Sentenza n. 74 del 1957
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SENTENZA N. 74

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dei DD. PP. RR. 24 dicembre 1951, nn. 1478, 1481 e 1487, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e 27 della legge 12 maggio 1950, n. 230, promosso con ordinanza 18 aprile 1956 del Tribunale di Cosenza nella causa civile vertente tra Boscarelli Raffaella e l'Opera valorizzazione Sila, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 188 del 28 luglio 1956 ed iscritta al n. 219 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avvocati Ugo Brasiello e Antonio Sorrentino ed i sostituti avvocati generali dello Stato Francesco Agrò e Attilio Inglese.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1478, vari terreni siti nel comune di Acri furono espropriati in danno di Michele e Vincenzo Sprovieri e trasferiti nel possesso dell'Opera per la valorizzazione della Sila.

Sprovieri Michele propose opposizione contro l'esproprio, sostenendo che alcuni dei terreni scorporati non dovevano considerarsi ormai più di sua proprietà perché donati alla di lui figlia Raffaella in contemplazione del matrimonio con Boscarelli Michele giusta atto del notaio Mazzei del 18 maggio 1950.

Dell'opposizione, però, l'Opera Sila non tenne alcun conto.

Di qui la causa instaurata davanti al Tribunale di Cosenza da Boscarelli Raffaella nei confronti dell'Opera per la valorizzazione della Sila con atto di citazione del 27 gennaio 1955. La Boscarelli chiedeva al Tribunale il riconoscimento attuale del suo diritto di proprietà sui terreni in parola e la condanna dell'Opera al rilascio degli stessi ed al risarcimento dei danni.

L'Opera si costituiva a mezzo dell'Avvocatura dello Stato ed eccepiva, pregiudizialmente, l'inammissibilità della domanda attrice sia perché tendente ad ottenere dal giudice ordinario un sindacato giurisdizionale su di un atto avente forza di legge, sia perché diretta ad ottenere una reintegrazione in forma specifica. Nel merito l'Opera chiedeva il rigetto della domanda perché infondata.

Nel corso di giudizio la Boscarelli, sul presupposto che il giudice ordinario non avesse il potere di esaminare e decidere le questioni prospettate dalle parti, chiedeva la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.

Il Tribunale, con ordinanza del 18 aprile 1956, depositata il 18 maggio successivo, ha accolto l'eccezione dell'attrice e rimesso gli atti del procedimento a questa Corte.

L'ordinanza, notificata il 7 giugno 1956 all'Avvocatura dello Stato di Catanzaro, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché ai Presidenti del Senato e della Camera, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale del 28 luglio 1956, ma prima ancora di questa data, il 25 giugno 1956, l'Opera per la valorizzazione della Sila, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, ha depositato nella cancelleria della Corte costituzionale le sue deduzioni, sostenendo preliminarmente l'inammissibilità della questione di legittimità:

a) per avere il Tribunale di Cosenza rimesso alla Corte costituzionale una questione non sorta nel corso del giudizio con carattere di incidentalità rispetto alla questione di merito;

b) per avere il Tribunale di Cosenza rimesso gli atti alla Corte prima ancora di aver affrontato altre questioni, la cui risoluzione avrebbe potuto portare alla definizione del giudizio, e cioé prima ancora di aver indagato se l'art. 27 della legge Sila fosse stato o meno modificato dall'art. 4 della legge 18 maggio 1951, n. 333.

Nel merito la difesa dello Stato sostiene che la disposizione dell'ora citato art. 4 della legge n. 333 del 1951, secondo cui tutte le donazioni posteriori al 15 novembre 1949 sono nulle, trova applicazione anche nei confronti delle espropriazioni eseguite in virtù della legge Sila; che la data di emanazione dei decreti legislativi non é la data di pubblicazione, e che, comunque, non va nemmeno confusa la data di pubblicazione della Gazzetta Ufficiale con la data della effettiva distribuzione della stessa.

L'Opera chiede, pertanto, in via principale, che la Corte costituzionale dichiari l'improponibilità o quanto meno l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale o che, subordinatamente, affermi la piena legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1951, n. 1478.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto nel presente giudizio, depositando le sue deduzioni il 25 giugno 1956, ed ha aderito alle tesi di diritto svolte e alle conclusioni prese dall'Avvocatura generale dello Stato nell'interesse dell'Opera per la valorizzazione della Sila.

3. - Raffaella Boscarelli, rappresentata e difesa dagli avvocati Brasiello e Sorrentino, nelle deduzioni, depositate il 9 agosto 1956, sostiene, in via principale, l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, con cui si demanda al Governo di provvedere, con decreti aventi valore di legge ordinaria, alle espropriazioni e ai trasferimenti dei terreni a favore dell'Opera Sila, perché in contrasto con gli artt. 76, 77, 24 e 113 della Costituzione.

Nella subordinata ipotesi, poi, in cui volesse riconoscersi il valore di legge agli atti di esproprio, la Boscarelli ha dedotto l'eccesso di delega dei decreti di esproprio:

a) per avere, contro il disposto dell'art. 27 della legge Sila, assoggettato allo scorporo terreni inespropriabili, come i terreni a lei donati in contemplazione del suo matrimonio;

b) per essere stato emanato lo stesso decreto oltre il termine del 31 dicembre 1951, prescritto dall'art. 5 della legge Sila, e precisamente oltre il 30 gennaio 1952.

4. - L'Avvocatura dello Stato, in una memoria depositata il 14 marzo 1957, ha ribadito le proprie tesi, insistendo soprattutto sull'improponibilità e inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.

Anche la Boscarelli ha depositato, in data 13 marzo 1957, una memoria difensiva nella quale, tra l'altro, mette in evidenza che tra la legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), e la legge 12 maggio 1950, n. 230 (legge Sila), sussistono notevoli differenze che impongono di tenere i due testi legislativi fra loro ben distinti, sicché l'art. 4 della legge 18 maggio 1951, n. 333, contenente norme interpretative e integrative della legge stralcio, non può applicarsi ai casi regolati dalla legge Sila.

5. - Nella discussione orale del 28 marzo 1957, le parti hanno ribadito le loro tesi, illustrando gli argomenti già svolti negli scritti difensivi.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione sollevata anche in questo giudizio dall'Avvocatura dello Stato dell'improponibilità della questione di legittimità costituzionale dei decreti delegati di esproprio per il motivo che essa formerebbe una sola cosa con l'oggetto principale della controversia dibattuta davanti al giudice, a quo, e mancherebbe pertanto del carattere di pregiudizialità che le é necessario secondo il nostro ordinamento, é stata già respinta in numerose altre decisioni di questa Corte, segnatamente in quella n. 59 del 13 maggio 1957. Gli argomenti, che sono esposti in quella sentenza e ai quali si fa in tutto e per tutto riferimento, sono validi anche nel presente giudizio, nei confronti dei DD. PP. RR. 24 dicembre 1951, nn. 1478, 1481, 1487.

2. - La Corte non ritiene nemmeno che possa essere accolta l'altra eccezione, pure sollevata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale la questione di legittimità non avrebbe dovuto essere sottoposta al giudizio della Corte, perché la controversia sorta davanti al Tribunale di Cosenza si sarebbe potuta e dovuta risolvere sulla base dell'art. 27 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (c.d. legge Sila), e dell'art. 4 della legge 18 maggio 1951, n. 333 (c.d. legge Salomone). L'ordinanza di rinvio del Tribunale di Cosenza ha sufficientemente svolto i motivi per i quali la proposta questione era da ritenere "rilevante" ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. A quei motivi é sufficiente aggiungere che l'interpretazione dei due articoli sopra richiamati e del rapporto che tra loro intercorre, si risolve nella determinazione dei limiti e dei criteri della legge di delegazione e costituisce pertanto uno dei termini del giudizio di legittimità costituzionale di una legge delegata la cui legittimità non può essere accertata senza aver prima definiti i criteri e i limiti stabiliti dalla legge di delegazione.

3. - Nemmeno fondata é la censura d'incostituzionalità mossa dalla difesa della Boscarelli ai decreti presidenziali dei quali si discute e che consisterebbe nel fatto che essi sarebbero stati emanati e pubblicati posteriormente alla data del 31 dicembre 1951, fissata dall'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230. La Corte non può non attenersi alla data di emanazione dei decreti che é del 24 dicembre 1951 e della pubblicazione loro che é del 31 dicembre 1951, quali risultano dal supplemento alla Gazzetta Ufficiale che quei decreti contiene insieme con numerosi altri. Né vale in contrario la circostanza, che la parte asserisce fondata, che quel supplemento non fosse ancora in distribuzione, nella Libreria dello Stato alla fine del mese di gennaio 1952, essendo sufficiente constatare che alla data fissata nella legge di delega il decreto era stato emanato e pubblicato. E neanche merita accoglimento l'altra tesi della difesa della Boscarelli, secondo la quale entro il 31 dicembre 1951 bisognava aver provveduto all'effettivo trapasso dei beni espropriati nel possesso dell'Opera Sila, limitandosi la legge a richiedere che a quella data sia stato emanato e pubblicato, come in effetti fu, il, decreto delegato di esproprio. É questa, secondo la Corte, l'esatta interpretazione dell'espressione adoperata nel citato art. 5: "... provvede entro il 31 dicembre 1951 con decreti aventi valore di legge ordinaria...", quel che segue nel medesimo articolo indicando ovviamente il contenuto di quei decreti, non già la materiale loro esecuzione.

4. - Ma infondata é anche l'altra tesi, sostenuta dalla difesa della Boscarelli, della efficacia, ai fini della determinazione del limite stabilito dall'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, delle donazioni obnuziali stipulate dopo il 15 novembre 1949. Vero é che per fondare la tesi dell'inefficacia di codeste donazioni non si può far ricorso, contrariamente a quel che sostiene la difesa dello Stato, all'art. 4, primo comma, della legge 18 maggio 1951, n. 333, il quale fa, invece, riferimento all'art. 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (la c. d. legge stralcio), e quindi a una riforma fondiaria, ispirata, in parte, a criteri diversi da quelli ai quali si ispira la riforma realizzata nel comprensorio silano. Non ostante i riferimenti materiali e i punti sostanziali di contatto tra le due riforme, la Corte ritiene che ciascuna di esse debba considerarsi separatamente, come costituente un proprio particolare sistema, aderente alle particolari condizioni fisiche economiche e sociali delle rispettive zone di applicazione, e che, in conseguenza, non sia lecito estendere, senza che una norma lo consenta, le disposizioni integratrici o modificatrici della seconda legge alle corrispondenti disposizioni della prima.

Vero é che l'art. 20 della legge stralcio dichiara testualmente: "l'art. 27 della legge 12 maggio 1950, n. 230, é sostituito dal seguente...", ma é vero anche che la sostituzione, come é precisato dal medesimo art. 20, é fatta soltanto "ai fini della presente legge...": limitatamente, perciò, ai territori nei quali le norme in essa contenute devono trovare applicazione. Il che, del resto, é conforme a tutto il sistema delle leggi di riforma, che considerano le particolari caratteristiche fisiche, economiche e sociali delle zone nelle quali la riforma si deve attuare in ossequio al dettato e allo spirito della norma contenuta nell'art. 44 della Costituzione.

Ma che il limite di tempo del 15 novembre 1949 debba ritenersi operante anche in riguardo alle donazioni obnuziali risulta evidente dal sistema della legge 12 maggio 1950, n. 230, senza che occorra far riferimento a norme contenute in altre leggi. In questo sistema la situazione patrimoniale delle persone private - singoli o società - soggette ad espropriazione, che deve essere presa in considerazione, é quella che risultava al 15 novembre 1949. Si tratta di un termine obiettivo ed assoluto al quale é fatto costante riferimento e che cede soltanto di fronte a una espressa disposizione della legge, quale é quella del terzo comma dell'art. 2, secondo la quale "sono esclusi dal computo i terreni trasferiti a causa di morte a favore dei discendenti in linea retta dal 15 novembre 1949 fino alla entrata in vigore" della legge stessa.

Contro questa interpretazione la difesa della Boscarelli si richiama al successivo art. 27, il quale, nello stabilire la inefficacia dei trasferimenti a titolo gratuito stipulati dopo il 1 gennaio 1948, esclude dall'inefficacia "le donazioni in contemplazione di matrimonio e le donazioni a favore di enti morali di beneficenza, di assistenza e di istruzione". Ma il richiamo non é fatto a proposito. E infatti il limite di tempo dall'osservanza del quale la legge vuole far salve le c. d. donazioni obnuziali non é già quello del 15 novembre 1949, termine generale e inderogabile, ma l'altro particolare e più rigoroso del 1 gennaio 1948.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinte le eccezioni pregiudiziali sollevate dall'Avvocatura dello Stato;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei DD.PP.RR. 24 dicembre 1951, nn. 1478, 1481, 1487, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e 27 della legge 12 maggio 1950, n. 230.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 maggio 1957.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

 

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1957.