Sentenza n. 18 del 1956

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SENTENZA N. 18

ANNO 1956

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI         

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO                 

Prof. Antonino PAPALDO                                 

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli articoli 3 e seguenti del D.P.27 aprile 1951, n. 264, contenente "Norme per la istituzione di una Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa" e dell'art. 2, comma 2, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente "Norme per l'espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione di terreni ai contadini" , nonché degli artt. 3 e seguenti del D.P. 27 aprile 1951, n. 265, contenente "Norme per la istituzione dell'Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna" , promossi con i seguenti ricorsi:

1) Ricorso proposto dalla Regione autonoma della Sardegna in persona del Presidente "pro tempore" della Giunta regionale con atto notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 1956, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1956, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli articoli 3 e seguenti del D.P. 27 aprile 1951, n. 264, contenente "Norme per la istituzione di una Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'ente autonomo del Flumendosa" , e dell'art. 2, comma 2, della legge 21 ottobre 1950, n. 481, intitolata "Norme per l'espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini".

2) Ricorso proposto dalla Regione autonoma della Sardegna in persona del Presidente "pro tempore" della Giunta Regionale con atto notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 1956, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo ed iscritto al n. 14 del Registro ricorsi 1956, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli articoli 3 e seguenti del D.P. 27 aprile 1951, n. 265, contenente "Norme per l'istituzione dell'Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna":

Udita nella pubblica udienza del 30 maggio 1956 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

Uditi gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione sarda ed il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

 

Ritenuto in fatto

 

 

Con ricorso a questa Corte, notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 febbraio 1956 e depositato in cancelleria il 28 successivo, la Regione autonoma della Sardegna in persona del Presidente "pro tempore" della Giunta regionale, ha proposto ricorso, in base a deliberazione in data 3 febbraio 1956 della stessa Giunta, contro gli artt. 3 e segg. del D.P. 27 aprile 1951, n. 264, con cui venne istituita una Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa, e ne ha chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3, lett. a) e d), 4, lett. c) e d), 6 e 54 dello Statuto speciale per la Sardegna; ha chiesto altresì, la dichiarazione di illegittimità costituzionale, per quanto concerne la suddetta Sezione, dell'art. 2, comma 2, della legge 21 ottobre 1950, n. 841. Ha esposto:

La legge 21 ottobre 1950, n. 841, autorizzò con l'art. 1 il Governo della Repubblica ad applicare, con alcune deroghe stabilite negli articoli successivi, la legge 12 maggio 1950, n. 230, contenente provvedimenti per la colonizzazione dell'Altopiano della Sila e dei territori ionici contermini, ad altri territori nazionali, suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria.

Per il secondo comma del menzionato articolo la determinazione dei territori in questione doveva essere fatta "dal Governo entro il 30 giugno 1951, sentite le Amministrazioni regionali ove siano già costituite, con decreti aventi valore di legge ordinaria". Il Consiglio regionale sardo espresse, interpellato dal Governo, parere favorevole alla estensione dei provvedimenti di riforma alla Sardegna ed in conseguenza venne emanato il D.P. 10 aprile 1951, n. 256, con cui si statuì:

"Ai sensi dell'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, a tutto il territorio della Sardegna si applicano, con le deroghe stabilite nella legge suddetta, le norme della legge 12 maggio 1950, n. 230 e successive modificazioni.”

"Con successivi decreti saranno emanate, ai sensi dell'art. 2 della citata legge 21 ottobre 1950, n. 841, le norme per l'istituzione degli enti, o sezioni speciali di enti, incaricati dell'attuazione della legge stessa nel territorio indicato al comma precedente".

In base all'anzidetto art. 2 della legge n. 841 del 1950 fu emanato il D.P. 27 aprile 1951, n. 264, che istituì una Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa, con lo scopo di esercitare (entro un territorio determinato dal successivo art. 2), "le funzioni relative alla espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini, nonché le altre attribuzioni previste dalla citata legge 21 ottobre 1950, n. 841, e quelle che potranno essere conferite da successive disposizioni di legge in materia di riforma fondiaria o di bonifica".

Con le disposizioni degli articoli 4 e seguenti lo stesso decreto n. 264 del 1951 attribuì ad organi dello Stato una serie di competenze di ordine amministrativo, ma tali disposizioni sono viziate di illegittimità costituzionale per i seguenti motivi: "I) Invasione di competenze legislative della Regione. Il legislatore statale, disciplinando la struttura dell'Ente, il modo di nomina e il trattamento dei suoi dirigenti, la fissazione dell'organico e dello stato giuridico dei suoi dipendenti, ed, in particolare, i controlli, in una parola, dettando norme che concernono l'ordinamento dell'Ente e quello degli uffici amministrativi destinati ad agire nei suoi confronti, ha invaso, e tuttora occupa, un territorio giuridico riservato al legislatore regionale dagli artt. 3, lett. a) e d) e 4, lett. c) e 6 dello Statuto. E, in quanto il funzionamento dell'Ente comporta atti di "espropriazione non riguardanti opere a carico dello Stato" , può ritenersi invaso anche il settore legislativo di cui all'art. 4 lett. d)"; II) Invasione di competenze amministrative della Regione. Per quanto poi riguarda il contenuto delle disposizioni in esame, é facile rilevare come esso invada indirettamente (nel senso che riconosce a degli organi dello Stato di invadere) un campo riservato, per il combinato disposto degli artt. 3 lett. a) e d), 4 lett. c) e d) e 6 dello Statuto, alle Autorità amministrative della Regione; III) Modifica dello statuto speciale della Regione senza l'osservanza della procedura prevista dallo stesso: "le norme impugnate, in quanto presuppongono l'appartenenza al legislatore statale ed al Presidente della Repubblica di funzioni normative, che viceversa sono costituzionalmente proprie del legislatore regionale, ed agli organi centrali dello Stato competenze amministrative che viceversa sono costituzionalmente proprie della Regione, modificano, arbitrariamente, diverse disposizioni dello Statuto" senza l'osservanza della procedura stabilita dallo stesso per la sua modifica, e quindi con violazione della norma statutaria (art. 54) che tale procedura prescrive.

Quanto all'impugnativa dell'articolo 2, comma 2, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, la ricorrente ne ha spiegato così la ragione nella chiusa del primo motivo, riguardante l'"invasione delle competenze legislative della Regione":

"poiché il funzionamento dell'Ente comporta atti di espropriazione non riguardanti opere a carico dello Stato, può ritenersi invaso anche il settore dell'art. 4, lett. d) (dello Statuto).

E sotto questo profilo é viziato di incompetenza costituzionale, in quanto lo si possa riferire anche alla Sezione dell'Ente Flumendosa, il disposto dell'art. 2, comma secondo, legge 12 maggio 1950, n. 230 (recte: 21 ottobre 1950, n. 841), ove si parla della vigilanza sugli enti indicati nel precedente comma, tra i quali la allora costituenda Sezione del Flumendosa".

Il ricorso é stato pubblicato, su ordine del Presidente della Corte, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 21 aprile 1956, n. 98.

Nel giudizio é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, sostenendo ("Controdeduzioni" depositate l'8 marzo 1956), in via pregiudiziale, che l'impugnativa della Regione é inammissibile perché non investe le disposizioni che istituiscono la Sezione, ma solo quelle che ne regolano la "struttura" ed il "funzionamento": invero, la istituzione di un ente comprende necessariamente anche l'organizzazione dello stesso, e pertanto nel riconoscimento della legittimità dell'istituzione dell'ente da parte dello Stato é compreso il riconoscimento della legittimità dell'organizzazione dell'ente medesimo da parte dello Stato. Sicché in linea pregiudiziale conclude che "l'impugnativa proposta dalla Regione sarda é inammissibile per acquiescenza da parte della Regione stessa, alla norma legislativa dell'art. 2, primo comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, perché, cioè, creatosi l'Ente con legge statale, questo non può essere organizzato che con legge dello Stato e l'attività di vigilanza, controllo e coordinamento, di conseguenza, spettano al Potere amministrativo dello Stato. Peraltro "la norma dell'art. 2 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, é inscindibile nel suo integrale contenuto, perché il secondo comma" , che riguarda l'organizzazione dell'ente, "é, necessariamente, complementare del primo", che ne contempla l'istituzione.

In ordine, poi, ai primi due motivi del ricorso, ha negato che le norme impugnate contengano alcuna invasione delle competenze legislative ed amministrative della Regione, assumendo che "la Regione sarda in materia di creazione, organizzazione, vigilanza e coordinamento di Enti o Sezioni speciali di Enti per la riforma fondiaria, come per l'intera materia della riforma fondiaria, difetta in modo assoluto di potestà legislativa". E quanto all'ultimo motivo, concernente la modifica dello Statuto della Regione senza l'osservanza della procedura prevista dalle norme dello stesso, lo ha detto inconsistente affermando che "nessuna delle invasioni lamentate dalla Regione sarda é stata compiuta mediante la emanazione delle norme a torto impugnate".

Indi, con "Note" depositate il 16 maggio 1956 la Regione ha replicato alla difesa del Presidente del Consiglio.

Con altro ricorso, notificato, depositato e pubblicato nelle stesse date del precedente, la medesima Regione autonoma della Sardegna ha impugnato gli artt. 3 e seguenti del D.P. 27 aprile 1951, n. 265, contenente "Norme per la istituzione dell'Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna", e ne ha chiesto la dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione delle norme statutarie precisate nel ricorso di cui sopra s'é detto. Con questo secondo ricorso non é stata proposta l'impugnativa dell'art. 2, comma secondo, della legge 21 ottobre 1950.

Come motivi la ricorrente ha addotto gli stessi dell'altro ricorso, in quanto essendo identico l'oggetto dei due Enti (Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa ed E.T.F.A.S.: artt. 1 D.P. n. 264 e 1 D.P. n. 265), diversi solo per il territorio in cui sono destinati ad operare, non possono che essere identiche le ragioni poste a base delle impugnative delle norme statali che ne regolano in modo analogo la struttura ed il funzionamento.

Anche nel giudizio istituitosi per il ricorso in parola, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, e ha eccepito ("Controdeduzioni" depositate l'8 marzo 1956) l'inammissibilità e, in subordine, l'infondatezza della impugnativa della Regione per considerazioni analoghe a quelle svolte contro il primo ricorso.

La Regioneha replicato con " Note" depositate il 16 maggio 1956.

É pure intervenuto in giudizio l'E.T.F.A.S. in persona del suo Presidente "pro tempore" sostenendo di avere diritto a costituirsi o almeno ad intervenire in giudizio nella sua qualità di controinteressato. Ma all'udienza di discussione del 30 maggio 1956 la Corte ha dichiarato con ordinanza che nei giudizi di legittimità costituzionale non é ammissibile né la costituzione né l'intervento del controinteressato.

 

Considerato in diritto

 

 

Nelle due cause riunite, che sono state congiuntamente discusse all'udienza, può emettersi un'unica pronuncia, stante la identità delle questioni in oggetto.

Passando all'esame dei ricorsi, giova premettere un cenno circa lo svolgimento e circa alcuni principi informatori della legislazione statale in materia di riforma agraria, con particolare riferimento alla Sardegna.

La legge 12 maggio 1950, n. 230, affidò all'Opera per la valorizzazione della Sila il compito di provvedere alla ridistribuzione della proprietà terriera, ricadente in una certa zona del territorio nazionale, e alla conseguente sua trasformazione, con lo scopo di ricavarne i terreni da concedersi in proprietà ai contadini. Non cade dubbio sul punto che tali compiti, devoluti all'Opera predetta, sono di carattere esclusivamente statale. L'Opera, sottoposta fin dalla sua istituzione alla vigilanza e alla tutela del Ministero dell'agricoltura e delle foreste (legge 31 dicembre 1947, n. 1629, art. 3) ricevette, in vista dei nuovi compiti che lo Stato veniva ad affidarle, una struttura amministrativa ancora più saldamente legata ai poteri dell'Amministrazione statale dell'agricoltura (articoli 12 a 15 della legge 12 maggio 1950).

Con la legge del 21 ottobre 1950, n. 841, art. 1, il Governo fu autorizzato a determinare, con decreti aventi valore di legge, i territori suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria, per rendervi applicabili le norme della legge 12 maggio 1950. Con l'art. 2 della medesima legge 21 ottobre 1950, il Governo fu altresì delegato ad emanare norme per l'istituzione di enti o di sezioni speciali degli enti di colonizzazione o di trasformazione fondiaria nonché dell'ente autonomo del Flumendosa, che adempissero, nei territori determinati ai sensi dell'art. 1 della legge stessa, le funzioni attribuite dalla legge 12 maggio 1950 all'Opera per la valorizzazione della Sila. L'art. 2 della legge 21 ottobre 1950 soggiunge, nel secondo comma, che il Ministero dell'agricoltura esercita la vigilanza sugli enti indicati nel precedente comma e ne coordina le funzioni e i compiti ai fini dell'attuazione della stessa legge. Seguono numerose altre disposizioni dalle quali si evince, senza possibilità di dubbio, che tutto il complesso delle attribuzioni inerenti alla "espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini" (titolo della legge 21 ottobre 1950) rientra nella sfera dei compiti dello Stato, del quale i vari enti non sono che strumenti di esecuzione, soggetti alla vigilanza ed ai poteri di coordinamento del Ministero dell'agricoltura. Allo Stato, direttamente o per il tramite della Cassa per il Mezzogiorno, fa carico l'onere delle spese (artt. 18 e 24). Delle Regioni la legge 21 ottobre 1950 parla una sola volta, nell'art. 1, prescrivendo che le Amministrazioni regionali, ove siano state costituite, debbano essere sentite prima dell'emanazione del decreto legislativo ivi previsto.

Con decreto del Presidente della Repubblica 10 aprile 1951, n. 256, emanato in virtù della più volte ricordata disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, fu estesa a tutto il territorio della Sardegna la applicazione della legge 12 maggio 1950, n. 230, e successive modificazioni.

Due decreti presidenziali, aventi la medesima data del 27 aprile 1951 ed i numeri 264 e 265, emanati in base allo art. 2 della ripetuta legge 21 ottobre 1950, hanno provveduto ad istituire una Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa (decreto n. 264) ed un Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna (decreto n. 265). Con l'art. 1 dei due decreti si stabilisce che la Sezione speciale e l'Ente esercitano, nei rispettivi territori, le funzioni relative alla espropriazione, bonifica, trasformazione e assegnazione dei terreni ai contadini, nonché le altre attribuzioni previste dalla legge 21 ottobre 1950, e quelle che potranno essere conferite da successive disposizioni di legge in materia di riforma fondiaria e di bonifica. Gli altri articoli dei due decreti, dopo aver previsto la possibilità di delega dell'esercizio di alcuni poteri all'Assessore all'agricoltura della Regione sarda (articoli 3), danno ben scarso rilievo allo intervento degli organi regionali in questa materia.

É opportuno ora vedere esattamente di che cosa la Regione si duole nei suoi ricorsi.

Intanto, é da notare che nessuna impugnativa viene avanzata nei riguardi del decreto legislativo 10 aprile 1951, n. 256, con il quale fu disposta l'applicazione della legge 12 maggio 1950 e successive modificazioni a tutto il territorio della Sardegna; e nessuna impugnativa si muove contro i due primi articoli dei due decreti n. 264 e 265. Si impugnano le "rimanenti disposizioni" di detti decreti, e nel ricorso relativo alla Sezione speciale presso l'Ente del Flumendosa si impugna anche l'art. 2, comma secondo, della legge 21 ottobre 1950, n. 841. Ciò significa che nell'or menzionato ricorso relativo alla Sezione dell'Ente del Flumendosa nessuna impugnativa é stata proposta contro tutte le altre disposizioni della detta legge. Nel ricorso relativo all'E.T.F.A.S. nessuna disposizione della legge stessa é stata impugnata. Così pure, nei due ricorsi, nessuna contestazione viene mossa circa la legge 12 maggio 1950, anch'essa estesa, con le successive modificazioni, al territorio della Sardegna.

Ciò premesso, la Corte deve, innanzi tutto, rilevare come sia stato adempiuto solo incompletamente dalla Regione al dovere di denunziare in forma specifica le disposizioni della cui legittimità costituzionale si deve discutere. Come si é detto, l'impugnativa nei riguardi dei due decreti si riferisce alle "rimanenti disposizioni" dei detti decreti, esclusi, cioè, gli articoli 1 e 2, mentre nel ricorso avverso il decreto n. 264 si aggiunge anche l'impugnativa dell'art. 2, comma secondo, della legge 21 ottobre 1950. Ora, la legge 11 marzo 1953, n. 87, negli articoli 23, primo comma, lett. a), e 34, disponendo che debbono essere indicate le norme della legge o dell'atto avente forza di legge che si denunziano come viziate da illegittimità costituzionale, ha inteso porre alla parte ricorrente un onere, che trova la sua giustificazione nella esigenza che in questi giudizi, la cui formula terminativa, in caso di accoglimento del ricorso, deve essere quella di una precisa dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme ben determinate, la materia del contendere sia delimitata nella maniera più chiara e più rigorosa. Nella specie, la impugnativa delle "rimanenti disposizioni" lascia l'equivoco se tali disposizioni siano state impugnate in tutto o se, invece, siano state impugnate solo nella parte riguardante l'organizzazione ed il funzionamento degli enti, come potrebbe apparire dalle argomentazioni dei ricorsi e delle memorie.

Ad ogni modo, anche ammesso che tutte e singole le "rimanenti" disposizioni dei decreti - ossia quelle dall'art. 3 all'art. 18 del decreto n. 264 e quelle dall'art. 3 all'art. 25 del decreto n. 265 - siano state impugnate (cosa che appare poco credibile alla semplice lettura dei due testi), la Corte giudica che i ricorsi siano inammissibili.

É utile ricordare che i due giudizi riuniti, che sono oggi in esame, sono stati proposti a norma dell'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 134 della Costituzione. L'esercizio dell'azione promossa dalla Regione é vincolato all'osservanza di termini e di formalità, previsti dalla citata legge e dalle norme integrative dettate da questa Corte. Nell'esame di tali ricorsi, anche la Corte é tenuta ad osservare le predette disposizioni di carattere processuale, riscontrando se esse siano state rispettate. In caso di mancata osservanza, la Corte non deve dare ingresso al giudizio di merito, non essendo lecito confondere questo giudizio con quello di legittimità costituzionale sollevato in via incidentale con ordinanza di un organo giurisdizionale.

Nel caso attuale, basta por mente alla esposizione dello sviluppo della legislazione ed alla portata delle richieste della Regione per vedere come il merito di tali richieste non possa essere esaminato dalla Corte.

La lesione della sfera di competenza della Regione e la violazione delle norme dello Statuto speciale per la Sardegna - se lesione e violazione vi fossero state - ebbero luogo con il decreto legislativo 10 aprile 1951, n. 256. Con questo decreto, e precisamente con il primo comma dell'art. 1, si venne definitivamente a stabilire che le norme della legge 12 maggio 1950, n. 230, e successive modificazioni, si applicavano, con le deroghe stabilite dalla legge 21 ottobre 1950, n. 841, a tutto il territorio della Sardegna. Con il secondo comma dello stesso art. 1 del decreto legislativo 10 aprile 1951 fu fatta riserva di emanare le norme per la istituzione degli enti, o sezioni speciali di enti "incaricati dell'attuazione della legge stessa (21 ottobre 1950) nel territorio della Sardegna". Questa riserva é stata sciolta con i successivi decreti n. 264 e n. 265 del 27 aprile 1951, che hanno formato l'oggetto dell'impugnativa in questa sede.

É certo, dunque, che con il decreto n. 256 venne definitivamente stabilito che le leggi sulla riforma agraria si applicavano alla Sardegna. Se, come si é visto, il carattere essenziale di tali leggi consiste nel delineare i compiti della riforma agraria quali compiti di esclusiva spettanza dello Stato, é certo che gli enti non sono che strumenti dell'azione statale, "incaricati dell'attuazione della legge", come esattamente dice il secondo comma dello art. 1 del decreto n. 256.

Ora, la Regione non ha impugnato né il decreto legislativo n. 256 né, all'infuori del secondo comma dell'art. 2 della legge 21 ottobre 1950, le leggi che con detto decreto sono state dichiarate applicabili al territorio della Sardegna. E, quindi, ormai incontrovertibile, per effetto della mancata impugnativa delle norme predette, che tutto il sistema delle leggi relative alla riforma agraria si applica nel territorio della Sardegna. Il che importa che il sistema stesso non possa essere scalfito nel suo presupposto essenziale che, come più volte si é accennato, consiste nel fatto che la riforma agraria rientra nei compiti dello Stato, il quale vi provvede con lo strumento di appositi enti.

Ora, é vano impugnare il secondo comma dell'art. 2 della legge 21 ottobre 1950 per contestare i poteri di vigilanza e di coordinamento del Ministero dell'agricoltura, se non si sono impugnate e non si impugnano tutte le altre disposizioni della stessa legge 21 ottobre 1950 e tutte quelle - alle quali la legge successiva non ha apportato deroghe - della legge 12 maggio 1950. Così pure é vano impugnare le norme, in gran parte di carattere strumentale ed esecutivo, contenute nei due decreti n. 264 e 265, se resta fermo che anche i due enti operanti in Sardegna debbono, nella rispettiva sfera territoriale, adempiere le medesime funzioni attribuite all'Opera per la valorizzazione della Sila: preparazione dei programmi di trasformazione fondiaria ed agraria ed esecuzione degli stessi nei terreni sottoposti a procedimento di espropriazione; espropriazione dei terreni ed acquisto o permuta di altri terreni, previa autorizzazione del Ministero; atti di espropriazione con procedura ed effetti speciali; indennità corrisposta in titoli dello Stato; spese relative all'applicazione della legge a carico dello Stato o sul bilancio statale o su quello della Cassa per il Mezzogiorno. Tutte norme queste - e l'elenco é tutt’ altro che completo - che implicano una disciplina unitaria, che la Regione avrebbe potuto impugnare nella sua interezza, ma che non può essere intaccata solo in una parte, che é quella relativa alla natura degli enti di riforma ed al loro funzionamento.

Né si potrebbe dichiarare, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità delle norme precedenti come effetto di una dichiarazione di illegittimità delle norme qui impugnate, essendo evidente l'impossibilità di capovolgere la situazione delle cose; in altri termini, non si potrebbe far derivare l'illegittimità delle norme fondamentali da quella delle norme che ne costituiscono una derivazione.

Nel quadro ora delineato deve essere posta l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato. Nei limiti e nella forma in cui detta eccezione é stata prospettata, essa potrebbe essere disattesa per le argomentazioni addotte dalla Regione. Si potrebbe, infatti, accogliere la tesi che avere accettato l'istituzione degli enti non significa fare acquiescenza alle norme che ne regolano la struttura ed il funzionamento. Ma l'inammissibilità deriva da una causa più complessa e più perentoria. La Regione non può lagnarsi di essere stata esclusa dallo esercizio di poteri che essa ritiene di sua spettanza nei confronti dei due enti, quando, per mancanza di impugnativa di quelle norme che regolano fondamentalmente la materia, l'impugnazione dedotta non ha logico significato e non ha pratico effetto;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sopra i due ricorsi riuniti, di cui in epigrafe, proposti dalla Regione autonoma della Sardegna nei riguardi degli articoli 3 e seguenti dei decreti del Presidente della Repubblica 27 aprile 1951, n. 264 e n. 265, contenenti norme per l'istituzione di una Sezione speciale per la riforma fondiaria presso l'Ente autonomo del Flumendosa e per l'istituzione dell'Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna, nonché nei riguardi dell'articolo 2, comma secondo, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per l'espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini, li dichiara inammissibili.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il giorno 6 luglio 1956.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO -  Antonino PAPALDO -  Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI.

 

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1956.