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SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

24 novembre 2011

«Inadempimento di uno Stato – Principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un loro organo giurisdizionale di ultimo grado – Esclusione di qualsiasi responsabilità dello Stato per interpretazione delle norme di diritto o per valutazione di fatti e prove da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado – Limitazione, da parte del legislatore nazionale, della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o colpa grave dell’organo giurisdizionale medesimo»

Nella causa C‑379/10,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 258 TFUE, proposto il 29 luglio 2010,

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra L. Pignataro e dal sig. M. Nolin, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. G. De Bellis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. J. Malenovský, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig. A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il proprio ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che:

– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuata dall’organo giurisdizionale medesimo, e

– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile 1988, pag. 3; in prosieguo: la «legge n. 117/88»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale della responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

Contesto normativo nazionale

2 Ai sensi del suo art. 1, la legge n. 117/88 si applica «a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria».

3 L’art. 2 di tale legge così recita:

«1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2. Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3. Costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione».

Fatti

4 L’art. 2 della legge n. 117/88 ha costituito oggetto, a seguito di un rinvio pregiudiziale, della sentenza 13 giugno 2006, causa C‑173/03, Traghetti del Mediterraneo (Racc. pag. I‑5177).

5 In tale sentenza la Corte ha affermato, ai punti 33‑37, quanto segue:

«33 Considerazioni (…) connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (…) a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale.

34 Da un lato, infatti, l’interpretazione delle norme di diritto rientra nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale poiché, qualunque sia il settore di attività considerato, il giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le norme giuridiche pertinenti – nazionali e/o comunitarie – al fine di decidere la controversia che gli è sottoposta.

35 Dall’altro lato, non si può escludere che una violazione manifesta del diritto comunitario vigente venga commessa, appunto, nell’esercizio di una tale attività interpretativa, se, per esempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, sentenza 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler, Racc. pag. I‑10239, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente.

36 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, escludere, in simili circostanze, ogni responsabilità dello Stato a causa del fatto che la violazione del diritto comunitario deriva da un’operazione di interpretazione delle norme giuridiche effettuata da un organo giurisdizionale equivarrebbe a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler. Tale constatazione vale, a maggior ragione, per gli organi giurisdizionali di ultimo grado, incaricati di assicurare a livello nazionale l’interpretazione uniforme delle norme giuridiche.

37 Si deve giungere ad analoga conclusione nel caso di una legislazione che escluda, in maniera generale, la sussistenza di una qualunque responsabilità dello Stato allorquando la violazione imputabile ad un organo giurisdizionale di tale Stato risulti da una valutazione dei fatti e delle prove».

Il procedimento precontenzioso

6 In data 10 febbraio 2009 la Commissione inviava una lettera alla Repubblica italiana in cui dichiarava che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in considerazione del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

7 Il 9 ottobre seguente la Commissione trasmetteva alla Repubblica italiana una lettera di diffida che restava senza risposta.

8 Con lettera del 22 marzo 2010 la Commissione faceva pervenire alla Repubblica italiana un parere motivato, invitandola ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione. Atteso che tale parere motivato restava parimenti senza risposta, la Commissione decideva di proporre alla Corte il presente ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

9 La Commissione deduce che le menzionate disposizioni della legge n. 117/88, che hanno già costituito oggetto di esame da parte della Corte nella citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, sono incompatibili con la giurisprudenza della Corte relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, in particolare con la menzionata sentenza Köbler.

10 A sostegno del ricorso la Commissione deduce, sostanzialmente, due addebiti. Da un lato, contesta alla Repubblica italiana di avere escluso, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli dalla violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo. Dall’altro, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di aver limitato, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

11 L’istituzione fa valere, a tal riguardo, che, al punto 42 della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte, richiamandosi alla citata sentenza Köbler, ha rammentato che la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a causa di una violazione del diritto dell’Unione imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado può sorgere solamente per violazione manifesta del diritto vigente compiuta da tale organo giurisdizionale. La Commissione ricorda che tale violazione manifesta viene valutata, in particolare, alla luce di determinati criteri, quali il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere scusabile ovvero inescusabile dell’errore di diritto commesso, ed è presunta, in ogni caso, quando la decisione interessata interviene ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in materia. Inoltre, a parere della Commissione, non può escludersi che il diritto nazionale precisi tali criteri, criteri che non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione della manifesta violazione del diritto vigente.

12 La Commissione deduce che, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, la Corte ha affermato, da un lato, che il diritto dell’Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro interessato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o da una valutazione di fatti e prove operate dall’organo giurisdizionale medesimo. L’istituzione ricorda, dall’altro, che la Corte ha parimenti dichiarato l’incompatibilità di una limitazione di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conduca ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata accertata una violazione manifesta del diritto vigente.

13 La Commissione aggiunge che dalla motivazione e dal dispositivo della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo emerge, conseguentemente, che la Corte ha ritenuto che la normativa italiana in questione determinasse, al tempo stesso, un’esclusione della responsabilità dello Stato nel settore dell’interpretazione delle norme di diritto o della valutazione di fatti e prove nonché una limitazione della responsabilità negli altri settori di attività giurisdizionale, quali la nomina di tutori o le dichiarazioni di incapacità. In tal senso, nella causa da cui è scaturita la detta sentenza, la Corte avrebbe, da un lato, respinto l’interpretazione sostenuta dalla Repubblica italiana all’udienza, secondo cui la legge n. 117/88 conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità per tutti i settori dell’attività giurisdizionale, e, dall’altro, rilevato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni di cui trattasi.

14 Il tenore dell’art. 2 della legge n. 117/88 sarebbe d’altronde inequivocabile a tal riguardo, in quanto la nozione di «colpa grave» figurerebbe ai commi 1 e 3 di tale articolo, ma non al secondo comma del medesimo.

15 Per quanto attiene al secondo addebito, la Commissione deduce che la giurisprudenza della suprema Corte di cassazione, fermo restando che essa non riguarda disposizioni connesse con l’interpretazione del diritto dell’Unione, ha interpretato la nozione di «colpa grave» in termini estremamente restrittivi, il che, in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte, determina una limitazione della responsabilità dello Stato italiano, anche in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e prove.

16 A tal riguardo, la Commissione richiama due sentenze di detto giudice, pronunciate, rispettivamente, in data 5 luglio 2007, n. 15227, e 18 marzo 2008, n. 7272, secondo cui tale nozione sarebbe stata interpretata, sostanzialmente, in termini tali da coincidere con il «carattere manifestamente aberrante dell’interpretazione» effettuata dal magistrato. In tal senso, la Commissione menziona, in particolare, la massima della seconda delle menzionate sentenze in cui la suprema Corte di cassazione avrebbe affermato che i presupposti previsti dall’art. 2, terzo comma, lett. a), della legge n. 117/88 sussistono «allorquando, nel corso dell’attività giurisdizionale, (...) si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo».

17 A parere della Commissione, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado non può essere quindi fatta valere negli stessi termini stabiliti dalla giurisprudenza della Corte e risulta, in pratica, difficilmente invocabile.

18 Conseguentemente, sembrerebbe che, malgrado la pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, il testo della legge n. 117/88 sia stato mantenuto inalterato e che la suprema Corte di cassazione non abbia modificato il proprio orientamento giurisprudenziale restrittivo, e ciò nonostante il fatto che detta sentenza abbia operato una «rielaborazione evidente» della normativa di cui trattasi.

19 La Repubblica italiana contesta l’inadempimento addebitatole.

20 A suo parere, la Commissione interpreta erroneamente la legge n. 117/88. L’art. 2 di detta legge conterrebbe unicamente una clausola limitativa della responsabilità, a prescindere dall’attività giurisdizionale in questione. Infatti, i presupposti fissati al primo comma dell’art. 2 della legge medesima, precisati, con riguardo alla nozione di «colpa grave», al successivo terzo comma, si applicherebbero parimenti nell’ambito del secondo comma dell’articolo stesso, relativo all’interpretazione di norme di diritto ed alla valutazione di fatti e prove.

21 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, nella menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo la Corte non avrebbe respinto l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 sostenuta dalla Repubblica italiana, bensì si sarebbe limitata a rispondere alla questione pregiudiziale formulata dal giudice del rinvio.

22 Inoltre, in tale sentenza, la Corte non si sarebbe espressamente pronunciata sull’incompatibilità della legge n. 117/88 con il diritto dell’Unione. Orbene, la legge italiana non sarebbe di per sé in contrasto con la giurisprudenza della Corte, atteso che ai giudici nazionali sarebbe consentito procedere ad un’interpretazione di tale legge conforme ai requisiti del diritto dell’Unione e, in particolare, a quelli fissati nelle menzionate sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo. Infatti, la nozione di «colpa grave» contenuta nella normativa italiana in esame coinciderebbe, in effetti, con la condizione della «violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione», quale definita dalla giurisprudenza della Corte.

23 La Repubblica italiana deduce che un inadempimento potrebbe essere dichiarato solamente qualora la giurisprudenza nazionale interpretasse la legge n. 117/88 in termini non conformi a tali requisiti. Orbene, la Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare l’esistenza, successivamente alla pronuncia della menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, di sentenze della suprema Corte di cassazione che accolgano un’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 che presenti un collegamento con il diritto dell’Unione né, tanto meno, di sentenze che accolgano un’interpretazione di tale legge differente da quella sostenuta dal governo italiano.

24 Infatti, le due sentenze della suprema Corte successive alla citata sentenza Traghetti del Mediterraneo, richiamate dalla Commissione, non riguarderebbero una violazione dei principi del diritto dell’Unione. Inoltre, dette sentenze dimostrerebbero che la suprema Corte di cassazione ha inteso il terzo comma, dell’art. 2 della legge n. 177/88 quale strumento interpretativo del precedente secondo comma e che quest’ultimo comma non può essere pertanto inteso nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.

25 A sostegno di tale argomento, la Repubblica italiana sottolinea che la menzionata sentenza della suprema Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa alcun riferimento all’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, laddove, secondo la tesi sostenuta dalla Commissione, l’applicazione di tale disposizione avrebbe peraltro consentito alla suprema Corte di respingere il ricorso nella causa oggetto della sentenza stessa. Dalla mancata menzione di detto secondo comma dell’art. 2 deriverebbe che tale disposizione non può essere, in realtà, intesa nel senso che costituisca una clausola di esclusione della responsabilità.

26 L’errore di interpretazione della Commissione sarebbe parimenti evidenziato dall’affermazione, contenuta nella citata sentenza della suprema Corte di cassazione del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche» previste dall’art. 2 della legge n. 177/88, «hanno quale comune fattore» una negligenza inescusabile. Ne conseguirebbe che tale articolo dovrebbe essere complessivamente inteso nel senso che subordina il sorgere della responsabilità dello Stato al compimento di una negligenza di tal genere da parte del giudice nazionale.

Giudizio della Corte

27 Si deve rilevare, in limine, che la Repubblica italiana non contesta l’applicabilità dell’art. 2 della legge n. 117/88 alle azioni di responsabilità proposte da singoli nei confronti dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado.

28 Le parti dissentono, tuttavia, sulla questione della conformità di tale articolo con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la giurisprudenza della Corte.

29 Come rammentato da costante giurisprudenza, nell’ambito del procedimento per inadempimento ex art. 258 TFUE, se è pur vero che incombe alla Commissione dimostrare l’esistenza del preteso inadempimento, spetta allo Stato membro convenuto, una volta che la Commissione abbia fornito elementi sufficienti a dimostrare la veridicità dei fatti contestati, confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti e le conseguenze che ne derivano (v. sentenze 22 settembre 1988, causa 272/86, Commissione/Grecia, Racc. pag. 4875, punto 21; 7 luglio 2009, causa C‑369/07, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑5703, punto 75, e 6 ottobre 2009, causa C‑335/07, Commissione/Finlandia, Racc. pag. I‑9459, punto 47).

30 Si deve rilevare che, al di fuori dei casi di dolo e di diniego di giustizia, l’art. 2, primo comma, della legge n. 117/88 prevede che la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione può sorgere qualora un magistrato abbia commesso «colpa grave» nell’esercizio delle proprie funzioni. Quest’ultima nozione viene definita nel successivo terzo comma, lett. a), quale «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile». Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’interpretazione di norme di diritto né la valutazione dei fatti e delle prove.

31 In primo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di escludere, per effetto dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli derivanti da una violazione del diritto dell’Unione compiuta da uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dal giudice medesimo.

32 A sostegno di tale primo addebito la Commissione deduce che tale disposizione costituisce una clausola di esclusione di responsabilità autonoma rispetto al disposto di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 2.

33 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 117/88, la normativa italiana in materia di responsabilità dello Stato per i danni causati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie prevede, da un lato, ai commi 1 e 3 di tale articolo, che tale responsabilità è limitata ai casi di dolo, di colpa grave e di diniego di giustizia, e, dall’altro, al secondo comma dell’articolo stesso, che «non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove». Dall’esplicito tenore di quest’ultima disposizione emerge che tale responsabilità resta esclusa, in via generale, nell’ambito dell’interpretazione del diritto e della valutazione dei fatti e delle prove.

34 Negli stessi termini il giudice del rinvio ha d’altronde esposto l’art. 2 della legge n. 117/88 nelle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte nella causa da cui è scaturita la menzionata sentenza Traghetti del Mediterraneo, come emerge dal punto 20 della medesima.

35 Orbene, ai punti 33‑40 di tale sentenza, la Corte ha affermato che il diritto dell’Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulti da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.

36 La Repubblica italiana deduce, richiamandosi alle due sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16, che l’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 117/88 operata dalla Commissione è erronea.

37 Tuttavia, a prescindere dal significato da attribuire al fatto che la motivazione della sentenza della suprema Corte di cassazione del 18 marzo 2008 non fa riferimento all’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88 nonché al passo della sentenza della Corte medesima del 5 luglio 2007, secondo cui le «ipotesi specifiche» previste all’art. 2 di tale legge hanno quale «comune fattore» una negligenza inescusabile, si deve rilevare che, a fronte dell’esplicito tenore dell’art. 2, secondo comma, di tale legge, lo Stato membro convenuto non ha fornito alcun elemento in grado di dimostrare validamente che, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, tale disposizione venga interpretata dalla giurisprudenza quale semplice limite posto alla sua responsabilità qualora la violazione risulti dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e non quale esclusione di responsabilità.

38 Il primo addebito della Commissione deve essere conseguentemente accolto.

39 In secondo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di limitare, in casi diversi dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado ai soli casi di dolo o di colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte. A tal riguardo, la Commissione sostiene, segnatamente, che la nozione di «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini coincidenti con il «carattere manifestamente aberrante dell’interpretazione» effettuata dal magistrato e non con la nozione di «violazione manifesta del diritto vigente» postulata dalla Corte ai fini del sorgere della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione.

40 Si deve ricordare, a tal riguardo, che, secondo costante giurisprudenza della Corte, tre sono le condizioni in presenza delle quali uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni causati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione al medesimo imputabile, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente caratterizzata e, infine, che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (v. sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C‑46/93 e C‑48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I‑1029, punto 51; 4 luglio 2000, causa C‑424/97, Haim, Racc. pag. I‑5123, punto 36, nonché 24 marzo 2009, causa C‑445/06, Danske Slagterier, Racc. pag. I‑2119, punto 20).

41 La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado che violi una norma di diritto dell’Unione è disciplinata dalle stesse condizioni, ove la Corte ha tuttavia precisato che, in tale contesto, la seconda di dette condizioni dev’essere intesa nel senso che consenta di invocare la responsabilità dello Stato solamente nel caso eccezionale in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente (v. sentenza Köbler, cit., punti 52 e 53).

42 Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che, se è pur vero che non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, criteri da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato in un’ipotesi di tal genere, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente (v. sentenza Traghetti del Mediterraneo, cit., punto 44 nonché la giurisprudenza ivi citata).

43 Nella specie, si deve rilevare che la Commissione ha fornito, alla luce, segnatamente, degli argomenti riassunti supra al punto 16, elementi sufficienti da cui emerge che la condizione della «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, che deve sussistere affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato italiano, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini tali che finisce per imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente».

44 In risposta a tale argomento della Commissione la Repubblica italiana si limita, sostanzialmente, ad affermare, da un lato, che le sentenze della suprema Corte di cassazione menzionate supra al punto 16 non riguardano una violazione del diritto dell’Unione e, dall’altro, che l’art. 2 della legge n. 117/88 può essere oggetto di interpretazione conforme al diritto dell’Unione medesimo e che la nozione di «colpa grave» di cui al detto articolo è, in realtà, equivalente a quella di «violazione manifesta del diritto vigente».

45 Orbene, indipendentemente dalla questione se la nozione di «colpa grave», ai sensi della legge n. 117/88, malgrado il rigoroso contesto in cui essa si colloca all’art. 2, terzo comma, della legge medesima, possa essere effettivamente interpretata, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado dello Stato membro convenuto, in termini tali da corrispondere al requisito di «violazione manifesta del diritto vigente» fissato dalla giurisprudenza della Corte, si deve rilevare che la Repubblica italiana non ha richiamato, in ogni caso, nessuna giurisprudenza che, in detta ipotesi, vada in tal senso e non ha quindi fornito la prova richiesta quanto al fatto che l’interpretazione dell’art. 2, commi 1 e 3, di tale legge accolta dai giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte.

46 Alla luce della giurisprudenza citata supra al punto 29, si deve concludere che la Repubblica italiana non ha confutato in termini sufficientemente sostanziali e dettagliati l’addebito contestatole dalla Commissione, secondo cui la normativa italiana limita, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove, la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado in modo non conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte.

47 Alla luce delle suesposte considerazioni, il secondo addebito della Commissione deve essere accolto ed il ricorso dalla medesima proposto deve ritenersi fondato.

48 Conseguentemente si deve dichiarare che:

– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e

– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

Sulle spese

49 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso in tal senso, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana,

– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e

– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,

ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme