Sentenza n. 40 del 1958
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SENTENZA N. 40

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Tomaso PERASSI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26, secondo comma, del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, promosso con ordinanza 25 febbraio 1957 del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Adunanza plenaria - emessa nel procedimento su ricorso della S.r.l. Squinzano contro il Ministero delle finanze, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 174 del 13 luglio 1957 ed iscritta al n. 65 del Registro ordinanze 1957.

Vista la costituzione in giudizio del Ministro delle finanze, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato;

udita nell'udienza pubblicata del 23 aprile 1958 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il vice avvocato generale dello Stato Marcello Frattini per il Ministro delle finanze.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 25 febbraio 1957 (pubblicata il 27 maggio 1957, n. 8) l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato rimetteva a questa Corte la risoluzione di una questione di legittimità costituzionale sorta nel corso del procedimento iniziato innanzi a quella giurisdizione con ricorso della S. r.1. Squinzano del 6 - 8 settembre 1955.

La Società aveva chiesto al Consiglio di Stato l'annullamento, ai sensi del secondo comma dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, sul Consiglio di Stato, del provvedimento del Ministro delle finanze 28 maggio 1955, n. 1139, che, decidendo la controversia insorta con verbale 30 ottobre 1954, n. 329, della Dogana di Genova per la determinazione (ai sensi dell'art. 17 delle disposizioni preliminari alla tariffa doganale approv. con D.P.R. 7 luglio 1950, n. 443) del valore imponibile di una partita di tonnellate 2.500 circa di zucchero, importata dalla Danimarca e parzialmente avariata, aveva determinato che alla merce in controversia fosse attribuito, all'atto dell'importazione, il valore di L. 63 al chilogrammo cif, coincidente con quello accertato dalla Dogana di Genova e non accettato dalla ricorrente. L'istanza di annullamento della decisione ministeriale si basava su un assunto difetto di giurisdizione, inerente al fatto che la potestà del Ministro sorgerebbe "soltanto dopo che é intervenuto ed é stato adottato, nelle forme tassativamente e rigorosamente previste dalla legge, il parere del collegio consultivo dei periti doganali", mentre nella specie la decisione ministeriale si limitava a dar notizia che il detto collegio era stato udito, senza nulla precisare né in ordine alle modalità, né in ordine al contenuto del parere da esso fornito.

Il Ministero delle finanze, costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, eccepì il difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, dovendo il secondo comma dell'art. 26 del cit. T.U. del 1924 esser considerato abrogato dall'art. 111 Cost., con conseguente denunciabilità delle decisioni ministeriali in materia doganale (alle quali veniva riconosciuta natura giurisdizionale) soltanto in cassazione. Osservò subordinatamente che il vizio denunciato dalla ricorrente non concretava un difetto di giurisdizione del Ministro adito.

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato - alla quale la IV Sezione dello stesso consesso, con ordinanza 19 ottobre 1956, aveva rimesso la controversia, ai sensi dell'art. 5 legge 21 dicembre 1950, n. 1018 (trattandosi di questione idonea a dar luogo a contrasti giurisprudenziali, stanti, da un lato, i dubbi riaffiorati in dottrina in favore della natura amministrativa e non giurisdizionale delle decisioni ministeriali in materia doganale - tesi il cui accoglimento comporterebbe la caducazione del secondo comma del cit. art. 26 per incompatibilità con l'art. 113, secondo comma, Cost. -, e stante dall'altro - pur accettata l'opinione della natura giurisdizionale e non amministrativa delle decisioni ministeriali - la divergenza di orientamento tra Consiglio di Stato e Corte di cassazione circa la sopravvivenza del cit. comma dell'art. 26 all'art. 111 Cost.), con l'ordinanza 25 febbraio 1957, già ricordata, dispose la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti a questa Corte. Alla quale é stato chiesto che "dichiari, in relazione alla natura giuridica della decisione del Ministro delle finanze sulle controversie doganali di cui agli artt. 3 e 8 T.U. 9 aprile 1911, n. 330, e successive modificazioni, la costituzionalità o meno della disposizione contenuta nell'art. 26, capoverso, T. U. 26 giugno 1924, n. 1054, di fronte agli artt. 111, secondo comma, 103, primo comma e 113, secondo comma, della Costituzione".

L'ordinanza é ampiamente motivata, e poggia essenzialmente sulle seguenti affermazioni: 1) le decisioni ministeriali delle controversie doganali riguarderebbero questioni di interessi legittimi e non di diritti soggettivi, sarebbero sostanziate di discrezionalità amministrativa, e avrebbero natura di atti amministrativi; 2) come tali, qualora non esistesse il secondo comma dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, esse sarebbero soggette al controllo di legittimità del Consiglio di Stato previsto dal primo comma dello stesso articolo; 3) il secondo comma dell'art. 26 sarebbe incompatibile col secondo comma dell'art. 113 Cost., in quanto limiterebbe all'incompetenza o allo straripamento di potere i mezzi di impugnativa avverso le accennate decisioni; 4) tanto ad accogliere la tesi della natura amministrativa, quanto ad accogliere quella della natura giurisdizionale delle decisioni ministeriali, il problema dell'impugnativa giurisdizionale di queste non potrebbe porsi in termini di abrogazione tacita del capoverso dell'art. 26 T.U. Cons. di Stato, ma darebbe luogo a una questione di legittimità costituzionale, stante l'incompatibilità della disposizione rispettivamente con l'art. 111 e con l'art. 113 in relazione all'art. 103, primo comma, Cost., questione da deferire pertanto a questa Corte.

L'ordinanza é stata notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, rispettivamente in data 4 e 5 giugno 1957. Ne é stata data comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento in data 3 - 4 giugno 1957. É stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 1957.

Innanzi a questa Corte si é costituito il solo Ministro delle finanze, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, presentando le proprie deduzioni in data 24 giugno 1957. Inesse, ricordata la pronuncia delle Sez. un. della Corte di cassazione 17 aprile 1956, n. 1141, nella quale, confermata la natura giurisdizionale delle decisioni ministeriali nelle controversie doganali, si afferma l'abrogazione, in virtù dell'art. 111 Cost., del secondo comma dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, e la ricorribilità soltanto in cassazione delle decisioni stesse; e fatto presente che la natura giurisdizionale di dette decisioni risulterebbe espressamente dalla legge, dato che nella frase "incompetenza od eccesso di potere", usata dal secondo comma del cit. art. 26, identica a quella usata dall'art. 3, n. 3, della legge sui conflitti di attribuzione 31 marzo 1877, n. 3761, l'espressione "eccesso di potere" dovrebbe essere intesa nel medesimo senso di "eccesso di potere giurisdizionale", che notoriamente essa aveva in quest'ultima disposizione; si osserva che la questione viene al giudizio della Corte soltanto per l'esame di compatibilità del capoverso dell'articolo 26 con l'art. 111 Cost., e che né nella trattazione della causa, né nell'ordinanza, é enunciata una illegittimità costituzionale che riguardi l'attribuzione del carattere giurisdizionale alle decisioni ministeriali. Carattere il quale avrebbe titolo a sopravvivere fino alla revisione delle giurisdizioni speciali, prevista dalla VI disp. trans. Cost. e finora non realizzata. La natura giurisdizionale dei provvedimenti in questione risulterebbe, del resto, anche dal carattere tributario delle controversie, da decidere alla stregua di "meri accertamenti di fatto a contenuto tecnico", i quali sarebbero "assai meno ardui di quel giudizio di semplice estimazione che nel nostro sistema é anch'esso affidato alla giurisdizione speciale delle commissioni tributarie". Il carattere dell'accertamento e le garanzie dell'istruttoria (prelievo di campioni in contraddittorio, esami di organi di consulenza tecnica specializzata, presentazione di difese e memorie da parte dell'importatore, parere di un organo collegiale specializzato di cui fanno parte elementi estranei alla amministrazione) conferirebbero sicuramente al provvedimento ministeriale "il carattere di giudizio a conclusione di un procedimento che offre tutte le normali garanzie del processo".

Dalla natura giurisdizionale del provvedimento discenderebbe l'incompatibilità della norma col solo art. 111 Cost. Donde la conclusione dell'Avvocatura dello Stato nel senso che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale del capoverso dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, per incompatibilità con tale norma costituzionale (e non con l'art. 113 Cost., al quale precipuamente si richiama l'ordinanza di rimessione sul presupposto della natura amministrativa del provvedimento ministeriale).

A sostegno di tali ragioni l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria in data 10 aprile 1958.

 

Considerato in diritto

 

I. - L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, rimettendo l'attuale questione a questa Corte, ha esattamente avvertito che quelle relative alla compatibilità di una disposizione legislativa con una norma costituzionale sono questioni di legittimità costituzionale, di esclusiva competenza di questa Corte, anche se riguardino disposizioni anteriori all'entrata in vigore della norma costituzionale con cui siano incompatibili.

Di conseguenza, nonostante che i giudici comuni abbiano talora affermato l'intervenuta abrogazione da parte della Costituzione del secondo comma dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, la Corte ritiene suo potere e dovere di pronunciare in ordine alla legittimità costituzionale di tale disposizione.

II. - Tanto l'ordinanza del Consiglio di Stato, che ha rimesso l'attuale questione a questa Corte, quanto l'amministrazione finanziaria, che é l'unica parte presente in questo giudizio costituzionale, concordano circa l'illegittimità della norma del secondo comma dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, in base alla quale contro le decisioni ministeriali in materia di controversia doganali non é ammesso il ricorso al Consiglio di Stato "che non implichi incompetenza od eccesso di potere".

Una notevole divergenza sussiste però tra le tesi dell'Amministrazione e quella del giudice a quo in ordine al fondamento dell' illegittimità costituzionale. La prima, sul presupposto della natura giurisdizionale delle decisioni ministeriali, vede tale fondamento nel secondo comma dell'art. 111 Cost., il quale dispone che contro le sentenze degli "organi giurisdizionali ordinari e speciali" é "sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge": con la conseguenza della illegittimità della norma in esame in quanto, anziché ammettere contro le decisioni ministeriali il ricorso in cassazione, prevede il ricorso al Consiglio di Stato. L'ordinanza di rimessione, pur mostrando di aderire anch'essa a tale tesi nel caso che dovesse essere accolta l'opinione della natura giurisdizionale delle decisioni ministeriali, si manifesta peraltro propensa all'opinione della natura amministrativa di tali decisioni; la quale condurrebbe a vedere il fondamento dell'illegittimità costituzionale della norma nel secondo comma dell'art. 113 Cost.: siccome questo dispone che la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi nei confronti degli atti della pubblica amministrazione "non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi d'impugnazione", il secondo comma dell'art. 26 in esame sarebbe incompatibile con esso, in quanto limita ai casi di "incompetenza od eccesso di potere" il ricorso al Consiglio di Stato avverso le decisioni ministeriali.

Osserva la Corte che, contrariamente a un antico e comune convincimento, l'espressione "eccesso di potere", in quelli che sono attualmente il primo e il secondo comma dell'art. 26, fu usata, da chi ebbe a formulare le disposizioni (le quali originariamente rappresentavano il primo e il terzo comma dell'art. 3 della legge 31 marzo 1889, n. 5992), nell'unico e identico significato di difetto di potere amministrativo. Soltanto più tardi venne introdotto infatti nel nostro diritto amministrativo quel significato di eccesso di potere, che dell'espressione é proprio al giorno d'oggi.

I lavori preparatori della legge del 1889, la più antica giurisprudenza del Consiglio di Stato e l'inconcepibilità che il legislatore usasse in un solo articolo la medesima espressione tecnica in due diversi significati, dimostrano l'inconsistenza della diffusa opinione, secondo cui nel terzo comma dell'art. 3 della legge del 1889 (e attualmente nel secondo comma dell'art. 26 del T.U. sul Consiglio di Stato) l'espressione "eccesso di potere" sarebbe stata impiegata, anziché nel senso del primo comma, in quello di "difetto di giurisdizione", in cui la stessa espressione era impiegata nell'art. 3, n. 3, della legge 31 marzo 1877, n. 3761, sui conflitti di attribuzione.

In effetti la legge del 1889, nell'escludere, in sede di sindacato della legittimità delle decisioni ministeriali in materia doganale e in materia di leva militare, il sindacato per violazione di legge, non lo fece sul presupposto della natura giurisdizionale di quelle decisioni (tesi, fino allora, almeno per quanto riguarda la materia delle controversie doganali, non ancora affermata nella giurisprudenza della Corte di cassazione, giudice dei conflitti), bensì lo fece - come risulta dai lavori preparatori - unicamente per la considerazione che nelle rispettive materie "la maggiore tutela degli interessi individuali sarebbe riuscita irreparabilmente dannosa alla difesa ed all'economia sociale". Gli elaboratori della legge erano convinti che i ricorsi contro le decisioni in questione non fossero se non "una specie del genere indicato nella prima parte" dell'articolo (vale a dire ricorsi avverso atti amministrativi).

I provvedimenti delle autorità appartenenti alla pubblica Amministrazione, sopra tutto se attinenti a questioni in cui l'Amministrazione stessa sia interessata, anche se inerenti ad attribuzioni contenziose, devono, del resto, in mancanza di univoche qualificazioni legislative in senso diverso (quali l'attribuzione ad esse dell'autorità di cosa giudicata, l'ammissione del ricorso in Cassazione, e simili), esser ritenuti provvedimenti di natura amministrativa e non giurisdizionale. Il perseguimento di fini di giustizia, attraverso procedimenti che assicurino serie garanzie agli interessati, non é infatti espressione inequivoca di attività giurisdizionale, dato che la via della giustizia può rappresentare anche un mezzo strumentale per la realizzazione da parte dell'Amministrazione delle proprie finalità di interesse pubblico. Né nelle "determinazioni" ministeriali sulle controversie doganali, così come sulle orme dei testi legislativi preesistenti del 1859, del 1878 e del 1887, risultano disciplinate dal T.U. 9 aprile 1911, n. 330, e successive modificazioni, é dato riscontrare qualcosa che possa far considerare superata la presunzione della natura amministrativa, propria delle decisioni contenziose adottate in causa propria dagli organi della pubblica Amministrazione.

Ciò premesso, é evidente che l'art. 26 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, nel deferire al Consiglio di Stato i ricorsi per illegittimità degli atti amministrativi (comma primo), esentando da ogni sindacato che non sia per "incompetenza od eccesso di potere" le determinazioni ministeriali in esame (comma secondo), contrasta col precetto del secondo comma dell'art. 113 Cost., in base al quale la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica Amministrazione non può essere limitata a particolari mezzi d'impugnazione.

Esula poi dai poteri di questa Corte stabilire se, una volta cessata l'efficacia della disposizione relativa alle decisioni ministeriali in materia doganale contenuta nel secondo comma dell'art. 26, la competenza a giudicare della legittimità delle decisioni stesse spetti al Consiglio di Stato, ovvero al magistrato ordinario.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sulla questione proposta con ordinanza dell'Assemblea plenaria del Consiglio di Stato del 25 febbraio 1957:

dichiara l'illegittimità costituzionale della disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 26 T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, limitatamente alle "controversie doganali", in riferimento all'articolo 113, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1958.

 

Tomaso PERASSI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 27 giugno 1958.