Sentenza n. 109 del 1957

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SENTENZA N. 109

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:

1) degli artt. 1, 2 e 3 della legge regionale siciliana 9 settembre 1947, n. 9; degli artt. 16, 17, secondo comma, e 18 della legge regionale siciliana 29 settembre 1948, n. 40; nonché degli artt. 2, 6 e 9 della legge regionale siciliana 8 agosto 1949, n. 47, e 1, 2, 5 e 8 della legge regionale siciliana 14 luglio 1950, n. 54, prorogata dal decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana 30 agosto 1951, n. 26, e dalla legge regionale 25 luglio 1952, n. 47, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale per la Regione stessa; proposto con l'ordinanza 3 settembre 1956 della Corte di cassazione nel procedimento vertente fra Paternicò Salvatore ed altri e Lo Carmine Esterina ed altri, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 316 del 15 dicembre 1956 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 77 del 7 dicembre 1956, ed iscritta al n. 330 del Registro ordinanze 1956;

2) dell'art. 3 della legge regionale siciliana 8 agosto 1949, n. 47, e dell'art. 2 della legge 14 luglio 1950, n. 54, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale per la Regione siciliana, proposto con l'ordinanza 14 dicembre 1956 della Corte di cassazione nel procedimento vertente fra Battaglia Domenico e Di Cesaro Antonino, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957, e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 3 del 15 gennaio 1957, ed iscritta al n. 345 del Registro ordinanze 1956;

3) dell'art. 1 della legge regionale siciliana 8 agosto 1949, n. 47, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale per la Regione siciliana, proposto con l'ordinanza 31 dicembre 1956 della Sezione specializzata per la risoluzione delle controversie relative alla proroga dei contratti agrari presso la Corte d'appello di Palermo, nel procedimento vertente fra Burgio Mariano, Tasca Giuseppe e Tasca Calogero, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 16 febbraio 1957, e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 11 del 27 febbraio 1957, ed iscritta al n. 21 del Registro ordinanze 1957.

Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 22 maggio 1957, la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;

uditi gli avvocati Vezio Crisafulli, Francesco Santoro Passarelli e Costantino Mortati per la Regione siciliana e l'Avv. Giovanni Piaggio per Di Cesaro Antonino.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 3 settembre 1956 la Corte di cassazione (Sezione seconda civile) ha disposto la trasmissione a questa Corte degli atti del giudizio promosso da Paternicò Salvatore ed altri contro Lo Carmine Esterina ed altri, sollevando la questione della legittimità costituzionale di varie disposizioni legislative della Regione siciliana. La Corte di cassazione, nella stessa ordinanza, ha rilevato che gli artt. 1, 2 e 3 della legge 9 settembre 1947, n. 9; gli artt. 16, 17, secondo comma, e 18 della legge 29 settembre 1948, n. 40; nonché gli artt. 2, 6 e 9 della legge 8 agosto 1949, n. 47, e 1, 2, 5 e 8 della legge 14 luglio 1950, n. 54, prorogata dal decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana 30 agosto 1951, n. 26, e dalla legge 25 luglio 1952, n. 47, sembrano in contrasto con l'art. 14, lett. a, dello Statuto della Regione siciliana, avente valore di legge costituzionale, nonché con le norme corrispondenti delle leggi della Repubblica 1 aprile 1947, n. 277, e 18 agosto 1949, n. 1140, art. 17.

Nella predetta ordinanza tale contrasto é ravvisato:

a) nella circostanza che le leggi nazionali prevedono un termine più lungo di quello stabilito dalla legge regionale (un anno e non già 90 giorni) e peraltro con diversa decorrenza per la proposizione, sotto pena di decadenza, delle domande dirette ad ottenere la restituzione delle quote di canone non dovute in base alle norme sulla riduzione degli estagli;

b) nell'essere legittimati alla riduzione ed al rimborso, per le leggi statali, a differenza di quanto stabilito dalle leggi regionali, anche gli affittuari non coltivatori diretti.

Detta ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente della Giunta regionale siciliana, comunicata al Presidente dell'Assemblea della Regione stessa, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 316 del 15 dicembre 1956 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 77 del 7 dicembre 1956.

É intervenuto in giudizio il Presidente della Giunta regionale siciliana, il quale si é costituito nella cancelleria della Corte costituzionale, il 16 ottobre 1956, a mezzo dell'Avv. prof. Vezio Crisafulli.

La difesa della Regione siciliana, premesso che la competenza legislativa, spettante a norma dell'art. 14 dello Statuto alla Regione stessa, incontra soltanto il limite delle leggi costituzionali dello Stato, deduce che, non essendo contenuta nel citato articolo alcuna espressa riserva oltre quella disposta in materia di industria e commercio ("salva la disciplina dei rapporti privati"), alla stregua di un canone interpretativo generalmente adottato, deve ritenersi che nessun limite sia stato voluto di regola dal legislatore nelle altre materie. Ricorda al riguardo l'interpretazione restrittiva data dall'Alta Corte siciliana (decisione 5 luglio 1947-17 agosto 1948) all'anzidetta espressa riserva, per concludere che, in particolare in materia di agricoltura, la potestà legislativa é attribuita alla Regione senza restrizioni. Il che sarebbe anche confermato dal raffronto tra la disposizione di cui alla lett. a e quella successiva di cui alla lett. e dello stesso art. 14 dello Statuto, la quale si riferisce all'incremento della produzione agricola ed industriale.

In linea subordinata la difesa della Regione ammette peraltro che, nel legiferare in materia di agricoltura, la Regione siciliana possa incidere, con norme speciali, nella disciplina generale dei rapporti privati, soltanto se e in quanto questi siano strettamente connessi con la tutela di interessi regionali, attinenti cioè alla organizzazione ed allo sviluppo dell'agricoltura in Sicilia.

Nelle stesse deduzioni inoltre viene rilevato che le leggi regionali in questione presentano identità di natura con le corrispondenti leggi statali richiamate nell'ordinanza di rimessione della Corte di cassazione. Entrambe comporterebbero, per ben individuate esigenze di utilità generale, inerenti alla struttura dell'economia agraria, rispettivamente siciliana e nazionale, una serie di limiti di ordine pubblico, temporali e contingenti, alla autonomia privata in determinati settori dell'agricoltura. Si riconosce che fra le disposizioni delle leggi statali e quelle delle leggi regionali sussistono talune differenze, conseguenti peraltro alla diversità delle situazioni e delle esigenze cui ciascuna di esse intende provvedere. Ma su tali differenze - si precisa - non potrebbe fondarsi una questione di legittimità costituzionale, dovendosi riconoscere natura di fonti primarie alle leggi regionali siciliane in materia di agricoltura, come tali indipendenti dalle leggi statali.

La sola questione, pertanto, che ad avviso della Regione potrebbe proporsi, sarebbe quella relativa all'appartenenza delle disposizioni legislative regionali impugnate, per il loro contenuto, alla materia di cui all'alinea a dell'art. 14 dello Statuto. E detta appartenenza - prosegue la difesa della Regione - non potrebbe contestarsi neppure nell'ipotesi che si restringesse la potestà legislativa, nella ricordata materia, al fenomeno economico ed ai rapporti ad esso immediatamente inerenti; ovvero ancora se tale potestà si limitasse addirittura al perseguimento "degli scopi di pubblica amministrazione prefissi all'ente".

E a dimostrazione di siffatto assunto si pone in rilievo:

a) Che le leggi regionali 29 settembre 1948, n. 40, negli artt. 16, 17 e 18, e 25 luglio 1952, n. 47, nell'art. 2, non fanno che dare applicazione differenziata, nei confronti dell'affittuario coltivatore diretto, al principio enunciato dall'art. 1635 Cod. civ., sostituendo alla discrezionalità del giudice una predeterminazione normativa della misura della riduzione del canone in relazione alle particolari cattive condizioni delle annate agrarie rispettivamente previste; e sempre mantenendo l'ammontare di detta riduzione entro il limite massimo di cui alla menzionata disposizione del codice.

b) Che le leggi regionali 9 settembre 1947, n. 9, 8 agosto 1949, n. 47, e 14 luglio 1950, n. 54, prorogata dal decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana 30 agosto 1951, n. 26, e dalla legge regionale 25 luglio 1952, n. 47 (art. 1), danno a loro volta specifica applicazione al principio di cui all'art. 1623 Codice civile, disponendo determinate riduzioni dei canoni di affitto in cereali, in relazione alla particolare onerosità sopravvenuta nel rapporto negoziale per effetto di provvedimenti concernenti l'ammasso. Lo stesso art. 1623 Cod. civ. - si aggiunge - nella sua prima parte stabilisce al riguardo una disciplina di carattere generale ed evidentemente dispositiva, facendo salve, nel secondo comma, le diverse disposizioni di legge o contenute in un provvedimento dell'autorità. "E non vi ha dubbio che quanto potrebbe stabilire un provvedimento amministrativo, a fortiori può stabilirlo una legge regionale".

c) Che l'art. 17, secondo comma, legge regionale 29 settembre 1948, n. 40, stabilisce termini di decadenza analoghi, ma diversi per la durata, rispetto a quelli previsti dalle corrispondenti leggi statali, per la proposizione delle domande dirette ad ottenere lo sgravio parziale del canone nelle ipotesi prevedute dalle disposizioni innanzi richiamate. Ma tali regole procedurali non potrebbero che ribadire il carattere contingente, temporaneo ed eccezionale delle disposizioni di diritto sostanziale cui si riferiscono.

Sarebbe pertanto evidente che tutte le norme in questione intendono perseguire fini di pubblico interesse con riferimento diretto alle particolari condizioni dell'economia agraria siciliana negli anni per i quali dispongono. E se incidono in particolari aspetti della disciplina dei rapporti privati, rimangono pur tutta, via norme speciali e temporanee, che non toccano il campo della disciplina generale dei contratti, che ha la sua sede nel Codice civile. Esse intervengono a determinare quello che é stato chiamato il "regime amministrativo della proprietà agraria e dei rapporti contrattuali ad essa attinenti".

La difesa della Regione conclude perché sia dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale di tutte le norme delle leggi regionali innanzi specificate.

Con la memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 6 maggio 1957 sono state ulteriormente svolte le proposte deduzioni.

Con altra ordinanza 14 dicembre 1956 della Corte di cassazione (Sezioni unite civili), nel giudizio promosso da Battaglia Domenico contro Di Cesaro Antonino, é stata sollevata analoga questione circa la legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge regionale siciliana 8 agosto 1949, n. 47, e dell'art. 2 della legge 14 luglio 1950, n. 54, in quanto la Regione, col dettare in tali articoli disposizioni di diritto privato sulla disciplina dei contratti di affitto di fondi rustici, avrebbe ecceduto i limiti della potestà legislativa ad essa attribuita dall'art. 14 dello Statuto, ed avrebbe invaso così l'ambito riservato alle leggi dello Stato, che negli artt. 3 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, 1 della legge 3 agosto 1949, n. 476, e 2 e 3, comma primo, della legge 15 luglio 1950, n. 505, regolano diversamente la stessa materia.

Precisa inoltre questa ordinanza che mentre le leggi nazionali, nei citati articoli, hanno previsto una riduzione del 30% dello estaglio in favore di tutti gli affittuari di fondi rustici, a titolo di premio di coltivazione, e senza alcuna discriminazione ulteriore, i precitati articoli delle leggi regionali siciliane, n. 47 del 1949 e n. 54 del 1950, hanno limitato il diritto alla riduzione dello estaglio a quegli affittuari che fossero conduttori diretti del fondo, determinando, al riguardo, la qualità di coltivatore diretto secondo criteri diversi e notevolmente più restrittivi di quelli stabiliti dalle leggi nazionali.

L'ordinanza stessa, notificata alle parti e al Presidente della Giunta regionale siciliana, comunicata al Presidente dell'Assemblea stessa, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957, e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 3 del 15 gennaio 1957.

Avanti a questa Corte si é costituito il Di Cesaro, rappresentato e difeso dall'Avv. Giovanni Piaggio, depositando il 3 gennaio 1957 deduzioni, nelle quali si sostiene:

a) che lo Statuto della Regione siciliana attribuisce alla medesima la facoltà esclusiva di legiferare nella materia in questione; nel che sono comprese le facoltà di determinazioni particolari, rispondenti alle necessità regionali, anche in campi e materie che incidono sui rapporti privati;

b) che non vi sarebbe alcun conflitto tra leggi regionali ed il sistema di diritto privato, bensì tra leggi speciali regionali e leggi speciali nazionali;

c) che le leggi regionali, che si assumono incostituzionali, rispondono ad esigenze e contingenze locali le quali giustificano la emanazione delle norme in esse contenute.

Il Presidente della Giunta regionale siciliana, intervenuto in giudizio, con atto depositato in cancelleria il 5 gennaio 1957, ha ribadito la tesi che la potestà legislativa esclusiva attribuita, per determinate materie, alla Regione nell'ambito del territorio regionale non incontra altro limite che quello delle leggi costituzionali dello Stato.

Di conseguenza, nelle materie ad essa riservate, le leggi regionali non possono essere subordinate alle leggi ordinarie per ciò che attiene alla regolamentazione dei rapporti privati.

Aggiunge che in materia di agricoltura e foreste non sono le leggi statali ad escludere le leggi regionali, ma sono queste che escludono quelle senza limitazione di sorta; e ricorda la disposizione statutaria (art. 14, lett. d) la quale solo in materia di industria e commercio pone una limitazione di competenza.

Afferma infine che la disciplina dei rapporti privati dettata dalle leggi regionali, rispetto alle quali é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, é una disciplina fondamentalmente pubblicistica, in funzione dello sviluppo dell'agricoltura isolana, la quale presenta condizioni particolari. "Si tratta in sostanza di norme dirette al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali (art. 44 Costituzione) e perciò attinenti all'amministrazione pubblica del diritto privato, che comunque non possono non essere di competenza della Regione".

Conclude quindi perché sia dichiarata la legittimità costituzionale delle norme delle leggi sopra citate.

La difesa del Di Cesaro e del Presidente della Regione siciliana hanno depositato nella cancelleria di questa Corte, rispettivamente l'8 e il 9 maggio 1957, memorie illustrative.

Con altra ordinanza 31 dicembre 1956 della Sezione specializzata per la risoluzione delle controversie relative alla proroga dei contratti agrari presso la Corte d'appello di Palermo é stata sollevata, nel corso del giudizio promosso da Burgio Mariano contro Tasca Giuseppe e Tasca Calogero, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma secondo, della sopra ricordata legge regionale siciliana 8 agosto 1949, n. 47. Tale articolo, si motiva, limitando il diritto degli affittuari a convertire in danaro il canone, convenzionalmente stabilito in natura, nei confronti dei proprietari di estensioni di terreni superiori a 12 ettari, sarebbe in contrasto con le leggi vincolistiche nazionali (art. 3 legge 18 agosto 1948, n. 1140), che autorizzano tale conversione senza alcun limite. Onde sarebbe stato violato l'art. 14, lett. a, dello Statuto della Regione siciliana il quale, pur attribuendo potestà legislativa esclusiva all'Assemblea regionale in materia di agricoltura e foreste, tuttavia dovrebbe interpretarsi nel senso che l'anzidetta potestà legislativa riguarderebbe soltanto lo sviluppo agricolo e forestale dell'isola, ma non anche i rapporti di diritto privato.

Detta ordinanza, ritualmente notificata alle parti e al Presidente della Giunta regionale siciliana, comunicata al Presidente dell'Assemblea della Regione stessa, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 16 febbraio 1957 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 11 del 27 febbraio 1957.

Avanti alla Corte é intervenuto il Presidente della Giunta regionale siciliana, rappresentato e difeso dall'Avv. Costantino Mortati.

Anche in questo giudizio, con deduzioni depositate il 5 gennaio 1957, la difesa della Regione pone in evidenza che l'espresso divieto di legiferare sui rapporti privati in materia attinente alla industria e al commercio (art. 14, lett. d, Statuto siciliano) rimarrebbe privo di concreto significato se non dovesse interpretarsi nel senso di consentire il pieno esercizio dell'autonomia nelle materie diverse da quest'ultima.

Ciò posto, sottolinea che dal primo comma dell'art. 14 risulta chiaramente che la competenza esclusiva regionale é limitata soltanto dalle leggi costituzionali, le quali, si aggiunge, non pongono principi che precludano alla Regione l'intervento nella sfera dei rapporti intersubiettivi privati, tutte le volte che ciò corrisponda alla necessità di tutelare gli interessi alla stessa affidati.

Relativamente, poi, alla particolare disciplina della materia dell'agricoltura stabilita dal citato art. 14, fa notare che per le lettere a, b e c dello stesso articolo, gli interessi affidati dalla Costituzione alla Regione non riguardano soltanto quelli attinenti all'organizzazione, anche tecnica, ed allo sviluppo agricolo e forestale dell'isola, ma si estendono a tutti quei rapporti che, per la particolarità con cui si presentano nella Regione, esigono una disciplina differenziata rispetto a quella disposta, in via generale, dallo Stato.

Se tra le esigenze prese in considerazione dalla lettera e diverse da quelle relative all'incremento della produzione agricola e al collocamento del prodotto (lett. a) e diverse altresì da quelle relative alla bonifica (lett. b) - non si facessero rientrare anche quelle promananti da conflitti di interessi fra le parti che collaborano alla produzione agricola, i quali non trovano una soddisfacente composizione nelle norme generali dello Stato, la lett. a predetta rimarrebbe sfornita di ogni rilevante significato.

Ancor più specificamente si pone in rilievo che la norma del capoverso dell'art. 1 in contestazione si ricollega a quella serie numerosa di misure di eccezione con cui si é provveduto a riequilibrare la posizione delle parti nei contratti agrari, quando ciò si é reso necessario per evitare gravi conflitti fra le categorie portatrici di interessi contrastanti. E la legge siciliana, precisa la difesa della Regione, mentre si informa a quella statale per quanto riguarda il diritto dell'affittuario alla conversione in danaro dell'estaglio in natura, in considerazione delle particolari condizioni dei proprietari dei fondi di limitata estensione, ha tuttavia ritenuto di subordinare l'esercizio di tale diritto, per gli affitti relativi a terreni di meno di 12 ettari, all'assenso del proprietario. Trattasi, pertanto, di disposizione di limitata portata, corrispondente ai fini dell'interesse pubblico della Regione che, per la peculiarità della sua economia agraria, é stata necessitata ad apportare una limitazione alla deroga alle norme comuni di diritto privato, che era stata introdotta dalla legge statale.

Conclude quindi, perché la sollevata questione di illegittimità costituzionale della norma di cui all'art. 1 della legge regionale n. 47 del 1949 sia dichiarata infondata.

Il Presidente ha disposto che le tre cause promosse con le sopra indicate ordinanze e chiamate alla stessa udienza, siano congiuntamente discusse.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ritiene opportuno che le tre cause, discusse nella stessa udienza, data l'identità delle questioni, siano riunite e decise con unica sentenza.

Con le ordinanze precedentemente indicate (che si riferiscono a leggi emanate dalla Regione siciliana) si ripropone la questione relativa alla competenza della Regione a legiferare in materia di contratti agrari. Il problema é stato esaminato da questa Corte, riguardo alla Sardegna, con la sentenza n. 7 del 18 giugno 1956, nella quale si rilevò che il decentramento regionale é in funzione del soddisfacimento di interessi pubblici e si affermò il principio che "la competenza legislativa della Regione deve limitarsi alla disciplina della materia dell'agricoltura per quanto attiene a detti interessi", e che perciò "le leggi regionali non possono disciplinare rapporti nascenti dall'attività privata rivolta alla terra, quale bene economico, sia nella fase organizzativa che in quella produttiva; rapporti che devono essere regolati dal Codice civile". Nella stessa sentenza si ammette peraltro un temperamento al principio anzidetto in relazione al momento ed alle particolari circostanze, nelle quali il legislatore regionale (nel caso il legislatore sardo) si avvalse eccezionalmente del suo potere normativo in materia di contratti agrari. Onde, mentre si é dichiarata illegittima la legge regionale sarda del 24 febbraio 1950, perché derogava alle disposizioni degli artt. 1635 e 1636 del Cod. civ., disponendo una riduzione di canoni di affitto dei fondi rustici, in misura superiore a quella che, in base alle dette disposizioni, può essere consentita dal magistrato, si é invece ritenuta legittima la legge sarda del 6 marzo 1950, in quanto, date le particolari circostanze dipendenti dalla siccità dell'annata agraria 1948-1949, e data l'efficacia limitata nel tempo, riduceva del 10% i canoni liberamente fissati in quantitativi di latte e di prodotti da esso derivati.

Con successive sentenze nn. 35 e 36 del 17 gennaio 1957, che riguardano la Regione siciliana, si é ritenuta la legittimità costituzionale delle leggi regionali, pure in materia di contratti agrari, allora sottoposte all'esame della Corte. E anche rispetto a queste leggi, si sono ravvisati carattere temporaneo, contenuto e finalità sostanzialmente rispondenti alle stesse particolari circostanze ambientali, in base alle quali era stata ritenuta legittima, nella sentenza n. 7, la legge sarda del 6 marzo 1950.

La Corte osserva quindi che, in relazione ai principi già affermati, si deve escludere, come regola, la competenza normativa delle Regioni a legiferare nelle materie regolate dal diritto privato e, in particolare, dal Codice civile. E ciò perché alcune materie, per l'importanza degli interessi cui si riferiscono, sono ritenute di ordine pubblico, considerato sul piano nazionale; altre, pur non essendo tale carattere, per i riflessi sui rapporti economici e sociali fra tutti i cittadini devono essere regolate secondo un ordinamento unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, e non sono perciò suscettive di localizzazioni differenziate nelle varie Regioni. Differenziazioni che, in definitiva, sarebbero anche in contrasto, con i precetti stabiliti nell'art. 5 della Costituzione, secondo i quali si ammettono bensì le autonomie locali e il più ampio decentramento amministrativo, nel quadro però della unità e indivisibilità della Repubblica. Principio questo che é pure affermato nell'art. 1 dello Statuto siciliano.

Peraltro, in conformità delle decisioni adottate da questa Corte, si deve ritenere che deroghe alla regola anzidetta siano eccezionalmente ammissibili, quando le leggi regionali in materia di rapporti intersubiettivi siano determinate, nei vari casi concreti, da circostanze contingenti tali da giustificare, in relazione a speciali situazioni ambientali particolari alle diverse Regioni, una disciplina temporanea degli anzidetti rapporti diversa da quella contenuta nelle leggi dello Stato.

Posta dunque come regola l'esclusione della competenza legislativa regionale nella materia dei rapporti intersubiettivi privati, la Corte non ritiene che possa essere accolta l'interpretazione dell'art. 14, lett. a, dello Statuto siciliano, quale é prospettata, anche in questo giudizio, dalla difesa della Regione. Se infatti in questa parte della norma non é contenuta un'espressa esclusione della disciplina dei rapporti privati, quale é affermata invece in riferimento alla materia dell'industria e commercio nella lett. d dello stesso citato articolo, ciò non può indurre a ritenere fondato l'argomento secondo cui, in difetto di una espressa esclusione, la potestà legislativa per la materia agricola sarebbe attribuita senza alcuna limitazione. In considerazione infatti della prevalenza immanente, come si é sopra accennato, dell'ordinamento statale nelle materie regolate dal diritto privato, l'interpretazione della disposizione contenuta nella lett. a dell'art. 14, deve essere intesa nel senso che, a differenza che per la disposizione di cui alla lett. d, la deroga é ammissibile secondo i principi in precedenza affermati, tenuto anche conto del fatto che alla Regione siciliana é riconosciuta, nell'art. 14, potestà normativa cosiddetta esclusiva.

Venendo all'esame delle questioni proposte con le ordinanze in precedenza citate, la Corte osserva che le leggi regionali in questione sono state impugnate, perché, per le annate agrarie dal 1946 al 1952:

1) stabiliscono la riduzione degli estagli per gli affitti dei fondi rustici nella misura del 35% se dovuti da coltivatori diretti, e del 15% se dovuti da affittuari non coltivatori diretti. Escludono peraltro il beneficio della riduzione, quando il concedente possegga, a qualsiasi titolo, complessivamente una determinata estensione di terreno. In taluni casi poi é esclusa la conversione in moneta dell'estaglio in natura senza il consenso del proprietario (leggi della Regione siciliana: 9 settembre 1947, n. 9, artt. 1 e 2; 29 settembre 1948, n. 40, artt. 16, 17, secondo comma, e 18; 8 agosto 1949, n. 47, art. 1, secondo comma, e artt. 2 e 6; 14 luglio 1950, n. 54, artt. 1 e 5; 25 luglio 1952, n. 47, art. 1). Ciò, a quanto si assume, in contrasto con le disposizioni della legge dello Stato 18 agosto 1948, n. 1140, che concedono la conversione del canone e il premio di coltivazione a tutti gli affittuari indiscriminatamente;

2) sia pure ai limitati fini dell'applicazione delle citate leggi regionali, determinano la qualità di affittuario coltivatore diretto, secondo criteri diversi e notevolmente più restrittivi di quelli stabiliti dalle leggi nazionali (legge regionale siciliana del 1949, n. 47, art. 3; legge n. 54 del 1950, art. 2);

3) stabiliscono, infine, per la ripetizione delle quote di canone non dovute, a pena di decadenza, il termine di novanta giorni (legge regionale citata n. 47 del 1949, art. 17, secondo comma), mentre le leggi dello Stato prescrivono il termine di un anno e con decorrenza diversa (legge citata del 1948, n. 1140, art. 17, secondo comma).

La Corte é d'avviso che, in base ai principi premessi, tali disposizioni non sono da ritenere illegittime.

Invero il legislatore regionale ha emanato le predette leggi in considerazione delle particolari esigenze dell'agricoltura isolana, in relazione alle quali é palese, da un lato, la natura temporanea e dall'altro il riferimento a concrete situazioni peculiari all'economia agraria siciliana. Onde, se pur queste interferiscono nella legislazione dello Stato concernente la speciale disciplina dei rapporti di affitto di fondi rustici, tuttavia trovano giustificazione nell'ammissibilità della deroga secondo quanto si é esposto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti, indicati in epigrafe:

dichiara non fondate:

a) la questione proposta con l'ordinanza 3 settembre 1956 della Corte di cassazione sulla legittimità costituzionale delle leggi regionali siciliane: 9 settembre 1947, n. 9, artt. 1, 2, 3; 29 settembre 1948, n. 40, artt. 16, 17, secondo comma, e 18; 8 agosto 1949, n. 47, artt. 2, 6, 9; 14 luglio 1950, n. 54, artt. 1, 2, 5, 8; del decreto del Presidente della Regione siciliana 30 agosto 1951, n. 26; della legge 25 luglio 1952, n. 47, in riferimento alla norma dell'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale della Regione siciliana;

b) la questione, proposta con l'ordinanza 14 dicembre 1956 della Corte di cassazione, sulla legittimità costituzionale delle leggi regionali siciliane 8 agosto 1949, n. 47, art. 3; 14 luglio 1950, n. 54, art. 2, in riferimento alla norma dell'art. 14, lett. a, dello Statuto siciliano;

c) la questione, proposta con l'ordinanza 31 dicembre 1956 della Sezione specializzata per la risoluzione delle controversie relative alla proroga dei contratti agrari presso la Corte d'appello di Palermo, sulla legittimità costituzionale delle leggi regionali siciliane 8 agosto 1949, n. 47, art. 1, secondo comma, in riferimento alla norma dell'art. 14, lett. a, dello Statuto siciliano.

 

Così deciso in Roma, nella sede alla Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1957.

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.