Sentenza n. 113 del 1957

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SENTENZA N. 113

 

ANNO 1957

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

 

Avv. GIUSEPPE CAPPI

 

Prof. TOMASO PERASSI

 

Prof. GASPARE AMBROSINI

 

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

 

Dott. MARIO COSATTI

 

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

 

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

 

Prof. ANTONINO PAPALDO

 

Prof. MARIO BRACCI

 

Prof. NICOLA JAEGER

 

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

 

Dott. ANTONIO MANCA

 

Prof. ALDO SANDULLI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

sul ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e, per quanto possa occorrere, dal Commissario dello Stato presso la Regione siciliana, notificato il 22 gennaio 1957, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 30 gennaio 1957 ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi 1957, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del disegno di legge approvato dall'Assemblea regionale siciliana contenente: "Provvedimenti concernenti il pagamento dei tributi sui terreni assegnati in applicazione della legge di riforma agraria", in riferimento agli artt. 15 e 36 dello Statuto per la Regione siciliana.

 

Udita nella pubblica udienza del 29 maggio 1957 la relazione del Giudice Antonio Manca;

 

uditi il sost. Avv. gen. dello Stato Giuseppe Belli e, per la Regione siciliana, l'Avv. Antonio Navarra.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

Con ricorso notificato al Presidente della Giunta regionale siciliana il 22 gennaio 1957 il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa conforme deliberazione del Consiglio stesso (in data 21 gennaio 1957), e, "per quanto possa occorrere", il Commissario dello Stato, hanno impugnato per illegittimità costituzionale il disegno di legge della Regione siciliana concernente "provvedimenti per il pagamento dei tributi sui terreni assegnati in applicazione della legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104, per la riforma agraria"; disegno di legge comunicato al predetto Commissario, dopo l'approvazione dell'Assemblea regionale, il 17 gennaio 1957.

 

L'Avvocatura generale dello Stato il 30 gennaio 1957 ha depositato nella cancelleria della Corte il ricorso con i prescritti documenti illustrativi.

 

Del deposito é stata data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 9 febbraio 1957 n. 27 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione del 27 febbraio 1957 n. 24.

 

L'Avvocatura, dopo avere accennato alla questione circa la potestà normativa della Regione in materia di tributi erariali, per quanto attiene alla illegittimità costituzionale del disegno di legge oggetto dell'impugnazione, nel ricorso e nella memoria depositata il 10 maggio 1957, deduce che l'art. 1 contiene, in sostanza, una esenzione tributaria, perché pone temporaneamente a carico dell'Ente per la riforma agraria in Sicilia (E.R.A.S.) il pagamento delle imposte sui terreni e sui redditi agrari, le quali, ai sensi dell'art. 11, 2 comma, della legge regionale 2 agosto 1954, n. 29, devono essere corrisposte dagli assegnatari dei fondi; disponendo d'altra parte, nell'art. 2, che la Regione rimborsa annualmente all'Ente le somme occorrenti per far fronte all'onere anzidetto. Secondo l'Avvocatura tale esenzione non troverebbe fondamento nella legislazione statale, cui deve uniformarsi quella regionale, anche se si ammettesse la competenza della Regione a disporre esenzioni per i tributi erariali. Si aggiunge che la disposizione contenuta nell'art. 1 sarebbe pure in contrasto con i principi fondamentali della legislazione tributaria, precisati anche nella sentenza di questa Corte n. 9 del 26 gennaio 1957, in quanto introdurrebbe nel rapporto di imposta un soggetto passivo, cioè l'Ente per la riforma, che non potrebbe essere iscritto nei ruoli, né per l'imposta fondiaria, né per quella sul reddito agrario, non verificandosi, nei suoi confronti, i presupposti per porre a suo carico i detti tributi.

 

In ordine poi all'art. 3 del ricordato disegno di legge, l'Avvocatura sostiene che, con l'autorizzare i comuni e gli enti provinciali a concedere agli assegnatari dei fondi lo sgravio temporaneo, anche parziale, dalle sovrimposte di rispettiva competenza (disposizione che non troverebbe neppure riscontro nella legislazione statale) la Regione verrebbe ad interferire illegittimamente nella finanza locale.

 

La difesa dello Stato rileva infine che le norme impugnate non si riferiscono ad una particolare esigenza della Regione siciliana, ma riguardano la situazione in cui si trovano tutti gli assegnatari dei terreni in applicazione delle leggi di riforma fondiaria e agraria; situazione quindi che si presenta uguale anche negli altri territori della Repubblica in cui é stata attuata la riforma.

 

L'Avvocatura chiede pertanto che si dichiari l'illegittimità costituzionale del disegno di legge sopra accennato.

 

La Regione siciliana, costituitasi in termine il 18 febbraio 1957 con deposito delle deduzioni, in via preliminare eccepisce l'inammissibilità del ricorso, perché proposto senza l'osservanza della procedura prescritta dall'art. 127 della Costituzione e dagli artt. 23, 31 e 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

 

Quanto alla competenza normativa della Regione nella materia tributaria, pur richiamando la sentenza di questa Corte n. 9 del 17 gennaio 1957, pone in rilievo il carattere autonomo di tale competenza, non suscettibile quindi di altre limitazioni al di fuori di quelle espressamente prevedute negli artt. 26 e 39 dello Statuto regionale.

 

Per sostenere poi la legittimità delle disposizioni legislative impugnate col ricorso, osserva, in ordine all'art. 1, che l'emanazione di norme di esonero dai tributi é pure preveduta dalla legislazione nazionale e che, in particolare per la Regione, é stata già ammessa dalla giurisprudenza dell'Alta Corte; con la conseguenza quindi che, nel caso attuale, il legislatore regionale si sarebbe uniformato ai principi già contenuti nelle leggi statali, essendo irrilevante il mezzo tecnico adottato per raggiungere lo scopo; e che le disposizioni del disegno di legge, oggetto del ricorso, non soltanto non sono in contrasto con la legge concernente la riforma agraria, ma che anzi tendono a realizzarne gli intendimenti favorendo l'opera di miglioramento agrario nella Regione. Deduce d'altra parte che, per coerente ragione, non é in contrasto con alcun principio costituzionale la disposizione dell'art. 3, che attribuisce la facoltà di esonero anche agli enti locali.

 

Aggiunge che il fatto che le disposizioni del disegno di legge riflettono interessi di carattere generale, non sarebbe di ostacolo a che la Regione provveda a tutelarli in modo particolare nell'ambito del suo territorio.

 

Nella memoria depositata il 20 aprile 1957 la difesa della Regione illustra le ragioni già esposte nelle deduzioni, insistendo per la dichiarazione di legittimità delle disposizioni impugnate.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

Per respingere l'eccezione di inammissibilità del ricorso, dedotta dalla difesa della Regione nel senso che, presupposta la competenza della Corte costituzionale a decidere sulla legittimità delle leggi emanate in Sicilia, si sarebbe dovuta seguire, quanto ai termini ed alle formalità preliminari, la procedura stabilita dall'art. 127 della Costituzione e dagli artt. 23, 31 e 34 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, basta richiamare la sentenza di questa Corte n. 38 del 27 febbraio 1957. Nella quale si é ritenuto che l'osservanza delle norme ora ricordate non deriva come necessaria conseguenza dell'affermazione della competenza della Corte costituzionale; onde, in relazione alle forme e condizioni particolari di autonomia di cui all'art. 116 della Costituzione, rimangono operanti le disposizioni degli artt. 28 e 29 dello Statuto regionale. Questo principio, per le ragioni esposte nella predetta sentenza, deve essere confermato anche riguardo alla attuale controversia.

 

Parimenti, per quanto attiene alla potestà normativa della Regione in materia di tributi erariali, alla quale accennano le parti, si devono tenere presenti i principi enunciati nella sentenza n. 9 del 17 gennaio 1957 circa l'ambito e i limiti in cui può svolgersi l'attività legislativa regionale; limiti cui occorre pure riferirsi per la decisione delle attuali questioni. Queste, nel merito, vertono sulla legittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 del disegno di legge approvato dall'Assemblea della Regione, il quale contiene provvedimenti concernenti il pagamento dei tributi sui terreni assegnati in applicazione della legge 27 dicembre 1950, n. 104, per la riforma agraria.

 

Con l'art. 1 si pone temporaneamente a carico dell'Ente per la riforma agraria in Sicilia (E.R.A.S.) l'onere del pagamento dell'imposta sui terreni e sui redditi agrari gravante, ai sensi dell'art. 11 della legge regionale 2 agosto 1954, n. 29, sugli assegnatari dei terreni a norma dell'art. 40 della citata legge n. 104 del dicembre 1950. Con l'art. 3 si stabilisce che le amministrazioni dei comuni e degli enti provinciali, pure temporaneamente, possono concedere lo sgravio, anche parziale, dalle sovrimposte di rispettiva competenza, mediante deliberazione da adottarsi annualmente in relazione ai criteri di massima, determinati dall'Ispettorato regionale dell'agricoltura.

 

Nel ricorso si deduce la incostituzionalità delle anzidette disposizioni. Dell'art. 1, perché in esso é contenuta una esenzione da tributi erariali; esenzione che, anche ammesso, in ipotesi, il potere della Regione di emanare norme al riguardo, non troverebbe alcun riscontro nelle leggi dello Stato, alle quali quelle regionali (in applicazione dei principi affermati nella sentenza n. 9 di questa Corte) devono uniformarsi; e perché inoltre, con questi principi, sarebbe altresì in contrasto il sistema adottato nell'art. 1 per pervenire all'esenzione, dato che, ponendo l'onere del pagamento dei tributi a carico dell'E.R.A.S., si viene ad introdurre nel rapporto di imposta un nuovo soggetto passivo estraneo al rapporto stesso. Dell'art. 3, in quanto la facoltà concessa ai comuni e agli enti provinciali della Regione di procedere temporaneamente allo sgravio, anche parziale, dei tributi di loro spettanza, oltre a non trovare riscontro nella legislazione nazionale, comporterebbe comunque un'interferenza, non consentita, nella autonomia della finanza locale.

 

Così delineato l'ambito della controversia, la Corte é d'avviso che le deduzioni dell'Avvocatura siano fondate. Da queste e dalle controdeduzioni prospettate dalla difesa della Regione, si desume che le tesi sostenute rispettivamente dalle parti muovono dal presupposto (che la Corte ritiene esatto) che le disposizioni del disegno di legge, ora impugnate, riguardano materia tributaria. Lo dimostra l'art. 1, dove si prevede un sistema particolare per il pagamento dei tributi ivi indicati, vale a dire per l'estinzione dell'obbligo di imposta; e lo dimostra, con maggiore chiarezza, l'art. 3, che riguarda i poteri tributari dei comuni e degli enti provinciali, in ordine allo sgravio (come si esprime il testo legislativo) temporaneo o anche parziale dalle sovrimposte di loro rispettiva spettanza.

 

Ciò premesso per decidere della legittimità costituzionale dell'art. 1, occorre accertare:

 

1) se, nella fattispecie ivi preveduta, ricorra un'ipotesi di esenzione tributaria;

 

2) se e in quali limiti possa ritenersi consentito alla Regione di emanare norme al riguardo.

 

Ora, sul primo punto, dall'art. 1 del disegno di legge si desume che non si tratta di un'esenzione propriamente detta, quale é disciplinata nel sistema tributario, poiché quando la legge accorda l'esenzione nei confronti di determinati soggetti, o in riferimento a determinati beni, non sorge l'obbligazione tributaria e, in conseguenza, resta inoperante tutto il meccanismo di accertamento e di riscossione del tributo.

 

Nel sistema invece adottato dal disegno di legge, é palese che non soltanto sussiste l'accertamento dell'imposta sui terreni e sui redditi agrari, ma altresì che l'accertamento é fatto nei confronti degli assegnatari dei terreni, sui quali dette imposte gravano in base all'art. 11 della legge regionale n. 29 del 2 agosto 1954. Ciò é confermato anche dalle disposizioni dell'art. 3 del disegno di legge, che vanno collegate con l'art. 1, poiché, mentre questo dispone, come si é veduto, che l'onere del pagamento delle predette imposte erariali si trasferisce dagli assegnatari all'ente per la riforma agraria, l'art. 3, proprio in relazione a tali tributi, lascia integro a carico degli stessi l'obbligo del pagamento delle sovrimposte. Di guisa che per queste non é previsto alcun esonero o trasferimento di obbligazione, ma soltanto la facoltà per gli enti locali di procedere direttamente allo sgravio, come é detto nell'art. 3.

 

Se si considera d'altra parte che, in base al potere di istituire addizionali sulle imposte erariali, sorge un rapporto tributario diretto fra l'ente impositore e il soggetto passivo, che tale rapporto é però collegato con nesso di accessorietà a quello istituito fra il soggetto passivo e lo Stato, e che l'accertamento dell'imposta da parte dello Stato costituisce il presupposto necessario per quello della sovrimposta, si ha la conferma che, nella specie, lo accertamento fiscale é effettuato nei confronti degli assegnatari. Ma sebbene la situazione si presenti in tali termini da un punto di vista strettamente formale, tuttavia se si tiene conto dei risultati pratici cui tende la disposizione dell'art. 1 del disegno di legge, collegato con l'art. 2, non si può fondatamente disconoscere che si tratta, in sostanza, di un esonero temporaneo dall'onere derivante dalle imposte. Difatti é bensì vero che, ai termini del predetto art. 1, l'onere del pagamento dei tributi erariali ivi indicati si trasferisce dagli assegnatari dei terreni all'Ente per la riforma agraria in Sicilia, ma poiché per l'art. 2 la Regione rimborsa annualmente all'Ente l'importo dei tributi, e poiché d'altra parte, ai sensi dell'art. 3 della legge regionale 1 luglio 1947, n. 2, e degli artt. 2 e 3 del decreto legislativo statale 12 aprile 1948, n. 507, spettano alla Regione i tributi e le altre entrate già di spettanza dello Stato, salve le eccezioni espressamente indicate, ne deriva che, secondo la disposizione impugnata, da un lato i soggetti passivi dei tributi non sono tenuti a corrisponderli, e dall'altro che la Regione, titolare del credito tributario, non ne incassa l'ammontare; il che importa un'esenzione tributaria, come del resto é pacificamente riconosciuto dalle parti.

 

Onde la necessità di esaminare l'altro aspetto dell'impugnazione proposta dal Commissario dello Stato, al fine di stabilire se, ed entro quali limiti, la Regione possa emanare norme concernenti l'esenzione dai tributi erariali. É da ricordare in proposito che questa Corte, con la sentenza n. 58 del 13 aprile 1957, dopo avere richiamato i principi già affermati nella sentenza n. 9 del 17 gennaio dello stesso anno sulla potestà normativa della Regione siciliana in materia di tributi erariali, ha ritenuto che, ammesso nel sistema tributario generale e nella legge sulla finanza locale, il principio delle esenzioni fiscali, non può disconoscersi alla Sicilia il potere di emanare leggi del genere. Purché però, si aggiunge nella sentenza, trovino riscontro "in un tipo di esenzione delle leggi statali e rispondano ad un interesse regionale". Coerentemente, in relazione al caso allora sottoposto all'esame della Corte (esenzione dalle imposte di consumo per i materiali adibiti a costruzione di sepolcri), si ritenne l'illegittimità della disposizione legislativa regionale, perché, sebbene nel testo unico per la finanza locale, che la sentenza menziona, siano contemplate esenzioni anche riferentisi ai materiali da costruzione, mancava tuttavia "nel quadro della legislazione statale, il tipo di esenzione cui fare riferimento per attenuare o eliminare il tributo", oltre un interesse particolare della Regione.

 

Appare chiaro perciò che, secondo i criteri direttivi segnati dalla predetta sentenza applicabili anche al caso di esenzione da tributi erariali, la legittimità della norma regionale é condizionata, non soltanto all'accertamento che nella legislazione statale si riscontrino casi di esenzione da un determinato tributo per sé considerato, ma anche che le disposizioni che li prevedono, nella loro concreta obiettività, contengono elementi cui possa riferirsi la norma emanata dalla Regione. E ciò per il necessario coordinamento fra la finanza regionale e quella statale, che la ricordata sentenza di questa Corte n. 9 ha ritenuto costituisca uno dei limiti entro i quali é consentito alla Regione di legiferare nella materia dei tributi erariali. Ora, nella specie, se é dato riscontrare, nelle leggi statali, casi di esenzione (numerosi per l'imposta fondiaria, meno frequenti per quella sui redditi agrari), si tratta tuttavia di disposizioni che, per l'oggetto cui si riferiscono e per le finalità specifiche che le hanno determinate, non presentano possibilità di collegamento con le esenzioni contenute nell'art. 1 del disegno di legge. Né disposizioni del genere sono indicate dalla difesa della Regione e neppure nella relazione al detto disegno di legge. Prescindendo infatti dalle esenzioni subiettive permanenti da ogni tributo erariale e locale stabilite dalla legge 16 gennaio 1919, n. 55, a favore dell'Opera Nazionale Combattenti, ed estese da successive leggi ad istituti affini (esenzioni che anche nella ricordata relazione si riconoscono estranee ai casi preveduti nell'art. 1), la situazione non si presenta diversamente non soltanto in relazione alle varie disposizioni che riflettono obiettivamente detti tributi, ma altresì se si ha riguardo a quelle che più si avvicinano all'attuazione della riforma fondiaria, cui si riferisce l'art. 1 del disegno di legge. Infatti, tanto l'ultimo comma della legge 12 maggio 1950, n. 230 (cosiddetta legge Sila), quanto la legge 8 gennaio 1952, n. 32, riguardo alla legge 21 ottobre 1950, n. 841 (così detta legge stralcio), richiamano, per la classificazione dei terreni compresi in dette leggi, il decreto legislativo 13 febbraio 1933, n. 215, contenente norme per la bonifica integrale. Nell'art. 86 di questo decreto si dispone che, ferme restando le esenzioni dalla imposta fondiaria consentite dalle vigenti leggi per le colture forestali, nonché per l'impianto, il miglioramento e il ringiovanimento di colture fruttifere, é accordata l'esenzione dall'imposta fondiaria (non da quella sui redditi agrari) per la durata di anni venti, sugli aumenti di reddito dei terreni bonificati in applicazione del decreto medesimo.

 

Ora, a parte il rilievo che l'esenzione non riguarda i redditi agrari, pure contemplati nell'art. 1 del disegno di legge, é da notare che le due disposizioni operano in un campo sostanzialmente diverso, che non consente quel collegamento che si ritiene necessario per legittimare l'esenzione contenuta nella norma regionale. Ciò risulta palese dal raffronto delle norme stesse. Infatti la legge sulla bonifica concede l'agevolazione fiscale se e in quanto si verifichino gli aumenti di reddito dei terreni bonificati. La legge regionale riguarda invece un periodo precedente, cioè decorrente dalla data di immissione nel possesso del terreno fino a quella di inizio dell'ammortamento della quota di spese di trasformazione, dovuta dall'assegnatario ai sensi dell'art. 17 della legge 12 maggio 1950, n. 230. Del resto che l'art. 1 del disegno di legge intenda riferirsi a situazioni diverse da quelle tenute presenti dal decreto sulla bonifica, risulta anche dal fatto che tale decreto é stato già richiamato, a tutti gli effetti, dal penultimo comma dell'art. 5 della legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104, sulla riforma agraria in Sicilia. Posto tutto ciò, l'esenzione contenuta nell'art. 1 del disegno di legge, considerata sotto l'aspetto finora esaminato, non può ritenersi legittima. Ed é pure da notare al riguardo, in relazione ad un rilievo della difesa della Regione, che l'interesse economico e sociale alla migliore realizzazione della riforma fondiaria e agraria non si manifesta con particolare carattere per la Regione siciliana, ma, per parità di situazioni e di intenti, non può non considerarsi comune a tutte le zone del territorio nazionale, cui si riferiscono, sia la legge Sila, n. 230, del 1950, sia la legge stralcio, n. 841, pure del 1950.

 

Sennonché, ad avviso della Corte, l'art. 1 della legge impugnata é da ritenersi illegittimo anche sotto l'altro profilo dedotto nel ricorso. In quanto cioè, dato che, come si é in precedenza accennato, detta legge riguarda materia tributaria, col porre a carico dell'Ente regionale per la riforma agraria (E.R.A.S.) l'onere del pagamento dei tributi da altri dovuti, si viene ad estendere l'obbligo dell'imposta a un soggetto estraneo al rapporto tributario. Ciò é bensì ammesso nella legislazione statale, ma nelle ipotesi espressamente prevedute dalla legge. Così in base alle leggi sulla imposta di ricchezza mobile e sull'imposta complementare nel caso di sostituto d'imposta, quando sussista un collegamento fra il soggetto estraneo e quello originariamente gravato dal tributo, nel qual caso l'obbligo della imposta é a carico di altro soggetto, in quanto si trova in possesso del reddito spettante al vero soggetto passivo. E così parimenti per le leggi sull'imposta di registro e sull'imposta doganale, nel caso di responsabile dell'imposta, allorché il collegamento anzidetto si riscontra con l'oggetto che é a base dell'accertamento tributario, per l'attività che, in ordine all'oggetto stesso, spiegano coloro ai quali la legge ritiene opportuno estendere l'obbligo di imposta. Ma, com'é agevole vedere, la situazione in cui la legge regionale pone l'Ente non può riportarsi ad alcuna di quelle prevedute nelle leggi statali, non essendo certo sufficienti a stabilire e a giustificare un collegamento ai fini e per gli effetti fiscali, gli scopi di assistenza alle nuove aziende costituite in base alla legge regionale di riforma agraria, eventualmente affidati all'E.R.A.S. Deriva dalle predette osservazioni che l'art. 1 in esame é in contrasto coi principi generali e di carattere fondamentale per il sistema tributario nazionale; principi ai quali le leggi della Sicilia devono pure uniformarsi ai sensi dell'art. 17 dello Statuto regionale, poiché l'attività normativa della Regione, secondo quanto questa Corte ha ritenuto nella sentenza n. 9 del 17 gennaio 1957, ha carattere concorrente e sussidiario, e si svolge quindi nell'ambito del citato art. 17.

 

Dall'illegittimità costituzionale dell'art. 1 deriva come conseguenza anche l'illegittimità dell'art. 2, secondo il disposto dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87; e deriva altresì per logica connessione anche la incostituzionalità dell'art. 3 della legge impugnata.

 

Se infatti, come si é detto, uno dei motivi per cui non può ritenersi legittima l'esenzione tributaria contenuta nell'art. 1, dipende dalla mancanza di una norma statale, cui possa coordinarsi quella regionale, tale situazione si riflette necessariamente anche sulla disposizione dell'art. 3, poiché, venuta meno la base giuridica per l'esenzione dalla imposta, viene meno anche il fondamento per l'esonero dalle addizionali, dato il carattere accessorio di queste ultime.

 

Ma, a parte ciò, l'illegittimità dell'art. 3 discende anche da un altro ordine di considerazioni. Nella relazione al disegno di legge ora menzionato si riconosce che, nell'art. 15 dello Statuto, si afferma chiaramente l'autonomia finanziaria dei comuni dell'Isola, e si ricorda altresì la sentenza dell'Alta Corte siciliana (21 luglio - 4 ottobre 1955) nella quale, in relazione appunto a tale autonomia, fu dichiarata illegittima una disposizione contenuta nella legge regionale di delega per l'ordinamento degli enti locali. Si riconosce altresì che, nella legislazione statale, non é dato riscontrare alcun principio direttivo, cui possa richiamarsi la Regione per esonerare dalle sovrimposte. Si é tuttavia ritenuto di poter superare la difficoltà lasciando agli enti locali la possibilità di estendere l'esenzione temporanea, totale o parziale, alle addizionali.

 

Ad avviso della Corte peraltro non si é considerato che, anche in tal maniera, non si può evitare una interferenza nella finanza locale. Secondo l'art. 15 dello Statuto regionale i comuni e i liberi consorzi comunali della Sicilia sono dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria. E, precisa l'ultimo comma del detto articolo, nel quadro di tali principi spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizioni, ordinamento e controllo degli enti locali. Dato il tenore di tale disposizione é ben difficile ritenere che l'autorizzazione ai comuni e agli enti provinciali, sostanzialmente contenuta nell'art. 3 del disegno di legge, non interferisca, sia pure indirettamente, nella finanza locale, incidendo, in contrasto con l'art. 15, in quell'ampia autonomia che questa disposizione espressamente riconosce. Ciò in quanto si verrebbe ad alterare l'equilibrio che domina l'organizzazione della finanza locale, poiché gli enti che provvedessero eventualmente all'esonero, sarebbero costretti, dati gli oneri che gravano sulle loro finanze, a ricercare altre fonti di entrata o aggravando la situazione tributaria nei riguardi dei cittadini, o ricorrendo ai mutui che hanno carattere eccezionale, non soltanto ai sensi dell'art. 260 del T.U. sulla finanza locale (ricordato anche nella relazione al disegno di legge), ma anche ai sensi degli artt. 103 e 104 del decreto legislativo del Presidente della Regione 29 ottobre 1955, n. 6, sull'ordinamento amministrativo degli enti locali. E potrebbe inoltre portare una sperequazione nella finanza dei detti enti, qualora non tutti gli enti, nel cui territorio si attua la riforma agraria, si avvalessero di tale autorizzazione. A parte il considerare che costituisce altresì una interferenza nell'autonomia finanziaria degli enti indicati nello art. 3, il dover adottare, nell'ipotesi di provvedimenti di esonero, i criteri di massima determinati dall'Ispettorato regionale dell'agricoltura, in relazione alle particolari situazioni ed esigenze delle aziende regionali costituite nei terreni assegnati in attuazione della riforma agraria.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

respinta l'eccezione pregiudiziale dedotta dalla difesa della Regione;

 

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 del disegno di legge, approvato dall'Assemblea della Regione siciliana, relativo a "Provvedimenti concernenti il pagamento dei tributi sui terreni assegnati in applicazione della legge di riforma agraria", in riferimento agli artt. 15 e 36 dello Statuto per la Regione siciliana.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1957.

 

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

 

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.