Sentenza n. 69 del 1957
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SENTENZA N. 69

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. MARIO BRACCI

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 18 novembre 1952, n. 3426, promosso con l'ordinanza 4 luglio 1956 della Corte di appello di Bari, pronunciata nella causa promossa da Lenti Chiara ed altri contro la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 3 novembre 1956 ed iscritta al n. 309 del Registro ordinanze 1956.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi i difensori avvocati Aldo Sandulli e Aldo Dedin ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto del Presidente della Repubblica 18 novembre 1952, n. 3426 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14 del 19 gennaio 1953), furono espropriati ha. 164.26.86 di terreni in agro di Mottola, in danno di Pietro, Nicola e Francesco Lenti fu Vito.

Con atto di citazione notificato il 6 febbraio 1953, Chiara, Giovanna ed Augusto Lenti, germani degli espropriati, convennero l'Ente di riforma dinanzi al Tribunale di Bari, proponendo azione di rivendica dei terreni. A motivo della domanda dedussero che detti terreni facevano parte del compendio ereditario del loro genitore, Vito Lenti, ed erano stati loro assegnati con atto di divisione ricevuto dal notar Penta di Putignano il 23 dicembre 1951, registrato il 14 gennaio 1952 e trascritto il 24 gennaio detto. Subordinatamente, dedussero che il suddetto decreto presidenziale doveva considerarsi illegittimo per avere approvato un piano di esproprio pubblicato oltre il termine di legge (nel F. A. L. della provincia di Taranto, che, pur recando la data 28 dicembre 1951, era stato in realtà pubblicato il 3 gennaio 1952).

Il Tribunale dispose l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri figli ed eredi di Vito Lenti, Pietro, Nicola, Francesco e Cassandra.

Costoro si costituirono in giudizio (per Nicola, deceduto, la erede Luisa Ceo), dichiarando di aderire alla domanda proposta dagli attori, e dedussero, in aggiunta, che le quote espropriate erano state anche superiori al dovuto, perché nel computo del reddito globale era stato incluso anche quello incidente su proprietà soggetta ad usi civici e quello relativo a terreni oggetto di rivendica da parte di terzi.

Il Tribunale, con sentenza 1-16 giugno 1954, respinse la domanda.

A seguito di gravame interposto dagli eredi Lenti, la Corte di appello di Bari, con l'ordinanza in data 4 luglio 1956, ha disposto rimettersi gli atti a questa Corte perché risolva la questione circa la legittimità della delega ex art. 5 legge Sila ed 1 legge stralcio e giudichi altresì "se, una volta ritenuta la costituzionalità della legge delegata, questa abbia eventualmente violato i limiti della legge delegante".

L'ordinanza, regolarmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 3 novembre 1956.

Dinanzi a questa Corte si sono costituite le parti ed ha fatto intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Gli eredi Lenti, per quanto concerne il denunziato eccesso di delega del decreto di esproprio, hanno sostenuto che la divisione, per la sua natura di atto dichiarativo, e avuto anche riguardo alle disposizioni contenute negli artt. 4, terzo comma, della legge stralcio ed 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, deve ritenersi esclusa dal novero degli atti che l'art. 20 della legge stralcio dichiara inefficaci se stipulati successivamente alla data del 15 novembre 1949.

Hanno inoltre riprodotto le altre censure già dedotte nei giudizi di merito, concernenti la inclusione nell'esproprio di beni contestati e indisponibili, di beni rivendicati da terzi con atti di citazione del 1946, tempestivamente trascritti; hanno infine contestato l'esattezza della determinazione dei redditi dominicali, richiamando i dati di una consulenza tecnica prodotta in giudizio. Tali argomenti sono stati ampiamente illustrati anche in una memoria depositata.

L'Avvocatura generale dello Stato, nell'interesse dell'Ente di riforma e del Presidente del Consiglio, ha concluso, in base alle argomentazioni esposte in tutte le cause analoghe, perché le questioni proposte siano dichiarate improponibili o inammissibili; subordinatamente, perché siano dichiarate infondate.

 

Considerato in diritto

 

Riguardo alle denunciate violazioni delle norme contenute nella legge 21 ottobre 1950, n. 841, da parte del decreto presidenziale 18 novembre 1952, n. 3426, mentre la difesa degli attori Lenti ha denunciato tutta una serie di vizi imputabili a tale decreto, la Corte di appello di Bari, nell'ordinanza di rinvio, dopo essersi diffusa nella discussione sulla legittimità costituzionale della delegazione, si é limitata ad osservare che sarebbe spettato alla Corte costituzionale "stabilire, se una volta ritenuta la costituzionalità della legge delegata, questa abbia eventualmente violato i limiti della legge delegante".

Questa parte dell'ordinanza di rinvio non é certamente conforme a quanto prescrive l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il quale esige che, sia pure mediante un riferimento ai termini ed ai motivi della istanza con cui la questione di legittimità costituzionale é stata sollevata da una delle parti del giudizio principale, l'autorità giurisdizionale precisi nell'ordinanza l'oggetto della questione stessa, che costituisce poi l'oggetto del processo costituzionale.

Secondo la lettera della ordinanza della Corte di appello sembrerebbe che questa ritenga che la Corte costituzionale possa e debba ricercare di ufficio se esistano eventuali violazioni delle norme della legge di delegazione da parte del decreto presidenziale, laddove é ben noto che una ricerca simile non é consentita a questa Corte, in ragione del sistema prescelto dal legislatore costituente per l'attuazione delle garanzie costituzionali.

Anche ammesso, peraltro, che con quella formula sintetica e generica la Corte di appello abbia inteso fare richiamo, pur senza riferirne i termini e i motivi, alle deduzioni delle parti nel giudizio principale, demandando a questa Corte il compito di rintracciarle negli atti di quel processo (anche per la evidente necessità di controllare che le parti medesime non siano state indotte, per eccessivo zelo difensivo, a modificarle e ad estenderle in questa sede), la ordinanza di rinvio non sarebbe ugualmente conforme al precetto della legge.

Nella specie si deve osservare che le censure sollevate in questo giudizio dagli espropriati e dai loro consorti contro il decreto di esproprio corrispondono sostanzialmente a quelle discusse nei due giudizi di merito, di primo e di secondo grado, anche se si trovano esposte in prospettiva alquanto diversa e se su alcune di esse non si é più particolarmente insistito..

Per varie questioni, sulla inclusione nel compendio espropriato di beni indisponibili, di beni rivendicati da terzi con atti di citazione, tempestivamente trascritti, che risalirebbero al 13 marzo 1946, sulla esattezza della determinazione dei redditi dominicali, contestata anche mediante la produzione di una consulenza tecnica di parte, occorrerebbero complesse indagini e valutazioni di merito, le quali potrebbero anche dimostrarsi successivamente superflue ai fini del giudizio sulla legittimità costituzionale del decreto presidenziale impugnato.

Vi é stata infatti, nell'ordinanza di rinvio, una omissione completa di quella valutazione della rilevanza delle questioni di legittimità rimesse alla Corte costituzionale rispetto al giudizio principale, che la legge tassativamente esige, quando dispone che il provvedimento di rinvio é preso dell'autorità giurisdizionale, " qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale" (art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87).

A questa omissione la Corte costituzionale non può supplire, perché l'accertamento del rapporto di rilevanza e di pregiudizialità fra la questione di legittimità costituzionale e il giudizio sulla controversia principale, oggetto del processo davanti all'autorità giurisdizionale, spetta esclusivamente a questa. Di conseguenza, allo stato degli atti, le questioni di legittimità costituzionale per c. d. eccesso di delega, alle quali genericamente si allude nell'ordinanza della Corte di appello di Bari, non possono formare oggetto di giudizio in questa sede.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

ordina che gli atti siano restituiti alla Corte di appello di Bari.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 maggio 1957.

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1957.