Sentenza n. 45 del 1959
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SENTENZA N. 45

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1952, n. 2290, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1958 dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile vertente fra Cianciotta Angelantonio e l'Ente per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, iscritta al n. 27 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 19 luglio 1958.

Udita nell'udienza pubblica del 27 maggio 1959 la relazione del Giudice Antonio Manca;

uditi l'avv. Virgilio Andrioli per il Cianciotta e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per l'Ente di riforma.

 

Ritenuto in fatto

 

Risulta dall'ordinanza emessa il 12 febbraio 1958 dalla Corte di cassazione, nel procedimento civile vertente fra Cianciotta Angelantonio e l'Ente per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania, che, con decreto del Presidente della Repubblica del 19 novembre 1952, n. 2290 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 dicembre 1952), veniva espropriata nei confronti del Cianciotta, nella misura di ettari 19,45,91, una parte della masseria "Sacromonte" di complessivi ettari 168,63,38, posseduta dal Cianciotta, a titolo di enfiteusi perpetua, concessa dall'Opera pia S. Croce e S. Lucia di Altamura.

Nel giudizio davanti al tribunale di Bari il Cianciotta aveva chiesto il risarcimento dei danni per l'illegittima espropriazione disposta col decreto suddetto, in quanto il relativo procedimento era stato diretto contro l'enfiteuta e non nei confronti dell'Opera pia, proprietaria del fondo. La quale, come ente pubblico, non sarebbe soggetta alle espropriazioni prevedute dalle leggi sulla riforma agraria e fondiaria.

Il Tribunale, dopo avere disposto l'integrazione del giudizio con l'intervento dell'Opera pia, con sentenza 30 maggio 1954 respinse le istanze del Cianciotta e dell'Opera pia; e tale sentenza fu confermata dalla Corte di appello di Bari, con sentenza 22 febbraio 1955.

Su ricorso del Cianciotta, la Corte di cassazione, ritenendo non manifestamente infondata e rilevante, ai fini della decisione della causa, l'eccezione dedotta dal Cianciotta e dall'Opera pia, ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte, sospendendo di decidere sul ricorso.

Nell'ordinanza la questione di legittimità costituzionale del decreto di scorporo, in relazione agli articoli 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, é prospettata sotto tre aspetti, nell'ordine seguente:

1) se soggetto passivo dell'espropriazione, per l'attuazione della riforma fondiaria, di terreni concessi in enfiteusi sia soltanto l'enfiteuta, oppure anche il concedente;

2) se, per la determinazione della quota oggetto di scorporo, si debba tener conto dell'intero reddito derivante dal fondo enfiteutico, e se questo debba computarsi per il calcolo complessivo del reddito del concedente e dell'enfiteuta o di entrambi, ovvero se debba essere ripartito in ragione della quota a ciascuno appartenente;

3) se siano soggetti a scorporo i beni di un ente pubblico, nella specie di un'Opera pia.

Dell'ordinanza sono state effettuate le prescritte notificazioni e comunicazioni.

Si sono costituiti in questa sede il Cianciotta, rappresentato dagli avvocati Virgilio Andrioli e Antonio Borracci, depositando le deduzioni il 9 luglio 1958, nonché l'Ente di riforma, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato, pure il 9 luglio 1958, le deduzioni.

L'Avvocatura dello Stato, a sostegno della legittimità del decreto di scorporo, nelle deduzioni prospetta la tesi (e vi insiste anche nella memoria depositata il 12 maggio 1959) che, nel caso di terreni concessi in enfiteusi, soggetto passivo dell'esproprio, in applicazione della legge sulla riforma fondiaria 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), non sarebbe il proprietario-concedente, bensì l'enfiteuta, che, a tal fine, sarebbe equiparato al proprietario. In tal senso, secondo l'Avvocatura dovrebbe essere interpretata la disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 4 della predetta legge, nella quale si stabilisce che "le norme dei commi precedenti si applicano anche ai beni costituiti in enfiteusi"; disposizione che deve essere collegata con quella dell'art. 2, secondo comma, della legge 12 maggio 1950, n. 230 (legge Sila), che considererebbe l'enfiteuta come vero proprietario del fondo. E questa interpretazione, si aggiunge, troverebbe conferma nell'art. 5 della legge 18 maggio 1951, n. 333, che impone soltanto ai proprietari e agli enfiteuti, i cui terreni sono soggetti ad espropriazione, speciali obblighi rispetto ai terreni stessi. Se si dovesse ritenere invece che soggetto passivo dello scorporo fosse il proprietario-conce-dente e che l'enfiteuta assumesse la posizione di terzo, la ricordata disposizione dell'art. 4 della legge n. 841 sarebbe superflua; perché da un lato la situazione dei proprietari rispetto alla legge fondiaria sarebbe disciplinata dalle disposizioni contenute nei due primi commi dell'art. 4, e i diritti dei terzi sull'indennità sarebbero regolati dall'art. 9 della legge Sila, applicabile anche nell'ambito della legge stralcio. Osserva ancora l'Avvocatura che, nei rapporti con l'enfiteuta, si dovrebbe adottare, in difetto di norme contrarie, lo stesso sistema della legge generale sulle espropriazioni del 25 giugno 1865, n. 2359. La quale, in varie disposizioni, e particolarmente in quelle contenute negli articoli 27 e 52, considera l'enfiteuta, e non il concedente, quale soggetto passivo dell'espropriazione.

Da tali rilievi la difesa dell'Ente di riforma trae due conseguenze. La prima che, poiché spetterebbe all'enfiteuta tutto il reddito dominicale del fondo e poiché in base a tale reddito si dovrebbe determinare la quota di scorporo, non sarebbe ammissibile sia una ripartizione dell'onere di esproprio, dato che il concedente non é possessore del terreno, sia una ripartizione del reddito in ragione della quota percepita rispettivamente dall'enfiteuta e dal concedente, costituendo il canone un diritto di credito anche se con effetti reali. La seconda che sarebbe superfluo l'esame dell'altro aspetto della questione prospettata nell'ordinanza, relativo cioé alla possibilità di applicare le leggi di riforma ai beni degli enti pubblici; essendo comunque da rilevare che i terreni espropriati non formerebbero oggetto di "proprietà pubblica", e che i diritti dell'Opera pia potrebbero in ogni caso farsi valere sull'indennità.

La difesa del Cianciotta alle argomentazioni dell'Avvocatura, nelle deduzioni e più ampiamente nella memoria, oppone anzitutto che, essendosi nella specie espropriata una parte della masseria "Sacromonte", della quale proprietaria é un'Opera pia, dovrebbe esaminarsi il problema se i terreni appartenenti ad Enti pubblici, anche quando siano concessi in enfiteusi, possano essere colpiti dallo scorporo, in base alle leggi di riforma, e trasferiti in proprietà agli Enti incaricati di applicare le leggi stesse. Problema che sussisterebbe anche se si ritenesse che l'espropriazione debba essere diretta contro l'enfiteuta e non contro il concedente, perché, anche in tale ipotesi, sia la determinazione delle quote di scorporo, sia il trasferimento in proprietà agli enti di riforma, comprenderebbero anche il diritto del proprietario-concedente. E siccome, a quanto si sostiene, oggetto delle leggi Sila e stralcio sarebbero soltanto i beni appartenenti a privati (persone fisiche o società), si avrebbe già fondato motivo per ritenere l'illegittimità di tutto il decreto di scorporo di cui si discute. Osserva inoltre la difesa del Cianciotta che non correttamente sarebbero richiamate le disposizioni contenute negli articoli 27, 44 e 52 della legge generale di espropriazione del 1865, che prendono in considerazione l'enfiteusi. Poiché diverso sarebbe il sistema delle leggi di riforma fondiaria, che non riguardano i beni in sé considerati prescindendo dai diritti di cui sono oggetto, ma stabiliscono che, per determinare la quota di terreno da espropriare, é necessario prima individuare il proprietario, la consistenza della proprietà terriera di cui é titolare, nonché il reddito dominicale complessivo e medio per ettaro. Secondo la difesa del Cianciotta l'interpretazione del terzo comma dell'art. 4 della legge stralcio sarebbe nel senso che, se si tratta di beni concessi in enfiteusi, si dovrebbe procedere a due commassazioni, l'una nei riguardi del proprietario-concedente avente come oggetto il reddito dominicale diretto, l'altra nei confronti dell'enfiteuta, avente per base il reddito percepito dall'utilista. Da ciò deriverebbe l'illegittimità del decreto sotto altro aspetto, in quanto cioè, applicando le norme della legge del 1865, e non tenendo conto che, nel fondo coesistevano il diritto del concedente e il diritto dell'enfiteuta, nella quota di scorporo si sarebbero imputati (come non sarebbe contestato) a quest'ultimo tutto il reddito dominicale e tutta la superficie della masseria, considerando il Cianciotta non come enfiteuta, ma come pieno proprietario del fondo stesso. Con la conseguenza, nel caso concreto, che si sarebbe illegittimamente aumentata in danno dell'enfiteuta la quota di scorporo, ponendo inoltre a carico di costui la corresponsione a favore del concedente di una parte dell'indennità corrispondente al diretto dominio.

 

Considerato in diritto

 

L'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (contenente norme sull'espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini, cosiddetta legge stralcio), stabilisce, nel primo e nel secondo comma, le condizioni in base alle quali, nei territori suscettibili di trasformazione fondiaria e agraria, la proprietà terriera privata é soggetta ad una percentuale di scorporo. Nel terzo comma dispone che "le norme dei commi precedenti si applicano anche ai beni costituiti in enfiteusi". E poiché, con il decreto del Presidente della Repubblica del 19 novembre 1952 (emanato in applicazione della ricordata legge 21 ottobre 1950), é stata espropriata nei confronti dell'enfiteuta Angelantonio Cianciotta una parte della masseria "Sacromonte", di proprietà dell'Opera pia S. Croce e S. Lucia di Altamura, concessa in enfiteusi perpetua al Cianciotta, nell'ordinanza della Corte di cassazione, come primo motivo di incostituzionalità del detto decreto, per eccesso di delega, si prospetta la questione (ad avviso di questa Corte fondamentale nell'attuale controversia), se il procedimento di scorporo, in base alla legge stralcio, debba essere diretto soltanto contro l'enfiteuta, come hanno ritenuto il Tribunale e la Corte di appello e come sostiene l'Avvocatura dello Stato, ovvero anche nei confronti del proprietario- concedente, come sostiene la difesa del Cianciotta. La quale osserva, in proposito, che, quando l'espropriazione riguarda terreni in enfiteusi, al fine di determinare la percentuale di scorporo si dovrebbe procedere ad una duplice commassazione, "l'una che abbia per soggetto passivo il concedente, e per oggetto la superficie ed il reddito commisurato al dominio diretto, e l'altra che abbia per soggetto passivo l'enfiteuta, sulla base della superficie e del reddito commisurato al dominio utile". Aggiunge inoltre a chiarimento che, per "determinare la quota di scorporo sarebbe indispensabile accertare chi é proprietario e chi é enfiteuta, perché il duplice accertamento rappresenterebbe il primo insostituibile passo, non compiendo il quale sarebbe impossibile determinare la superficie e il reddito dominicale del proprietario e dell'enfiteuta e quindi dimensionare le rispettive quote di scorporo".

Accogliendo tale tesi peraltro si verrebbero a porre, in contrasto col sistema, sullo stesso piano e rispetto allo stesso bene oggetto dell'espropriazione il diritto del concedente, titolare della proprietà, e il diritto dell'enfiteuta, cui, secondo l'opinione dominante, spetta sull'immobile un diritto reale parziario, sia pure il più ampio e comprensivo. E ne deriverebbe inoltre, come logico corollario, che, in dipendenza della duplice determinazione delle quote di scorporo, si dovrebbe procedere anche ad una duplice determinazione dell'indennità. Il che sarebbe contrario al principio fondamentale che regola la materia, secondo il quale la indennità stessa viene calcolata con criterio unitario rispetto al bene é spropriato; e soltanto su di essa, che lo surroga, si possono far valere i diritti dei terzi, ai sensi dell'art. 52, secondo comma, della legge sulle espropriazioni del 25 giugno 1865, n. 2359, e dell'art. 9 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (cosiddetta legge Sila), applicabile anche nell'ambito della legge stralcio.

Questa Corte ritiene invece fondata la tesi sostenuta dall'Ente di riforma, nel senso che soggetto passivo del procedimento di scorporo sia l'enfiteuta Sebbene infatti la disposizione del terzo comma dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, nella formulazione letterale, si riferisca obiettivamente al bene enfiteutico, deve essere tuttavia interpretata in correlazione col sistema nel quale il terzo comma é inserito. É, infatti, da tenere presente che questo richiama espressamente anche le norme del primo e del secondo comma dello stesso art. 4; quelle norme cioè che caratterizzano il sistema adottato dalla legge stralcio per le espropriazioni nei comprensori di riforma. Il quale sistema, come é stato già chiarito con le sentenze di questa Corte n. 8 e n. 10 del 1959, a differenza della legge del 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni, non riguarda i beni da assoggettare allo scorporo indipendentemente dall'accertamento dell'effettivo titolare, ma li prende in considerazione in quanto fanno parte di tutto il compendio terriero a lui appartenente. Sulla base poi del reddito complessivo dominicale e di quello medio per ettaro spettante al titolare dei beni, calcolato secondo le tariffe di estimo in vigore al 1 gennaio 1943, determina, nelle tabelle annesse alla legge, la percentuale di scorporo, da attuarsi in concreto nelle zone di terreno individuate dagli enti incaricati delle espropriazioni.

Dato lo stretto collegamento fra i primi tre commi dell'art. 4, se ne deve desumere che, anche quando si tratta di fondo enfiteutico, tale bene, ai fini dello scorporo in attuazione della legge di riforma, non é preso in considerazione nella sua consistenza obiettiva, come parrebbe in base alla formulazione letterale del terzo comma dell'art. 4, bensì come fonte di produzione del reddito terriero, da riferirsi al soggetto, cioè all'enfiteuta, che, essendo nel possesso del fondo (come é pacifico nella specie) tale reddito direttamente percepisce (art. 1561 del Cod. civ. del 1865, e art. 959 Cod. civ. vigente). Ora, se si considera che, secondo la legge stralcio, come si é accennato, la quota di scorporo é determinata da una percentuale del reddito complessivo e medio dominicale terriero, é coerente col sistema ritenere che il reddito del fondo enfiteutico, inerente alla produttività del fondo medesimo, non potendo essere imputato al proprietario che non lo percepisce, costituisce uno dei coefficienti per il calcolo complessivo della consistenza patrimoniale terriera dell'enfiteuta. Sul quale, del resto, grava anche l'imposta sul reddito dominicale, ai sensi degli articoli 49 e 50 del testo unico sulle imposte dirette (approvato con decreto del 29 gennaio 1958, n. 645), i quali, su questo punto, hanno riprodotto disposizioni già in vigore. Ne discende perciò che, nel procedimento espropriativo in base alla legge di riforma, l'enfiteuta viene ad essere parificato al proprietario, e che, per coerente ragione, devono riferirsi allo stesso enfiteuta tutte le altre disposizioni della legge stralcio che presuppongono l'espropriazione o da essa dipendono.

In base a tali criteri appunto, secondo quanto si rileva dalle deduzioni delle parti, é stata attuata la legge di riforma dell'ottobre 1950, dagli organi competenti, col parere conforme della Commissione parlamentare.

La quale parificazione trova anche conferma nell'art. 5 della legge 18 maggio 1951, n. 333, contenente norme interpretative e integrative della precedente legge stralcio del 21 ottobre 1950. Tale articolo, infatti, dispone "che i proprietari e gli enfiteuti, i cui beni sono soggetti ad espropriazione, rispondono della conservazione dei terreni medesimi, con le relative piantagioni, costruzioni ed impianti, dalla data di entrata in vigore della legge sino al momento della consegna di essi all'ente espropriante". E assoggetta poi, nel caso di inosservanza, l'uno e l'altro alle sanzioni penali stabilite dal successivo art. 6.

L'interpretazione anzidetta, d'altra parte, aderisce anche alle finalità comuni alle leggi di riforma fondiaria ed agraria. Le quali, come risulta ampiamente chiarito nelle relazioni che le accompagnano, sono state emanate con il duplice scopo sociale ed economico, di "promuovere un'equa distribuzione della proprietà terriera e di determinare un'intensa trasformazione della terra, in conseguenza del passaggio della proprietà agli agricoltori coltivatori". Finalità il cui conseguimento avrebbe potuto incontrare difficoltà se gli enti incaricati della riforma, nei comprensori determinati in base alla legge stralcio, riguardo ai beni in enfiteusi, si fossero dovuti rivolgere al proprietario- concedente, il cui reddito complessivo (rappresentato soltanto dal canone, determinato, nella specie, nell'annua somma di lire 10.445, come risulta dalla sentenza del Tribunale), non avesse raggiunto la misura Stabilita dalla legge per legittimare la procedura di scorporo.

In sostanza il terzo comma dell'art. 4 della legge stralcio, come pure rileva l'Avvocatura dello Stato, per le finalità proprie di questa legge, e nei limiti da questa stabiliti, richiama la norma contenuta nel secondo comma dell'art. 27 della legge del 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni per pubblica utilità, dove si stabilisce che, quando si tratti di beni enfiteutici, l'indennità é accettata e pattuita dall'enfiteuta che si trova nel possesso del fondo.

Né ciò é incompatibile, contrariamente a quanto obietta la difesa del Cianciotta, col sistema fondamentale della legge stralcio, la quale richiede accertamenti subiettivi per la determinazione del reddito complessivo e medio del fondo. L'applicazione infatti della ricordata disposizione dell'art. 27 non esclude che gli accertamenti anzidetti, riguardo al fondo enfiteutico, siano compiuti nei confronti dell'enfiteuta, come si é in precedenza chiarito. Ed é altresì da notare che pure alle disposizioni della legge del 1865 occorre riferirsi, in mancanza di altre norme, per stabilire quale situazione derivi al proprietario-concedente in conseguenza dell'espropriazione a carico dell'enfiteuta. Ora, dispone l'art. 52, secondo comma, di detta legge che "pronunziata l'espropriazione, tutti i diritti (compreso quello di diretto dominio) si possono far valere non più sul fondo espropriato, ma sull'indennità che lo rappresenta". Ne consegue pertanto che, nella specie l'Opera pia proprietaria-concedente assume la posizione di terzo nel procedimento espropriativo svoltosi nei riguardi dell'enfiteuta Cianciotta; e che i diritti dell'Ente sono trasferiti ad ogni effetto sull'indennità, in base all'art. 9 della legge Sila, applicabile come si é detto, anche nell'ambito della legge stralcio.

Tutte le considerazioni finora esposte portano quindi a concludere da un lato che, dei tre aspetti sotto i quali é prospettata la questione di incostituzionalità nell'ordinanza della Corte di cassazione, non può ritenersi fondato il primo, che riguarda il soggetto passivo dell'esproprio, e dall'altro che resta superato, ai fini dell'attuale controversia, il terzo aspetto, che concerne l'ammissibilità o meno della procedura di scorporo, in attuazione della legge stralcio, nei confronti degli enti pubblici.

Occorre invece esaminare il secondo aspetto, che riguarda il calcolo del reddito ai fini della determinazione della quota di Scorporo.

Deduce la difesa del Cianciotta (e non é contestato) che, nel calcolo anzidetto, sia stato illegittimamente tenuto presente tutto il reddito del fondo costituito in enfiteusi, nel quale, si assume, sia stata compresa anche la parte inerente ai dominio diretto, con un aumento della quota di scorporo in pregiudizio dell'enfiteuta; sul quale graverebbe inoltre il prelievo di una percentuale dell'indennità, corrispondente al diretto dominio. Pure sotto questo profilo peraltro, la questione non può ritenersi fondata.

Se infatti, come si é in precedenza osservato, la procedura di esproprio, in attuazione della legge stralcio, ha come soggetto passivo esclusivamente l'enfiteuta, essendo questo parificato al proprietario a tutti gli effetti preveduti dalla legge di riforma, e se l'enfiteuta percepisce tutti i frutti del fondo, come nella specie non é contestato, é logico ritenere che del loro ammontare si dovesse tener conto ai fini del calcolo complessivo del reddito dominicale. Nel quale calcolo non può essere compreso il canone (nella specie stabilito in una somma di denaro), che nel sistema previsto dal Codice civile, costituisce oggetto di una delle obbligazioni dell'enfiteuta, come corrispettivo del godimento del fondo (art. 960, primo comma).

Si deve pertanto concludere che la questione di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica del 19 novembre 1952, n. 2290, proposta nell'ordinanza della Corte di cassazione non può ritenersi fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione, proposta dalla Corte di cassazione con ordinanza del 12 febbraio 1958, sulla legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1952, n. 2290, in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per l'espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini, e con riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 15 luglio 1959.