Sentenza n. 108 del 1957
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SENTENZA N. 108

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 27 ottobre 1954 e del decreto del Commissario generale del Governo per il territorio di Trieste 8 agosto 1956, n. 270, promosso con l'ordinanza 24 agosto 1956, emessa dal Giudice conciliatore di Trieste nel procedimento civile vertente tra l'Associazione esercenti pubblici esercizi di Trieste e Cavalli Ida in Brumez, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 286 del 10 novembre 1956, ed iscritta al n. 322 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 22 maggio 1957 la relazione del Giudice Mario Bracci;

udito il sostituto Avv. gen. dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Il 28 aprile 1956 l'Associazione esercenti pubblici esercizi di Trieste citò la sig.ra Ida Cavalli in Brumez davanti al Giudice conciliatore di Trieste per ottenere il pagamento di L. 4.800, quali quote d'associazione scadute per il secondo semestre del 1955 e per il 1956.

All'udienza del 24 agosto 1956 il Giudice conciliatore, nella assenza della parte attrice, sollevò ex officio la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 27 ottobre 1954, non numerato, col quale si istituì un Commissario generale del Governo per il territorio di Trieste e del decreto del predetto Commissario 8 agosto 1956, n. 270, col quale fu estesa al territorio di Trieste la legge 18 luglio 1956, n. 761, che aumentò il limite di valore della competenza dei conciliatori e dei pretori e il limite d'inappellabilità delle sentenze dei conciliatori.

Questa ordinanza 24 agosto 1956 del Giudice conciliatore di Trieste fu regolarmente notificata e comunicata e fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 10 novembre 1956, n. 286.

I profili d'illegittimità costituzionale delineati dall'ordinanza del Giudice conciliatore di Trieste sono i seguenti.

In primo luogo, secondo l'ordinanza, il territorio di Trieste sarebbe parte integrante dello Stato italiano e il Commissario generale del Governo sarebbe un organo non previsto né dalla Costituzione, né da alcuna altra legge della Repubblica. Perciò il decreto presidenziale di nomina del Commissario avrebbe violato l'art. 97 della Costituzione.

In secondo luogo, a giudizio del Conciliatore, il Governo potrebbe esercitare la potestà legislativa soltanto in virtù di una delega legislativa, che non fosse astratta e a tempo indeterminato. Poiché nel D.P.R. 27 ottobre 1954 si legge invece che al Commissario generale del Governo sono attribuiti "i poteri spettanti al Governo medesimo per l'amministrazione del territorio, nonché i poteri già esercitati nel territorio predetto dal cessato Governo militare alleato", il decreto suddetto - che non é neppure numerato, né controfirmato dal Guardasigilli - sarebbe incostituzionale in quanto attributivo di potestà legislativa fuor i casi e dei limiti degli artt. 70 e 76 della Costituzione.

In terzo luogo, anche ammesso in ipotesi che il territorio di Trieste fosse ancora distaccato dal territorio nazionale, il Memorandum d'intesa, parafato a Londra il 5 ottobre 1954, non potrebbe essere né un valido titolo internazionale, perché mai ratificato dal Parlamento, né un valido titolo interno, perché mai pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e nei fogli analoghi che si pubblicavano e che si pubblicano a Trieste. Perciò l'ordinanza commissariale, in quanto considerata esercizio dei poteri riconosciuti al Governo italiano dal Memorandum d'intesa, avrebbe violato l'art. 60 della Costituzione.

I suddetti profili d'illegittimità costituzionale sembrarono rilevanti al Conciliatore di Trieste perché, a suo avviso, la fonte dalla quale egli avrebbe dovuto trarre norma per l'esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali sarebbe stata proprio il decreto commissariale, 8 agosto 1956, n. 270, della cui legittimità costituzionale dubitava e che, secondo lui, aveva forza di legge.

Perciò il Conciliatore di Trieste, sollevata la questione di legittimità costituzionale, trasmise gli atti del giudizio a questa Corte.

Il 18 settembre 1956 intervenne nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, che, difeso dall'Avvocatura dello Stato, contestò l'ammissibilità del ricorso e le affermazioni dell'ordinanza, sia in relazione alla natura giuridica dei poteri del Commissario generale del Governo, sia sul carattere degli atti emanati da quell'organo.

In via pregiudiziale il Presidente del Consiglio dei Ministri negò che la questione di costituzionalità, sollevata dal Conciliatore di Trieste, fosse indispensabile ai fini della decisione del giudice di merito. Difatti se la legislazione italiana fosse da ritenersi in vigore nel territorio di Trieste, sarebbe irrilevante accertare la costituzionalità o meno del decreto commissariale 8 agosto 1956, n. 270, che estese a Trieste la legge 18 luglio 1956, n. 761, perché questa avrebbe vigore di per sé, per il solo fatto della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Se invece, per ipotesi, l'ordinamento giuridico italiano non fosse esteso al territorio triestino, sarebbe assurdo invocare le norme della Costituzione italiana e fare ricorso alla Corte costituzionale per accertare l'illegittimità del citato decreto commissariale.

In merito poi il Presidente del Consiglio dei Ministri eccepì che il D.P.R. 27 ottobre 1954 sarebbe un atto amministrativo, sottratto a qualunque controllo di legittimità costituzionale da parte di questa Corte e che del pari atti amministrativi sarebbero i decreti del Commissario generale del Governo, come tali sottoposti alla normale competenza della giurisdizione ordinaria e amministrativa, se illegittimi.

L'Associazione esercenti pubblici esercizi e la sig.ra Cavalli Brumez non hanno presentato deduzioni e non sono comparse davanti a questa Corte.

La difesa del Presidente del Consiglio ha concluso all'udienza di discussione del 22 maggio 1957 perché sia dichiarato inammissibile il giudizio di legittimità costituzionale sopra indicato.

 

Considerato in diritto

 

Secondo l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione sulla legittimità costituzionale d'una legge o d'un atto avente forza di legge può essere sollevata, anche d'ufficio, dalla autorità giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio, se questo non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale stessa.

La Corte ha avuto più volte occasione di dichiarare che il giudizio di merito sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale é insindacabile, ma ciò non esclude che dall'ordinanza debbano risultare i motivi del convincimento positivo del giudice circa la rilevanza e la pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale rispetto al giudizio sulla controversia principale. Altrimenti mancherebbero i requisiti essenziali per il processo sulla legittimità costituzionale della legge, che sono invece necessari secondo il sistema adottato dalla nostra Costituzione.

Ora, nella fattispecie in esame, appaiono ben chiari gli atti che il Giudice conciliatore di Trieste ritiene abbiano forza di legge e che, a suo avviso, sarebbero viziati da illegittimità costituzionale. Del pari con molta precisione sono indicate le disposizioni della Costituzione che si ritengono violate.

Ma i motivi del convincimento del giudice circa le gravi questioni costituzionali sollevate incidentalmente sembrano portare invece alla conclusione che queste, importantissime obiettivamente, siano del tutto irrilevanti ai fini della decisione di merito.

Difatti si legge nell'ordinanza essere pacifico che i cittadini di Trieste non hanno mai perduto ed anzi hanno conservato integro lo stato di cittadini italiani; che trattandosi di territorio facente parte della Repubblica italiana quivi hanno vigore le norme costituzionali e le guarentigie dei civici diritti affidati alla suprema tutela della Corte costituzionale e che a Trieste possono ritenersi valide soltanto le leggi italiane deliberate e promulgate nelle forme costituzionali.

Perciò, nel caso attuale, se il D.P.R. 27 ottobre 1954 e il decreto commissariale 8 agosto 1956, n. 270, sono costituzionalmente legittimi, la legge in base alla quale il Conciliatore deve determinare la propria competenza é la legge 18 luglio 1956, n. 761, estesa appunto a Trieste dal decreto commissariale. Se invece tanto il decreto presidenziale, quanto il decreto commissariale si considerano costituzionalmente illegittimi, la legge da applicarsi é ugualmente la legge 18 luglio 1956, n. 761, perché, secondo il Conciliatore, a Trieste sono in vigore le leggi della Repubblica italiana.

Proprio lo stesso Conciliatore, che probabilmente fu attratto dall'importanza intrinseca che hanno le questioni di costituzionalità da lui sollevate piuttosto che dalla loro rilevanza per la propria decisione sulla domanda di condanna a pagamento di lire 4.800, avanzata dall'Associazione esercenti pubblici esercizi di Trieste neppure comparsa all'udienza, ha messo in luce che la rilevanza della questione di legittimità costituzionale é soltanto apparente. Difatti l'ordinanza osserva testualmente che "pure essendo il decreto commissariale, in sostanza, soltanto estensivo di una analoga legge vigente nella Repubblica italiana (legge 18 luglio 1956, n. 761), é questo decreto commissariale la fonte del diritto dal quale il Conciliatore avrebbe dovuto trarre norma per la propria potestà giurisdizionale".

Sembra perciò che sotto questo profilo del tutto formale il Conciliatore non abbia addotto nessun motivo che possa giustificare la rilevanza dell'incidente di legittimità costituzionale.

Nessun altro profilo della motivazione del Conciliatore consente un'interpretazione positiva. A proposito della validità delle leggi italiane nel territorio di Trieste, una delle molte considerazioni esposte nell'ordinanza del Giudice conciliatore sembra alludere anche alla necessità che in queste leggi vi sia l'indicazione che esse devono trovare applicazione nei sei comuni triestini. Ma a parte che mal si comprende se trattisi d'un particolare requisito costituzionale, affermato come necessario dal Giudice conciliatore di Trieste o piuttosto d'un esempio tratto dalla legge elettorale politica (art. 4 della legge 16 maggio 1956, n. 493) a conferma del vigore delle leggi italiane nel territorio di Trieste, quest'incerto rilievo é rimasto del tutto isolato e marginale, senza che l'ordinanza ne abbia tratto conclusione alcuna ai fini della rilevanza di tale profilo sulla questione di legittimità costituzionale.

É perciò da ritenersi, in definitiva, che "l'imprescindibile necessità di una decisione sulla questione di costituzionalità del D.P.R. 27 ottobre 1954 e del decreto commissariale 8 agosto 1956, n. 270" pronunciata dal Giudice conciliatore di Trieste, sia una affermazione contraddittoria smentita dai motivi del convincimento del giudice stesso che invece concordano sostanzialmente nel ritenere che nessuna influenza possono avere le questioni di legittimità costituzionale sul giudizio principale, quale che sia la loro soluzione. Vengono in tal modo a mancare i requisiti essenziali per il giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione, proposta dal Giudice conciliatore di Trieste con l'ordinanza del 24 agosto 1956, sulla legittimità costituzionale del D.P.R. 27 ottobre 1954 e del decreto del Commissario generale del Governo per il territorio di Trieste 8 agosto 1956, n. 270.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1957.

Gaetano AZZARITI – Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA – Aldo SANDULLI.

 

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 1957.