Sentenza n. 13 del 1956

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SENTENZA N. 13

ANNO 1956

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Biagio PETROCELLI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 45, comma 3 del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, promosso dal Presidente della Giunta regionale Trentino-Alto Adige con ricorso 18 febbraio 1956, in ordine a deliberazione 31 gennaio 1956 del Consiglio regionale, notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 18 febbraio 1956, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 26 febbraio 1956 e iscritto al n. 11 del Registro dei ricorsi 1956:

Udita alla pubblica udienza del 23 maggio 1956 la relazione del Giudice Mario Bracci;

Uditi gli avv. Giorgio Balladore Pallieri per la ricorrente Regione e il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaello Bronzini.

Ritenuto in fatto

 

 

Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 18 febbraio 1956 e depositato il 26 febbraio 1956, il Presidente della Regione Trentino-Alto Adige, agendo in esecuzione della deliberazione 31 gennaio 1956 del Consiglio regionale, ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma 3 dell'art. 45 del D.P.R. 30 giugno 1951 n. 574 per violazione dell'art. 58 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, emanato con legge cost. 26 febbraio 1948, n. 5.

La censura d'illegittimità costituzionale, sollevata dal ricorso della Regione, é la seguente.

Gli edifici che appartenevano allo Stato nel territorio della Regione, sia quale patrimonio indisponibile perché destinati ad uffici tavolari, sia quale patrimonio disponibile sono passati in proprietà della Regione ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 58 dello Statuto. Perciò la norma impugnata che stabilisce che "per gli uffici tavolari, aventi sede in edifici di proprietà demaniale, la Regione subentra ai Comuni nei contratti vigenti fra questi e lo Stato per la parte relativa agli uffici medesimi" sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto gli "edifici di proprietà demaniale" che possono essere oggetto di "contratti" fra lo Stato e i Comuni sono evidentemente gli edifici del patrimonio indisponibile dello Stato che ai sensi dell'art. 58 dello Statuto sono già passati in proprietà della Regione: é ovvio che la Regione non può essere obbligata a subentrare ai Comuni nei contratti che hanno per oggetto beni di proprietà regionale.

L'Avvocatura dello Stato con deduzioni depositate il 9 marzo 1956 nell'interesse del Presidente del Consiglio, ha eccepito che il comma 3 dell'art. 45 del detto D.P.R. 30 giugno 1951 n. 574 si riferisce ai beni di demanio statale in senso proprio, cioè agli edifici che sono sedi di uffici tavolari, ma che fanno parte del demanio artistico, storico ed archeologico dello Stato (Bressanone-Chiusa di Bressanone) e che non sono stati trasferiti alla Regione perché non sono compresi nell'elenco dell'art. 57 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige.

La parola "contratti" usata dalla norma d'attuazione impugnata é un termine giuridicamente improprio riferito ai rapporti che hanno per oggetto questi beni demaniali, ma, secondo la difesa dello Stato l'improprietà terminologica é priva di rilevanza giuridica ai fini della legittimità costituzionale della norma così interpretata.

All'udienza di trattazione la difesa della Regione e quella dello Stato hanno illustrato oralmente le rispettive tesi.  

 

Considerato in diritto

 

 

L'interpretazione del 3 comma dell'art. 45 del D.P.R. 30 giugno 1951 n. 574, proposta dalla difesa dello Stato, merita d'essere accolta.

Si osserva anzitutto che "proprietà demaniale" si riferisce, giuridicamente, ai beni che appartengono allo Stato e che fanno parte del demanio pubblico. E poiché gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico fanno parte di questo demanio ai sensi dell'art. 822 Cod. civ., é ragionevole ritenere che gli edifici di proprietà demaniale che sono sedi di uffici tavolari, ai quali si riferisce la norma impugnata, siano soltanto quelli che hanno questa natura e che nel Trentino-Alto Adige effettivamente esistono, secondo quanto é stato documentato dalla difesa dello Stato e non smentito dalla Regione.

A questa interpretazione non può essere di serio ostacolo la disciplina della norma impugnata che considera la sostituzione della Regione ai Comuni nei "contratti" vigenti fra questi e lo Stato.

É pacifico che i beni di demanio pubblico non possono essere oggetto di contratti di diritto privato, ma quando, come nel caso, si tratti di rapporti fra soggetti di diritto pubblico per fini di interesse pubblico, é comunemente ammessa la possibilità di atti bilaterali ed é più ragionevole ritenere che a questi atti abbia voluto riferirsi il legislatore col termine "contratti" sia pure improprio, anziché dare tale importanza al significato giuridico che questa parola ha nel diritto privato da doversi leggere "patrimonio indisponibile" là dove é scritto "proprietà demaniale".

Del resto gli edifici d'interesse artistico o storico di proprietà dello Stato sono entrati a fare parte del demanio pubblico soltanto di recente (legge 1 giugno 1939, n. 1089 e Cod. civ. del 1942). É quindi possibile che siano tuttora osservati, sia pure di fatto, negozi che furono posti in essere quali contratti di diritto privato quando gli edifici appartenevano allo Stato e i Comuni dovevano provvedere alle spese necessarie per i locali ad uso dei servizi giudiziari e degli Uffici tavolari e che lo Stato non abbia provveduto a mutare né il nome, né la sostanza di questi atti, secondo la mutata natura giuridica dei propri edifici. Ciò spiega, anche storicamente, la improprietà terminologica del legislatore in sede di norme d'attuazione dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige.

Ritiene pertanto la Corte che il comma 3 dell'art. 45 del D.P.R. 30 giugno 1951 n. 574 si riferisca soltanto agli edifici d'interesse storico e artistico, appartenenti allo Stato e che fanno parte del demanio pubblico ai sensi dell'art. 822 del Cod. civ.

Da ciò deriva che non può riconoscersi giuridicamente fondata l'impugnazione della Regione.  

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Respinge il ricorso 18 febbraio 1956 presentato dal Presidente della Giunta regionale Trentino-Alto Adige per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del 3 comma dell'art. 45 del D.P.R. 30 giugno 1951 n. 574 contenente norme d'attuazione dello Statuto speciale Trentino-Alto Adige.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il giorno 21 giugno 1956.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Biagio PETROCELLI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO  - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO.

 

Depositata in cancelleria il 4 luglio 1956.