenza delle condizioni di urgente necessità può aver luogo soltanto in un momento successivo e quando le norme emanate hanno già prodotto effetti giuridici rilevanti e non sempre riparabili in caso di mancata conversione.

Del tutto fuori di luogo é poi il richiamo alle disposizioni dell'art. 126 della Costituzione, dettato per le Regioni a statuto ordinario: esse disciplinano una situazione veramente eccezionale, come é quella dello scioglimento di autorità del Consiglio regionale e attribuiscono un potere molto diverso, di provvedere alla ordinaria amministrazione di competenza della Giunta regionale, compiendo tutti gli atti improrogabili, ad un organo straordinario nominato dal Presidente della Repubblica, ben distinto dall'organo titolare del potere esecutivo della Regione.

Comunque, nello Statuto della Regione siciliana, esiste una norma apposita (art. 8), che non contiene neppure la menzione di quel potere.

Giova rilevare, oltretutto, che nella vita delle Regioni può configurarsi assai più raramente la eventualità di situazioni talmente gravi ed urgenti, da richiedere l'intervento immediato di atti legislativi emanati dall'organo del Governo e ciò, non solo a causa delle limitazioni inerenti alla potestà legislativa delle Regioni, che può essere esercitata solo su determinate materie, rispetto alle quali situazioni del genere o non sono facilmente immaginabili o sono superabili mediante provvedimenti eccezionali di ordine diverso, come in materia sanitaria. Si deve tener presente infatti che i procedimenti per l'approvazione delle leggi poss6no svolgersi molto più speditamente nelle Regioni, le quali hanno una sola assemblea legislativa, meno numerosa.

Per tutte queste considerazioni la Corte non ritiene neppure di poter accogliere la tesi della difesa della Regione, la quale sostiene di ricavare un principio generale, che informerebbe il sistema dei nostri ordinamenti regionali, da alcune disposizioni di altri statuti, come quelli del Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta. Il sistema adottato dalla Costituente, nei limiti in cui si può parlare di sistema unitario, essendo ben note le diversità sussistenti fra gli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale, che non consentono il ricorso a procedimenti analogici, é del tutto diverso. E lo dimostrano proprio le disposizioni ricordate della difesa della Regione, perché l'art. 38, n. 5, dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige e l'art. 36 dello Statuto della Regione della Val d'Aosta, se vengono interpretati correttamente, in base ai termini in essi adoperati ("provvedimenti", "deliberazioni", "ratifica"), ben diversi da quelli usati nelle norme che disciplinano il potere di decretazione di urgenza, e se vengono posti in correlazione con l'intero testo e con altre particolari disposizioni (specialmente l'art. 40 dello Statuto del Trentino-Alto Adige), portano a ritenere che vi si preveda soltanto il potere di emanare dei provvedimenti amministrativi.

Questa conclusione é poi confermata dalla osservazione che é pienamente coerente con il sistema che la Costituente, nel regolare la organizzazione delle Regioni, dettando le norme sull'esercizio delle varie potestà, abbia voluto osservare il principio della divisione dei poteri ancora più rigorosamente che nell'ordinamento costituzionale dello Stato, garantendo anche in esse la massima osservanza dei principi democratici.

Il ricorso del Commissario dello Stato deve essere pertanto accolto per il primo motivo, proposto in via principale, senza che occorra esaminare altre questioni, come quella concernente il potere della Corte di controllare la sussistenza delle condizioni di necessità e di urgenza, che non hanno ragione di essere, e gli altri motivi proposti in via subordinata. Rimangono pertanto del tutto impregiudicate anche le questioni riguardanti il contenuto del provvedimento e la competenza della Regione a disciplinare la materia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla difesa della Regione siciliana;

dichiara la illegittimità costituzionale del decreto legge della Regione siciliana in data 1 luglio 1959, recante "Provvidenze in favore del Comune di Taormina".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 luglio 1959.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1959.