Sentenza n. 3 del 1959
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SENTENZA N. 3

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Tomaso PERASSI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 ottobre 1957 dal Pretore di Napoli nel procedimento penale a carico di Santullo Giuseppina, iscritta al n. 100 del Registro ordinanze 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 25 gennaio 1958;

2) ordinanza emessa il 14 ottobre 1957 dal Pretore di Napoli nel procedimento penale a carico di Accardo Amalia, iscritta al n. 101 del Registro ordinanze 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 25 gennaio 1958.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblicata dal 17 dicembre 1958 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Questore di Napoli, considerando pericolosa per la moralità pubblica tale Santullo Giuseppina, perché dedita alla prostituzione clandestina, già diverse volte fermata "per moralità e accertamenti celtici", e "ricoverata in sala celtica perché trovata affetta da male venereo", in data 12 marzo 1957 emise nei confronti di lei un provvedimento di rimpatrio al paese di origine con foglio di via obbligatorio, diffidandola a non ritornare nel Comune di Napoli per un periodo di tre anni senza sua autorizzazione. Il provvedimento si richiama agli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.

Analogo provvedimento il Questore di Napoli aveva adottato nei confronti di Accardo Amalia in data 21 febbraio 1957.

Tanto la Santullo, quanto la Accardo, non prestarono osservanza agli anzidetti provvedimenti, e tornarono a Napoli. Arrestate furono denunciate dalla autorità di pubblica sicurezza al Pretore di Napoli.

Il Pretore, dopo averne disposto la liberazione non sussistendo - a suo avviso - le condizioni per l'arresto, le rinviava a giudizio per il reato previsto e punito dall'art. 2 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, "per essere tornate a Napoli senza preventiva autorizzazione dell'autorità di pubblica sicurezza".

A seguito della liberazione, entrambe le imputate continuarono a non prestare osservanza ai provvedimenti dell'autorità di pubblica sicurezza, per cui furono denunciate e sottoposte ad altri identici procedimenti penali.

All'udienza del 14 ottobre 1957 il Pretore di Napoli provvide a riunire i due procedimenti a carico della Santullo. Dal verbale di dibattimento risulta testualmente che il difensore dell'imputata chiese al Pretore che fossero rimessi gli atti alla Corte costituzionale "per incostituzionalità della legge". E il Pretore, con provvedimento di pari data, "ritenuto che la tesi sostenuta dal difensore, secondo cui l'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sia incostituzionale in quanto in contrasto con il "disposto" della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 2 che vieta la diffida per i vagabondi e gli oziosi, appare non del tutto infondata", ordinò la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti a questa Corte.

Alla medesima udienza del 14 ottobre 1957 lo stesso Pretore provvide alla riunione dei vari procedimenti a carico della Accardo.

Dal verbale di dibattimento risulta che anche per quest'ultima vi furono una richiesta del difensore e una ordinanza del Pretore con motivazione e contenuto testualmente identici a quelle relative al giudizio Santullo, e già riferite.

Entrambe le ordinanze furono notificate al Presidente del Consiglio dei Ministri il 19 novembre 1957 e comunicate ai Presidenti dei due rami del Parlamento, e furono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 25 gennaio 1958, n. 21.

In entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, depositando in ciascun giudizio identiche deduzioni in data 9 dicembre 1957. In esse si rileva che, mentre per entrambe le interessate l'imputazione ha per oggetto la contravvenzione di cui all'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (riflettente il provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio e di inibizione del ritorno senza autorizzazione), nelle ordinanze di rimessione si solleva la questione di costituzionalità dell'art. 1 della stessa legge (riflettente la diffida a cambiare condotta).

Si osserva quindi che "la eccezione di illegittimità, se riguarda l'art. 1 della legge, appare inammissibile perché manca la indicazione della norma della Costituzione che risulterebbe violata e comunque il disposto di detto art. 1 non appare contrario ad alcuna norma costituzionale; e se riguarda l'art. 2, risulta infondata perché tale articolo pone le condizioni richieste secondo la sentenza n. 2 della Corte costituzionale, che viene invocata". Si conclude perché sia dichiarata inammissibile o infondata la proposta eccezione di illegittimità costituzionale.

Nei due giudizi l'Avvocatura dello Stato ha poi depositato in data 4 dicembre 1958 due memorie di identico contenuto. In esse si ribadisce il contrasto tra le imputazioni e il contenuto delle ordinanze di rimessione, precisando che la indicazione dell'art. 1 in luogo dell'art. 2 della legge del 1956 non può essere considerata un semplice errore materiale. Si denuncia inoltre "la inosservanza di quanto prescritto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non essendo indicata la norma della Costituzione che si ritiene violata".

Quand'anche poi attraverso la sentenza della Corte costituzionale, richiamata nelle ordinanze del Pretore di Napoli - che l'Avvocatura individua nella sentenza 14 giugno 1956, n. 2 - si volesse risalire agli artt. 13 e 16 della Costituzione applicati appunto da quella sentenza, e raffrontare con essi l'art. 2 della legge del 1956, nonostante che l'ordinanza abbia sollevato la questione di legittimità per l'art. 1, l'Avvocatura dello Stato osserva che una violazione di quegli articoli della Costituzione da parte del citato art. 2 non sussiste, in quanto le disposizioni sul divieto di ritorno senza autorizzazione nel luogo dal quale si sia stati rimpatriati con foglio di via obbligatorio (e cioè il solo oggetto comune alla citata sentenza della Corte costituzionale e ai procedimenti penali nei quali il Pretore di Napoli ha sollevato il presente incidente di legittimità costituzionale) furono a suo tempo da questa Corte ritenute non in contrasto con la Costituzione, purché sussistessero i motivi di sanità e di sicurezza indicati nell'art. 16 Cost., oppure quei motivi di ordine e di sicurezza pubblica e di pubblica moralità che erano indicati nell'art. 157 della legge di pubblica sicurezza: motivi i quali nella specie ora in esame effettivamente sussisterebbero. Le due memorie dell'Avvocatura concludono osservando che la legge del 1956 venne emanata proprio nell'intento di adeguare al dettato della Corte costituzionale le norme dell'art. 157 della legge di pubblica sicurezza, "onde per sollevare nuovamente la eccezione di incostituzionalità occorrevano evidentemente esami e precisazioni approfonditi ed idonei a dimostrare eventualmente che il legislatore é caduto in errore e non ha raggiunto il suo intento".

Le stesse argomentazioni sono state svolte oralmente dall'avvocato dello Stato nell'udienza di trattazione della causa.

 

Considerato in diritto

 

Data l'identità delle questioni in esame, e data l'identità persino formale delle due ordinanze di rimessione, i due giudizi di legittimità costituzionale vengono riuniti per essere decisi congiuntamente.

I capi di imputazione sui quali il Pretore di Napoli era chiamato a pronunciare riguardavano la violazione dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per mancata osservanza da parte delle imputate del divieto di ritorno senza autorizzazione nella città dalla quale il Questore - ritenendole pericolose per la pubblica moralità - le aveva rimpatriate con foglio di via obbligatorio. Dai verbali d'udienza risulta testualmente che in entrambi i giudizi la difesa si era limitata ad eccepire "la incostituzionalità della legge", e il Pubblico Ministero si era associato. Il testo completo delle due ordinanze é invece il seguente: "Il Pretore, ritenuto che la tesi sostenuta dal difensore, secondo cui l'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sia incostituzionale, in quanto in contrasto con il disposto della Corte costituzionale di cui alla sentenza n. 2 che vieta la diffida per i vagabondi e gli oziosi, appare non del tutto infondata, ordina la sospensione dell'attuale procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale".

La perfetta coincidenza dei testi delle due ordinanze e il riferimento in esse al provvedimento di diffida contemplato dall'art. 1 della legge del 1956 rendono evidente che l'oggetto dei giudizi di legittimità costituzionale che esse intesero promuovere fu effettivamente l'art. 1 della citata legge e non l'art. 2, della cui contravvenzione si dibatteva nei procedimenti penali in corso di svolgimento. E cioé da escludere categoricamente - pur ammesso che ciò possa avere rilievo ai fini del giudizio di legittimità costituzionale - che l'indicazione dell'art. 1 sia stata dovuta nelle due ordinanze a un mero errore materiale.

Passando all'esame della sostanza delle ordinanze, é da osservare che queste, non soltanto non si sono preoccupate di indicare le norme costituzionali violate (né una congrua indicazione di queste può ritenersi compiuta per relationem attraverso il generico richiamo a una sentenza di questa Corte i cui estremi non risultano specificati); ma per di più hanno sollevato la questione della legittimità costituzionale di una disposizione (quella relativa alla diffida prevista dall'art. 1 della legge del 1956) non attinente ai capi di imputazione (e cioè all'oggetto dei due giudizi), senza minimamente porsi il problema della rilevanza della risoluzione di tale questione ai fini del decidere.

Come più volte questa Corte ha avuto occasione di affermare (vedansi particolarmente le pronunce nn. 48, 69, 76, 106, 108 del 1957), in siffatte condizioni non può considerarsi osservato il precetto dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo il quale in tanto il giudice può rimettere a questa Corte una questione di legittimità costituzionale, in quanto abbia ritenuto che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica ordinanza nei giudizi riuniti indicati in epigrafe:

ordina la restituzione degli atti di entrambi i giudizi al Pretore di Napoli.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1959.  

Tomaso PERASSI -  Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO -  Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO -  Biagio PETROCELLI  - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 1959.