Corte di Giustizia delle Comunità europee (Terza
Sezione), 23 aprile 2009
C-378/07, K. Angelidaki
e a. – Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis
C-379/07, C. Giannoudi – D. Geropotamou
C-380/07,
G. Karabousanos
e a. – D. Geropotamou
Nei procedimenti riuniti da C‑378/07 a C‑380/07,
aventi ad oggetto le domande di decisione pregiudiziale proposte alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dal Monomeles Protodikeio Rethymnis (Grecia),
con decisioni 19, 20 e 23 luglio 2007, pervenute in cancelleria l’8 agosto
2007, nelle cause
Kiriaki Angelidaki (C‑378/07),
Anastasia Aivali,
Aggeliki Vavouraki,
Chrysi Kaparou,
Manina Lioni,
Evaggelia Makrygiannaki,
Eleonora Nisanaki,
Christiana Panagiotou,
Anna Pitsidianaki,
Maria Chalkiadaki,
Chrysi Chalkiadaki
contro
Organismos Nomarchiakis
Autodioikisis Rethymnis,
e
Charikleia Giannoudi
(C‑379/07),
Georgios Karabousanos
(C‑380/07),
Sofoklis Michopoulos
contro
Dimos Geropotamou,
composta dal sig. A. Rosas, presidente di
sezione, dai sigg. A. Ó Caoimh, (relatore),
J. N. Cunha Rodrigues,
U. Lõhmus e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 ottobre 2008,
considerate le osservazioni presentate:
– per
la sig.ra Angelidaki e a., dagli
avv.ti I. Koutsourakis, F. Dermitzaki e K. Tokatlidis, dikigoroi,
– per
l’Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis,
dall’avv. M. Drymakis, dikigoros,
– per
la sig.ra Giannoudi, dagli avv.ti I. Zouridis, F. Dermitzaki e
K. Tokatlidis, dikigoroi,
– per
i sigg. Karabousanos e Michopoulos,
dagli avv.ti I. Zouridis e M.‑M. Tsipra, dikigoroi,
– per
il Dimos Geropotamou,
dall’avv. N. Michelakis, dikigoros,
– per
il governo ellenico, dalle sig.re K. Samoni, E. Mamouna e
M. Michelogiannaki, in qualità di agenti,
– per
il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia,
in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello
Stato,
– per
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 4
dicembre 2008,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono
sull’interpretazione delle clausole 5, nn. 1 e
2, nonché 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
stipulato il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), figurante
nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato
(GU L 175, pag. 43).
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di
controversie che oppongono la sig.ra Angelidaki
e tredici altri dipendenti ai propri datori di lavoro, rispettivamente, l’Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis
(Amministrazione della Prefettura di Rethymnon) e l’Organismos Topikis Autodioikisis Rethymnis,
denominato «Dimos Geropotamou»,
(Comune di Geropotamos), in merito alla
qualificazione dei contratti di lavoro stipulati con questi ultimi e al mancato
rinnovo di tali contratti.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 La direttiva 1999/70 ha la sua base giuridica
nell’art. 139, n. 2, CE e, a termini del suo art. 1, mira ad
«attuare l’accordo quadro (…), che figura nell’allegato, concluso (…) fra le
organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».
4 Dal terzo, sesto, settimo, tredicesimo,
quattordicesimo, quindicesimo e diciassettesimo ‘considerando’ della suddetta
direttiva, nonché dal primo al terzo comma del preambolo dell’accordo quadro e
dai nn. 3, 5‑8, e 10 delle relative
considerazioni generali, risulta quanto segue:
– la
realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea attraverso
il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto
per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo
indeterminato, al fine di raggiungere un equilibrio migliore tra la flessibilità
dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori;
– tali
obiettivi non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati
membri, pertanto è stato ritenuto adeguato il ricorso ad un provvedimento
comunitario giuridicamente vincolante, elaborato in stretta collaborazione con
le parti sociali rappresentative;
– le
parti dell’accordo quadro riconoscono, da un lato, che i contratti a tempo
indeterminato sono e continueranno ad essere la forma normale dei rapporti di
lavoro perché contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati
e a migliorarne il rendimento, ma che, d’altra parte, in alcune circostanze, i
contratti di lavoro a tempo determinato rispondono alle esigenze sia dei datori
di lavoro, sia dei lavoratori;
– l’accordo
quadro sancisce i principi generali e i requisiti minimi per il lavoro a tempo
determinato, stabilendo, in particolare, un regime di carattere generale volto
a garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli
dalle discriminazioni, nonché a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di
rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, demandando agli Stati membri
e alle parti sociali la definizione delle modalità dettagliate di attuazione
dei suddetti principi e requisiti, al fine di tener conto delle realtà
specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali;
– pertanto
il Consiglio dell’Unione europea ha considerato che l’atto adeguato per
l’attuazione di tale accordo quadro è una direttiva, dato che essa vincola gli
Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lascia a
questi ultimi la scelta della forma e dei mezzi;
– con
riferimento, più in particolare, ai termini impiegati nell’accordo quadro, ma che
non sono in esso definiti in modo specifico, la direttiva 1999/70 lascia agli
Stati membri il compito di definirli in conformità alla legislazione e/o alla
prassi nazionali, purché tali definizioni rispettino l’accordo quadro, e
– secondo
le parti firmatarie dell’accordo quadro, l’utilizzo dei contratti di lavoro a
tempo determinato fondato su ragioni obiettive costituisce un mezzo di
prevenzione degli abusi in danno dei lavoratori.
5 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, il
suo
«(…) obiettivo è:
a) migliorare
la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio
di non discriminazione;
b) creare
un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di
una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
6 La clausola 2 dell’accordo quadro così dispone:
«1. Il presente
accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di
assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti
collettivi o dalla prassi in vigore [in] ciascuno Stato membro.
2. Gli
Stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti sociali
stesse possono decidere che il presente accordo non si applichi ai:
a) rapporti
di formazione professionale iniziale e di apprendistato;
b) contratti
e rapporti di lavoro definiti nel quadro di un programma specifico di
formazione, inserimento e riqualificazione professionale pubblico o che
usufruisca di contributi pubblici».
7 La clausola 3 dello stesso accordo è formulata come
segue:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine
“lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un
rapporto di lavoro [di durata determinata] definiti direttamente fra il datore
di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni
oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un
compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2. Ai fini del presente accordo, il termine
“lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un
contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo
stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto
conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo
indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare
in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di
quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi
nazionali».
8 La clausola 4 dell’accordo quadro così dispone:
«1. Per quanto
riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono
essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato
comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a
tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
2. Se
del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.
(…)».
9 La clausola 5 dell’accordo quadro enuncia quanto
segue:
«1. Per prevenire
gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri,
previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti
collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno
introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in
un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di
lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni
obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la
durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi;
c) il
numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli
Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali
stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti
di lavoro a tempo determinato:
a) devono
essere considerati “successivi”;
b) devono
essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
10 La clausola 8 dell’accordo quadro così dispone:
«1. Gli Stati
membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più
favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente accordo.
(…)
3. L’applicazione
del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale
di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso.
(…)
5. La
prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze scaturite
dall’applicazione del presente accordo dovranno procedere in conformità con le
leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali.
(…)».
11 Ai sensi dell’art. 2, primo e secondo comma,
della direttiva 1999/70:
«Gli
Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi
entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali
introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri
devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di
garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano
immediatamente
Gli Stati membri possono fruire di un periodo
supplementare non superiore ad un anno, ove sia necessario e previa
consultazione con le parti sociali, in considerazione di difficoltà particolari
o dell’attuazione mediante contratto collettivo. Essi devono informare
immediatamente
12 L’art. 3 della medesima direttiva enuncia
quanto segue:
«La presente direttiva entra in vigore il giorno
della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».
La normativa nazionale
La normativa nazionale di trasposizione della
direttiva 1999/70
13 Il governo greco ha informato
14 La prima misura di trasposizione della direttiva
1999/70 nell’ordinamento giuridico greco, segnatamente il decreto presidenziale
n. 81/2003, recante disposizioni relative ai lavoratori assunti con
contratto a tempo determinato (FEK A’ 77/2.4.2003), è entrata in
vigore il 2 aprile 2003. Ai sensi del suo art. 2, n. 1, tale decreto
si applica ai lavoratori con contratto o rapporto di lavoro dipendente a tempo
determinato.
15 In seguito, il suddetto decreto è stato modificato
dal decreto presidenziale n. 180/2004 (FEK A’ 160/23.8.2004),
entrato in vigore il 23 agosto 2004. L’art. 2, n. 1, del decreto
presidenziale n. 81/2003 è stato sostituito con il seguente testo:
«[Il decreto] si applica ai lavoratori dipendenti
del settore privato assunti con contratto o rapporto di lavoro a tempo
determinato».
16 La seconda misura di trasposizione della direttiva
1999/70 nell’ordinamento giuridico greco è entrata in vigore il 19 luglio 2004.
Il decreto presidenziale n. 164/2004, recante
disposizioni riguardanti i lavoratori assunti con contratto a tempo
determinato nel settore pubblico (FEK A’ 134/19.7.2004), ha infatti
recepito la direttiva 1999/70 nella legislazione greca applicabile al personale
statale e del settore pubblico in senso lato.
17 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, di detto
decreto presidenziale:
«Il presente decreto si applica al personale del
settore pubblico (…), nonché al personale delle imprese municipali assunto con
contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, ovvero operante in base a contratto d’opera o ad altro contratto o rapporto il quale
dissimuli un rapporto di lavoro subordinato».
18 L’art. 5 del decreto presidenziale
n. 164/2004 è formulato nei seguenti termini:
«Contratti
successivi
1. Sono
vietati i contratti successivi stipulati ed eseguiti tra lo stesso datore di
lavoro e lo stesso lavoratore con le stesse o simili mansioni e con condizioni
di lavoro identiche o simili, qualora tra questi contratti intercorra un lasso
temporale inferiore a tre mesi.
2. La
stipulazione di tali contratti è eccezionalmente consentita se giustificata da
ragioni obiettive. Una ragione obiettiva sussiste qualora i contratti
successivi al contratto originario siano stipulati per soddisfare esigenze
particolari dello stesso genere, direttamente e immediatamente riconducibili
alla forma, al tipo o all’attività dell’impresa.
(…)
4. Fatto
salvo quanto previsto al n. 2 dell’articolo seguente, in nessun caso il numero
dei contratti successivi può essere superiore a tre».
19 L’art. 6 del medesimo decreto così dispone:
«Durata
massima
1. I
contratti successivi stipulati ed eseguiti tra lo stesso datore di lavoro e lo
stesso lavoratore con le stesse o simili mansioni e con condizioni di lavoro
identiche o simili non possono superare i ventiquattro mesi nel periodo
complessivo dell’attività lavorativa, indipendentemente dal fatto che siano
stipulati in applicazione dell’articolo precedente o in applicazione di altre
disposizioni della legislazione vigente.
2. Una
durata complessiva del periodo dell’attività lavorativa superiore a
ventiquattro mesi è consentita soltanto con riferimento a categorie speciali di
lavoratori, per natura e genere dell’attività, previste dalla legislazione
vigente, quali, in particolare, il personale dirigente, i lavoratori assunti
nell’ambito di uno specifico programma di ricerca o di altro programma
sovvenzionato o finanziato, nonché i lavoratori assunti per mansioni connesse
all’adempimento di obblighi derivanti da convenzioni stipulate con organismi
internazionali».
20 L’art. 7 del decreto presidenziale
n. 164/2004 stabilisce quanto segue:
«Sanzioni
delle infrazioni
1. Qualsiasi
contratto concluso in violazione delle disposizioni degli artt. 5 e 6 del
presente decreto è nullo di diritto.
2. Nel
caso in cui il contratto nullo sia stato in tutto o in parte eseguito, devono
essere versate al lavoratore le somme dovute in base ad esso e quelle
eventualmente già versate non sono ripetibili. Il lavoratore ha diritto, per il
periodo in cui sia stato eseguito il contratto di lavoro nullo, al percepimento, a titolo di risarcimento, della somma cui
avrebbe diritto il corrispondente lavoratore a tempo indeterminato in caso di
recesso dal contratto. Se i contratti nulli sono più d’uno, il
periodo considerato ai fini del calcolo del risarcimento del danno è quello
della durata complessiva del periodo di attività lavorativa in base ai
contratti nulli. Le somme versate dal datore di lavoro al lavoratore sono
imputate al responsabile.
3. Chiunque
violi le disposizioni degli artt. 5 e 6 del presente decreto è punito con
la reclusione (…). Se l’illecito è stato commesso per colpa, il responsabile è
punito con la reclusione fino ad un anno. La violazione costituisce al tempo
stesso anche grave infrazione disciplinare».
21 L’art. 11 del decreto presidenziale
n. 164/2004 reca le seguenti disposizioni transitorie:
«1. I contratti
successivi ai sensi dell’art. 5, n. 1, del presente decreto,
stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso e ancora in
corso a tale data, si considerano per il futuro quali contratti di lavoro a
tempo indeterminato qualora sussistano cumulativamente le seguenti condizioni:
a) che
la durata complessiva dei contratti successivi sia stata di almeno ventiquattro
mesi fino all’entrata in vigore del presente decreto, indipendentemente dal
numero dei rinnovi contrattuali, oppure che vi siano stati almeno tre rinnovi
successivi al contratto originario ai sensi dell’art. 5, n. 1, [del
presente decreto] per una durata complessiva dell’attività lavorativa di almeno
diciotto mesi in un arco di tempo complessivo di ventiquattro mesi, calcolato a
decorrere dal contratto originario;
b) che
il periodo complessivo dell’attività lavorativa di cui alla lett. a) sia
stato effettivamente svolto presso il medesimo ente, con la stessa o simile
qualifica professionale e con condizioni di lavoro identiche o simili a quanto
indicato nel contratto originario (…);
c) che
oggetto del contratto siano attività direttamente e immediatamente
riconducibili ad esigenze permanenti e durevoli dell’ente interessato, così
come definiti dal pubblico interesse la cui tutela sia rimessa a tale ente;
d) che
il periodo complessivo dell’attività lavorativa ai sensi delle lettere
precedenti sia stato svolto a tempo pieno o a tempo parziale e con funzioni
identiche o simili a quelle indicate nel contratto originario (…).
2. Ai
fini dell’accertamento della sussistenza delle condizioni menzionate al
precedente n. 1, il lavoratore deve presentare all’ente interessato, entro
il termine perentorio di due mesi dall’entrata in vigore del presente decreto,
una domanda contenente i dati dai quali risulti la sussistenza delle predette
condizioni. L’autorità competente a pronunciarsi con decisione motivata sulla
sussistenza, caso per caso, delle condizioni menzionate al precedente
n. 1, è il relativo consiglio d’azienda o l’organo ad esso equiparato ovvero,
in loro assenza, il consiglio o l’organo di amministrazione della persona
giuridica di cui trattasi, o l’organo ad esso equiparato secondo la normativa
vigente. Per le aziende municipali la competenza spetta, in ogni caso, al
consiglio del rispettivo ente di amministrazione locale, il quale decide dopo
aver sentito il consiglio o l’organo di amministrazione dell’impresa. Detta
autorità competente valuta altresì se i contratti d’opera o gli altri contratti
o rapporti dissimulino un rapporto di lavoro subordinato. L’autorità competente
ai sensi delle precedenti disposizioni emette la propria decisione al più tardi
entro cinque mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
3. Le
decisioni delle autorità competenti ai sensi del precedente n. 2, siano
esse positive o negative, sono immediatamente comunicate all’Anotato Symvoulio Epilogis Prosopikou [Consiglio
superiore per la selezione del personale, in prosieguo: l’ “A.S.E.P.”], che decide in merito ad esse entro tre mesi
dalla rispettiva comunicazione.
4. Le
disposizioni del presente articolo si applicano ai lavoratori del settore
pubblico (…), nonché a quelli delle imprese municipali (…).
5. Il
disposto del n. 1 del presente articolo si applica anche ai contratti
scaduti nel corso degli ultimi tre mesi precedenti l’entrata in vigore del
presente decreto, considerati come contratti di lavoro successivi in corso fino
all’entrata in vigore del presente decreto. La condizione menzionata al
n. 1, lett. a), del presente articolo deve sussistere alla scadenza
del contratto.
(…)».
Le ulteriori disposizioni concernenti i contratti di lavoro a tempo determinato
– Le
disposizioni costituzionali
22 L’art. 103 della Costituzione della Repubblica
ellenica è formulato come segue:
«(…)
2. I
dipendenti pubblici possono essere assunti solo per l’organico previsto per
legge. Con legge speciale possono essere previste deroghe unicamente al fine di
far fronte ad esigenze impreviste ed urgenti mediante personale assunto a tempo
determinato con contratto di diritto privato.
(…)
8. La
legge stabilisce le condizioni e la durata dei rapporti di lavoro di diritto
privato nel settore statale e nel settore pubblico in senso lato, come definito
dalla legge caso per caso, destinati a far fronte ad esigenze temporanee o
impreviste e urgenti ai sensi del precedente n. 2, seconda frase. La legge
stabilisce altresì le funzioni per le quali si può fare ricorso al personale
sopra menzionato. È vietato titolarizzare attraverso
una legge il personale di cui alla prima frase, nonché convertire i rispettivi
contratti in contratti a tempo indeterminato. I divieti di cui al presente
numero si applicano anche alle persone assunte in base ad un contratto
d’opera».
23 L’art. 103, n. 8, della Costituzione della
Repubblica ellenica è entrato in vigore il 7 aprile 2001, dunque
successivamente all’entrata in vigore della direttiva 1999/70 ma prima della
scadenza sia del termine ordinario per la trasposizione di detta direttiva,
vale a dire il 10 luglio 2001, sia del periodo supplementare di cui
all’art. 2, secondo comma, di tale direttiva, cioè il 10 luglio 2002.
– Le
disposizioni legislative
24 L’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920, relativa al recesso obbligatorio dal contratto di lavoro
dei lavoratori del settore privato (FEK B’ 11/18.3.1920), così
dispone:
«Le disposizioni della presente legge si applicano
anche ai contratti di lavoro a tempo determinato nel
caso in cui la durata determinata del contratto non sia giustificata dalla
natura del contratto stesso, ma sia stata intenzionalmente fissata allo scopo
di eludere le disposizioni della presente legge in materia di recesso
obbligatorio dal contratto di lavoro».
25 Secondo la decisione di rinvio, dall’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920, come interpretato dalla giurisprudenza
greca, risulta che un contratto di lavoro a tempo determinato si considera a
tempo indeterminato laddove manchi una ragione obiettiva che ne giustifichi la
durata determinata, quale, ad esempio, la destinazione di un siffatto contratto
a fronteggiare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro. Tale
disposizione si applicherebbe non solo quando siano stati stipulati più
contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma anche al caso di un
primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
26 Risulta inoltre dagli atti presentati alla Corte
che, nella sentenza n. 18/2006, l’Areios Pagos (Corte di cassazione) ha ritenuto che l’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920 costituisca una «norma equivalente» ai
sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro in quanto consente la
conversione con effetto retroattivo dei contratti di lavoro a tempo determinato
in contratti a tempo indeterminato, sia nel settore privato che in quello
pubblico, nonostante il divieto di convertire con legge un contratto di lavoro
a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato stabilito
all’art. 103 della Costituzione della Repubblica ellenica, posto che
siffatto divieto non impedisce di riconoscere la natura effettiva di un
contratto. Al contrario, nelle sentenze nn. 19/2007
e 20/2007, pronunciate l’11 giugno 2007, l’Areios Pagos ha statuito che, per effetto di tale art. 103, i contratti di lavoro a tempo determinato non possono essere
convertiti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nemmeno qualora essi
siano destinati a far fronte ad esigenze permanenti e durevoli.
27 L’art. 21 della legge 2190/1994, relativo
all’istituzione di un’autorità indipendente per la selezione del personale e la
gestione amministrativa (FEK A’ 28/3.3.1994), stabilisce quanto
segue:
«1. Le
amministrazioni pubbliche e le persone giuridiche (…) possono assumere
personale con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato per
far fronte a fabbisogni di carattere stagionale o ad altre esigenze di
carattere periodico o temporaneo, alle condizioni e secondo la procedura di
seguito previste.
2. La
durata dell’impiego del personale di cui al n. 1 non può eccedere gli otto
mesi nell’ambito di un periodo complessivo di dodici mesi. Quando viene assunto
personale a tempo determinato per far fronte, in base alle disposizioni in
vigore, ad un’esigenza urgente, a causa di assenze del personale o di vacanza
di impieghi, la durata dell’impiego per la medesima persona non può superare i
quattro mesi. La proroga di un contratto o la conclusione di un nuovo contratto
nel corso dello stesso anno nonché la trasformazione in contratto a tempo
indeterminato sono nulle».
28 L’art. 6, n. 1, della legge 2527/1997
prevede che la stipulazione di contratti d’opera da parte delle amministrazioni
e delle persone giuridiche del settore pubblico presuppone la previa adozione
di una decisione ministeriale che deve indicare, in particolare, che l’opera da
realizzare non rientra tra le funzioni ordinarie dei dipendenti dell’ente
interessato, nonché le ragioni per le quali essa non può essere realizzata da
questi ultimi. Secondo la medesima disposizione, qualsiasi contratto d’opera
destinato a far fronte ad esigenze permanenti e durevoli è integralmente nullo
di diritto.
29 L’art. 1 della legge 3250/2004
(FEK A’124/7.7.2004) così dispone:
«1. Lo Stato, gli
enti territoriali di primo e secondo grado e le persone giudiriche
di diritto pubblico possono assumere personale con contratto di lavoro di
diritto privato a tempo determinato e parziale per soddisfare esigenze connesse
alla prestazione di servizi di carattere sociale ai cittadini.
2. Le
summenzionate assunzioni sono dirette esclusivamente a far fronte all’esigenza
di fornire servizi complementari ai cittadini e non hanno alcuna influenza
sulla composizione dell’organico degli enti di cui al paragrafo precedente.
(…)».
30 L’art. 2 della medesima legge prevede quanto
segue:
«1. L’assunzione
avviene con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato e
parziale, riguarda persone rappresentanti i vari gruppi sociali e si svolge in
conformità dei criteri di scelta definiti all’articolo 4.
2. La
durata di tale contratto non può superare i diciotto mesi. Un nuovo contratto
con lo stesso lavoratore può essere predisposto soltanto dopo che siano
trascorsi almeno quattro mesi dalla scadenza del precedente. L’orario di
lavoro, per ogni agente contrattuale, non può superare le venti ore
settimanali».
31 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, di detta
legge:
«Sono considerati servizi a carattere sociale quelli
che riguardano, segnatamente, la cura e assistenza a domicilio, la custodia
degli edifici scolastici, la sicurezza stradale degli scolari, l’integrazione
sociale degli immigrati, le esigenze straordinarie di protezione civile, le
manifestazioni culturali, il soddisfacimento di particolari necessità
ambientali, l’informazione e l’aggiornamento dei cittadini, nonché i programmi
a carattere sociale finanziati dall’Unione europea».
Cause principali e questioni pregiudiziali
Causa C‑378/07
32 Nel 2005, come risulta dalla decisione di rinvio
relativa a questa causa, le ricorrenti nel procedimento principale stipulavano ciascuna
un contratto di lavoro di diritto privato della durata di 18 mesi con l’Organismos Nomarchiakis Autodioikisis Rethymnis, che
secondo il diritto greco costituisce un ente territoriale del settore pubblico.
Ciascuno di tali contratti veniva qualificato come «a tempo determinato e
parziale» ai sensi della legge 3250/2004. Nessuno di essi veniva
prolungato o rinnovato alla sua scadenza.
33 Poiché ritenevano che l’attività esercitata
nell’ambito dei suddetti contratti fosse destinata a soddisfare esigenze
permanenti e durevoli del loro datore di lavoro, il 3 novembre 2006 le
ricorrenti adivano il Monomeles Protodikeio
Rethymnis (Tribunale monocratico di Rethymnon) allo scopo di far dichiarare che si trattava di
contratti di lavoro a tempo indeterminato e di ottenere la condanna dell’ente
territoriale convenuto nel procedimento principale ad assumerli in virtù di
tali contratti.
34 A tale proposito, le ricorrenti hanno invocato
l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 che, interpretato alla
luce della direttiva 1999/70, costituirebbe una «norma equivalente» ai sensi
della clausola 5 dell’accordo quadro, come dichiarato dall’Areios
Pagos nella sentenza n. 18/2006. A ciò non
osterebbe l’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica
ellenica, dato che il divieto di conversione dei contratti di
lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato nel settore
pubblico si riferirebbe soltanto a quei contratti effettivamente destinati a
soddisfare esigenze temporanee, impreviste o urgenti del datore di lavoro.
35 Nella sua decisione, il giudice del rinvio chiede
dunque in sostanza se il legislatore greco, avendo escluso i soggetti che hanno
stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato dalla tutela
contro gli abusi di cui al decreto presidenziale n. 164/2004, abbia
compiuto una trasposizione non corretta della direttiva 1999/70, in quanto
detta esclusione potrebbe comportare una riduzione del livello generale di
tutela dei lavoratori a tempo determinato contraria alla clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro, così come definito da una «norma equivalente» ai sensi
della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, dato che l’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920 si applica sia ai contratti stipulati per
la prima o unica volta, sia ai contratti successivi.
36 Peraltro, anche ammettendo che la disposizione da
ultimo menzionata possa trovare applicazione nel procedimento principale, detto
giudice ritiene che si profili pure la questione di sapere, da un lato, se il
diritto nazionale possa essere applicato in maniera tale da considerare la
stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato giustificata da una
ragione obiettiva qualora sia avvenuta sulla base di una legge specifica per il
soddisfacimento di esigenze speciali, complementari, sociali, urgenti e
provvisorie, anche quando di fatto le esigenze soddifatte
siano «permanenti e durevoli». Dall’altro lato, esso chiede se il potere del
giudice nazionale di interpretare le leggi possa essere limitato a tal riguardo
da una norma costituzionale che vieta in modo assoluto la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a
tempo indeterminato nel settore pubblico.
37 In tale contesto, il Monomeles
Protodikeio Rethymnis ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se
la clausola 5 e la clausola 8, nn. 1 e 3,
dell’[accordo quadro], costituente parte integrante della [direttiva 1999/70],
debbano essere interpretate nel senso che il diritto comunitario non consente
allo Stato membro di adottare provvedimenti motivati con il richiamo
all’applicazione del predetto accordo quadro quando:
a) nell’ordinamento
giuridico nazionale già esistano, prima dell’entrata in vigore di tale direttiva,
norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, e
b) con
i provvedimenti adottati per l’attuazione dell’accordo quadro venga ridotto il
livello generale di tutela offerto ai lavoratori a tempo determinato
nell’ordinamento giuridico nazionale.
2) In
caso di risposta affermativa alla prima questione, se la riduzione del livello
della tutela garantito ai lavoratori nei casi in cui non sussistano molteplici
e successivi contratti di lavoro a tempo determinato, bensì un solo e unico
contratto, che abbia in realtà ad oggetto la prestazione di servizi da parte
del lavoratore destinati al soddisfacimento non già di esigenze temporanee,
straordinarie o urgenti, ma “permanenti e durevoli”, sia riconducibile
all’applicazione di detto accordo quadro e di detta direttiva e se, di
conseguenza, tale riduzione sia vietata oppure consentita dal punto di vista
del diritto comunitario.
3) In
caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento
giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70]
norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro,
come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 rilevante nel caso di
specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di
tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale,
ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3,
dell’accordo quadro, l’adozione di un provvedimento legislativo motivato con il
richiamo all’applicazione del predetto accordo quadro come l’art. 11 del
decreto presidenziale 164/2004, di cui si discute nella causa principale,
a) qualora,
nell’ambito di applicazione del menzionato provvedimento legislativo diretto
all’applicazione dell’accordo quadro siano ricompresi esclusivamente i casi di
molteplici contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e non
siano inclusi i casi di agenti contrattuali che abbiano stipulato (non
molteplici e successivi contratti ma) un solo e unico contratto di lavoro a tempo
determinato per il soddisfacimento da parte del lavoratore di esigenze
“permanenti e durevoli” del datore di lavoro, mentre la preesistente norma
equivalente riguardava tutti i casi di contratti di lavoro a tempo determinato,
ivi compresi i casi in cui il lavoratore aveva stipulato un solo e unico
contratto di lavoro a tempo determinato, il quale tuttavia aveva in realtà ad
oggetto la prestazione di servizi da parte del lavoratore destinati al
soddisfacimento di esigenze non temporanee, straordinarie o urgenti, ma
“permanenti e durevoli”;
b) qualora
il menzionato provvedimento legislativo diretto all’applicazione dell’accordo
quadro preveda come conseguenza giuridica per la tutela dei lavoratori a tempo
determinato e la prevenzione degli abusi ai sensi dell’accordo quadro sul
lavoro a tempo determinato la conversione dei contratti di lavoro a tempo
determinato in contratti a tempo indeterminato con effetto per il futuro (ex nunc), mentre le preesistenti norme equivalenti prevedevano
la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo
indeterminato con effetto a partire dal momento della loro iniziale
stipulazione (ex tunc).
4) In
caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento
giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70]
norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro,
come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, rilevante nel caso di
specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di
tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale,
ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3,
dell’accordo quadro, la scelta del legislatore greco, in sede di trasposizione
della detta direttiva nell’ordinamento giuridico greco, consistente, da un
lato, nell’escludere dall’ambito di tutela del summenzionato decreto
presidenziale 164/2004 i citati casi di abusi, in cui il lavoratore ha
stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato, che tuttavia
ha in realtà ad oggetto la prestazione di servizi da parte del lavoratore per
il soddisfacimento non di esigenze temporanee, straordinarie o urgenti, ma
“permanenti e durevoli” e, dall’altro lato, nell’omettere di adottare un
provvedimento analogo, specifico per il caso concreto ed efficace, che
determini un effetto giuridico a tutela dei lavoratori rispetto a questo caso
specifico di abuso, in aggiunta alla tutela generale prevista dal diritto
comune del lavoro dell’ordinamento giuridico greco, in ogni caso di prestazione
di lavoro sulla base di un contratto nullo, indipendentemente dall’esistenza di
un abuso ai sensi dell’accordo quadro, e che comprende la rivendicazione da
parte del lavoratore del pagamento della retribuzione e dell’indennità di licenziamento,
a prescindere dal fatto che egli abbia lavorato con un contratto di lavoro
valido oppure no, tenuto conto del fatto che:
a) l’obbligo
di pagamento della retribuzione e dell’indennità di licenziamento è previsto
dal diritto nazionale in ogni caso di rapporto di lavoro e non è diretto
specificamente a prevenire gli abusi ai sensi dell’accordo quadro, e
b) l’applicazione
della preesistente norma equivalente ha come conseguenza giuridica la
conversione del (solo e unico) contratto di lavoro a tempo determinato in
contratto a tempo indeterminato.
5) In
caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, se il giudice
nazionale, nell’interpretare il suo diritto nazionale in conformità della
[direttiva 1999/70], debba disapplicare le disposizioni incompatibili con tale
direttiva contenute nei provvedimenti motivati con il richiamo all’applicazione
del predetto accordo quadro, le quali però determinano una riduzione del
livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento
giuridico interno, come quelle del decreto presidenziale 164/2004, che
tacitamente e indirettamente, ma chiaramente, escludono una corrispondente
tutela nei casi di abusi in cui il lavoratore ha stipulato un solo e unico
contratto di lavoro a tempo determinato, che tuttavia in realtà ha ad oggetto
la prestazione di servizi da parte del lavoratore per soddisfare esigenze non
temporanee, straordinarie o urgenti, ma “permanenti e durevoli”, ed applicare
al loro posto le disposizioni contenute nel provvedimento nazionale
equivalente, preesistente all’entrata in vigore della direttiva, come quelle
dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
6) Nel
caso in cui il giudice nazionale ritenesse in via di principio applicabile, in
una causa che riguarda il lavoro a tempo determinato, una disposizione (nella
fattispecie l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920) che costituisce
norma equivalente ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro e,
sulla base di tale disposizione, la constatazione che la stipulazione di un
contratto di lavoro – fosse anche di uno solo – è avvenuta a tempo determinato
senza ragione obiettiva collegata alla natura o alle caratteristiche del
contratto o dell’attività prestata, comportasse la conversione di tale
contratto in un contratto di lavoro a tempo indeterminato,
a) se
sia conforme al diritto comunitario un’interpretazione e applicazione del
diritto nazionale da parte del giudice nazionale, in virtù della quale sussiste
sempre una ragione obiettiva per la stipulazione di contratti di lavoro a tempo
determinato qualora, a titolo di fondamento normativo della loro stipulazione,
sia stata utilizzata una disposizione di legge relativa all’assunzione con
contratti di lavoro a tempo determinato di personale destinato a soddisfare
esigenze sociali stagionali, periodiche, temporanee, straordinarie o aggiuntive
(nella specie, le disposizioni della legge 3250/2004), anche qualora le
esigenze soddisfatte siano in realtà permanenti e durevoli;
b) se
sia conforme al diritto comunitario un’interpretazione e applicazione del
diritto nazionale da parte del giudice nazionale, in virtù della quale una
disposizione che vieti nel settore pubblico la conversione dei contratti di
lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, deve
interpretarsi nel senso che nel settore pubblico sia assolutamente e in ogni
caso vietata la conversione di un contratto o rapporto di lavoro a tempo
determinato in un contratto a tempo indeterminato, anche qualora esso sia stato
illegittimamente stipulato a tempo determinato, vale a dire anche qualora le
esigenze soddisfatte siano in realtà permanenti e durevoli, e nel senso che al
giudice nazionale non sia consentito, in una siffatta ipotesi, accertare il
reale carattere del rapporto di lavoro controverso e la sua corretta
qualificazione come contratto a tempo indeterminato; ovvero se tale divieto
debba essere applicato limitatamente ai soli contratti di lavoro a tempo
determinato che siano stati effettivamente stipulati per il soddisfacimento di
esigenze temporanee, impreviste, urgenti, straordinarie, o simili particolari
esigenze, e non anche ai casi in cui i contratti siano stati in realtà
stipulati per il soddisfacimento di esigenze permanenti e durevoli».
Causa C‑379/07
38 Come risulta dagli atti, la ricorrente nel
procedimento principale relativo a tale causa stipulava con il Dimos Geropotamou, che secondo il
diritto greco costituisce un ente territoriale di diritto pubblico, tre
contratti a tempo determinato successivi, qualificati come «contratti d’opera»
ai sensi dell’art. 6 della legge 2527/1997. Detti contratti valevano,
rispettivamente, dal 1° dicembre 2003 al 30 novembre 2004, dal 1° dicembre 2004
al 30 novembre 2005 e dal 5 dicembre 2005 al 4 dicembre 2006.
39 Poiché riteneva che l’attività esercitata
nell’ambito dei suddetti contratti fosse in concreto destinata a soddisfare
esigenze permanenti e durevoli del suo datore di lavoro, il 10 novembre 2006 la
ricorrente adiva il Monomeles Protodikeio
Rethymnis allo scopo di far dichiarare che si
trattava di contratti di lavoro a tempo indeterminato e ottenere la condanna
del Dimos Geropotamu ad
assumerla in virtù di tali contratti.
40 Avendo la suddetta ricorrente dedotto gli stessi
argomenti avanzati dalle ricorrenti nel procedimento principale relativo alla
causa C‑378/07 riportati al punto 34 della presente sentenza, il giudice
del rinvio chiede, nella propria decisione, se il decreto presidenziale
164/2004 non costituisca allo stesso modo una riduzione del livello generale di
tutela dei lavoratori a tempo determinato, così come definito dall’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920, per le seguenti ragioni:
– da
un lato, per quanto riguarda l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004,
che consente, in via transitoria, la conversione dei contratti di lavoro a
tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, il suo ambito di
applicazione rationae temporis
è limitato soltanto a taluni contratti in corso o scaduti, le condizioni
cumulative ai fini della sua applicazione sono più rigide in ordine alla durata
del periodo intercorrente tra i due contratti ed alla durata minima totale dei
contratti, e, infine, detta conversione non ha effetto retroattivo, e
– dall’altro,
per quanto riguarda l’art. 7 del decreto presidenziale 164/2004, che
prevede, quale disposizione definitiva, il pagamento della retribuzione e di
un’indennità di licenziamento, esso istituisce talune sanzioni identiche a
quelle stabilite dal diritto comune del lavoro a prescindere da qualsiasi
abuso, senza consentire la conversione dei contratti di lavoro a tempo
determinato in contratti a tempo intedeterminato.
41 Peraltro, anche ammettendo che l’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920 possa trovare applicazione nel procedimento
principale, detto giudice propone le medesime questioni sollevate nella causa C‑378/07,
riportate al punto 36 della presente sentenza, relative alla nozione di
«ragione obiettiva» e all’incidenza sui poteri del giudice nazionale del
divieto assoluto, nel settore pubblico, di conversione dei contratti di lavoro
a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
42 In tale contesto, il Monomeles
Protodikeio Rethymnis ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) Se
la clausola 5 e la clausola 8, nn. 1 e 3,
dell’[accordo quadro], costituente parte integrante della [direttiva 1999/70],
debbano essere interpretate nel senso che, in base al diritto comunitario, non
sia consentito ad uno Stato membro di adottare provvedimenti motivati con il
richiamo all’applicazione del predetto accordo quadro quando:
a) nell’ordinamento
giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della direttiva norme
equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, e
b) con
i provvedimenti adottati per l’applicazione dell’accordo quadro venga ridotto
il livello generale di tutela offerto ai lavoratori a tempo determinato
nell’ordinamento giuridico nazionale.
2) In
caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento
giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70]
norme equivalenti ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro,
come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, rilevante nel caso di
specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di
tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale,
ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3
dell’accordo quadro, l’adozione di un provvedimento legislativo motivato con il
richiamo all’applicazione dell’accordo quadro come l’art. 11 del decreto
presidenziale 164/2004, di cui si discute nella causa principale:
a) quando
tale provvedimento normativo, diretto all’applicazione dell’accordo quadro,
venga adottato dopo la scadenza del termine per la trasposizione della
[direttiva 1999/70] ma nel suo ambito di applicazione rationae
temporis rientrano solo i contratti e rapporti di
lavoro a tempo determinato che erano in corso alla sua entrata in vigore o che
sono scaduti entro un determinato lasso di tempo prima della sua entrata in
vigore, ma dopo la scadenza del termine di trasposizione della direttiva,
mentre le norme equivalenti preesistenti non hanno un ambito di applicazione
limitato nel tempo e comprendono tutti i contratti di lavoro a tempo
determinato che sono stati stipulati, erano in corso o sono scaduti alla data
di entrata in vigore della suddetta direttiva e di scadenza del termine per la
sua trasposizione;
b) quando
nell’ambito di applicazione di tale provvedimento normativo, diretto
all’applicazione dell’accordo quadro, rientrano solo contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato che, per essere considerati successivi ai fini del
provvedimento summenzionato devono cumulativamente soddisfare le seguenti
condizioni: 1) che tra di essi intercorra un periodo non superiore a tre mesi
e, inoltre, 2) che essi presentino una durata complessiva di almeno
ventiquattro mesi all’entrata in vigore di tale provvedimento,
indipendentemente dal numero di rinnovi contrattuali, o che vi sia stato sulla
base di essi un periodo di occupazione complessivo di almeno diciotto mesi
entro un periodo complessivo di ventiquattro mesi a partire dal contratto
iniziale nel caso in cui vi siano almeno tre rinnovi oltre al contratto
iniziale, mentre le preesistenti norme equivalenti non stabiliscono tali
condizioni, comprendendo invece tutti i contratti (successivi) di lavoro a
tempo determinato, a prescindere da un periodo minimo di occupazione e da un
numero minimo di rinnovi contrattuali;
c) quando
il provvedimento normativo in esame, diretto all’applicazione dell’accordo
quadro, prevede come conseguenza giuridica per la tutela dei lavoratori a tempo
determinato e la prevenzione degli abusi ai sensi dell’accordo quadro la
conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo
indeterminato con effetto per il futuro (ex nunc),
mentre le preesistenti norme equivalenti prevedono la conversione dei contratti
di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato dal momento
della loro iniziale stipulazione (ex tunc).
3) In
caso di risposta affermativa alla prima questione, qualora nell’ordinamento
giuridico nazionale preesistano all’entrata in vigore della [direttiva 1999/70]
norme equivalenti, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro,
come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, rilevante nel caso di
specie, se costituisca una riduzione non consentita del livello generale di
tutela dei lavoratori a tempo determinato nell’ordinamento giuridico nazionale,
ai sensi della clausola 8, nn. 1 e 3,
dell’accordo quadro, l’adozione di un provvedimento normativo, motivato con il
richiamo all’applicazione dell’accordo quadro, come l’art. 7 del decreto
presidenziale 164/2004, di cui si discute nella causa principale, quando esso
prevede come unico mezzo di tutela dei lavoratori a tempo determinato contro
gli abusi l’obbligo per il datore di lavoro di pagare la retribuzione e
l’indennità di licenziamento, in caso di occupazione abusiva con contratti di
lavoro a tempo determinato successivi, tenuto conto del fatto che:
a) l’obbligo
per il datore di lavoro di corrispondere la retribuzione e l’indennità di
licenziamento è previsto dal diritto nazionale in qualsiasi caso di rapporto di
lavoro e non è diretto specificamente a evitare gli abusi, ai sensi
dell’accordo quadro, e
b) l’applicazione
delle preesistenti norme equivalenti produce come conseguenza giuridica la
conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratti
a tempo indeterminato.
4) In
caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, se il giudice
nazionale, nell’interpretare il suo diritto nazionale in conformità della
[direttiva 1999/70], debba disapplicare le disposizioni incompatibili con tale
direttiva contenute nei provvedimenti adottati motivando con il richiamo
all’applicazione dell’accordo quadro, le quali però determinano una riduzione
del livello generale di tutela dei lavoratori a tempo determinato
nell’ordinamento giuridico interno, come quelle degli artt. 7 e 11 del
decreto presidenziale 164/2004 e applicare al loro posto le disposizioni
contenute nel provvedimento nazionale equivalente, preesistente all’entrata in
vigore della direttiva, come quelle dell’art. 8, n. 3, della legge
2112/1920.
5) Nel
caso in cui il giudice nazionale ritenesse in via di principio applicabile, in
una causa che riguarda il lavoro a tempo determinato, una disposizione (nella
fattispecie l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1902) che costituisce
norma equivalente, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro e,
sulla base di tale disposizione, la constatazione che la stipulazione di
contratti successivi di lavoro è avvenuta a tempo determinato senza ragione
obiettiva collegata alla natura o alle caratteristiche del contratto o
dell’attività prestata, comporti il riconoscimento che tali contratti sono
contratti di lavoro a tempo indeterminato,
a) se
sia compatibile con il diritto comunitario un’interpretazione e applicazione
del diritto nazionale da parte del giudice nazionale, secondo cui in ogni caso
costituisce una ragione obiettiva per la stipulazione di contratti di lavoro a
tempo determinato il fatto che, come fondamento giuridico della loro
stipulazione, è stata utilizzata una norma sull’occupazione con contratti di
lavoro a tempo determinato per il soddisfacimento di esigenze stagionali,
periodiche, temporanee o straordinarie, anche se in realtà le esigenze
soddisfatte sono «permanenti e durevoli»;
b) se
sia compatibile con il diritto comunitario un’interpretazione e applicazione
del diritto nazionale da parte del giudice nazionale secondo cui una
disposizione che vieta la conversione di contratti di lavoro a tempo
determinato nel settore pubblico in contratti di lavoro a tempo indeterminato
deve interpretarsi nel senso che nel settore pubblico, è assolutamente e in
ogni caso vietata la conversione di un contratto o rapporto di lavoro a tempo
determinato in un contratto o rapporto a tempo indeterminato, anche qualora
abusivamente esso sia stato stipulato a tempo determinato, in quanto in realtà
le esigenze soddisfatte sono “permanenti e durevoli” e al giudice nazionale non
è lasciata la possibilità, in un caso del genere, di dichiarare la reale natura
del rapporto giuridico di lavoro controverso e la corretta qualificazione di
esso come contratto a tempo indeterminato; oppure se tale divieto debba essere
circoscritto ai soli contratti di lavoro a tempo determinato che siano stati
effettivamente stipulati per il soddisfacimento di esigente temporanee,
impreviste, urgenti, straordinarie o simili, e non anche nel caso in cui in
realtà siano stati stipulati per il soddisfacimento di esigenze “permanenti e
durevoli”».
Causa C‑380/07
43 Come risulta dagli atti, le ricorrenti nel
procedimento principale relativo a tale causa stipulavano con il Dimos Geropotamou, nonché con la
persona giuridica di diritto privato denominata «O Geropotamos»,
costituente un’impresa municipale, tre contratti a tempo determinato
successivi, di cui il primo, qualificato come «contratto di lavoro» ai sensi
della legge 2190/1994, ha prodotto effetti dal 1° luglio 2004 al 1°
dicembre 2004, e i due seguenti, qualificati come «contratti d’opera» ai sensi
dell’art. 6 della legge 2527/1997, hanno prodotto effetti,
rispettivamente, dal 29 dicembre 2004 al 28 dicembre 2005 e dal 30 dicembre
2005 al 29 dicembre 2006.
44 Poiché il 10 novembre 2006 era stato investito di
una controversia sostanzialmente identica a quella oggetto della causa C‑379/07,
il Monomeles Protodikeio Rethymnis ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte le medesime questioni pregiudiziali già sottoposte
nell’ambito di quest’ultima causa.
45 Con ordinanza 12 novembre 2007, il Presidente della
Corte ha disposto la riunione delle tre cause ai fini della fase scritta e
orale del procedimento come pure della sentenza.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità
46 Eccettuate le ricorrenti nel procedimento principale,
le parti che hanno presentato osservazioni scritte alla Corte hanno contestato,
se non addirittura messo in dubbio, a vario titolo la rilevanza delle questioni
sottoposte e, quindi, la loro ricevibilità.
47 In primo luogo, il governo ellenico ritiene che la
proposta interpretazione delle clausole 5, n. 1, e 8, n. 3,
dell’accordo quadro sia priva di collegamento con l’oggetto dei procedimenti
principali. Infatti, sarebbe erroneo ed ipotetico il rilievo del giudice del
rinvio secondo cui l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920
costituiva un quadro normativo alternativo di attuazione di tale accordo
quadro. Orbene, detta legge, considerati in particolare i divieti sanciti
all’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica e
all’art. 21 della legge 2190/1994, non troverebbe applicazione nel
settore pubblico, come sottolineato, anche vigorosamente, dalle convenute nei
procedimenti principali. Detta interpretazione dell’art. 8, n. 3,
della legge 2112/1920 sarebbe stata del resto confermata dalle sentenze
dell’Areios Pagos nn. 19/2007 e 20/2007. Peraltro, senza rimettere
espressamente in dubbio la ricevibilità delle questioni sottoposte, le
convenute nel procedimento principale e
48 A tale riguardo, occorre ricordare che, nell’ambito
di un rinvio pregiudiziale, non spetta alla Corte pronunciarsi
sull’interpretazione delle disposizioni nazionali, né giudicare se
l’interpretazione che ne dà il giudice del rinvio sia corretta. Infatti,
49 Orbene, il giudice del rinvio chiede in sostanza se,
nell’ambito dei procedimenti principali, la trasposizione della direttiva 1999/70
operata mediante il decreto presidenziale n. 164/2004, nella parte in cui
esclude dal suo ambito di applicazione i lavoratori che hanno stipulato un
primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato e non consente, nel
settore pubblico, la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in
contratti a tempo indeterminato, oppure la assoggetta a condizioni restrittive,
costituisca una «riduzione» rispetto al livello di tutela previsto
dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 ai sensi della clausola
8, n. 3, dell’accordo quadro. A tal fine, esso osserva espressamente,
basandosi sulla giurisprudenza nazionale, che l’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920 si applica al settore pubblico e, inoltre, si fonda sulla
premessa per cui detta disposizione, da un lato era in vigore durante il
termine di trasposizione della direttiva 1999/70 e, dall’altro, consentiva tale
conversione.
50 Peraltro, la sussistenza di una siffatta riduzione
può ravvisarsi soltanto se, come osservato dalla Commissione e come altresì
presupposto dal giudice del rinvio, in fattispecie come quelle oggetto del
procedimento principale, il suddetto art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920, benché ancora in vigore, non fosse applicabile a
fattispecie come quelle oggetto dei procedimenti principali parallelamente alla
normativa nazionale di trasposizione dell’accordo quadro, a prescindere dal
fatto che ciò dipenda, ad esempio, dalla stessa circostanza dell’adozione di
tale normativa successiva, dalla modifica dell’art. 103, n. 8, della Costituzione
della Repubblica ellenica o dal mutamento della giurisprudenza compiuto dall’Areios Pagos nelle sentenze
19/2007 e 20/2007 in ordine all’interpretazione del suddetto art. 8,
n. 3.
51 Occorre dunque concludere che, a prescindere dalla
natura del disaccordo tra le parti del procedimento principale in ordine
all’interpretazione del diritto nazionale e dalle critiche rivolte
all’interpretazione accolta dal giudice del rinvio, l’esame delle presenti
questioni deve essere compiuto facendo riferimento all’interpretazione del
diritto nazionale operata da quest’ultimo. L’eccezione di irricevibilità
formulata dal governo ellenico sul punto deve quindi essere respinta.
52 In secondo luogo,
53 Siffatta
obiezione non può essere
accolta.
54 Infatti, le questioni sopra menzionate, relative non
già alla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro bensì alla sua clausola 8,
n. 3, sono essenzialmente volte a stabilire se la trasposizione della
direttiva 1999/70 mediante il decreto presidenziale 164/2004 costituisca una «reformatio in peius» ai sensi di
quest’ultima clausola in relazione al livello di tutela previsto
dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 per i lavoratori che
hanno stipulato un solo e unico contratto di lavoro a tempo determinato e, ove
così fosse, a precisare quali conseguenze ne risultino per i procedimenti
principali.
55 Orbene, tali questioni non risultano affatto prive
di oggetto, ma mirano in particolare a stabilire se, come sostenuto dai governi
ellenico ed italiano nonché dalla Commissione, la clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro non si applica nel caso in cui sia stato stipulato un solo
e unico contratto di lavoro a tempo determinato.
56 Del resto, occorre rilevare al riguardo che, nella
citata sentenza Mangold,
57 In siffatto contesto, dato che le questioni nn. 3‑6 nella causa C‑378/07 vertono sull’interpretazione
del diritto comunitario e che quest’ultima non appare manifestamente priva di
rapporti con l’effettività o l’oggetto delle controversie sottoposte al giudice
del rinvio, le quali non sono, evidentemente, di tipo ipotetico,
58 In terzo luogo, il governo italiano afferma che la
seconda questione pregiudiziale sottoposta nelle cause C‑379/07 e C‑380/07
è irricevibile in quanto le disposizioni transitorie di cui all’art. 11
del decreto presidenziale 164/2004, oggetto di tale questione, non si
applicherebbero ai contratti oggetto del procedimento principale, poiché questi
ultimi rientrerebbero, per contro, nell’ambito del regime generale stabilito
agli artt. 5‑7 del medesimo decreto. La questione in parola non
avrebbe pertanto alcun legame con i procedimenti principali.
59 Siffatta
obiezione non può essere
accolta. Invero, siccome dalle decisioni di rinvio
risulta che, al momento dell’entrata in vigore del decreto presidenziale
164/2004, vale a dire il 19 luglio 2004, i contratti a tempo determinato
oggetto delle cause principali erano ancora in corso, questi ultimi potevano
rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 11 di tale decreto.
60 È pur vero che dalle decisioni di rinvio nelle
suddette cause risulta che le ricorrenti nel procedimento principale non
soddisfacevano le condizioni stabilite da tale disposizione per poter
convertire i loro contratti in contratti di lavoro a tempo indeterminato.
61 Nondimeno, mediante la seconda questione nell’ambito
delle suddette cause, il giudice del rinvio mira in particolare a stabilire se
tali condizioni, che hanno comportato l’esclusione dei contratti de quibus dal regime transitorio istituito dall’art. 11
del decreto 164/2004, costituiscano una «reformatio
in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro, cosicché le ricorrenti nei procedimenti principali
relativi a tali cause potrebbero inferire dalle disposizioni di detto accordo
quadro il diritto di ottenere la conversione dei contratti de quibus in contratti a tempo indeterminato, secondo quanto
già previsto, a loro avviso, da una «norma equivalente» ai sensi della clausola
5, n. 1, di detto accordo, vale a dire dall’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920.
62 Di conseguenza, e tenuto conto della giurisprudenza
citata al punto 57 della presente sentenza, non si può ritenere che
l’interpretazione del diritto comunitario proposta nella seconda questione di
cui alle cause C‑379/07 e C‑380/07 appaia manifestamente priva di
rapporti con l’effettività o l’oggetto delle cause principali sottoposte al
giudice del rinvio, le quali non sono, evidentemente, di tipo ipotetico.
63 In considerazione di quanto precede, le questioni
proposte sono ricevibili.
Nel merito
64 Mediante un primo gruppo di questioni, il giudice
del rinvio intende in sostanza interpretare le clausole 5, n. 1, e 8,
n. 3, dell’accordo quadro, allo scopo di valutare se tali disposizioni
ostino alla normativa nazionale oggetto del procedimento principale, ed in
particolare al decreto presidenziale 164/2004, adottato per recepire detto
accordo quadro specificamente nel settore pubblico. A tal fine, detto giudice
solleva talune questioni sui seguenti punti:
– in
primo luogo, per quanto riguarda le misure preventive dell’utilizzo abusivo di
contratti di lavoro a tempo determinato successivi indicate alla clausola 5,
n. 1, dell’accordo quadro, sul margine di discrezionalità di cui godono
gli Stati membri nel recepire tale clausola qualora nel diritto interno esista
già una «norma equivalente» ai sensi della medesima (prime questioni nelle
cause da C‑378/07 a C‑380/07), nonché sulla nozione di «ragioni
obiettive» ai sensi della stessa clausola [sesta questione, sub a), nella causa
C‑378/07 e quinta questione, sub a), nelle cause C‑379/07 e C‑380/07];
– in
secondo luogo, per quanto riguarda la nozione di «reformatio
in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro, sul se tale clausola si applichi ai lavoratori che hanno
stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato (seconda
questione nella causa C‑378/07) e se essa osti alle modifiche apportate
al diritto interno preesistente dalla normativa nazionale di recepimento (terza
e quarta questione nella causa C‑378/07, nonché seconda e terza questione
nelle cause C‑379/07 e C‑380/07), e
– in
terzo luogo, per quanto riguarda le sanzioni in caso di utilizzo abusivo di
contratti di lavoro a tempo determinato successivi, se l’accordo quadro si
opponga al divieto assoluto di conversione di detti contratti in contratti a
tempo indeterminato vigente nel settore pubblico [sesta questione, sub b),
nella causa C‑378/07 e quinta questione, sub b), nelle cause C‑379/07
e C‑380/07].
65 Inoltre, mediante le ultime questioni, il giudice
del rinvio intende chiarire le conseguenze derivanti per i giudici nazionali da
un’eventuale incompatibilità del decreto presidenziale 164/2004 rispetto alle disposizioni
dell’accordo quadro (quinta questione nella causa C‑378/07, nonché quarta
questione nelle cause C‑379/07 e C‑380/07).
66 È opportuno quindi rispondere alle questioni
sottoposte dal giudice del rinvio nell’ordine indicato ai punti 64 e 65,
premettendo però che, per la parte in cui detto giudice chiede alla Corte di
pronunciarsi sulla compatibilità del decreto presidenziale 164/2004 con
l’accordo quadro, nell’ambito del procedimento previsto
dall’art. 234 CE ad esso non compete pronunciarsi sulla compatibilità
di norme nazionali con il diritto comunitario; nondimeno,
Sulle misure preventive dell’abuso ai sensi
della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
– Sul
margine di discrezionalità degli Stati membri qualora nel diritto interno
esista già una «norma equivalente»
67 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro debba
essere interpretata nel senso che essa osta all’adozione, da parte di uno Stato
membro, di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004 che,
al fine di recepire la direttiva 1999/70 specificamente nel settore pubblico,
prevede l’attuazione delle misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti
o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi indicate al punto 1,
lett. a)‑c), di detta clausola, qualora nel diritto interno esista
già una «norma equivalente» ai sensi della medesima clausola, come
l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
68 Per poter risolvere tale questione, che mira a
determinare il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri nel
recepimento della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, occorre prima di
tutto determinare la portata della nozione di «norma equivalente» ai sensi
della medesima clausola.
69 Ad avviso sia del governo ellenico che della
Commissione, l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 non
costituirebbe una norma di questo tipo, essendo il suo obiettivo diverso
rispetto a quello di tale clausola. Difatti, la suddetta legge, relativa al
recesso dai contratti di lavoro a tempo indeterminato, non conterrebbe
disposizioni tese a prevenire la stipulazione abusiva di contratti di lavoro a
tempo determinato successivi, bensì consentirebbe unicamente di riconoscere, in
sede di recesso, la natura di un contratto come contratto a tempo
indeterminato. In ogni caso, secondo il governo ellenico, la possibilità di
convertire un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo
indeterminato non avrebbe alcun effetto dissuasivo rispetto alla stipulazione
di contratti successivi nel settore pubblico, dato che le conseguenze
finanziarie di una conversione siffatta sarebbero assunte dalla collettività e
non necessariamente dal datore di lavoro interessato, contrariamente a quanto
avviene nel settore privato.
70 Occorre in proposito sottolineare che, se è vero
che, come si è ricordato ai punti 48‑51 della presente sentenza, compete
al giudice del rinvio interpretare il diritto nazionale, vale a dire, nel caso
di specie, l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, e che,
pertanto, per risolvere le questioni sottoposte, occorre ammettere che detta
disposizione consente la conversione dei contratti di lavoro a tempo
determinato in contratti a tempo indeterminato nel settore pubblico, come
ritenuto dal giudice del rinvio, vero è anche che la nozione di «norma
equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
costituisce di per sé una nozione di diritto comunitario che deve essere
interpretata in modo uniforme in ciascuno Stato membro.
71 È sicuramente esatto, a tale riguardo, che l’accordo
quadro, come risulta dal punto 10 delle sue considerazioni generali, demanda
agli Stati membri e alle parti sociali la definizione delle modalità
dettagliate di attuazione dei principi e requisiti che esso detta, al fine di
garantire la loro conformità al diritto e/o alle prassi nazionali e la debita
considerazione delle peculiarietà delle situazioni
concrete (sentenza Adeneler e a., cit., punto
68, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit.,
punto 87).
72 Tuttavia, a meno che l’accordo quadro non operasse
un rinvio a tale proposito agli Stati membri conformemente al diciassettesimo
‘considerando’ della direttiva 1999/70, il tenore dei suddetti principi e
requisiti non potrebbe variare a seconda del diritto nazionale degli Stati
membri, dal momento che, secondo il quattordicesimo ‘considerando’ della
suddetta direttiva e il preambolo del detto accordo quadro, quest’ultimo mira a
stabilire a livello comunitario un quadro generale relativo all’utilizzo dei
contratti di lavoro a tempo determinato.
73 Nel caso di specie, poiché la nozione di «norma
equivalente» non è definita dall’accordo quadro, occorre rilevare, in mancanza
di un rinvio al diritto degli Stati membri, che la clausola 5, n. 1, di
detto accordo mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti da tale accordo,
vale a dire limitare il ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato successivi, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno
dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima
tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti
(v. sentenza Adeneler e a., cit., punto 63,
nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto
84).
74 Quindi, la clausola 5, n. 1, dell’accordo
quadro impone agli Stati membri, per «prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo
di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi», di adottare
una o più tra le misure da essa elencate qualora nel diritto nazionale manchino
«norme equivalenti» volte alla prevenzione di tali abusi. Le misure così
elencate al n. 1, lett. a)‑c) di detta clausola, in numero di
tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il
rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima totale
degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi
di questi ultimi (v. sentenza 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 69, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 80).
75 La stessa formulazione di tale clausola indica in
modo inequivocabile che le diverse misure da essa considerate sono concepite
come «equivalenti» (sentenza Impact, cit., punto 76).
76 Di conseguenza appare che, attraverso l’espressione
«norme equivalenti», la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro intende
includere ogni norma di diritto nazionale volta a prevenire in modo effettivo
l’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti lavoro a tempo determinato
successivi, allo stesso modo delle norme contemplate da detta clausola (v., in
tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto
65).
77 Come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi
53 e 54 delle sue conclusioni, è irrilevante a tale riguardo che la norma di
diritto nazionale oggetto del procedimento principale, nella fattispecie
l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, non preveda le misure
particolari di cui alla clausola 5, n. 1, lett. a)‑c),
dell’accordo quadro, oppure che essa non sia stata emanata appositamente per
tutelare i lavoratori dagli abusi in materia di contratti di lavoro a tempo
determinato successivi, oppure, ancora, che il suo ambito di applicazione non
sia limitato unicamente a questi contratti. Infatti, poiché tale articolo è
idoneo a contribuire, eventualmente in combinato con altre disposizioni di
diritto interno, anche ad un’effettiva prevenzione del ricorso abusivo a
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, esso deve essere
considerato equivalente alle misure di cui alla clausola 5, n. 1,
lett. a)‑c), dell’accordo quadro.
78 Nelle cause principali, spetta al giudice del rinvio
esaminare entro quali limiti la possibilità a suo avviso prevista
dall’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 di convertire, nel
settore pubblico, un contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto a
tempo indeterminato qualora esso soddisfi, in realtà, esigenze permanenti e
durevoli del datore di lavoro, sia idonea a contribuire a tale effettiva
prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato successivi. Nell’ipotesi in cui il giudice dovesse concludere che
la disposizione de qua comporti un effetto di questo tipo, essa dovrebbe essere
considerata una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro.
79 Per quanto riguarda, poi, la questione se, in un
siffatto contesto, l’esistenza di una «norma equivalente» ai sensi di detta
clausola osti all’adozione da parte dello Stato membro interessato di una
normativa nazionale che, come il decreto presidenziale 164/2004, preveda
ai suoi artt. 5‑7 e 11 talune misure specifiche per prevenire
l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi, al fine di recepire la direttiva 1999/70, occorre ricordare che,
allorché la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri
l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure enunciate in tale
disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di
contratti di lavoro a tempo determinato qualora il diritto nazionale non
preveda già norme equivalenti, essa assegna agli Stati membri un obiettivo
generale consistente nella prevenzione di tali abusi, pur lasciando loro la
scelta dei mezzi per conseguirlo (sentenza Impact, cit., punto 70 e
giurisprudenza ivi citata).
80 Ne consegue che, in virtù di tale disposizione, gli
Stati membri beneficiano di un margine di discrezionalità nel conseguimento di
tale obiettivo, a condizione tuttavia che essi garantiscano il risultato
imposto dal diritto comunitario, così come risulta non solo dall’art. 249,
terzo comma, CE, ma anche dall’art. 2, primo comma, della direttiva
1999/70, letto alla luce del diciassettesimo ‘considerando’ di quest’ultima
(v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit.,
punto 68, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit, punto 87).
81 Come
82 Pertanto, se, in assenza di norme equivalenti nel
suo diritto interno, uno Stato membro deve necessariamente adottare una o più
tra le misure di prevenzione enunciate nella clausola 5, n. 1,
lett. a‑c, dell’accordo quadro al fine di trasporre correttamente la
direttiva 1999/70 (v., in tal senso, le precitate sentenze Adeneler
e a., punto 65, e Impact, punti 69 e 70, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 80), l’esistenza di una
siffatta norma equivalente non può, per contro, privare tale Stato della
possibilità di adottare, in aggiunta ad essa, una o più tra le misure enunciate
nella suddetta clausola 5, n. 1, lett. a – c, in particolare al fine
di modificare o di completare la tutela derivante da tale norma equivalente, a
pena di impedire qualsiasi evoluzione della normativa nazionale esistente, come
hanno sostanzialmente riconosciuto tutte le parti che hanno presentato
osservazioni scritte.
83 Occorre tuttavia ricordare che il margine di
discrezionalità così lasciato agli Stati membri non è illimitato e, in
particolare, non può in alcun caso arrivare a pregiudicare lo scopo o
l’effettività dell’accordo quadro (sentenza Adeneler
e a., cit., punto 82).
84 Così, posto che, come risulta dai punti 73‑77
e 79 della presente sentenza, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
mira ad obbligare gli Stati membri a garantire nei rispettivi diritti nazionali
l’effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro
a tempo determinato successivi, l’adozione della relativa normativa nazionale
di trasposizione non può avere per effetto di compromettere l’efficacia della
suddetta prevenzione, come derivante in precedenza da una «norma equivalente»
ai sensi di detta clausola 5, n. 1. A tale riguardo, occorre in particolare
che la situazione giuridica derivante dalle varie misure esistenti nel diritto
nazionale sia sufficientemente precisa e chiara, di modo che i beneficiari
siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e, se del caso,
di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali.
85 Inoltre, il potere discrezionale conferito agli
Stati membri alla clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro deve essere
esercitato altresì nel rispetto del diritto comunitario, e, in particolare, dei
principi generali di quest’ultimo nonché delle altre disposizioni dell’accordo
quadro (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit.,
punti 50‑54 e 63‑65).
86 A tale proposito occorre in particolare sottolineare
che, qualora nel diritto interno esistano già talune disposizioni volte a
prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di una successione di contratti
o di rapporti di lavoro a tempo determinato idonee a costituire una «norma
equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro,
l’adozione da parte di uno Stato membro di una o più tra le misure enunciate
nella clausola 5, n. 1, lett. a – c, di tale accordo non può
costituire una valida giustificazione per la riduzione del livello generale di
tutela dei lavoratori nell’ambito disciplinato dall’accordo quadro ai sensi
della clausola 8, n. 3, di esso, la quale è oggetto delle questioni che
saranno esaminate ai punti 108 – 178 della presente sentenza.
87 Occorre quindi rispondere al giudice del rinvio che
la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel
senso che essa non osta all’adozione, da parte di uno Stato membro, di una
normativa nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004, che, al fine di
recepire la direttiva 1999/70 specificamente nel settore pubblico, prevede
l’applicazione delle misure preventive dell’utilizzo abusivo di contratti o di
rapporti di lavoro a tempo determinato successivi indicate al n. 1,
lett. a)‑c), di detta clausola, qualora nel diritto interno esista
già una «norma equivalente» ai sensi della medesima clausola, come
l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, circostanza che compete
al giudice del rinvio verificare, a condizione però che detta normativa, da un
lato, non comprometta l’effettività della prevenzione dell’utilizzo abusivo di
contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, come derivante dalla
suddetta norma equivalente, e, dall’altro, rispetti il diritto comunitario ed
in particolare la clausola 8, n. 3, di detto accordo.
– Sulla
necessità di «ragioni obiettive» ai sensi della clausola 5, n. 1,
lett. a), dell’accordo quadro
88 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo
quadro debba essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una
normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale venga
applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in maniera tale che la
conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico,
siano essi primi o unici contratti oppure contratti successivi, sia considerata
giustificata da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola, per la sola
ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne
consentono la conclusione o il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie,
mentre, in realtà, tali esigenze sono «permanenti e durevoli».
89 Come risulta dalle decisioni di rinvio, tali
questioni sono poste dal giudice investito delle cause principali per il motivo
che una siffatta applicazione del diritto nazionale sarebbe idonea ad
ostacolare il potere conferitogli dall’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920, da lui qualificato come «norma equivalente», di
convertire contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo
indeterminato. Infatti, secondo la giurisprudenza nazionale, una simile
conversione sarebbe esclusa qualora la durata determinata fosse giustificata da
ragioni obiettive.
90 Anzitutto, occorre osservare che l’accordo quadro
non impone agli Stati membri di adottare una misura che imponga di giustificare
ogni primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con tali ragioni
obiettive. Invero, come
91 Inoltre, per quanto riguarda i contratti o rapporti
di lavoro a tempo determinato successivi, occorre ricordare che la clausola 5,
n. 1, dell’accordo quadro, che mira specialmente a prevenire gli abusi
derivanti dal loro utilizzo, impone agli Stati membri l’obbligo di introdurre
nel loro ordinamento giuridico una o più delle misure enunciate al suo punto 1,
lett. a)‑c), qualora non siano già in vigore nello Stato membro interessato
norme equivalenti volte a prevenire in modo effettivo l’utilizzo abusivo di
quel tipo di contratti di lavoro. Fra tali misure, la clausola 5, n. 1,
lett. a), prevede le «ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo
dei suddetti contratti o rapporti» (v. sentenza Adeneler
e a., cit., punti 64‑66).
92 Come si evince dal punto 7 delle considerazioni
generali dell’accordo quadro, infatti, le sue parti firmatarie hanno ritenuto
che l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato fondato su ragioni
obiettive costituisca un mezzo di prevenzione degli abusi (sentenza Adeneler e a., cit., punto 67, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 86).
93 Tuttavia, come si è rilevato ai punti 79‑82
della presente sentenza, gli Stati membri dispongno
di un margine di discrezionalità nell’attuazione della clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro, dato che possono scegliere di ricorrere ad una o più tra
le misure enunciate al n. 1, lett. a)‑c), di tale clausola, o,
ancora, a norme equivalenti in vigore.
94 Ne consegue che, ai fini di tale attuazione, uno
Stato membro è legittimato a scegliere di non adottare la misura di cui al
n. 1, lett. a), di detta clausola, consistente nell’imporre di
giustificare il rinnovo dei suddetti contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato successivi con ragioni obiettive. Per contro, esso può preferire
l’adozione di una delle misure di cui al n. 1, lett. b) e c), della
medesima clausola, relativi, rispettivamente, alla durata massima totale di
tali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e al numero
dei loro rinnovi, oppure, ancora, optare per la conservazione di una norma
equivalente in vigore, purché, quale che sia la misura in concreto adottata,
venga garantita l’effettiva prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o
rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (v., in tal senso, sentenza Adeneler e a., cit., punto 101).
95 Nondimeno, se, al fine di attuare la clausola 5,
n. 1, dell’accordo quadro, uno Stato membro optasse per l’adozione della
misura di cui al n. 1, lett. a), di tale clausola, consistente
nell’imporre di giustificare il rinnovo dei suddetti contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato successivi con ragioni obiettive, esso sarebbe
tenuto a garantire il risultato imposto dal diritto comunitario, come
risultante non soltanto dall’art. 249, terzo comma, CE, ma anche
dall’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, letto alla luce del suo
diciassettesimo ‘considerando’ (v., in tal senso, sentenza Adeneler
e a., cit., punto 68, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 87).
96 In tale contesto, come
97 Per contro, una disposizione nazionale che si
limitasse ad autorizzare, in modo generale ed astratto attraverso una norma
legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo
determinato successivi, non sarebbe conforme a criteri come quelli precisati ai
due punti precedenti (v. le precitate sentenze Adeneler
e a., punto 71, e Del Cerro Alonso, punto 54, nonché l’ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 90).
98 Invero, una siffatta disposizione, di natura
meramente formale e che non giustifica in modo specifico l’utilizzo di
contratti di lavoro a tempo determinato successivi con l’esistenza di fattori
oggettivi relativi alle peculiarità dell’attività interessata e alle condizioni
del suo esercizio, comporta un rischio concreto di determinare un ricorso
abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e
l’effettività dell’accordo quadro (sentenza Adeneler
e a., cit., punto 72, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 91).
99 Quindi, il fatto di ammettere che una disposizione
nazionale possa, di diritto e senza ulteriore precisazione, giustificare
contratti di lavoro a tempo determinato successivi equivarrebbe ad ignorare la
finalità dell’accordo quadro, consistente nel proteggere i lavoratori
dall’instabilità dell’impiego, ed a svuotare di contenuto il principio secondo
il quale i contratti a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei
rapporti di lavoro (sentenza Adeneler e a.,
cit., punto 73, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 92).
100 Più in particolare, il ricorso a contratti di lavoro
a tempo determinato sulla sola base di una disposizione generale, senza
relazione con il contenuto concreto dell’attività considerata, non consente di
stabilire criteri oggettivi e trasparenti atti a verificare se il rinnovo di
siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, e se esso sia
idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e necessario a tale effetto (v. le
precitate sentenze Adeneler e a., punto 74, e
Del Cerro Alonso, punto 55, nonché l’ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 93).
101 Come risulta dagli atti presentati alla Corte,
tuttavia, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale non
prevede più che il fatto che la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo
determinato sia imposta per legge costituisca una ragione obiettiva atta a
giustificare di pieno diritto il rinnovo senza limiti di un siffatto contratto.
Per contro, sembra che tale normativa stabilisca le circostanze precise e
concrete nelle quali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi possono essere conclusi nel settore pubblico. Infatti, il ricorso a
tali contratti è consentito, rispettivamente, dall’art. 5, n. 2, del
decreto presidenziale 164/2004, per soddisfare «esigenze particolari» che sono
«riconducibili alla forma, al tipo o all’attività dell’impresa», oppure
dall’art. 1 della legge 3250/2004, per soddisfare «esigenze
complementari» relative alla prestazione ai cittadini di «servizi di carattere
sociale», oppure dall’art. 6, n. 1, della legge 2527/1997, per
la realizzazione di opere che non rientrano tra le «funzioni ordinarie dei
dipendenti», oppure, ancora, dall’art. 21, n. 1, della
legge 2190/1994, per far fronte a «fabbisogni di carattere stagionale o ad
altre esigenze di carattere periodico o temporaneo dell’ente interessato».
102 Quindi, la normativa nazionale oggetto del
procedimento principale consente la stipulazione di contratti di lavoro a tempo
determinato essenzialmente al fine di soddisfare esigenze provvisorie, come
rilevato dal medesimo giudice del rinvio nelle proprie questioni. Orbene, si
deve riconoscere che esigenze di questo tipo sono idonee a costituire «ragioni
obiettive» per il rinnovo di tali contratti ai sensi della clausola 5, n. 1,
lett. a), dell’accordo quadro.
103 Tuttavia, come osservato dall’avvocato generale ai
paragrafi 106 e 107 delle sue conclusioni, la circostanza per cui le
disposizioni della normativa nazionale oggetto del procedimento principale
menzionate al punto 101 della presente sentenza forniscono una giustificazione
per il rinnovo dei suddetti contratti o rapporti nei casi in cui, in realtà, le
esigenze a cui essi rispondono hanno di fatto un carattere non già provvisorio,
ma, al contrario, «permanente e durevole», si porrebbe in contrasto con
l’obiettivo perseguito dalla clausola in questione, la quale mira a prevenire
in modo effettivo l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti lavoro a tempo
determinato successivi. (v., per analogia, sentenza Adeneler
e a., cit., punto 88, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 110).
104 Infatti, un tale utilizzo dei contratti o rapporti
di lavoro a tempo determinato sarebbe incompatibile con la premessa sulla quale
si fonda l’accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a
tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro,
mentre i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una
caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e
attività, come si evince dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali
dell’accordo quadro stesso (v. le precitate sentenze Adeneler
e a., punto 61, e Impact, punto 86, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 82).
105 Di conseguenza il beneficio della stabilità
dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori (v.
sentenza Mangold, cit., punto 64), mentre, come
risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro e dal punto 8
delle sue considerazioni generali, i contratti di lavoro a tempo determinato
sono idonei a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei
lavoratori soltanto in alcune circostanze (v. le precitate sentenze Adeneler e a., punto 62, e Impact, punto 87,
nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 83).
106 Quindi, posto che, secondo una costante
giurisprudenza, l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di
raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, nonché il loro dovere, ai
sensi dell’art. 10 CE, di adottare tutti i provvedimenti generali o
particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti
gli organi di detti Stati, ivi compresi, nell’ambito delle rispettive
competenze, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenze 13 novembre
1990, causa C‑106/89, Marleasing,
Racc. pag. I‑4135, punto 8; 18 dicembre 1997, causa C‑129/96,
Inter-Environnement Wallonie,
Racc. pag. I‑7411, punto 40, e 5 ottobre 2004, cause riunite da
C‑397/01 a C‑403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I‑8835,
punto 110), spetta a tutte le autorità dello Stato membro in questione
garantire, nell’ambito delle rispettive competenze, il rispetto della clausola
5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro, verificando in concreto che
la normativa nazionale la quale consente il rinnovo, nel settore pubblico, di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi destinati a
soddisfare esigenze provvisore non sia di fatto
utilizzata per soddisfare esigenze permanenti e durevoli.
107 Si deve pertanto rispondere al giudice del rinvio che
la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro deve essere
interpretata nel senso che essa si oppone a che una normativa nazionale come
quella oggetto del procedimento principale venga applicata dalle autorità dello
Stato membro interessato in un modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro
a tempo determinato successivi nel settore pubblico sia considerato
giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola per la sola
ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni di legge che ne
consentono il rinnovo per soddisfare talune esigenze provvisorie, mentre, in
realtà, tali esigenze sono permanenti e durevoli. Per contro, la medesima
clausola non si applica nel caso di un primo o unico contratto di lavoro a
tempo determinato.
Sulla nozione di «reformatio
in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro
– Sulla
reformatio in peius
riguardante i lavoratori che hanno stipulato per la prima o unica volta un
contratto di lavoro a tempo determinato
108 Mediante la sua questione il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro debba
essere interpretata nel senso che la «reformatio in peius» oggetto di tale clausola debba essere valutata
unicamente in rapporto al livello generale di tutela applicabile nello Stato
membro interessato ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato
successivi, senza prendere in considerazione la tutela applicabile ai
lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.
109 Come si evince dalla decisione di rinvio nella causa
C‑378/07, la suddetta questione è posta con riferimento a una normativa
nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004, che, ad avviso del
giudice del rinvio, stabilisce talune misure di protezione dall’utilizzo
abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato soltanto nei casi in cui
essi abbiano un carattere successivo, quando invece il diritto interno
previgente di cui all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 si
applicava anche nei casi in cui il contratto fosse il primo o unico contratto
di lavoro a tempo determinato stipulato fra le parti.
110 È opportuno ricordare che, ai sensi della clausola
8, n. 3, dell’accordo quadro, «la [sua] applicazione non costituisce un
motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori
nell’ambito coperto dal [medesimo] accordo».
111 Orbene, per quanto riguarda l’ambito disciplinato
dall’accordo quadro, occorre rilevare che il suo preambolo, al primo comma,
specifica che tale accordo mira a contribuire ad «un equilibrio migliore tra la
flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori». A termini
del quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70, che sostanzialmente
riprende il terzo comma di detto preambolo, l’accordo quadro stabilisce a tal
fine «i principi generali e i requisiti minimi per i
contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato». Il quinto comma
del medesimo preambolo specifica altresì che tale accordo «si riferisce alle
condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo determinato».
112 L’accordo quadro, ed in particolare la sua
clausola 8, n. 3, persegue quindi uno scopo che rientra negli
obiettivi fondamentali iscritti all’art. 136, primo comma, CE, come pure
al terzo comma del preambolo del Trattato CE e ai punti 7 e 10, primo
comma, della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori
del 1989, alla quale rinvia la suddetta disposizione del Trattato, e che sono
connessi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alla
parificazione nel progresso, nonché all’esistenza di una protezione sociale
adeguata, nella fattispecie, dei lavoratori a tempo determinato (v., in tal
senso, sentenza Impact, cit., punto 112).
113 Alla luce di tali obiettivi, la clausola 8,
n. 3, dell’accordo quadro non può essere interpretata in modo restrittivo.
114 Orbene, stando alla stessa formulazione della
clausola 2 dell’accordo quadro, esso si applica a ogni lavoratore a tempo
determinato con un contratto o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge,
dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore in ciascuno Stato membro.
115 Ai sensi della clausola 3 dell’accordo quadro de
quo, la nozione di «lavoratore a tempo determinato» indica «una persona con un
contratto o un rapporto di lavoro [a tempo determinato] definiti direttamente
fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da
condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il
completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico».
116 Risulta dunque chiaramente sia dall’obiettivo
perseguito dalla direttiva 1999/70, sia dall’accordo quadro e dalla
formulazione delle pertinenti disposizioni di esso, che, contrariamente a
quanto sostanzialmente sostenuto dal governo greco e dalla Commissione,
l’ambito disciplinato da tale accordo non è limitato ai soli lavoratori con
contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma che, al contrario, si
estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito
di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di
lavoro (sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 28), indipendentemente dal
numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori.
117 Quindi, occorre osservare che la clausola 4
dell’accordo quadro prevede che, per quanto riguarda le condizioni di impiego,
i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno
favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato per il solo fatto di avere un
contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, senza limitare l’ambito
applicativo di tale divieto ai soli contratti di lavoro a tempo determinato
successivi.
118 È pur vero che, dal canto suo, la clausola 5,
n. 1, dell’accordo quadro, che attua a tale riguardo la sua clausola 1,
lett. b), ha per oggetto unicamente l’adozione da parte degli Stati membri
di misure dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo
determinato successivi.
119 Tuttavia, le due clausole da ultimo menzionate non
stabiliscono l’ambito di applicazone di detto
accordo, e, pertanto, non possono avere l’effetto di limitare l’ambito
applicativo della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, la quale,
collocata in una sezione distinta dell’accordo quadro relativa alla sua
attuazione, non compie del resto alcun rinvio né alla clausola 1,
lett. b), dell’accordo quadro, né alla clausola 5, n. 1, di esso.
120 Ne risulta che la verifica dell’esistenza di una «reformatio in peius» ai sensi
della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve effettuarsi in rapporto
all’insieme delle disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative
alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo
determinato.
121 Di conseguenza, occorre rispondere al giudice del
rinvio che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere
interpretata nel senso che occorre valutare la «reformatio
in peius» contemplata da tale clausola in rapporto al
livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato,
sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a
quelli con un primo ed unico contratto a tempo determinato.
– Sulle
modifiche introdotte dalla normativa nazionale di trasposizione rispetto al
diritto interno preesistente
122 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro debba
essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale come il decreto
presidenziale 164/2004, la quale – diversamente da una norma di diritto interno
previgente quale l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920,
costituente, ad avviso di detto giudice, una «norma equivalente» ai sensi della
clausola 5, n. 1, del medesimo accordo – da un lato non prevede più, per
l’ipotesi di ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato
successivi nel settore pubblico, la conversione di questi ultimi in contratti
di lavoro a tempo indeterminato oppure il loro assoggettamento al rispetto di
talune condizioni cumulative e restrittive, e, dall’altro, esclude i lavoratori
che hanno stipulato un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato
dal godimento delle misure di tutela da esso previste.
123 A tale proposito, si deve anzitutto osservare che,
contrariamente a quanto suggerito dal giudice del rinvio nonché dal governo
ellenico e dalla Commissione, l’esistenza di una «reformatio
in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro non deve essere esaminata unicamente in rapporto al livello
di tutela applicabile ai lavoratori a tempo determinato, quale risultante da
una «norma equivalente» ai sensi della clausola 5, n. 1, di detto accordo.
124 Infatti, come ricordato in particolare dai punti 116‑121
della presente sentenza, risulta sia dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva
1999/70 e dall’accordo quadro, sia dalla formulazione della sua clausola 8,
n. 3, che la verifica dell’esistenza di una «reformatio
in peius» ai sensi di detta clausola deve effettuarsi
in rapporto all’insieme delle disposizioni di diritto interno relative ai
contratti di lavoro a tempo determinato. A tale proposito, è irrilevante che
queste disposizioni possano costituire, o meno, «norme
equivalenti» ai sensi della clausola 5, n. 1, di tale accordo, poiché del
resto la clausola 8, n. 3, di esso non rinvia a quest’ultima clausola.
125 Si deve poi ricordare, con riguardo alla portata
della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, che dalla stessa formulazione
di tale clausola risulta che l’applicazione dell’accordo de quo non può
costituire per gli Stati membri un motivo valido per ridurre il livello
generale di tutela in precedenza garantito ai lavoratori nell’ordinamento
giuridico nazionale nel settore disciplinato da tale accordo (sentenza Mangold, cit., punto 50).
126 Ne consegue che una riduzione della tutela offerta
ai lavoratori nel settore dei contratti di lavoro a tempo determinato non è, in
quanto tale, vietata dall’accordo quadro, ma che, per rientrare nel divieto
sancito dalla clausola 8, n. 3, di esso, tale riduzione deve, da un lato,
essere collegata con l’«applicazione» dell’accordo quadro, e, dall’altro, avere
ad oggetto il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato
(v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punto 52).
127 Nel caso di specie, come risulta dagli atti
presentati alla Corte, la reformatio in peius invocata dal giudice del rinvio e dedotta dalle
ricorrenti nei procedimenti principali, in ordine ai lavoratori con contratti
di lavoro successivi discende dalla circostanza che, a differenza
dell’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, il quale, secondo il
giudice del rinvio, consentiva, qualora un contratto di lavoro a tempo
determinato fosse stato stipulato per fronteggiare esigenze permanenti e
durevoli, la sua conversione automatica, con effetto retroattivo, in contratto
a tempo indeterminato, gli artt. 5‑7 del decreto presidenziale
164/2004 di trasposizione della direttiva 1999/70 non prevedono più, per il
settore pubblico, una siffatta possibilità di conversione, ed al contempo
l’art. 11 di detto decreto assoggetta tale possibilità, prevista
unicamente a titolo di disposizione transitoria per taluni contratti successivi
esistenti al momento dell’entrata in vigore di tale decreto, al rispetto di
numerose condizioni restrittive e la priva di effetti retroattivi.
128 Peraltro, per quanto riguarda i lavoratori con un
primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, la reformatio
in peius consisterebbe nel fatto che tali lavoratori,
ai quali si applicavano le misure di tutela derivanti dall’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920, risulterebbero esclusi dall’ambito di
applicazione del decreto presidenziale 164/2004.
129 Occorre in proposito osservare che, dal momento che
l’interpretazione del diritto nazionale spetta esclusivamente ai giudici
nazionali, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 48 della presente
sentenza, è compito di questi ultimi determinare in quale misura le sudette
modifiche, introdotte dal decreto presidenziale 164/2004 rispetto al diritto
nazionale preesistente quale risulta dall’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920, hanno comportato una riduzione della tutela dei
lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, a tal fine comparando
il livello di tutela rispettivamente accordato da ciascuna di queste
disposizioni nazionali.
130 Di contro, spetta, se del caso, alla Corte in sede
di decisione sul rinvio pregiudiziale fornire al giudice del rinvio indicazioni
utili a guidarlo nella sua valutazione sul punto di sapere se detta eventuale
riduzione della tutela dei lavoratori con un contratto di lavoro a tempo
determinato costituisca una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo
quadro. A tal fine, occorre esaminare in quale misura le modifiche introdotte
dalla normativa nazionale volta a recepire la direttiva 1999/70 e l’accordo
quadro siano tali, da un lato, da essere considerate collegate con
l’«applicazione» dell’accordo quadro, e, dall’altro, da riguardare il «livello generale
di tutela» dei lavoratori ai sensi della sua clausola 8, n. 3.
131 Per quanto concerne, in primo luogo, la condizione
del collegamento con l’«applicazione» dell’accordo quadro,
132 Ne consegue che una normativa nazionale quale il
decreto presidenziale n. 164/2004, costituente la seconda misura di
attuazione adottata dallo Stato membro interessato al fine di trasporre la
direttiva 1999/70 e l’accordo quadro, può rientrare nella clausola 8,
n. 3, di detto accordo.
133 Nondimeno, una siffatta normativa non potrebbe
essere considerata contraria a detta clausola nel caso in cui la reformatio in peius che essa
comporta non fosse in alcun modo collegata con l’applicazione dell’accordo
quadro. Ciò avverrebbe qualora detta reformatio in peius fosse
giustificata non già dalla necessità di applicare l’accordo quadro, bensì da
quella di promuovere un altro obiettivo, da essa distinto (v., in tal senso,
sentenza Mangold, cit., punti 52 e 53).
134 Nel caso di specie, per quanto riguarda, da un lato,
la modificazione in ordine alla possibilità di conversione dei contratti di
lavoro a durata determinata, risulta che sin dal 1994, vale a dire circa cinque
anni prima dell’adozione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro,
l’art. 21, n. 2, della legge 2190/1994 già prevedeva il divieto,
assoluto e a pena di nullità, di qualsiasi conversione in contratti di lavoro a
tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nel
settore pubblico in base alla medesima legge (v., a tale proposito, sentenza Adeneler e a., cit., punto 98).
135 Una siffatta disposizione potrebbe indurre a
ritenere che il fatto che il decreto presidenziale 164/2004 non prevede la
possibilità di conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in
contratti di lavoro a tempo indeterminato, oppure la assoggetta a talune
condizioni, sia giustificato non già dalla necessità di applicare l’accordo
quadro, bensì da quella di garantire nel settore pubblico il rispetto dei
procedimenti di assunzione tramite concorso, in tal modo preservando lo statuto
dei dipendenti della pubblica amministrazione ellenica, come sostenuto dalle
convenute nel procedimento principale e dal governo greco.
136 Tuttavia, dalle decisioni di rinvio risulta altresì
che, secondo il giudice adito per le controversie principali, cui spetta
interpretare il diritto nazionale, l’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920 – che a suo avviso consente una siffatta conversione,
anche nel settore pubblico, dei contratti di lavoro a tempo determinato che non
siano giustificati da una ragione obiettiva – era ancora in vigore al momento
dell’adozione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro.
137 Inoltre, come risulta dal quarto ‘considerando’
della direttiva 1999/70, la sua adozione, e quella dell’accordo quadro,
scaturisce da due proposte di direttive presentate dalla Commissione nel 1990
relative a taluni rapporti di lavoro per quanto riguarda le condizioni di
lavoro [proposta di direttiva del Consiglio relativa a determinati rapporti di
lavoro per quanto riguarda le condizioni di lavoro (GU 1990, C 224,
pag. 4)] e le distorsioni di concorrenza [proposta di direttiva del
Consiglio relativa a determinati rapporti di lavoro per quanto riguarda le
distorsioni di concorrenza (GU 1990, C 224, pag. 6, come
modificata (GU 1990, C 305, pag. 8)] sulle quali il Consiglio
non è stato in grado di deliberare. Orbene, occorre rilevare che quest’ultima
proposta già prevedeva, al suo art. 4, l’obbligo degli Stati membri di
adottare misure al fine di evitare che contratti di lavoro a
tempo determinato potessero essere destinati ad assegnare un posto di
lavoro esistente e permanente.
138 In tale contesto, non si può escludere che il fatto
che il decreto presidenziale n. 164/2004 non prevede la conversione dei
contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel
settore pubblico, oppure la assoggetta a determinate condizioni, sia collegato
con l’applicazione dell’accordo quadro, fermo restando che spetta al giudice
del rinvio verificare tale fatto. Così potrebbe essere, a maggior ragione,
poiché, come risulta dal punto 23 della presente sentenza, l’art. 103,
n. 8, della Costituzione della Repubblica ellenica è stato modificato al fine
di vietare in modo assoluto la conversione dei contratti di
lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato
nel settore pubblico in seguito all’entrata in vigore della direttiva 1999/70 e
prima della scadenza del suo termine di trasposizione.
139 Per quanto riguarda, dall’altro lato, la modifica
risultante dall’esclusione dei lavoratori che hanno stipulato un primo o unico
contratto di lavoro a tempo determinato dalla tutela prevista dal decreto
presidenziale 164/2004, si deve ammettere che essa potrebbe essere collegata
con l’applicazione dell’accordo quadro, dato che, stando alla decisione di
rinvio nella causa C‑378/07, tali lavoratori godevano, al momento
dell’adozione della direttiva 1999/70 e di tale accordo, delle misure di tutela
previste all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920. Inoltre, non
risulta da alcun elemento degli atti presentati alla Corte che, nel prevedere
siffatta esclusione, il legislatore nazionale avesse mirato a promuovere un
obiettivo diverso da quello dell’applicazione dell’accordo quadro, circostanza
che, comunque, spetta al giudice del rinvio verificare.
140 Per quanto concerne, in secondo luogo, la condizione
secondo cui la reformatio in peius
deve riguardare il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo
determinato, essa implica che soltanto una reformatio
in peius di ampiezza tale da influenzare
complessivamente la normativa nazionale in materia di contratti di lavoro a
tempo determinato può rientrare nell’ambito applicativo della clausola 8,
n. 3, dell’accordo quadro.
141 Tuttavia, nel caso di specie, per quanto riguarda la
modifica derivante dall’esclusione dei lavoratori che hanno stipulato un primo
o unico contratto di lavoro a tempo determinato dall’ambito di applicazione del
decreto presidenziale 164/2004, sembra che detta modifica non incida su tutti i
lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, ma soltanto su
quelli che, da un lato, operano nel settore pubblico, e, dall’altro, non sono
parti contraenti di contratti di lavoro a tempo determinato successivi.
142 Finanto che questi ultimi lavoratori non rappresentano una
porzione significativa dei lavoratori impiegati a tempo determinato nello Stato
membro in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare,
la riduzione della tutela di cui gode una siffatta, ristretta, categoria di
lavoratori non è di per sé tale da influenzare complessivamente il livello di
tutela applicabile nell’ordinamento giuridico interno ai lavoratori con un
contratto di lavoro a tempo determinato.
143 Quanto alla modifica riguardante la possibilità di
conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro
a tempo indeterminato, occorre osservare che, se è vero che il decreto
presidenziale n. 164/2004 non prevede detta conversione oppure la
assoggetta a condizioni restrittive, esso non soltanto si applica
esclusivamente ai lavoratori operanti nel settore pubblico, ma, inoltre,
applica in detto settore l’insieme delle misure enunciate alla clausola 5, n. 1,
lett. a)‑c), dell’accordo quadro, destinate a prevenire l’utilizzo
abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
144 Orbene, l’adozione di dette misure di prevenzione
degli abusi, fintanto che esse costituiscano, in tutto o in parte, una novità
nell’ordinamento giuridico interno (v., in proposito, sentenza Adeneler e a., cit., punto 100), circostanza che
spetta al giudice del rinvio verificare, è tale da compensare la riduzione di
tutela derivante dall’abrogazione oppure dalla limitazione della sanzione
precedentemente applicabile in caso di abuso, consistente nella conversione del
contratto di lavoro in questione in contratto a tempo indeterminato.
145 Una siffatta evoluzione della normativa nazionale,
nel senso di un rafforzamento delle misure volte a prevenire l’utilizzo abusivo
di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, è del resto conforme
all’obiettivo perseguito dall’accordo quadro. Da un lato, infatti, tale accordo
mira proprio a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di tali contratti,
come si evince dalle sue clausole 1, lett. b), e 5, n. 1 (sentenza Adeneler e a., cit., punto 79, nonché 7 settembre
2006, causa C‑53/04, Marrosu e Sardino, Racc. pag. I‑7213, punto 43). Dall’altro lato, l’accordo quadro de quo non prevede
sanzioni specifiche per il caso in cui siano stati accertati abusi, e, in
particolare, non stabilisce un obbligo generale degli Stati membri di prevedere
la conversione in contratti di lavoro a tempo indeterminato dei contratti a tempo
determinato, così come non stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali
si può fare uso di questi ultimi (v. sentenza Adeneler
e a., cit., punti 91 e 94), lasciando quindi agli Stati membri un
certo margine di discrezionalità in materia (sentenza Marrosu
e Sardino, cit., punto 47). Così, la clausola 5, n. 2, lett. b), di
tale accordo si limita a prevedere che, «se del caso», gli Stati stabiliscono a
quali condizioni i contratti di lavoro a tempo determinato
sono «ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
146 In tale contesto, occorre constatare che le
modifiche introdotte da una normativa nazionale tesa, come quella oggetto del
procedimento principale, a recepire la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro,
non sembrano costituire una «reformatio in peius» del livello generale di tutela dei lavoratori a
tempo determinato ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro nei
limiti in cui esse riguardino una categoria circoscritta di lavoratori con un
contratto di lavoro a tempo determinato oppure siano idonee ad essere
compensate dall’adozione di misure preventive dell’utilizzo abusivo di
contratti di lavoro a tempo determinato successivi, circostanze che spetta al
giudice del rinvio verificare.
147 Ciò nondimeno, l’attuazione dell’accordo quadro deve
effettuarsi nel rispetto delle altre disposizioni di tale accordo.
148 Occorre in proposito ricordare che, secondo il
quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70 ed il terzo comma del
preambolo dell’accordo quadro, quest’ultimo stabilisce i principi generali e i
requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato. Quindi, la clausola 8,
n. 1, dell’accordo quadro autorizza espressamente gli Stati membri e/o le
parti sociali a mantenere o introdurre, per i lavoratori a tempo determinato,
disposizioni più favorevoli di quelle stabilite dal medesimo accordo.
149 Ne risulta che l’attuazione dell’accordo quadro non
può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile nell’ordinamento
giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore
rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste
dall’accordo quadro al fine di evitare la precarizzazione della situazione dei
lavoratori dipendenti (v. citate sentenze Adeneler
e a., punto 63, e Impact, punto 88; v. altresì, per analogia, con riguardo
alla clausola 4 dell’accordo quadro, sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto
27).
150 Con specifico riferimento ai lavoratori con contratti
di lavoro a tempo determinato successivi, l’attuazione dell’accordo quadro deve
quindi essere conforme alle prescrizioni di cui alla sua clausola 5, volte a
prevenire gli abusi nell’utilizzo di tali contratti.
151 Per quanto riguarda l’adozione delle suddette misure
preventive degli abusi, occorre ricordare che la clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante
di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione, qualora il diritto
nazionale non preveda già misure equivalenti (v. sentenze Adeneler
e a., cit., punto 101; Marrosu e Sardino, cit., punto 50; Vassallo, C–180/04,
Racc. pag. I–7251, punto 35, e Impact, cit., punto 70, nonché
ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 124).
152 Orbene, nel caso di specie, è pacifico che gli
artt. 5 e 6 del decreto presidenziale 164/2004 applicano, nel settore
pubblico, l’insieme delle misure destinate a prevenire l’utilizzo abusivo di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi enunciate alla
predetta clausola 5, n. 1, lett. a)‑c).
153 Tuttavia, le ricorrenti nel procedimento principale
sostengono che, dato che il suddetto decreto riconosce come aventi carattere
«successivo» soltanto i contratti di lavoro a tempo determinato separati da un
lasso temporale inferiore ai tre mesi, esso non assicura una prevenzione
efficace dell’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato,
poiché in Grecia tali contratti sono normalmente separati da un lasso temporale
di quattro mesi.
154 A tale riguardo occorre ricordare che l’accordo
quadro enuncia, in particolare alla sua clausola 5, n. 1, lett. a)‑c),
varie misure dirette a prevenire abusi di questo tipo, e che gli Stati membri
sono tenuti ad introdurre almeno una di tali misure nel loro ordinamento
interno. Per il resto, il n. 2 di tale clausola lascia in linea di
principio agli Stati membri la cura di stabilire a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato
vengono considerati, da un lato, come successivi e, dall’altro, come conclusi a
tempo indeterminato (sentenza Adeneler e a.,
cit., punti 80 e 81, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punti 103 e 104).
155 Anche se un siffatto rinvio alle autorità nazionali
per la definizione delle modalità concrete di applicazione dei termini
«successivi» e «a tempo indeterminato» ai sensi dell’accordo quadro si spiega
con la volontà di rispettare la diversità delle normative nazionali in materia,
occorre comunque ricordare che la discrezionalità così lasciata agli Stati
membri non è illimitata, poiché non può comunque giungere a pregiudicare lo
scopo o l’effettività dell’accordo quadro (sentenza Adeneler
e a., cit., punto 82, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 105).
156 Così,
157 Di contro,
158 Per quanto riguarda, poi, la repressione degli
abusi, occorre ricordare che qualora, come nel caso di specie, il diritto
comunitario non preveda sanzioni specifiche nelle ipotesi in cui non siano
stati nemmeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure
adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire
un carattere non soltanto proporzionato, ma anche abbastanza effettivo e
dissuasivo da garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione
dell’accordo quadro (v. citate sentenze Adeneler
e a., punto 94; Marrosu e Sardino,
punto 51, nonché Vassallo, punto 36, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 125).
159 Seppure in mancanza di una specifica disciplina
comunitaria in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino
all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio
dell’autonomia processuale di questi ultimi, esse non devono, però, essere meno
favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna
(principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico
comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, citate sentenze Adeneler e a., punto 95; Marrosu
e Sardino, punto 52, e Vassallo, punto 37, nonché
ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 126).
160 Ne consegue che, qualora si sia verificato un
ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, si deve
poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di
tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare
le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Difatti, secondo i
termini stessi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli
Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere
sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla [stessa] direttiva»
(citate sentenze Adeneler e a., punto 102; Marrosu e Sardino, punto 53, e
Vassallo, punto 38, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 127).
161 Ne consegue che, sebbene uno Stato membro come
quello di cui al procedimento principale abbia il diritto di non prevedere la
conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo
indeterminato quale sanzione in caso di mancato rispetto delle misure
preventive sancite dalla normativa nazionale di trasposizione della clausola 5,
n. 1, dell’accordo quadro, come risulta dal punto 144 della presente
sentenza, detto Stato deve comunque assicurarsi che le altre sanzioni adottate
dalla medesima normativa abbiano un carattere sufficientemente efficace e
dissuasivo da garantire la piena effettività di dette misure preventive (v., in
tal senso, le precitate sentenze Adeneler e a.,
punto 105; Marrosu e Sardino,
punto 49, e Vassallo, punto 34, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 123).
162 Nel caso di specie, le ricorrenti nel procedimento
principale sostengono, in primo luogo, che le sanzioni di cui all’art. 7
del decreto presidenziale 164/2004 non possono essere considerate tali da avere
un carattere efficace e dissuasivo. Infatti, da un lato, il pagamento di uno
stipendio e di un’indennità di licenziamento previsto al n. 2 di tale
disposizione non sarebbe affatto inteso a prevenire il ricorso abusivo a
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, bensì
costituirebbe la sanzione prevista dal diritto comune del lavoro. Dall’altro,
le sanzioni penali e disciplinari di cui al n. 3 di detto art. 7 già
esistevano, e, per di più, erano risultate totalmente inefficaci in Grecia.
Inoltre, nella prassi, tali sanzioni non sarebbero state applicate a numerose
categorie di lavoratori impiegati a tempo determinato, come quelli vincolati da
contratti d’opera o da contratti di lavoro stipulati in base alla
legge 2190/1994.
163 A tale riguardo, occorre ricordare che non spetta
alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale, poiché tale
compito spetta esclusivamente al giudice del rinvio o, eventualmente, ai
giudici nazionali competenti, i quali devono determinare se i requisiti
ricordati ai punti 158‑160 siano soddisfatti dalle disposizioni della
normativa nazionale applicabile (v., in particolare, sentenza Vassallo, cit.,
punto 39, nonché ordinanza Vassilakis e a.,
cit., punto 134).
164 Spetta dunque al giudice del rinvio valutare in
quale misura le condizioni di applicazione nonché l’applicazione concreta delle
pertinenti disposizioni di diritto interno ne facciano uno strumento adeguato a
sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di
contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (v., in tal
senso, citate sentenze Vassallo, punto 41, e Marrosu
e Sardino, punto 56, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 135).
165 A tale proposito, come osservato dall’avvocato
generale al paragrafo 92 delle sue conclusioni, spetta in particolare al
giudice del rinvio accertarsi che i lavoratori i quali hanno subito un abuso in
conseguenza dell’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi
non siano dissuasi dal far valere dinanzi alle autorità nazionali, ivi incluse
quelle giurisdizionali, i diritti loro conferiti dalla normativa nazionale
nell’ambito dell’attuazione di tutte le misure preventive di cui alla clausola
5, n. 1, dell’accordo quadro, nella speranza di continuare a lavorare nel
settore pubblico, come dedotto dalle ricorrenti nel procedimento principale.
166 Oltre a ciò, il giudice del rinvio deve accertarsi
che tutti i lavoratori impiegati «a tempo determinato» ai sensi della clausola
3, n. 1, dell’accordo quadro possano vedere applicate, nei confronti dei
rispettivi datori di lavoro, le sanzioni previste dal decreto presidenziale
164/2004 qualora abbiano subito un abuso in conseguenza dell’utilizzo di
contratti successivi, e ciò indipendentemente dalla qualificazione del loro
contratto secondo il diritto interno.
167 In secondo luogo, le ricorrenti nel procedimento
principale sostengono che l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004, il
quale prevede, in via transitoria, la possibilità di convertire in contratti di
lavoro a tempo indeterminato taluni contratti a tempo determinato successivi in
corso alla data di entrata in vigore dello stesso decreto o scaduti nel corso
degli ultimi tre mesi precedenti ad essa, non rappresenti una sanzione
adeguata, considerato il carattere restrittivo e cumulativo delle condizioni
imposte dalla stessa disposizione. A tale proposito, le suddette ricorrenti
adducono altresì vari problemi concernenti il funzionamento del procedimento
dinanzi all’ASEP, vale a dire l’autorità amministrativa competente a statuire
su una richiesta di conversione. Tali difficoltà risulterebbero, segnatamente,
dai termini impartiti a quest’ultima per decidere e dal fatto che l’intervento
dei giudici amministrativi nel contenzioso relativo all’applicazione di tale
art. 11, derivante dalla competenza dell’ASEP, rimetterebbe in questione
la stessa competenza dei giudici civili a dirimere le controversie di cui
all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920.
168 Per quanto concerne le condizioni a cui
l’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004 assoggetta la possibilità di
conversione dei contratti a tempo determinato, occorre ricordare, relativamente
alla necessità di un lasso temporale inferiore a tre mesi tra tali contratti,
che una siffatta necessità non contrasta, in via di principio, con la clausola
5, n. 1, dell’accordo quadro, come si è già rilevato al punto 157 della
presente sentenza.
169 Quanto alle condizioni poste dal suddetto
art. 11 circa la durata minima totale dei contratti e il numero dei loro
rinnovi, non risulta con chiarezza dagli atti presentati alla Corte in quale
misura essi sarebbero tali da compromettere l’obiettivo perseguito dall’accordo
quadro. A tale proposito occorre sottolineare che la sola circostanza per cui
la conversione prevista dalla menzionata disposizione non avviene con effetto
retroattivo non appare, di per sé, idonea a privare detta sanzione della sua
effettività, dato che essa comporta in ogni caso la sostituzione di un rapporto
a tempo determinato con un rapporto a tempo indeterminato, e, quindi, la eliminazione di una situazione precaria in favore di una
maggiore stabilità nei rapporti di lavoro.
170 Quanto alla circostanza fatta valere dalle
ricorrenti nel procedimento principale secondo cui, stanti le condizioni
cumulative poste dall’art. 11 del decreto presidenziale 164/2004,
determinati contratti di lavoro a tempo determinato stipulati o rinnovati
abusivamente nel settore pubblico prima dell’entrata in vigore di detto decreto
eluderebbero ogni sanzione, occorre ricordare che, in una siffatta situazione,
si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed
equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tali
abusi e di eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario.
Di conseguenza, qualora l’ordinamento giuridico dello Stato membro in questione
non comporti, per il periodo considerato, altre misure efficaci a tale scopo,
ad esempio perché le sanzioni previste all’art. 7 di detto decreto non
sono applicabili ratione temporis,
la conversione dei contratti di lavoro a tempo determinato
in contratti di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 8,
n. 3, della legge 2112/1920 potrebbe rappresentare una misura in tal
senso, come sostenuto dalla ricorrente nel procedimento principale nella causa
C‑379/07 (v., in tal senso, sentenza Adeneler
e a., cit., punti 98‑105, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punti 129‑137).
171 Tuttavia, spetta alle autorità e ai giudici
nazionali, competenti per l’attuazione delle misure di trasposizione della
direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro, e, quindi, chiamati a pronunciarsi
sulla qualificazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi,
verificare di volta in volta, alla luce di tutte le circostanze del caso
concreto, se le misure previste all’art. 11 del decreto presidenziale
164/2004 siano idonee a sanzionare debitamente gli eventuali utilizzi abusivi
di contratti di lavoro a tempo determinato commessi prima dell’entrata in
vigore dello stesso decreto e, in tal modo, ad eliminare le conseguenze della
violazione del diritto comunitario.
172 Relativamente alla procedura a tal fine prevista dal
diritto nazionale, occorre rilevare che, in forza della clausola 8, n. 5,
dell’accordo quadro, la prevenzione nonché la soluzione delle controversie e
dei ricorsi scaturiti dall’applicazione dell’accordo medesimo dovranno
procedere in conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi
nazionali (ordinanza Vassilakis e a., cit.,
punto 140).
173 Conformemente a una giurisprudenza costante, in
mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento
giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e
stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei
diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (sentenza Impact,
cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 141).
174 Come si evince dai punti 158 e 159 della presente
sentenza, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate al fine di
garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo
quadro. Le modalità di applicazione di tali norme, che spettano all’ordinamento
giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia
processuale nazionale, devono essere conformi ai principi di equivalenza e di
effettività (ordinanza Vassilakis e a., cit.,
punto 142).
175 Orbene,
176 Spetta tuttavia al giudice del rinvio, e non alla Corte,
verificare che lo Stato membro in questione abbia adottato tutte le misure
necessarie a consentirgli, da un lato, di essere in qualsiasi momento in grado
di garantire i risultati imposti dalla direttiva 1999/70, e, dall’altro, di
prevedere che le modalità di applicazione delle norme di recepimento
dell’accordo quadro, modalità che rientrano nell’ambito del suo ordinamento
giuridico interno in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati
membri, assicurino la garanzia del diritto a una tutela giurisdizionale
effettiva, nel rispetto dei principi di effettività e di equivalenza (v., in
particolare, ordinanza Vassilakis e a., cit.,
punto 149 e giurisprudenza ivi citata).
177 Alla luce di quanto precede, occorre quindi
rispondere al giudice del rinvio che la clausola 8, n. 3, dell’accordo
quadro deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa
nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004, che – a differenza di una
norma di diritto interno previgente quale l’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920 – da un lato, non prevede più, per l’ipotesi di ricorso
abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, la
conversione di questi ultimi in contratti di lavoro a tempo indeterminato
oppure condiziona quest’ultima al rispetto di talune condizioni cumulative e
restrittive, e, dall’altro, esclude i lavoratori con un primo o unico contratto
di lavoro a tempo determinato dal godimento delle misure di tutela da esso
previste, dal momento che siffatte modifiche riguardano una categoria
circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato
oppure sono compensate dall’adozione di misure preventive dell’utilizzo abusivo
di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell’art. 5, n. 1,
del suddetto accordo quadro, ciò che spetta a tale giudice verificare.
178 Tuttavia, l’attuazione dell’accordo quadro ad opera
di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004 non
può comportare la riduzione della tutela in precedenza applicabile
nell’ordinamento giuridico interno ai lavoratori a tempo determinato ad un
livello inferiore rispetto a quello determinato dalle disposizioni di tutela
minima previste dall’accordo quadro. In particolare, la clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro impone che detta normativa
preveda, per quanto riguarda l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo
determinato successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un
siffatto utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente
efficace e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure
preventive. Spetta quindi al giudice del rinvio verificare che i suddetti
requisiti siano soddisfatti.
Sul divieto assoluto, nel settore pubblico, di
conversione di contratti di lavoro a tempo determinato
in contratti a tempo indeterminato
179 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se l’accordo quadro debba essere interpretato nel senso che
osta all’applicazione di una normativa nazionale che vieta, nel settore
pubblico, di convertire in contratti a tempo indeterminato taluni contratti a
tempo determinato intesi, di fatto, a soddisfare esigenze permanenti e durevoli
del datore di lavoro.
180 Dalle ordinanze di rinvio risulta che, secondo il
giudice investito delle cause principali, tale divieto assoluto di qualsivoglia
conversione sarebbe oggi previsto non più soltanto dall’art. 21 della
legge 2190/94, ma anche dall’art. 103, n. 8, della Costituzione
della Repubblica ellenica, come modificato il 7 aprile 2001.
181 A prescindere dalla natura delle disposizioni del
diritto greco che vietano la conversione di contratti di lavoro a tempo
determinato successivi in contratti a tempo indeterminato, occorre anzitutto
rilevare, riguardo alla parte in cui la presente questione ha ad oggetto la
stipulazione di un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, che
l’accordo quadro non obbliga gli Stati membri ad adottare misure per sanzionare
l’utilizzo abusivo di un contratto di questo tipo, risultante dal fatto che
esso, in realtà, soddisfa esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro,
come si è già rilevato al punto 90 della presente sentenza. Infatti, tale
contratto non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro, la quale verte unicamente sulla
prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo
determinato successivi (sentenza Mangold, cit., punti
41‑43).
182 Quanto alla parte in cui la presente questione ha ad
oggetto contratti di lavoro a tempo determinato successivi, occorre osservare
che detta questione è identica ad altra questione sulla quale
183 Dalla suddetta giurisprudenza risulta che, dal
momento che la clausola 5 dell’accordo quadro non sancisce un obbligo generale
degli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratti a tempo
indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come non
stabilisce nemmeno le condizioni precise alle quali si può fare uso di questi
ultimi (sentenza Adeneler e a., cit.,
punto 91), essa lascia agli Stati membri un certo margine di
discrezionalità in materia (sentenza Marrosu e
Sardino, cit., punto 47, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 121).
184 Tuttavia, come si è già rilevato al punto 161
della presente sentenza, affinché una normativa nazionale che vieta in modo
assoluto, nel settore pubblico, la conversione in un contratto di lavoro a
tempo indeterminato di contratti di lavoro a tempo determinato successivi
destinati, di fatto, a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di
lavoro, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento
giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale
settore, un’altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare,
l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi (v.,
in tal senso, le precitate sentenze Adeneler
e a., punto 105; Marrosu e Sardino,
punto 49, e Vassallo, punto 34, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 123).
185 Occorre ricordare che, come risulta in particolare
dai punti 79‑82 e 93 della presente sentenza, la clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante
di almeno una delle misure enumerate in tale disposizione e dirette a prevenire
l’utilizzo abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti (v.
le precitate sentenze Marrosu e Sardino,
punto 50, e Vassallo, punto 35, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 124).
186 Inoltre, qualora, come nel caso di specie, il
diritto comunitario non preveda sanzioni specifiche nelle ipotesi in cui
tuttavia siano stati accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare
misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma anche
abbastanza effettivo e dissuasivo da garantire la piena efficacia delle norme
adottate in attuazione dell’accordo quadro, conformemente alle necessità
rilevate ai punti 158‑160 della presente sentenza (precitate sentenze Adeneler e a., punto 94; Marrosu
e Sardino, punto 51, e Vassallo, punto 36, nonché
ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 125).
187 Nel caso di specie, occorre rilevare che la
normativa nazionale oggetto della causa principale prevede norme imperative
relative alla durata e al rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato
volte a garantire l’applicazione delle tre misure preventive enumerate alla
clausola 5, n. 1, lett. a)‑c), dell’accordo quadro. Detta
normativa prevede altresì che, qualora sia stato accertato un ricorso abusivo a
contratti di lavoro a tempo determinato successivi, il lavoratore danneggiato
ha diritto al pagamento della retribuzione dovuta e dell’indennità di
licenziamento, mentre l’autore della violazione può essere sanzionato in via
penale e disciplinare. D’altronde, detta normativa prevede che taluni contratti di lavoro a tempo determinato in corso alla
sua data di entrata in vigore, oppure scaduti poco prima di tale data, possono
essere convertiti, a certe condizioni, in contratti a tempo determinato.
188 Sebbene una normativa siffatta parrebbe poter
soddisfare i requisiti richiamati ai punti 158‑160 della presente
sentenza (v., in tal senso, le precitate sentenze Marrosu
e Sardino, punto 55, e Vassallo, cit., punto 40;
nonché ordinanza Vassilakis e a., cit., punto
128), spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare in quale misura le
condizioni di applicazione nonché l’attuazione effettiva delle pertinenti
disposizioni di diritto interno ne facciano uno strumento adeguato a prevenire
e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica
amministrazione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi, come risulta dai punti 162‑176 della presente sentenza (v. le
precitate sentenze Vassallo, punto 41, e Marrosu e Sardino, punto 56, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 135).
189 Si deve quindi rispondere al giudice del rinvio che,
in circostanze come quelle delle cause principali, l’accordo quadro deve essere
interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento giuridico interno dello Stato
membro interessato preveda, nel settore in questione, altre misure effettive
per evitare, ed eventualmente sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di
lavoro a tempo determinato successivi ai sensi della clausola 5, n. 1, di
detto accordo, esso non osta all’applicazione di una norma di diritto nazionale
che vieti in modo assoluto, nel solo settore pubblico, la conversione in un
contratto di lavoro a tempo indeterminato di contratti di lavoro a tempo
determinato successivi che, in quanto destinati a soddisfare esigenze
permanenti e durevoli del datore di lavoro, devono essere considerati abusivi.
Spetta tuttavia al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di
applicazione nonché l’applicazione effettiva delle pertinenti disposizioni di
diritto interno ne fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a
sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di
contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
190 Per contro, poiché la clausola 5, n. 1,
dell’accordo quadro non si applica ai lavoratori con un primo o unico contratto
di lavoro a tempo determinato, essa non obbliga gli Stati membri ad adottare
sanzioni nel caso in cui un siffatto contratto soddisfi, in realtà, esigenze
permanenti e durevoli del datore di lavoro.
Sulle conseguenze derivanti per i giudici
nazionali dall’interpretazione delle clausole 5, n. 1 e 8, n. 1,
dell’accordo quadro
191 Mediante le sue questioni, il giudice del rinvio
chiede in sostanza se, in forza del diritto comunitario, egli sia tenuto ad
escludere l’applicazione di una normativa nazionale quale il decreto presidenziale
164/2004 di cui al procedimento principale qualora essa contrasti con le
disposizioni dell’accordo quadro, e ad applicare al suo posto una «norma
equivalente» come quella prevista all’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920.
192 Alla luce delle soluzioni fornite alle altre
questioni, la questione in parola riveste un carattere rilevante per il giudice
del rinvio nell’ipotesi in cui esso, in linea con quanto affermato ai punti 103‑106
nonché 147‑176 della presente sentenza, dovesse pervenire alla conclusione
che la normativa nazionale, come interpretata o applicata dalle autorità
nazionali, eventualmente non comporti misure effettive destinate ad evitare e,
se del caso, a sanzionare, l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo
determinato successivi da parte di datori di lavoro appartenenti al settore
pubblico, così violando la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, nonché
nell’eventuale ipotesi in cui detto giudice dovesse concludere, in linea con
quanto affermato ai punti 138‑139 e 146 della presente sentenza, che il
decreto presidenziale n. 164/2004 costituisce una reformatio
in peius del livello generale di tutela dei
lavoratori a tempo determinato giustificata dalla necessità di attuare
l’accordo quadro, in violazione dell’art. 8, n. 3, di quest’ultimo.
193 Al fine di rispondere alla questione posta, occorre
ricordare che risulta da una giurisprudenza costante che, in tutti i casi in
cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale,
incondizionate e sufficientemente precise, esse possono essere invocate dai
singoli nei confronti dello Stato, anche in qualità di datore di lavoro (v.,
segnatamente, in tal senso, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall,
Racc. pag. 723, punti 46 e 49, nonché 20 marzo 2003, causa C‑187/00,
Kutz-Bauer, Racc. pag. I‑2741,
punti 69 e 71).
194 Ciò avviene, secondo la giurisprudenza, in tutti i
casi in cui non è effettivamente garantita la piena applicazione di tale
direttiva, vale a dire non soltanto nel caso di mancata o inesatta
trasposizione di quest’ultima, ma anche nel caso in cui le misure nazionali che
recepiscono correttamente la direttiva in questione non vengano applicate in
modo tale da conseguire il risultato che essa si prefigge (sentenza
11 luglio 2002, causa C‑62/00, Marks
& Spencer, Racc. pag. I‑6325, punto 27).
195 Come ha già statuito
– Sulla
clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
196 Occorre ricordare che
197 Tuttavia, come risulta da una giurisprudenza
costante, nell’applicare il diritto interno i giudici nazionali sono tenuti ad
interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della
direttiva in questione, così da conseguire il risultato perseguito da
quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE.
Siffatto obbligo d’interpretazione conforme riguarda l’insieme delle disposizioni
del diritto nazionale, sia anteriori che posteriori alla direttiva di cui
trattasi (v., in particolare, sentenza Adeneler
e a., cit., punto 108, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 56).
198 L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto
nazionale attiene infatti al sistema del Trattato, in quanto permette ai
giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la
piena efficacia del diritto comunitario quando risolvono le controversie ad
essi sottoposte (v., in particolare, sentenza Adeneler
e a., cit., punto 109, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit., punto 57).
199 È ben vero che l’obbligo per il giudice nazionale di
fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e
nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto nazionale trova i suoi
limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli della
certezza del diritto e dell’irretroattività, e non può servire a fondare
un’interpretazione contra legem del diritto nazionale
(v. le precitate sentenze Adeneler e a.,
punto 110, e Impact, punto 100, nonché ordinanza Vassilakis
e a., cit. punto 58).
200 Tuttavia, il principio di interpretazione conforme
esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro
potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed
applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di
garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire ad
una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (v. citate
sentenze Adeneler e a., punto 111, e Impact,
punto 101, nonché ordinanza Vassilakis e a.,
cit., punto 59).
201 Come
202 Peraltro, nel caso in cui il risultato prescritto da
una direttiva non possa essere conseguito mediante interpretazione, occorre
ricordare che, secondo la sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90
e C‑9/90, Francovich e a.
(Racc. pag. I‑5357, punto 39), il diritto comunitario impone
agli Stati membri di risarcire i danni da essi causati ai singoli a causa della
mancata attuazione di tale direttiva, purché siano soddisfatte tre condizioni.
Anzitutto, la direttiva in questione deve avere lo scopo di attribuire diritti
a favore dei singoli. Deve essere, poi, possibile individuare il contenuto di
tali diritti sulla base delle disposizioni di detta direttiva. Infine, deve
sussistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello
Stato membro e il danno subito (v. sentenza 14 luglio 1994, causa C‑91/92,
Faccini Dori, Racc. pag. I‑3325, punto 27, nonché
ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 60).
203 Nel caso di specie spetta pertanto al giudice del
rinvio, nei limiti del suo potere e qualora si sia verificato un utilizzo
abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, interpretare ed
applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo da sanzionare
debitamente il suddetto abuso e da eliminare le conseguenze della violazione
del diritto comunitario. In tale contesto, spetta a tale giudice valutare se le
disposizioni dell’art. 8, n 3, della legge 2112/1920 possano,
eventualmente, trovare applicazione ai fini di siffatta interpretazione
conforme.
204 Quanto all’incidenza, a tale riguardo, della
circostanza che l’art. 103, n. 8, della Costituzione della Repubblica
ellenica è stato modificato successivamente all’entrata in vigore della
direttiva 1999/70 e prima della scadenza del termine per la sua trasposizione,
allo scopo di vietare in modo assoluto, nel settore pubblico, la conversione di
contratti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, è
sufficiente ricordare che una direttiva produce effetti giuridici nei confronti
dello Stato membro destinatario – e pertanto di tutti gli organi nazionali – a
seguito della sua pubblicazione o dalla data della sua notifica, a seconda dei
casi (v. sentenza Adeneler e a., cit., punto
119, nonché ordinanza Vassilakis e a., cit.,
punto 67).
205 Nel caso di specie, l’art. 3 della direttiva
1999/70 specifica che essa entra in vigore il giorno della sua pubblicazione
nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, vale a dire il 10
luglio 1999.
206 Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte,
dall’applicazione combinata degli artt. 10, secondo comma, CE e 249, terzo
comma, CE con la direttiva in questione risulta che, in pendenza del termine
per la trasposizione di una direttiva, gli Stati membri destinatari di essa
devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere
gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (sentenze Inter-Environnement Wallonie,
cit., punto 45; 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL,
Racc. pag. I‑4431, punto 58, e Mangold,
cit., punto 67). A questo proposito poco rileva il fatto che la norma di
diritto nazionale in parola, adottata dopo l’entrata in vigore della direttiva
di cui trattasi, sia o meno finalizzata al recepimento di tale direttiva
(sentenza Adeneler e a., cit., punto 121, nonché
ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 69).
207 Ne consegue che tutte le autorità degli Stati membri
sono soggette all’obbligo di garantire la piena efficacia delle disposizioni
del diritto comunitario (v. sentenze Francovich
e a., cit., punto 32; 13 gennaio 2004, causa C‑453/00, Kühne & Heitz,
Racc. pag. I‑837, punto 20, nonché Pfeiffer e a., cit.,
punto 111), anche quando tali autorità modificano la loro Costituzione.
– Sulla
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro
208 Con riguardo alla clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro, occorre ricordare che, come rilevato al punto 126 della
presente sentenza, detta clausola non vieta qualsiasi riduzione del livello di
tutela dei lavoratori a tempo determinato, bensì unicamente quelle che, da un
lato, sono giustificate dalla necessità di «attuare» tale accordo, e,
dall’altro, hanno ad oggetto il «livello generale di tutela» dei lavoratori a
tempo determinato.
209 Ne consegue, in primo luogo, che la clausola 8,
n. 3, dell’accordo quadro, come risulta dalla rubrica della clausola
stessa, verte sulla sola «attuazione» di tale accordo da parte degli Stati
membri e/o delle parti sociali, obbligati a recepirlo nell’ordinamento
giuridico interno, vietando loro, come è stato rilevato al punto 133 della
presente sentenza, di giustificare all’atto di tale recepimento una reformatio in peius del livello
generale di tutela dei lavoratori mediante la necessità di applicare l’accordo
quadro de quo.
210 In secondo luogo, il fatto che la clausola 8,
n. 3, dell’accordo quadro si limiti a vietare, stando alla sua
formulazione, di «ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori
nell’ambito coperto dal [presente accordo]», comporta che soltanto una reformatio in peius di ampiezza
tale da influenzare complessivamente la normativa nazionale in materia di
contratti di lavoro a tempo determinato è idonea a ricadere nel suo ambito
applicativo, come risulta dal punto 140 della presente sentenza. Orbene, i
singoli non potrebbero fondare sul descritto divieto un diritto dal contenuto
sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato.
211 Ne consegue che la clausola 8, n. 3,
dell’accordo quadro non soddisfa i requisiti per produrre un effetto diretto.
212 In tale contesto, spetta ai giudici nazionali
interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto più possibile in modo
da consentirne un’applicazione conforme alle finalità perseguite dall’accordo
quadro (v., per analogia, la giurisprudenza citata ai punti 197‑200 della
presente sentenza).
213 Considerato quanto precede, si deve rispondere al
giudice del rinvio che esso è tenuto ad interpretare le pertinenti disposizioni
di diritto interno in modo quanto più possibile conforme alle clausole 5,
n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro, nonché a stabilire, in tale
contesto, se una «norma equivalente» ai sensi della prima di tali clausole,
come quella prevista all’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920,
debba essere applicata ai procedimenti principali al posto di certe altre disposizioni
di diritto interno.
Sulle spese
214 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi
1) La
clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
stipulato il 18 marzo 1999, figurante nell’allegato alla direttiva del
Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES,
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel
senso che essa non osta all’adozione, da parte di uno Stato membro, di una normativa
nazionale quale il decreto presidenziale n. 164/2004, recante disposizioni
riguardanti i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato nel settore
pubblico, che, al fine di recepire la direttiva 1999/70 specificamente nel
settore pubblico, prevede l’applicazione delle misure preventive dell’utilizzo
abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi
indicate al n. 1, lett. a)‑c), di detta clausola, qualora nel
diritto interno esista già una «norma equivalente» ai sensi della medesima
clausola, come l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920, relativa
al recesso obbligatorio dal contratto di lavoro degli impiegati del settore
privato, circostanza che compete al giudice del rinvio verificare, a condizione
però che detta normativa, da un lato, non comprometta l’effettività della
prevenzione dell’utilizzo abusivo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo
determinato, come derivante dalla suddetta norma equivalente, e, dall’altro,
rispetti il diritto comunitario ed in particolare la clausola 8, n. 3, di
detto accordo.
2) La
clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato deve essere interpretata nel senso che essa si oppone a che una
normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale venga
applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in un modo tale che il
rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore
pubblico sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale
clausola per la sola ragione che detti contratti sono fondati su disposizioni
di legge che ne consentono il rinnovo per soddisfare talune esigenze
provvisorie, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durevoli. Per
contro, la medesima clausola non si applica nel caso di un primo o unico
contratto di lavoro a tempo determinato.
3) La
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve
essere interpretata nel senso che occorre valutare la «reformatio
in peius» contemplata da tale clausola in rapporto al
livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato,
sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a
quelli con un primo ed unico contratto di lavoro a tempo determinato.
4) La
clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve
essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale quale
il decreto presidenziale 164/2004, che – a differenza di una norma di diritto
interno previgente quale l’art. 8, n. 3, della legge 2112/1920 –
da un lato, non prevede più, per l’ipotesi di ricorso abusivo a contratti di
lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, la conversione di questi
ultimi in contratti di lavoro a tempo indeterminato oppure condiziona
quest’ultima al rispetto di talune condizioni cumulative e restrittive, e,
dall’altro, esclude i lavoratori con un primo o unico contratto di lavoro a
tempo determinato dal godimento delle misure di tutela da esso previste, dal
momento che siffatte modifiche riguardano una categoria circoscritta di
lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato oppure sono
compensate dall’adozione di misure preventive dell’utilizzo abusivo di
contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell’art. 5, n. 1,
del suddetto accordo quadro, ciò che spetta a tale giudice verificare.
Tuttavia, l’attuazione di
detto accordo quadro ad opera di una normativa
nazionale quale il decreto presidenziale 164/2004 non può comportare la
riduzione della tutela in precedenza applicabile nell’ordinamento giuridico
interno ai lavoratori a tempo determinato ad un livello inferiore rispetto a
quello determinato dalle disposizioni di tutela minima previste dal medesimo
accordo quadro. In particolare, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro
impone che detta normativa preveda, per quanto
riguarda l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato
successivi, misure effettive e vincolanti di prevenzione di un siffatto
utilizzo abusivo, nonché sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace
e dissuasivo da garantire la piena effettività di tali misure preventive.
Spetta quindi al giudice del rinvio verificare che i suddetti requisiti siano
soddisfatti.
5) In
circostanze come quelle delle cause principali, l’accordo quadro sul lavoro a
tempo determinato deve essere interpretato nel senso che, qualora l’ordinamento
giuridico interno dello Stato membro interessato preveda, nel settore in
questione, altre misure effettive per evitare, ed eventualmente sanzionare,
l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi ai
sensi della clausola 5, n. 1, di detto accordo, esso non osta
all’applicazione di una norma di diritto nazionale che vieti in modo assoluto,
nel solo settore pubblico, la conversione in un contratto di lavoro a tempo
indeterminato di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che, in
quanto destinati a soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di
lavoro, devono essere considerati abusivi. Spetta tuttavia al giudice del
rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché
l’applicazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno ne
fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare
l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di contratti o di
rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.
Per contro, poiché la
clausola 5, n. 1, di tale accordo quadro non si applica ai lavoratori con
un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato, essa non obbliga gli
Stati membri ad adottare sanzioni nel caso in cui un siffatto contratto
soddisfi, in realtà, esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro.
6) Il
giudice del rinvio è tenuto a interpretare le pertinenti disposizioni di
diritto interno in modo quanto più possibile conforme alle clausole 5,
n. 1, e 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,
nonché a stabilire, in tale contesto, se una «norma equivalente» ai sensi della
prima di tali clausole, come quella prevista all’art. 8, n. 3, della
legge 2112/1920, debba essere applicata ai procedimenti principali al
posto di certe altre disposizioni di diritto interno.
(Seguono le firme)