Sentenza n. 77 del 1957
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SENTENZA N. 77

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 25 luglio 1950, n. 516, promosso con ordinanza 29 febbraio 1956 del Tribunale di Cosenza nella causa civile vertente tra Mattace Rosario, l'Opera valorizzazione Sila, la Società anonima sciovie, industrie e lavori agricoli (S.I.L.A.) e Barracco Alfonso, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 123 del 19 maggio 1956 ed iscritta al n. 152 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avvocati Rodolfo Grimaldi per Mattace Rosario ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Opera valorizzazione Sila.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il 14 marzo 1946, Rosario Mattace acquistava da Alfonso Barracco il fondo denominato "Volta del Cavaliere" sito in agro di Cutro (atto not. Giordano n. di rep. 1144) e l'altro fondo, sito nel territorio del medesimo comune, denominato "Petirta" (atto not. Giordano n. di rep. 1142). Alcuni giorni dopo, il 25 agosto, il Barracco vendeva tutti gli altri terreni di sua proprietà, siti nell'agro di Cutro, alla Società sciovie, industrie e lavori agricoli (d'ora in poi designata come S.I.L.A.). Senonché con D.P.R. 27 luglio 1950, n. 516, fu approvato il piano di esproprio compilato dall'Ente di riforma (O.V.S.) nei confronti della S.I.L.A. e fra l'altro furono trasferite all'Ente le particelle 1 del fol. 36 e 2 del foglio 29, che risultavano accatastate alla detta società S.I.L.A.

Ma il Mattace, con atto notificato il 25 agosto 1954, citava davanti al Tribunale di Cosenza l'Ente di riforma, chiedendo che il decreto di esproprio fosse dichiarato illegittimo, per eccesso di delega, dato che il fondo "Volta del Cavaliere" corrispondeva alla particella 1 e non alla particella 10 del fol. 36, come per errore era stato detto nell'atto di vendita, e che il fondo "Petirta" comprendeva anche la particella 2 del fol. 29 che, egualmente per errore, non era stata menzionata nel secondo degli atti di vendita sopra indicati: sicché erano stati espropriati terreni che appartenevano a esso Mattace e non alla Società S.I.L.A.

Il Tribunale di Cosenza, con ordinanza 29 febbraio-9 marzo 1956, ritenuto che la dedotta illegittimità del decreto di esproprio si risolveva in una questione di legittimità costituzionale di un atto avente forza di legge, di competenza esclusiva della Corte costituzionale, e ritenuto altresì che la questione non poteva considerarsi manifestamente infondata, sospendeva il giudizio e trasmetteva gli atti a questa Corte. L'ordinanza notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata per disposizione del Presidente della Corte costituzionale sulla Gazzetta Ufficiale del 19 maggio 1956.

2. - Il Mattace, rappresentato e difeso dall'avv. Rodolfo Grimaldi, si é costituito in questo giudizio depositando le sue deduzioni l'8 giugno 1956, nelle quali chiede la dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.P.R. 25 luglio 1950, n. 516. Tale illegittimità discenderebbe da una duplice violazione della legge di delegazione. Il Governo, infatti, avrebbe assoggettato ad espropriazione fondi di chi possedeva terreni in quantità inferiore al minimo prescritto dalla legge di delegazione e non avrebbe osservato il procedimento prescritto dalla legge stessa nei confronti dell'espropriato.

Nel giudizio si sono costituiti anche gli eredi di Alfonso Barracco, rappresentati e difesi dall'avv. Adolfo Caruso, con deduzioni depositate l'8 giugno, e la Società S.I.L.A. rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Gigliotti, con deduzioni depositate in pari data - i primi e la seconda convenuti già dal Mattace davanti al Tribunale di Cosenza - aderendo a quanto in punto di fatto sostiene il Mattace circa la proprietà che a lui spetta dei fondi che sono stati erroneamente accatastati alla Società S.I.L.A. e a questa espropriati.

3. - Nel giudizio sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei Ministri e l'O.V.S., entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, che ha depositato identiche deduzioni nell'interesse dell'uno e dell'altra il 5 aprile 1956.

L'Avvocatura sostiene l'improponibilità della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 25 luglio 1950, n. 516:

1) perché questa non avrebbe natura di questione incidentale, ma bensì di questione principale per formare l'unico oggetto della controversia;

2) perché non sarebbe possibile stabilirne la rilevanza ai fini della decisione del giudizio di merito prima che siano risolte tre questioni di competenza del Tribunale di Cosenza:

a) se nel negozio giuridico di compravendita Barracco-Mattace, l'acquirente sia effettivamente incorso in errore;

b) se, pur ammessa l'esistenza di codesto errore, nel caso, debba prevalere la volontà interna o la volontà manifestata dalle parti;

c) se il conflitto Mattace-S.I.L.A. (entrambi aventi causa da Alfonso Barracco) non si possa risolvere applicando i principi in tema di trascrizione, dato che la S.I.L.A. ha trascritto in osservanza dell'art. 2659 Cod. civ. e con le indicazioni stabilite dal successivo art. 2826, e il Mattace no.

Ma, a prescindere da queste pregiudiziali, l'Avvocatura dello Stato sostiene che la questione di legittimità costituzionale é infondata nel merito. Anche se il Mattace - così essa argomenta - vedesse riconosciuto il proprio diritto di proprietà, non si potrebbe ugualmente parlare di eccesso di delega, perché il legislatore delegato ben si sarebbe attenuto ai dati catastali. Vero é che il catasto italiano non ha efficacia probatoria del diritto di proprietà dei soggetti che risultano possessori di terreni in base ai suoi atti, ma ciò non toglie che esso possa essere utilizzato al fine di identificare i singoli titolari del diritto dominicale del territorio nazionale, né che ad esso appunto debba ricorrere lo Stato, ogni qual volta si trovi nella necessità, per il raggiungimento dei suoi fini di pubblico generale interesse, di individuare i titolari del diritto dominicale sul suolo nazionale. Questo accade nel Procedimento amministrativo per espropriazione per pubblica utilità, e altrettanto dovrebbe accadere per l'espropriazione ai fini della riforma fondiaria, anche se questa sia un istituto "alquanto diverso", nei riguardi del quale, anzi, varrebbero a maggior ragione i motivi che hanno spinto ad ammettere in materia di espropriazione per pubblica utilità una presunzione assoluta di proprietà tratta dalle risultanze degli atti catastali. Né varrebbe opporre a questa tesi il fatto che l'esproprio fondiario presuppone che il soggetto passivo possieda una determinata estensione di terreno, e che così assuma un carattere soggettivo che manca invece all'espropriazione per pubblica utilità, perché l'art. 4 della cosiddetta legge Sila conferisce a chiunque abbia interesse alla correzione del piano di esproprio di proporre ricorso entro i 25 giorni dalla pubblicazione del piano stesso: un termine perentorio, il cui decorso renderebbe inammissibile ogni altro esperimento di difesa da parte del soggetto passivo della riforma.

4. - Nella memoria depositata il 14 novembre 1956 la difesa del Mattace, dopo aver illustrato i punti relativi alla tesi della competenza della Corte costituzionale e della proponibilità della questione di legittimità costituzionale, sostiene, conformemente del resto all'Avvocatura dello Stato, il valore meramente indiziario delle intestazioni catastali circa il diritto di proprietà dei beni esistenti nel territorio nazionale; insiste sul carattere non oggettivo della legge 12 maggio 1950, n. 230, che, all'art. 2, sottopone l'espropriazione di un terreno alla duplice condizione che sia suscettibile di trasformazione e appartenga a un soggetto che alla data del 15 novembre 1949 possedeva almeno 300 ettari: condizioni non osservate nei confronti del Mattace. Né varrebbe, a superare questa tesi, l'argomento tratto dal presunto carattere perentorio e preclusivo del termine fissato dall'art. 4 della citata legge. Nessuna disposizione v'é nella legge che commini la perdita del diritto di proprietà in caso di mancata proposizione del reclamo prescritto dal citato articolo: e se ne deve dedurre perciò che il decorrere del termine non costituisce preclusione all'esercizio del diritto di proprietà da parte di chi sia stato leso in tale suo diritto dall'attività espropriativa dell'Ente di riforma.

5. - L'Avvocatura dello Stato ha depositato il 14 marzo 1947 una memoria illustrativa delle preliminari eccezioni di improponibilità e d'inammissibilità della questione di legittimità dei decreti delegati di espropriazione.

Pure la Società S.I.L.A. ha depositato il 13 marzo 1957 una memoria nella quale, riaffermato che il terreno corrispondente alle particelle 1 del fol. 36 e 2 del fol. 29 non é mai stato di sua proprietà, respinge la tesi dell'Avvocatura circa l'improponibilità della questione di legittimità costituzionale e afferma che la questione di costituzionalità, che si risolverebbe nell'altra se l'O.V.S. ha proceduto legittimamente o no all'espropriazione dei terreni contestati, riguarda unicamente il Mattace, mentre il terreno corrispondente al n. 10 del fol. 36, che é di proprietà di essa Società S.I.L.A., non é e non può essere oggetto di discussione né in questa né in altra sede.

6. - Nella discussione orale del 28 marzo 1957 le parti hanno ribadito gli argomenti già illustrati negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

La Corte non può non osservare che la rilevanza, ai fini del giudizio instaurato davanti al Tribunale di Cosenza, della questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, non risulta sufficientemente dimostrata nell'ordinanza di rinvio. E infatti il giudizio di rilevanza - nel senso in cui tale rilevanza é definita dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - della presente questione di legittimità costituzionale, che si risolve nell'accertare se il Governo, espropriando col decreto sopra ricordato terreni intestati alla Società S.I.L.A. e pretesi come propri dal Mattace, abbia ecceduto dai limiti della delegazione conferitagli con la legge 12 maggio 1950, n. 230, dipende dalla risoluzione che si dà ad altre questioni circa la natura e gli effetti dell'errore in cui sarebbe incorso il Mattace, circa la certezza e la validità delle note di trascrizione relative agli atti di compravendita Barracco-Mattace e Barracco-S.I.L.A. e circa il valore, nel caso, dei dati catastali: questioni che nel presente giudizio non possono ritenersi di competenza della Corte costituzionale, ma del giudice di merito.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

ordina che gli atti siano restituiti al Tribunale di Cosenza.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1957.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

 

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1957.