Sentenza n. 64 del 1957
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SENTENZA N. 64

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. - Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, nn. 3043 e 3042, promossi con due ordinanze 8 giugno 1956 del Tribunale di Brindisi, pronunciate nei procedimenti civili promossi l'uno dal dott. Ugo Granafei e l'altro dai germani Ugo e Giuseppina Granafei contro la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 25 agosto 1956 ed iscritte ai nn. 249 e 250 del Registro ordinanze 1956.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con atto di citazione notificato il 13 marzo 1953 il dott. Ugo Granafei convenne davanti al Tribunale di Brindisi la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, esponendo che mediante decreto del Presidente della Repubblica in data 29 novembre 1952, n. 3043 (pubblicato nel supplemento della Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 1953), era stato disposto il trasferimento in proprietà dell'Ente di complessivi ha. 531.54.04 di terreni in Comune di Brindisi, di proprietà di esso dott. Granafei.

L'attore chiedeva che fosse dichiarata la illegittimità del decreto presidenziale e che l'Ente fosse riconosciuto tenuto a restituire i terreni espropriati e a risarcire i danni in caso di mancata osservanza del giudicato.

Il Tribunale riteneva che non fossero da considerare manifestamente infondate le denunciate violazioni dirette di specifiche disposizioni costituzionali:

a) dell'art. 3 della Costituzione, da parte della legge 21 ottobre 1950, n. 841, sotto il profilo della disuguaglianza di trattamento dei cittadini davanti alla legge;

b) dell'art. 44 della Costituzione, da parte dell'art. 4 della stessa legge, per violazione dei criteri e dei mezzi e dei fini fissati nell'art. 44, nonché del principio che rapporta l'indennizzo al giusto prezzo;

c) degli artt. 76 e 77 della Costituzione da parte della legge 21 ottobre 1950, per mancanza della "determinazione dei principi e dei criteri direttivi";

d) da parte del decreto presidenziale 7 febbraio 1951, n. 67, per violazione dell'art. 44 della Costituzione, che prevede la limitazione della proprietà terriera secondo le regioni e le zone, e anche per violazione diretta e indiretta degli artt. 76 e 77 della Costituzione, per essere stato emanato senza la prefissione di principi e criteri direttivi, non potendosi ritenere integratore della legge e avente forza di legge l'ordine del giorno Ruini- Paratore, che risulta accolto come "raccomandazione", ma non assunto nel testo e nella volontà normativa delegata.

Analogamente riteneva il Tribunale che non fossero manifestamente infondate le violazioni dirette e indirette degli artt. 76 e 77 della Costituzione denunciate nei confronti del decreto presidenziale 29 novembre 1952, n. 3043:

a) per avere ecceduto i limiti della delega contenuti nell'articolo 4 della legge 21 ottobre 1950 per errata applicazione dei principi relativi alla determinazione del reddito dominicale e al calcolo della quota di espropriazione;

b) per avere ecceduto i limiti della delega contenuti nel suddetto art. 4 per avere espropriato fabbricati rurali;

e) per avere ecceduto i limiti della delega contenuti nella stessa legge 21 ottobre 1950 non avendo previsto alcun indennizzo per fabbricati rurali, strade, cisterne, e differenze tra le culture in catasto e quelle in atto nelle zone espropriate;

d) per avere ecceduto i limiti della delega avendo trasferito superfici diverse per un reddito dominicale diverso.

Altre questioni di illegittimità pure rinviate dal Tribunale al giudizio della Corte costituzionale riguardano:

e) la inclusione nel compendio espropriato del Rio Apani, un fiume privato non incluso nell'elenco delle acque pubbliche;

f) la mancanza della specificazione delle zone costituenti il terzo residuo e della comunicazione delle direttive per le opere di trasformazione, con conseguente impedimento dell'esercizio concreto della facoltà contenuta nell'art. 9.

Conseguentemente il Tribunale di Brindisi, con ordinanza in data 8 giugno 1956, sospendeva il giudizio in corso e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per la decisione su tutte le questioni indicate.

L'ordinanza era regolarmente notificata e comunicata ai soggetti e agli organi indicati dalla legge e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 25 agosto 1956.

Davanti a questa Corte si é costituito tempestivamente, depositando deduzioni e memoria, l'Ente Puglia e Lucania ed ha fatto intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.

L'Avvocatura dello Stato, nell'interesse dell'Ente e del Presidente del Consiglio, eccepisce anzitutto l'irricevibilità delle questioni e, subordinatamente, nel merito, chiede che le stesse siano dichiarate infondate per i seguenti motivi:

Le leggi Sila e stralcio tendono a realizzare un primo passo sulla via della riforma agraria, nell'ambito dell'art. 44 della Costituzione. La scelta dei tempi, per l'attuazione della riforma, era compito del legislatore ordinario. Il sistema adottato é stato quello di cominciare a colpire la proprietà meno coltivata.

E il criterio direttivo, per la scelta dei territori in cui dare inizio alla riforma, era appunto quello della "suscettibilità" di trasformazione. Con questo criterio, la concreta identificazione dei territori ben poteva essere delegata al Governo. Né il Governo doveva attenersi all'ordine del giorno Ruini-Paratore, perché la volontà legislativa é indipendente dallo svolgimento dei lavori preparatori.

Quanto alla determinazione dell'indennizzo, l'art. 44 della Costituzione tace al riguardo, perché ha voluto lasciarla al criterio politico-discrezionale del legislatore ordinario.

Non sussistono, infine, i denunziati eccessi di delega, in quanto:

le quote di scorporo sono state determinate in base al reddito dominicale medio dell'intera proprietà, ai sensi dell'art. 4 della legge stralcio e dell'articolo unico della legge n. 1206 del 1952, e si sono tenute a calcolo le superfici coperte dai fabbricati rurali, perché questi incidono sulle operazioni di qualificazione dei terreni;

gli stessi fabbricati, le cisterne, i corsi di acqua privati, essendo privi di autonomia funzionale, andavano espropriati insieme con i terreni e senza un particolare indennizzo;

le superfici espropriate corrispondono alle percentuali di reddito, coi decreti di esproprio sono stati rettificati solo alcuni errori materiali dei piani, né si doveva tenere conto di variazioni catastali successive alla compilazione dei piani stessi;

l'adempimento delle formalità prescritte dagli artt. 8 e 9 della legge stralcio, da parte degli Enti di riforma, era subordinato alla presentazione di apposita istanza degli interessati.

2. - Con un altro distinto atto di citazione notificato il 13 marzo 1953 i germani Ugo e Giuseppina Granafei convennero davanti al Tribunale di Brindisi la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, esponendo che mediante decreto del Presidente della Repubblica in data 29 novembre 1952, n. 3042 (pubblicato nel supplemento della Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 1953), era stato disposto il trasferimento in proprietà dell'Ente di complessivi ha. 453.42.79 di terreno, in Comune di Brindisi, di proprietà di essi germani Granafei.

Gli attori chiedevano che fosse dichiarata la illegittimità del decreto presidenziale e che l'Ente fosse riconosciuto tenuto a restituire i terreni espropriati ed a risarcire i danni in caso di mancata osservanza del giudicato.

Anche in questo giudizio venivano proposte e discusse questioni analoghe a quelle dibattute nell'altro giudizio sopra riferito (nel quale era attore il dott. Ugo Granafei) ed il Tribunale di Brindisi pronunciava una ordinanza di sospensione del giudizio e di rinvio degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulle stesse questioni, esclusa quella relativa alla espropriazione del Rio Apani e inclusa invece la questione sulla espropriabilità di cave di pietra.

L'ordinanza, pronunciata in data 8 giugno 1956, era regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 25 agosto 1956.

Si costituiva tempestivamente l'Ente Puglia e Lucania e interveniva il Presidente del Consiglio dei Ministri; e l'Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza di entrambi, formulava le stesse conclusioni proposte nella causa Granafei dott. Ugo, in base alle stesse argomentazioni, aggiungendo ad esse alcune considerazioni su una ulteriore questione in tema di efficacia di certi trasferimenti che sarebbero stati fatti ai sensi della legge per la costituzione della piccola proprietà contadina, la quale questione peraltro non risulta sottoposta al giudizio della Corte dalla ordinanza del Tribunale di Brindisi.

 

Considerato in diritto

 

3. - La Corte ritiene opportuno che le due cause descritte in narrativa, le quali hanno comuni pressoché tutte le questioni, siano decise con unica sentenza.

4. - Relativamente alla eccezione pregiudiziale proposta dalla Avvocatura generale dello Stato si debbono richiamare le considerazioni già ampiamente svolte nella sentenza n. 59 del 13 maggio 1957, in base alle quali la Corte ha già ripetutamente pronunciato nel senso di respingere la eccezione stessa.

5. - In merito alle numerose violazioni dirette e indirette della Costituzione prospettate, si deve ricordare che il giudizio della Corte costituzionale può avere ad oggetto solo le questioni proposte dall'ordinanza di rinvio, senza che sia consentito seguire le parti nei loro sviluppi ed amplificazioni, come é stato già più volte deciso dalla Corte.

Ciò premesso, si rileva che alcune delle questioni proposte sono comuni ad altre cause analoghe, e che quindi per quanto riguarda sia la soluzione adottata, sia i motivi che la sorreggono, si può fare riferimento alle relative sentenze: così per le questioni concernenti la legittimità della delegazione, decise con la sentenza n. 60 del 13 maggio 1957; per la questione concernente la misura dell'indennizzo, decisa con la sentenza n. 61 del 13 maggio 1957; per le questioni concernenti la mancanza della specificazione delle zone costituenti il terzo residuo e di direttive all'uopo, decise con la sentenza n. 63 del 13 maggio 1957.

Le questioni proprie ed esclusive del presente giudizio sono quelle che riguardano la legittimità della legge stralcio e del decreto presidenziale 7 febbraio 1951, n. 67, in riferimento alle norme contenute negli artt. 3 e 44 della Costituzione, e quelle concernenti i decreti presidenziali di esproprio nn. 3042 e 3043 del 29 novembre 1952, per aver incluso nel compendio espropriato beni che non sarebbero stati assoggettabili ad espropriazione.

6. - Per quanto riguarda la asserita violazione della norma contenuta nel primo comma dell'art. 3 della Costituzione, é opportuno tener presente che l'intento del legislatore, reso palese dalla stessa formulazione delle leggi emanate, é stato quello di procedere ad una trasformazione parziale e graduale del regime economico e giuridico della proprietà terriera. I motivi che sono stati addotti per giustificare la scelta di questo metodo, e che vanno dalla limitatezza dei mezzi disponibili alle preoccupazioni di ordine tecnico, sociale e politico, e all'intento di procedere sperimentalmente, sono ben noti e sfuggono alla competenza della Corte costituzionale, la quale potrebbe e dovrebbe dichiarare la illegittimità del metodo prescelto soltanto se ritenesse di desumere dalla lettera e dallo spirito della Costituzione il divieto di seguirlo.

Un principio di questo contenuto non si rinviene nella Carta costituzionale, né nell'art. 3, il cui secondo comma postula proprio l'adozione di misure legislative, che, in quanto dirette ad attuare la eguaglianza dei cittadini, non potrebbero operare se non modificando, mediante trattamenti adeguati, le loro situazioni in atto; né nell'art. 44, che svolge lo stesso principio in materia di riforma agraria e fondiaria, additandone i fini e di "conseguire il razionale sfruttamento del suolo" e di "stabilire equi rapporti sociali", e che prevede esplicitamente un diverso trattamento da zona a zona.

Anche le espressioni successivamente usate nello stesso art. 44 debbono essere interpretate logicamente, in funzione dei fini enunciati; né si può sostenere che la fissazione dei limiti alla estensione della proprietà terriera sia cosa del tutto diversa dalla ammissione di provvedimenti di espropriazione, posto che non é facile immaginare in quali altri modi si potrebbe ottenere il risultato di limitare una proprietà più estesa di quanto sia consentito dalla legge.

Se poi fosse vero, quantunque non risulti chiaramente dal testo delle ordinanze di rinvio, che una ulteriore violazione dell'art. 44 della Costituzione dovrebbe essere ravvisata nel fatto che l'art. 4 della legge stralcio, interpretato dalla legge 16 agosto 1952, n. 1206, determina la quota di espropriazione in funzione del reddito dominicale dell'intera proprietà di cui é titolare il soggetto espropriando, in tutto il territorio della Repubblica, laddove la norma costituzionale prevede i limiti della estensione della proprietà secondo le regioni e zone agrarie, si dovrebbe riaffermare che il criterio ivi richiamato ha carattere essenzialmente tecnico, riferendosi ai tipi di culture propri delle diverse zone, i quali possono suggerire varie misure di estensione della proprietà come le più adeguate al fine del razionale sfruttamento del suolo, mentre il criterio seguito dal legislatore per la determinazione delle quote di espropriazione, tanto più oneroso quanto più le proprietà sono estese e meno proficuamente coltivate, contempera quel fine con l'altro di stabilire equi rapporti sociali.

7. - Le questioni riflettenti vizi di eccesso di delega esclusive alle cause in esame riguardano la inclusione nel patrimonio espropriato di un fiume e di una cava di pietra.

In quanto al primo, si legge negli scritti difensivi dell'attore che esso (Rio Apani) dalla sorgente fino allo sbocco nell'Adriatico correva in proprietà Granafei e che era pacifico trattarsi di acqua privata di esclusivo godimento del proprietario del fondo in cui esso scorreva; e già nella comparsa conclusionale davanti al Tribunale si affermava trattarsi di un fiume privato e non compreso nell'elenco delle acque pubbliche, che nasce e muore nella proprietà espropriata.

Se questo é vero, però, proprio per questo esso doveva essere considerato pertinenza dei fondi, al cui servizio le sue acque potevano essere utilizzate (artt. 817, 909 e 910 Cod. civ.), e, in quanto pertinenza, seguiva la sorte della cosa principale, mentre non sarebbe neppure facile intendere quale valore potesse presentare considerato a sé, indipendentemente dai terreni attraversati.

8. - In quanto alla cava, negli scritti difensivi degli attori si trova osservato che essa, comeché utilizzata privatamente dai proprietari, aveva avuto in catasto, in mancanza di una apposita voce della classifica, la classifica di "pascolo" (e tale risulta nel foglio 63, particella 3). Ne risulta che la utilizzazione della cava non costituiva oggetto di impresa autonoma e che il pietrame ricavato da essa doveva servire per lavori edilizi e stradali interessanti le stesse aziende agricole degli espropriati, molto estese e descritte in atti come dotate di molti fabbricati e di ampie strade. Queste constatazioni rendono più facile intendere e giustificare la inclusione della stessa cava fra le pertinenze del patrimonio espropriato, mentre essa non sarebbe stata legittima ove si fosse trattato di una impresa estrattiva indipendente dalla azienda agricola.

Deve essere poi rilevato, in linea generale, che la legge si é anche preoccupata di assicurare "la continuità territoriale degli appezzamenti espropriati" e a questo fine ha concesso agli Enti di riforma la facoltà di espropriare persino "limitate superfici boschive soggette al vincolo idrogeologico", espressamente derogando ad un principio precedentemente stabilito (art. 7 della legge 18 maggio 1951, n. 333).

Altre questioni, riguardanti le indennità per la espropriazione dei fabbricati rurali e di altre pertinenze dei fondi, sono state risolte con la sentenza n. 62 del 13 maggio 1957, né la Corte ravvisa ragioni per modificare nella specie il proprio convincimento.

Infine, le ordinanze del Tribunale di Brindisi rimettono alla Corte costituzionale il giudizio su altre questioni di legittimità dei decreti di esproprio, concernenti la determinazione del reddito dominicale e le differenze tra le culture in catasto e quelle in atto nelle zone espropriate; ma le spiegazioni e i calcoli contenuti nelle deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato su tutti questi punti sono pienamente convincenti e dimostrano esaurientemente che nei decreti stessi si é fatta una applicazione corretta delle disposizioni della legge di delegazione. Anche su questi punti, in definitiva, le censure si dirigono piuttosto ad inconvenienti derivanti dal sistema adottato dal legislatore che a violazioni dirette o indirette di precetti costituzionali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui due giudizi riuniti indicati in epigrafe,

respinta la eccezione pregiudiziale proposta dall'Avvocatura generale dello Stato,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e del decreto del Presidente della Repubblica 7 febbraio 1951, n. 67, in riferimento alle norme contenute negli artt. 3, 44, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, nonché dei decreti del Presidente della Repubblica del 29 novembre 1952, nn. 3043 e 3042, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione e nella legge 21 ottobre 1950, n. 841, proposte con ordinanza 8 giugno 1956 del Tribunale di Brindisi, pronunciata nella causa civile vertente fra il dott. Ugo Granafei e la Sezione speciale per la riforma fondiaria dell'Ente Puglia e Lucania, e con altra ordinanza 8 giugno 1956 dello stesso Tribunale di Brindisi, pronunciata nella causa civile vertente fra i germani Ugo e Giuseppina Granafei e la Sezione stessa dell'Ente Puglia e Lucania.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 maggio 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA  

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1957.