Sentenza n. 26 del 1957
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SENTENZA N. 26

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 24 luglio 1930, n. 1278, promosso con l'ordinanza 25 giugno 1956 del Pretore di Arienzo nel procedimento penale a carico di Vacchiano Francesco Giuseppe, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 227 dell'8 settembre 1956 ed iscritta al n. 256 del Reg. ord. 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 28 novembre 1956 la relazione del Giudice Gaspare Ambrosini;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Achille Salerni.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel procedimento avanti alla Pretura di Arienzo a carico di Vacchiano Francesco Giuseppe, imputato del reato di cui all'art. 4 della legge 24 luglio 1930, n. 1278, per avere nel periodo dal settembre al dicembre 1955 procacciato a scopo di lucro numero otto contratti di lavoro in Gran Bretagna a persone desiderose di emigrare, la difesa dell'imputato sollevò la eccezione di legittimità costituzionale del suddetto art. 4, adducendo che é in contrasto con l'art. 35 della Costituzione, che sancisce il principio della libertà di emigrazione.

Il Pretore di Arienzo con ordinanza del 25 giugno 1956, accogliendo la richiesta della difesa del Vacchiano, sospese il processo e ordinò la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale del succitato art. 4. Nell'ordinanza non si precisa la disposizione della Costituzione che sarebbe stata violata, ma certamente si tratta dell'art. 35, al quale aveva fatto esplicito riferimento la difesa del Vacchiano.

L'ordinanza venne ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, deducendo che l'art. 4 della legge 24 luglio 1930, n. 1278, non limita la libertà di emigrazione affermata dall'art. 35, comma ultimo, della Costituzione, né contrasta ma anzi si armonizza col sistema di norme disciplinanti il collocamento dei lavoratori.

 

Considerato in diritto

 

Il principio della libertà di emigrazione affermato nell'art. 35 ultimo comma, della Costituzione non é violato dall'art. 4 della legge 24 luglio 1930, n. 1278, che non si riferisce a chi aspira ad emigrare.

Dispone l'art. 4: "Chiunque al fine di lucro, procura in qualsiasi modo un atto di chiamata od una proposta di contratto di lavoro per l'estero ad un cittadino che intende emigrare o si intromette per ottenere dalle autorità competenti il rilascio del passaporto o di altro documento di espatrio, é punito. . . ".

Questa disposizione é diretta ad impedire non l'emigrazione, ma l'attività speculativa di chi può approfittare della necessità o della speciale condizione psicologica di aspettativa o di credulità degli aspiranti ad emigrare, specie se disoccupati, per fare da essi accettare contratti di lavoro rovinosi od inadeguati in rapporto al sistema della nostra legislazione sociale.

Si tenga presente che lo stesso art. 35, ultimo comma, della Costituzione afferma il principio della libertà di emigrare non in modo assoluto ed incontrollabile, ma con qualche limite: "La Repubblica. . . riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero".

Vi é quindi un limite che può essere dettato dall'interesse generale della comunità statale; e vi é un altro limite dipendente dalla necessità di tutelare il lavoro italiano all'estero.

Orbene, la norma dell'art. 4 della legge in questione deve essere riguardata nel quadro degli stessi motivi e delle stesse finalità. Essa é stata dettata per garantire i lavoratori da possibili illecite speculazioni, in difesa perciò di un bene, che, se per un verso interessa singoli, per l'altro non interessa meno la collettività nazionale.

Ed é ovvio che il legislatore é completamente libero nella valutazione di questi interessi e dei mezzi più adeguati per tutelarli con norme anche di carattere penale, come quella dell'art. 4 in questione, la quale per altro si armonizza con tutto il sistema di norme disciplinanti il collocamento dei lavoratori.

É da rilevare, comunque, che l'art. 4 della legge 24 luglio 1930 non pone limiti al diritto del cittadino ad emigrare e che pertanto nessun contrasto esiste tra esso ed il precetto dell'art. 35, ultimo comma, della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l'ordinanza resa in data 25 giugno 1956 dal Pretore di Arienzo, dell'art. 4 della legge 24 luglio 1930, n. 1278, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 35, comma ultimo, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale Palazzo della Consulta, il 21 gennaio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.