Sentenza n. 22 del 1956

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SENTENZA N. 22

ANNO 1956

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

sul ricorso proposto dalla Regione autonoma della Sardegna, rappresentata e difesa dagli avv. Pietro Gasparri ed Egidio Tosato, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 13 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, contenente norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna, notificato il 20 febbraio 1956 e depositato in cancelleria il 28 successivo:

Vista la costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri avvenuta col deposito delle deduzioni in cancelleria il 12 marzo 1956;

Udita all'udienza pubblica del 13 giugno 1956 la relazione del Giudice Mario Bracci;

Uditi gli avv. Pietro Gasparri ed Egidio Tosato per la Regione ricorrente ed il sostituto avvocato generale della Stato Luciano Tracanna.

 

Ritenuto in fatto

 

 

La Regione autonoma della Sardegna, rappresentata dal Presidente della Giunta regionale, ha proposto - con ricorso notificato il 20 febbraio 1956 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e depositato nella cancelleria della Corte il 28 detto - la questione della legittimità costituzionale dell'art. 13 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, contenente norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna.

Questo ricorso, autorizzato dalla Giunta regionale con deliberazione 3 febbraio 1956, prospetta tre motivi d'illegittimità costituzionale.

La Regione sostiene in primo luogo che lo Statuto é stato modificato illegittimamente, cioè senza il rispetto del procedimento costituzionale per la revisione delle norme statutarie, previsto dall'art. 54 dello Statuto stesso. La competenza amministrativa del Ministero dei LL.PP., "d'intesa con la Regione", nella materia delle acque pubbliche e dell'energia elettrica sarebbe estranea, secondo la ricorrente, allo Statuto sardo e sarebbe stata introdotta illegittimamente dalla norma impugnata che fu approvata col procedimento proprio delle leggi ordinarie.

In secondo luogo la Regione lamenta che sia stata invasa la competenza legislativa della Regione. Difatti, secondo la ricorrente, l'impugnato art. 13 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327 disciplina l'attività amministrativa della Regione, mentre la competenza a legiferare in materia di competenza amministrativa sarebbe esclusiva della Regione secondo l'art. 3, lett. a) dello Statuto sardo.

Infine la Regione sostiene che la norma dell'art. 13, con la quale é disciplinata l'ingerenza del Ministero dei LL.PP. in materia di acque pubbliche e d'energia elettrica, violerebbe l'art. 6, in relazione all'art. 3, lett. e) dello Statuto perché la Regione esercita in via esclusiva le funzioni amministrative nelle materie nelle quali essa ha potestà legislativa a norma degli artt. 3 e 4.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, difesa dall'Avvocatura dello Stato, ha resistito a questo ricorso con deduzioni depositate il 12 marzo 1956 e poi ampiamente illustrate con memoria 31 maggio 1956.

La difesa dello Stato sostiene anzitutto, in via preliminare, che le norme d'attuazione dello Statuto, elaborate e proposte da una Commissione paritetica per le esigenze di integrazione e d'esecuzione dello Statuto e aventi particolare natura giuridica, possono essere viziate d'incostituzionalità soltanto se siano in manifesto contrasto con lo Statuto: nel caso la norma impugnata avrebbe invece una portata puramente specificativa ed integrativa.

Sempre in via preliminare la difesa dello Stato contesta inoltre che possa parlarsi d'invasione della competenza della Regione a proposito dell'intervento legislativo statale nelle materie di competenza regionale mediante norme d'attuazione perché queste non potrebbero non investire, necessariamente e indistintamente, tutta la materia statutaria ai fini dell'attuazione e dell'esecuzione dello Statuto.

Quanto al merito del ricorso, la difesa dello Stato eccepisce che "l'intesa" fra la Regione ed il Ministero dei LL.PP., predisposta dalla norma impugnata, sarebbe giustificata dai principi dell'"ordinamento giuridico" e del "rispetto degli interessi nazionali" che sono i limiti della legislazione di cui all'art. 3 dello Statuto e, in conseguenza, anche dell'Amministrazione regionale.

L'Avvocatura dello Stato rileva inoltre che se si tiene presente che la materia dei diritti demaniali sulle acque pubbliche é strettamente connessa con quella della produzione dell'energia elettrica prevista dall'art. 4, lett. e) dello Statuto, l'intervento del Ministero dei LL.PP., al quale é affidata la tutela dei generali interessi nazionali, é da ritenersi conforme ai "principi stabiliti dalle leggi dello Stato", che costituiscono appunto il limite particolare della legislazione regionale dell'art. 4.

Del resto, secondo la difesa dello Stato, l'art. 13 impugnato poco si discosterebbe dalla norma che fu proposta a suo tempo dalla Commissione paritetica che conteneva un espresso richiamo al T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, che prevede una disciplina d'interesse nazionale delle acque pubbliche. La necessaria "intesa" tra la Regione e il Ministero dei LL.PP., predisposta dall'impugnato art. 13 per le esigenze di tutela dei superiori interessi nazionali, terrebbe luogo di quel controllo di merito sugli atti della Regione che é previsto dall'art. 125 della Costituzione e che non sarebbe derogato dallo Statuto speciale.

E’ poi da rilevare in fatto che il Consiglio regionale sardo ha approvato, in data 24 febbraio 1956, una legge sulla disciplina delle acque e degli impianti elettrici in Sardegna. Questa legge é stata rinviata al Consiglio regionale dal Governo della Repubblica ai sensi dell'art. 33 dello Statuto con la segnalazione dell'opportunità che ogni nuova deliberazione al riguardo sia sospesa in attesa della sentenza di questa Corte sul presente ricorso.

 

Considerato in diritto

 

 

1. - Questa Corte ha già avuto occasione di pronunziarsi sulle questioni sollevate dalla Regione autonoma della Sardegna col primo e col secondo motivo del ricorso e non può che confermare i principi espressi nella sentenza n. 20 del dì 29 giugno 1956 che sono validi anche per questa fattispecie.

Conseguentemente il primo e il secondo motivo del ricorso della Regione sarda sono da ritenersi infondati.

2. - La Corte ha già avuto occasione di pronunziarsi con la ricordata sentenza n. 20 del  29 giugno 1956 anche sul punto che i decreti legislativi di attuazione dello Statuto sardo debbono essere sempre conformi ai principi posti dalle norme statutarie rimanendo altrimenti viziati da illegittimità costituzionale.

La Corte, confermando questo principio, rileva che nel caso in esame l'art. 13 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327 é in evidente contrasto con l'art. 6 dello Statuto.

Difatti la materia delle acque pubbliche e dell'energia elettrica é di competenza legislativa regionale sia ex art. 3, lett. b), sia ex art. 4, lett. c) dello Statuto.

Perciò l'esercizio delle funzioni amministrative in questa materia spetta alla Regione ex art. 6 dello Statuto.

Invece la norma impugnata, facendo obbligo allo Stato e alla Regione di "provvedere d'intesa" nell'esercizio delle funzioni amministrative in materia d'acque pubbliche e d'energia elettrica, attribuisce permanentemente tutte queste funzioni allo Stato e alla Regione congiunte e non alla sola Regione, com'é sancito dallo Statuto.

Sotto questo profilo l'art. 13 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327 é certamente viziato d'illegittimità costituzionale e non giova osservare in contrario che quest'intesa serve a coordinare l'attività amministrativa della Regione con quella dello Stato e ad evitare che la Regione, nell'esercizio delle funzioni amministrative in materia d'acque pubbliche e d'energia elettrica, possa violare i principi della legislazione statale o turbare i superiori interessi nazionali.

Tale necessario coordinamento, assicurato del resto in via generale dagli artt. 47 e 48 dello Statuto, deve avvenire in via legislativa, sia con norme regionali, sia - ove occorra - con norme statali d'attuazione e d'integrazione che pongano all'amministrazione regionale obblighi e limiti specifici in funzione dei principi dell'ordinamento giuridico o delle leggi statali relativamente ai quali si possa controllare in sede giurisdizionale la correttezza costituzionale degli obblighi e dei limiti stessi o in funzione d'interessi nazionali di cui il Parlamento possa eventualmente dichiarare la giusta prevalenza su quelli regionali. Ma in nessun caso la presunta e generica esistenza di questi principi od interessi potrà giustificare una norma di attuazione in virtù della quale una funzione attribuita statutariamente alla sola Regione venga estesa anche allo Stato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1950, n. 327, contenente norme d'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il giorno 5 luglio 1956.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI.

 

Depositata in cancelleria il 19 luglio 1956.