Sentenza n. 8 del 1958
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SENTENZA N. 8

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

                                  

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione della Valle d'Aosta, riapprovata con deliberazione del 29 maggio 1957. recante norme procedurali per la ricerca, la coltivazione e l'utilizzazione delle miniere in Valle d'Aosta, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 14 giugno 1957, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il successivo giorno 22 ed iscritto al n. 11 del Registro ricorsi 1957.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione Valle d'Aosta;

udita nell'udienza pubblica del 27 novembre 1957 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Belli per il ricorrente e l'avv. Arturo Colonna per la Regione Valle d'Aosta.

 

Ritenuto in fatto

 

Nella seduta del 14 febbraio 1957, il Consiglio regionale della Valle d'Aosta approvava una legge recante norme procedurali per la ricerca, la coltivazione e l'utilizzazione delle miniere della Valle. In seguito a rinvio da parte del Presidente della Commissione di coordinamento, la legge veniva riapprovata nella seduta del 29 maggio 1957, ed il relativo testo era rimesso, in data 1 giugno, al detto Presidente.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, autorizzato da quest' ultimo con deliberazione del 10 giugno 1957, con atto notificato il 14 e depositato il 22 dello stesso mese, ha proposto ricorso alla Corte costituzionale, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della suddetta legge.

Del ricorso é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 13 luglio 1957, n. 174, e nel Bollettino Ufficiale della Regione del giugno 1957.

Nel ricorso si premette che dall'armonico coordinamento dell'art. 3, lett. e, e dell'art. 11 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta risulta che questa Regione in materia di miniere ha una competenza legislativa di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica, limitata alla disciplina dell'utilizzazione delle miniere stesse, delle quali essa non é proprietaria, ma soltanto concessionaria ope legis per un periodo di novantanove anni. Da questa premessa si trae la conseguenza dell'illegittimità costituzionale dell'impugnata legge regionale, nelle disposizioni che si riferiscono:

1) all'enunciazione del principio secondo il quale la Regione eserciterebbe sulle miniere le stesse attribuzioni già di spettanza dello Stato (art. 1);

2) alla disciplina dei permessi di ricerca mineraria (articoli 3, 4, 5, 6, 7, n. 1, 3, 4 e 6, e 9, primo comma);

3) all'attribuzione alla Regione del potere di pronunciare la decadenza delle concessioni minerarie anteriori al 7 settembre 1945, non sfruttate nei termini di legge (art. 8).

L'illegittimità sarebbe dimostrata:

a) dall'impossibilità di considerare sullo stesso piano giuridico la Regione, soltanto concessionaria ex lege, e lo Stato, proprietario delle miniere;

b) dal rilievo che, poiché l'espressione usata nel citato art. 3, lett. e, dello Statuto "utilizzazione delle miniere" va interpretata nel senso di "coltivazione di un giacimento individuato e ritenuto suscettibile di utilizzazione mineraria", devesi ritenere che l'attribuzione di competenza legislativa alla Regione concerne una fase che é del tutto autonoma rispetto a quella della ricerca mineraria, e quindi non può essere anche riferita alla ricerca, la quale rimane perciò disciplinata soltanto dalla legislazione statale;

c) dal richiamo del terzo comma dell'art. 11 dello Statuto, dove si prevede in favore della Regione soltanto il potere di "promuovere" la decadenza dalle concessioni, affermandosi implicitamente che la relativa pronunzia resta riservata allo Stato.

La Regione ha resistito al ricorso, costituendosi nella cancelleria della Corte, con atto depositato il 27 giugno 1957, nel quale ha dedotto:

1) L'interpretazione delle norme statutarie riguardanti la competenza legislativa regionale in materia mineraria deve essere fatta partendo dal presupposto che la concessione ope legis delle miniere alla Regione va considerata non come una normale concessione amministrativa, ma come una vera e propria "delegazione di poteri da parte dello Stato alla Regione nel quadro del decentramento amministrativo che l'istituto regionale é rivolto a realizzare". A sostegno di questa tesi si é citato il parere espresso dalla II Sezione del Consiglio di Stato il 16 marzo 1955 nell'analoga materia della concessione di parte delle acque pubbliche alla Valle d'Aosta (art. 7 dello Statuto).

2) Poiché nell'art. 11 dello Statuto regionale si é stabilito che le subconcessioni da parte della Valle sono istruite secondo la procedura e le norme tecniche per le concessioni fatte dallo Stato, é chiaro che rientra perfettamente nella competenza legislativa e ancor più nella competenza amministrativa della Regione la materia delle ricerche minerarie, che costituisce il primo capitolo della legge nazionale sulle miniere (R.D. 29 luglio 1927, n. 1443) e la prima fase di qualsiasi sfruttamento minerario.

3) Ove si consideri, da una parte, che dalla concessione alla Valle d'Aosta sono state escluse le miniere concesse prima del 7 settembre 1945 e, dall'altra, che senza una ricerca é impossibile tecnicamente e giuridicamente mettere in valore e quindi subconcedere una miniera, non si può non ritenere che sottrarre alla Regione la potestà legislativa e amministrativa in materia di ricerche minerarie significherebbe svuotare l'art. 11 dello Statuto della quasi totalità del suo contenuto logico ed economico.

4) L'impugnativa dell'art. 8 della legge regionale é frutto di un equivoco, in quanto dalla semplice lettura di questo articolo appare chiaro che esso non prevede il trasferimento alla Regione della competenza di disporre la decadenza dalle concessioni già assentite dallo Stato in materia di coltivazione di miniere, ma si limita semplicemente a stabilire una norma interna regionale per l'inoltro allo Stato, da parte della Regione, delle eventuali richieste o domande, tendenti ad ottenere la declaratoria della decadenza dalle concessioni, in attuazione di quanto previsto al terzo comma dell'art. 11 del più volte citato Statuto speciale.

In conseguenza di questi rilievi la Regione ha concluso per il rigetto del ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Con memorie, depositate entrambe il 14 novembre 1957, le difese dello Stato e della Regione hanno illustrato le loro tesi, insistendo nelle rispettive precedenti conclusioni. Ulteriore illustrazione si é avuta nella discussione orale svoltasi all'udienza.

 

Considerato in diritto

 

Per risolvere le questioni proposte con il primo motivo del ricorso, occorre innanzi tutto giudicare sul dissenso fondamentale manifestato dalle parti in ordine all'interpretazione dell'art. 11 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta.

La difesa dello Stato sostiene che con l'art. 11 "si é inteso trasferire alla Regione l'esercizio delle miniere esistenti e che già fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato, ma non anche attribuire alla Regione diritti patrimoniali sui giacimenti minerari, che entreranno a far parte del detto patrimonio soltanto dopo la loro scoperta e la accertata loro coltivabilità". Questa interpretazione sarebbe in armonia con il concetto che della miniera offre la legge mineraria nazionale e sarebbe in armonia con le altre norme dello Statuto regionale (artt. 2, lett. i; 3, lett. e; 4). La difesa della Valle oppone che la concessione ex art. 11 equivarrebbe a delegazione dei poteri e delle attribuzioni dello Stato in materia mineraria; per effetto di tale delegazione gli organi regionali eserciterebbero legittimamente i poteri già spettanti allo Stato non soltanto rispetto ai giacimenti già scoperti ma anche rispetto a tutti quelli che potessero essere scoperti durante il periodo novantanovennale della concessione.

La Corte reputa che il punto di partenza, da cui é necessario prendere le mosse per risolvere la questione, é l'accertamento del carattere della concessione disposta dall'art. 11.

Per la difesa statale si tratterebbe di una concessione identica a quella disciplinata dalla legge mineraria, fatta con legge anziché con atto amministrativo. E bisogna subito riconoscere che, se fosse esatta questa premessa, gli argomenti addotti dall'Avvocatura dello Stato sarebbero, in massima parte, ben fondati, essendo incontestabile che, nel sistema della legge mineraria nazionale, può parlarsi di miniera solo quando un giacimento coltivabile sia stato scoperto. Ma, a giudizio della Corte, é inaccettabile il presupposto da cui muove la difesa dello Stato.

Per cogliere il senso dell'art. 11, la Corte ritiene che giovi partire dall'interpretazione dell'ultimo comma, il quale dispone che le subconcessioni saranno istruite secondo la procedura e le norme tecniche per le concessioni fatte dallo Stato. Ora, é evidente, anzitutto, che la frase "le subconcessioni saranno istruite" significa che esse sono disciplinate, in tutto il loro svolgimento, secondo la procedura e le norme tecniche dettate per le concessioni statali. E, altresì, evidente che se la norma statutaria avesse voluto che i poteri inerenti alle subconcessioni fossero mantenuti dagli organi dello Stato, non avrebbe richiamato le norme statali, essendo ovvio che tale richiamo presuppone la competenza di organi diversi da quelli dello Stato; e tali organi, nel sistema previsto dalla norma in esame, non possono essere che quelli della Valle, con cessionaria nei confronti dello Stato e subconcedente nei confronti degli imprenditori minerari.

In questa situazione l'atto che corrisponde alla concessione mineraria disciplinata dagli articoli 14 e seguenti del R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, non é la concessione fatta dallo Stato alla Regione, bensì la subconcessione che farà la Regione all'imprenditore minerario. Con la concessione disciplinata dalla legge mineraria lo Stato attribuisce al concessionario il potere di coltivazione della miniera, autorizzandolo di conseguenza ad esercitare nella miniera la relativa impresa economica. Invece, nel sistema dell'art. 11 dello Statuto valdostano, la Regione non assume, di fronte allo Stato, la veste di imprenditore minerario.

Sarebbe, poi, manifestamente contrario al carattere dei rapporti tra lo Stato e la Regione il considerare la Valle come un intermediario, cioè come un soggetto al quale spetti soltanto di inserirsi, a soli fini economici, in un rapporto tra lo Stato e l'imprenditore minerario.

La concessione ex art. 11 deve essere piuttosto considerata come attribuzione alla Regione di un complesso di poteri, che essa deve esercitare, in luogo degli organi statali, per fini di decentramento; tesi questa che risulta accolta dal Consiglio di Stato in sede consultiva rispetto alla analoga materia delle acque pubbliche, disciplinata dall'art. 7 dello stesso Statuto regionale.

Con questa interpretazione dell'art. 11 non si viene ad annullare la differenza che le leggi costituzionali hanno stabilito tra il regime minerario della Valle d'Aosta e quello di altre regioni a statuto speciale. Nella Valle, nel cui territorio le miniere restano di pertinenza del patrimonio indisponibile dello Stato, l'attribuzione dei poteri alla Regione trae origine non da un trasferimento patrimoniale ma dalla concessione. Da ciò consegue che il passaggio delle funzioni dallo Stato alla Regione non pone la Regione sullo stesso piano giuridico dello Stato, in quanto tale passaggio non importa che siano venuti meno quei poteri che, nei confronti della Regione, spettano allo Stato nella sua veste di concedente (per esempio, alta direzione e vigilanza); ed é ovvio che dovrà essere lo Stato a stabilire, nei giusti limiti, in qual modo questi poteri saranno esercitati.

La esposta interpretazione dell'art. 11 dello Statuto valdostano é suffragata da altre considerazioni, fondate sul significato della norma stessa, quale appare dalla sua lettera e dal suo spirito. Anzitutto, é da rilevare che con l'interpretazione contraria si darebbe alla norma un effetto non aderente alla volontà del legislatore. Questi credette indubbiamente di dare qualche cosa, e qualche cosa di concreto, alla Valle. Ora, se fosse esatta la tesi della difesa statale, l'art. 11 perderebbe quasi del tutto il suo pratico significato. Se, infatti, l'art. 11 avesse voluto concedere soltanto le miniere scoperte e non concesse alla data di entrata in vigore dello Statuto valdostano e non anche le miniere future, da scoprirsi nel periodo novantanovennale, l'art. 11 non avrebbe concesso quasi niente, in quanto non risulta che all'atto dell'entrata in vigore dello Statuto esistessero giacimenti scoperti e non ancora concessi; il quasi niente sarebbe rappresentato da quelle miniere già concesse dallo Stato che, in caso di decadenza, passerebbero alla Regione.

Per dare all'art. 11 un contenuto apprezzabile senza abbandonare la tesi che vede nella concessione una vera e propria concessione ai sensi della legge mineraria, si dovrebbe ammettere che la concessione abbia effetto anche nei riguardi delle miniere successivamente scoperte, purché tale effetto si verifichi man mano che le miniere vengano dichiarate coltivabili. Ma la conseguenza di una interpretazione siffatta sarebbe la scissione della unica concessione disposta con l'art. 11 in tante concessioni, che avrebbero inizio dal momento in cui ciascuna miniera fosse dichiarata coltivabile. Questa scissione sarebbe arbitraria, anche per le conseguenze che ne deriverebbero circa la durata delle singole concessioni. Logicamente, si dovrebbe ammettere, per ciascuna concessione, un periodo di novantanove anni: il che sconvolgerebbe tutto il sistema dell'art. 11. Vista la concessione come un affidamento di poteri alla Regione, l'unico periodo novantanovennale decorrente dall'entrata in vigore dello Statuto appare, invece, perfettamente comprensibile.

Non é neppure esatto l'altro argomento sostenuto dalla difesa dello Stato: non é esatto, cioè, che le norme in esame della legge regionale impugnata siano in contrasto con gli articoli 2, lett. i, e 3, lett. e, in relazione all'art. 4, dello Statuto per la Valle d'Aosta. Non contrastano con l'art. 2, lett. i, perché, se si trattasse di acque minerali e termali, le norme impugnate sarebbero aderenti alla citata norma, la quale, indipendentemente da ogni presupposto di carattere patrimoniale, accorda alla Regione un'ampia potestà legislativa. Né esiste un contrasto con l'art. 3, lett. e. Anche a volere interpretare l'espressione "utilizzazione delle miniere" nel senso più restrittivo (e si vedrà in seguito che tale interpretazione é inaccoglibile), l'attività amministrativa riguardante le subconcessioni concerne sicuramente l'utilizzazione delle miniere: concerne cioè, la fase di coltivazione della miniera, che va dall'atto di subconcessione alla cessazione, per qualsiasi causa, della subconcessione stessa.

Per le esposte considerazioni, sono infondate le doglianze dedotte con la prima parte del primo motivo del ricorso per conte stare la legittimità delle norme della legge regionale impugnata, relative alla competenza degli organi della Valle in materia si subconcessioni minerarie.

Le stesse considerazioni valgono in gran parte a togliere fondamento all'impugnativa delle disposizioni della legge regionale concernenti le ricerche minerarie.

La difesa dello Stato sostiene che la Regione non potrebbe accordare permessi di ricerca in quanto la concessione ex art. 11 avrebbe per oggetto le miniere già scoperte alla data di entrata in vigore dello Statuto regionale. Si é dimostrata l'inaccettabilità di questa tesi.

Si é pure chiarito che quella concessione non si risolve in tante concessioni minerarie, che avrebbero inizio dalla data in cui le singole miniere, dopo essere state scoperte, siano dichiarate coltivabili. Da ciò deriva l'inaccettabilità della tesi statale, secondo cui la concessione prevista dall'art. 11 non potrebbe mai comprendere la fase che precede la scoperta della miniera.

Ma la considerazione centrale, che serve a dirimere anche la questione relativa ai permessi di ricerca, resta sempre fondata sul carattere della concessione disposta con l'art. 11 dello Statuto valdostano. Se l'art. 11 non pone in essere una vera e propria concessione ai sensi della legge mineraria ma dispone un conferimento di pubblici poteri alla Regione perché questa li eserciti in luogo dello Stato, una contrapposizione, agli effetti della competenza, tra la fase di ricerca e la fase di coltivazione delle miniere appare insostenibile.

La legge mineraria dello Stato fa, senza dubbio, una demarcazione tra la fase di ricerca e quella di coltivazione; ma sarebbe contrario al sistema di detta legge considerare le due fasi come del tutto separate ed autonome. La realtà tecnica ed economica mostra che la fase di ricerca é preordinata a quella di coltivazione, non soltanto perché molte delle lavorazioni relative alla ricerca servono per la futura coltivazione (apertura di gallerie, apprestamenti per l'accesso al sotterraneo, per i trasporti, per l'energia elettrica, ecc.) ma soprattutto perché il ricercatore volge normalmente la sua attività non tanto alla realizzazione dei diritti pecuniari previsti dall'art. 16 della legge mineraria, quanto al conseguimento della concessione. Ed il sistema della legge mineraria non trascura questa realtà.

Sarebbe, poi, contrario allo spirito dell'art. 11 dello Statuto non riconoscere alla Regione i poteri già spettanti allo Stato in materia di ricerca. Appare, a tal proposito, non esagerato quanto ha esposto la difesa della Regione, e cioè che, essendo impossibile tecnicamente e giuridicamente, senza una ricerca, mettere in valore e quindi subconcedere una miniera, si svuoterebbe l'art. 11 della quasi totalità del suo contenuto se non si riconoscesse che questa norma statutaria comprenda anche la competenza della Regione in materia di ricerche minerarie.

Si deve, infine, dichiarare che, anche in materia di ricerche minerarie, non esiste il denunziato contrasto tra le norme della legge regionale impugnata e le disposizioni, sopra citate, contenute negli articoli 2, lett. i, e 3, lett. e, in relazione all'art. 4, dello Statuto regionale. Quanto all'art. 2, lett. i, basterà notare (ripetendo, a proposito delle ricerche, ciò che si é già detto rispetto alle subconcessioni) che la norma prevede una potestà regionale così ampia da comprendere, per le acque minerali e termali, anche l'attività di ricerca.

Per quel che si riferisce all'art. 3, lett. e, occorre richiamare ancora una volta l'interpretazione dell'art. 11, secondo cui, all'infuori delle miniere già concesse alla data del 7 settembre 1945, per le quali non é più possibile alcuna attività di ricerca, tutte le miniere che saranno scoperte nella Valle, nel previsto periodo novantanovennale, formano oggetto della concessione accordata alla Regione. Ora, poiché la legge regionale in esame si occupa della ricerca in tanto in quanto la ricerca é preordinata alla scoperta delle miniere delle quali la Valle é concessionaria, quando trattisi dei giacimenti concessi con l'art. 11, nella espressione "utilizzazione delle miniere" contenuta nell'art. 3, lett. e, la parola "miniere" deve intendersi non nel senso (proprio della legge mineraria dello Stato) di giacimenti già scoperti e dichiarati coltivabili, ma nel senso più ampio - e meno tecnico - di giacimenti minerari scoperti e da scoprire.

Dichiarato infondato il primo motivo del ricorso, resta da esaminare il secondo motivo, del quale, peraltro, la difesa dello Stato non si é occupata nella memoria e sul quale ha espressamente dichiarato di non soffermarsi nella discussione orale.

Anche se non bastassero le dichiarazioni fatte dalla Regione sia in sede di riapprovazione della legge sia in questa sede, nel senso che la norma contenuta nell'art. 8 della legge impugnata si riferisce esclusivamente alla richiesta di decadenza, é da osservare che la disposizione é chiara in tal senso. Essa stabilisce che il Presidente della Giunta regionale provvede alle richieste tendenti ad ottenere beneficio della Regione, la declaratoria di decadenza. Ed é ovvio che provvedere alla richiesta non equivale a provvedere sulla richiesta; come é ovvio che la declaratoria a beneficio della Regione é di spettanza degli organi dello Stato.

Tale essendo il contenuto dell'art. 8, é manifesta l'infondatezza della doglianza dedotta nei riguardi di questa norma.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinge il ricorso di Cui in epigrafe, proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la legge della Regione della Valle d'Aosta, riapprovata con deliberazione del 29 maggio 1957, recante norme procedurali per la ricerca, la coltivazione e l'utilizzazione delle miniere in Valle d'Aosta.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI

Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 27 gennaio 1958.