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Corte di Giustizia delle Comunità europee (Quinta Sezione), 4 giugno 1992

 

C-13/91 e C-113/91, Procedimento penale a carico di  Michel Debus

 

 

 

Nei procedimenti riuniti C-13/91 e C-113/91,

 

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CEE, dalle Preture circondariali di Pordenone (causa C-13/91) e di Vigevano (causa C-113/91) nei procedimenti penali dinanzi ad esse pendenti contro

 

 

Michel Debus,

 

in veste di rappresentante legale della società Brasserie Fischer SA,

 

 

domanda vertente sull' interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE,

 

 

 

LA CORTE (Quinta Sezione),

 

composta dai signori R. Joliet, presidente di sezione, F. Grévisse, J.C. Moitinho de Almeida, G.C. Rodríguez Iglesias e M. Zuleeg, giudici,

avvocato generale: W. Van Gerven

cancelliere: H.A. Ruehl, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate

° per il governo olandese, dal signor B.R. Bot, Segretario generale presso il ministero degli Affari esteri,

° per il governo italiano, dal prof. Luigi Ferrari Bravo, capo del servizio del contenzioso diplomatico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dal signor Ivo M. Braguglia, avvocato dello Stato,

° per la Commissione delle Comunità europee, dal signor Antonio Aresu, membro del servizio giuridico, in qualità di agente,

 

vista la relazione d' udienza,

 

sentite le osservazioni orali del signor Debus, rappresentato dall' avv. Pierre Soler Couteaux, del foro di Strasburgo, del governo olandese, rappresentato dal signor J.W. De Zwaan, viceconsigliere giuridico presso il ministero degli Affari esteri, del governo italiano e della Commissione all' udienza del 13 febbraio 1992,

 

sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 24 marzo 1992,

 

ha pronunciato la seguente

 

 

Sentenza

 

 

Motivazione della sentenza

 

1 Con ordinanze 9 gennaio 1991 e 25 marzo 1991, pervenute in cancelleria rispettivamente il 16 gennaio 1991 e il 12 aprile 1991, la Pretura circondariale di Pordenone (causa C-13/91) e la Pretura circondariale di Vigevano (causa C-113/91) hanno sottoposto a questa Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, talune questioni pregiudiziali vertenti sull' interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE.

 

2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di procedimenti penali promossi a carico del signor Michel Debus, rappresentante legale della società francese Brasserie Fischer SA.

 

3 L' art. 4, lett. c), della legge italiana 16 agosto 1962, n. 1354 (GURI n. 234 del 17 settembre 1962), precisa che il contenuto massimo consentito di anidride solforosa nella birra è di 20 milligrammi per litro. Questo limite vale anche per le birre importate, ai sensi dell' art. 19, primo comma, della stessa legge, il quale dispone che la birra importata deve possedere le caratteristiche e rispondere ai requisiti stabiliti dalla legge di cui trattasi.

 

4 La Brasserie Fischer SA produce una birra speciale a base di estratti naturali vegetali, denominata "36,15 Pêcheur ° La bière amoureuse", che come additivo contiene anidride solforosa in ragione di 36,8 mg per litro, il che è conforme alla normativa francese in materia. Tale birra è stata importata in Italia ove è venduta come "bevanda alcolica a base di birra".

 

5 Il NAS (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) ha prelevato un campione della detta bevanda presso un pubblico esercizio sito in Azzano Decimo. Poiché dall' analisi del campione è emersa la presenza di anidride solforosa in quantità superiore a quella consentita dalla normativa italiana per simili prodotti, il Procuratore della Repubblica promuoveva dei procedimenti penali per frode a carico del signor Debus.

 

6 In questo contesto i giudici nazionali hanno sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali, identiche nelle due cause:

"1) se gli artt. 30 e 36 del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea vadano interpretati in modo da far ritenere con essi non compatibile la normativa italiana sulla disciplina igienica della produzione e del commercio della birra (legge 16 agosto 1962, n. 1354, e legge 17 aprile 1989, n. 141) nella parte in cui consente l' impiego dell' anidride solforosa in quantitativo non superiore a mg 20 per litro;

2) se la normativa italiana vada disattesa dal giudice penale;

3) se debba consentirsi la libera circolazione della birra con percentuale di anidride solforosa superiore a 20 mg per litro".

 

7 Per una più ampia illustrazione degli antefatti delle cause principali, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.

 

8 Per quanto riguarda i dubbi espressi dalla Commissione sulla ricevibilità della domanda di interpretazione pregiudiziale presentata nella causa C-113/91, in quanto proveniente da un giudice che, ai sensi del diritto processuale penale nazionale, sarebbe incompetente a conoscere della causa principale, è sufficiente rilevare che, in linea di massima e non sussistendo circostanze eccezionali, la Corte non è tenuta a controllare la competenza del giudice nazionale con riguardo alle norme nazionali in materia di procedura.

 

Sulla prima questione

 

9 Con la prima questione il giudice a quo mira a far accertare se gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale che vieta la messa in commercio di birre importate da un altro Stato membro, nel quale sono legalmente messe in commercio, se contengono un quantitativo di anidride solforosa superiore a 20 mg per litro.

 

10 Si deve rilevare anzitutto che ai sensi dell' art. 1 della direttiva del Consiglio 5 novembre 1963, 64/54/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sui conservativi che possono esser impiegati nelle derrate destinate all' alimentazione umana (GU 1964, n. 12, pag. 161), gli Stati membri non possono autorizzare, per la protezione delle derrate alimentari contro le alterazioni provocate dai microrganismi, l' uso di conservanti diversi da quelli elencati nell' allegato della stessa direttiva, tra i quali è inclusa l' anidride solforosa.

 

11 Come emerge dai suoi 'considerando' , la direttiva costituisce solo una prima fase del ravvicinamento delle legislazioni nazionali nel settore di cui trattasi. In tale fase gli Stati membri non sono dunque tenuti ad autorizzare l' uso di tutte le sostanze menzionate nell' allegato della direttiva. Tuttavia, la loro libertà di fissare norme sull' aggiunta di conservanti ai prodotti alimentari può essere esercitata solo rispettando la duplice condizione che non sia autorizzato l' impiego di conservanti non figuranti nell' allegato della direttiva e che non sia totalmente vietato l' uso di un conservante ivi figurante, eccettuati i casi particolari in cui, trattandosi di generi alimentari prodotti e consumati nel loro territorio, l' uso del conservante non risponda ad alcuna esigenza tecnologica (v. sentenze 12 giugno 1980, causa 88/79, Grunert, Racc. pag. 1827; 5 febbraio 1981, causa 108/80, Kugelmann, Racc. pag. 433; e 13 dicembre 1990, causa C-42/90, Bellon, Racc. pag. I-4863).

 

12 Nel caso di prodotti importati da un altro Stato membro, ove sono legittimamente fabbricati e messi in commercio, si deve riconoscere che l' applicazione di una normativa nazionale come quella sulla quale vertono le cause principali ostacola il commercio intracomunitario e costituisce per questo motivo, in linea di massima, una misura d' effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell' art. 30 del Trattato. Dato che l' armonizzazione comunitaria nel settore considerato è solo parziale, occorre accertare se siffatta misura possa esser giustificata da motivi di tutela della salute delle persone in base all' art. 36 del Trattato.

 

13 Si deve ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 14 luglio 1983, causa 174/82, Sandoz, Racc. pag. 2445), qualora nello stato attuale della ricerca scientifica sussistano incertezze sulla nocività degli additivi alimentari, spetta agli Stati membri, in mancanza di armonizzazione completa, decidere il livello al quale essi intendono garantire la tutela della salute e della vita delle persone, sempre tenendo conto delle esigenze della libera circolazione delle merci all' interno della Comunità.

 

14 Dalla giurisprudenza della Corte (specie dalle sentenze 14 luglio 1983, Sandoz, già citata; 10 dicembre 1985, causa 247/84, Motte, Racc. pag. 3887; 6 maggio 1986, causa 304/84, Muller, Racc. pag. 1511; e 12 marzo 1987, riguardante la "legge sulla purezza della birra", causa 178/84, Commissione / Germania, Racc. pag. 1227) emerge del pari che, alla luce di quanto sopra, il diritto comunitario non osta a che gli Stati membri adottino una normativa che subordini l’impiego di additivi ad una autorizzazione previa concessa mediante un atto di portata generale per determinati additivi, vuoi per tutti i prodotti, vuoi per taluni di essi soltanto, vuoi per taluni usi. Lo stesso vale per la fissazione di un limite massimo per l' uso di un additivo per taluni prodotti. Una normativa di questo tipo risponde ad un legittimo obiettivo di politica sanitaria, che è quello di limitare il consumo incontrollato di additivi alimentari.

 

15 L' applicazione ai prodotti importati del divieto di mettere in commercio prodotti che contengano una quantità di additivi superiore al massimo autorizzato dalla normativa dello Stato membro di importazione, mentre tale quantità è autorizzata nello Stato membro di produzione, è tuttavia ammissibile solo purché sia conforme a quanto prescritto dall' art. 36 del Trattato, come è stato interpretato dalla Corte.

 

16 A questo proposito si deve ricordare, anzitutto, che nelle sentenze 14 luglio 1983, Sandoz, 10 dicembre 1985, Motte, 6 maggio 1986, Muller, 12 marzo 1987, "legge sulla purezza della birra", e 13 dicembre 1990, Bellon, già citate, la Corte ha desunto dal principio di proporzionalità, su cui si basa l' ultimo inciso dell' art. 36 del Trattato, che i divieti di mettere in vendita prodotti contenenti additivi autorizzati nello Stato membro di produzione, ma vietati nello Stato membro di importazione, devono esser limitati allo stretto necessario per garantire la tutela della sanità pubblica.

 

17 La Corte ne ha pure desunto che l' impiego di un determinato additivo, ammesso in un altro Stato membro, dev' essere autorizzato se si tratta di un prodotto importato da tale Stato membro, qualora ° tenuto conto, da un lato, dei risultati della ricerca scientifica internazionale e specialmente dei lavori del comitato scientifico comunitario per l' alimentazione umana, della commissione del Codex alimentarius della FAO e dell' Organizzazione mondiale della sanità e, dall' altro, delle abitudini alimentari esistenti nello Stato membro di importazione ° tale additivo non sia pericoloso per la sanità pubblica e risponda ad un' esigenza reale, segnatamente di ordine tecnologico.

 

18 Si deve poi ricordare che, come si desume in particolare dalle sentenze Muller, Commissione / Germania e Bellon, già citate, nonché dalla sentenza 30 novembre 1983, causa 227/82, Van Bennekom (Racc. pag. 3883), spetta alle autorità nazionali dimostrare che la loro normativa è giustificata da esigenze di tutela della salute della loro popolazione.

 

19 A questo proposito il governo italiano fa notare che, secondo il comitato misto di esperti FAO/OMS e il comitato scientifico per l' alimentazione umana, l' uso eccessivo di anidride solforosa nuoce alla salute umana, specie nel caso dei forti bevitori di birra. Di conseguenza, esso considera che la politica consistente nel ridurre al minimo l' assorbimento di anidride solforosa per vie diverse dalle vie respiratorie è giustificata dalle esigenze della sanità pubblica.

 

20 Dal canto suo, il governo olandese osserva che spetta in linea di massima a ciascuno Stato membro giudicare se le esigenze della tutela della salute consentano di autorizzare o meno l' impiego di un determinato conservante nei generi alimentari, tenendo conto delle abitudini alimentari della sua popolazione. Esso sostiene che l' OMS ha fissato in 40 mg la dose quotidiana massima di anidride solforosa tollerabile e che, per determinare la quantità di anidride solforosa assorbita dai consumatori, si deve tener conto del fatto che l' anidride solforosa è, oltre che alla birra, aggiunta a numerosi prodotti alimentari.

 

21 La Commissione sostiene che un divieto generale di importare e di mettere in commercio prodotti legalmente messi in commercio in un altro Stato membro, per il fatto che contengono uno dei conservanti figuranti nell' elenco allegato alla direttiva 64/54 in una proporzione superiore a quella autorizzata dalla normativa dello Stato di importazione, è eccessivo allorché l' aggiunta del conservante resta entro i limiti ammissibili alla luce delle conoscenze scientifiche internazionali.

 

22 Per quanto riguarda specificamente l' anidride solforosa, la Commissione sostiene, in base a dati tossicologici elaborati dalla FAO e dall' OMS e in base alla relazione del consulente tecnico designato dal Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Pordenone nell' ambito del procedimento a carico del signor Debus, che è escluso che l' anidride solforosa contenuta nella birra francese sequestrata possa avere effetti tossici. Infatti, in base ai dati tossicologici elaborati congiuntamente, la FAO e l' OMS suggeriscono l' assunzione di una dose giornaliera non superiore a 0,35 mg per kg di peso corporeo, il che, per un consumatore di 60 kg di peso equivale ad una quantità massima di circa 21 mg al giorno. Orbene, secondo i calcoli effettuati dal consulente tecnico nazionale, la dose che assorbirebbe il consumatore italiano che bevesse una birra contenente 36,8 mg/l di anidride solforosa sarebbe, in media, di 5,5 mg al giorno.

 

23 Si deve rilevare che la disciplina nazionale di cui trattasi si risolve in un divieto generale ed assoluto di qualsiasi birra contenente oltre 20 mg/l di anidride solforosa, senza alcuna eccezione.

 

24 La necessità di tale divieto per la protezione della salute non è stata dimostrata. Anzi, le affermazioni non contestate della Commissione hanno messo in luce che l' assunzione di anidride solforosa dovuta al consumo di una birra contenente 36,8 mg/l di tale additivo non comporta gravi rischi di superamento dei limiti della dose quotidiana massima di anidride solforosa ammessa dalla FAO e dall' OMS.

 

25 Il carattere sproporzionato di tale divieto generale ed assoluto nei confronti delle birre di importazione è inoltre evidenziato dal fatto che la normativa dello stesso Stato membro ammette l' impiego dell' anidride solforosa in proporzioni molto maggiori per altre bevande, specie per il vino, il cui consumo nel detto Stato membro sembra essere più ingente di quello della birra.

 

26 Il governo italiano sostiene tuttavia che l' aggiunta di anidride solforosa non è affatto indispensabile per la conservazione della birra, in quanto il suo effetto può esser ottenuto mediante altri metodi, come la pastorizzazione.

 

27 Questa circostanza non può giustificare un divieto generale ed assoluto come quello di cui si discute.

 

28 Infatti, come risulta dalla citata sentenza "legge sulla purezza della birra", per escludere che taluni additivi possano rispondere ad esigenze di ordine tecnologico, non basta richiamarsi ad un altro metodo di fabbricazione del prodotto, impiegato dai produttori nazionali, in quanto una siffatta interpretazione della nozione di esigenza di ordine tecnologico, che si risolve nel favorire i metodi di produzione nazionali, costituisce una restrizione dissimulata del commercio tra gli Stati membri.

 

29 La nozione di esigenza di ordine tecnologico va valutata in relazione alle materie prime impiegate e tenendo conto della valutazione effettuata dalle autorità dello Stato membro nel quale la merce è legalmente prodotta e messa in commercio. Si deve inoltre tener conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale ed in particolare dei risultati dei lavori del comitato scientifico comunitario per l' alimentazione umana, della commissione del Codex alimentarius della FAO e dell' Organizzazione mondiale della sanità (sentenza "legge sulla purezza della birra", già citata).

 

30 Dalle considerazioni che precedono risulta che la prima questione sollevata dal giudice a quo va risolta come segue: gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale che vieta la messa in commercio di birre importate da un altro Stato membro, nel quale sono legalmente messe in commercio, se contengono un quantitativo di anidride solforosa superiore a 20 mg per litro.

 

Sulla seconda e sulla terza questione

 

31 Con la seconda e la terza questione il giudice a quo mira a far accertare se il giudice nazionale debba disapplicare una normativa nazionale contrastante con il diritto comunitario oppure debba attendere l' adozione di una normativa generale.

 

32 A questo proposito, basta ricordare la consolidata giurisprudenza secondo cui il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell' ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l' obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all' occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629).

 

33 La seconda e la terza questione sollevate dal giudice a quo vanno pertanto risolte nel senso che il giudice nazionale deve disapplicare una normativa nazionale contrastante con il diritto comunitario.

 

Decisione relativa alle spese

 

Sulle spese

 

34 Le spese sostenute dal governo italiano, dal Regno dei Paesi Bassi e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nelle cause principali il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

 

Dispositivo

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione),

 

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalle Preture circondariali di Pordenone (causa C-13/91) e di Vigevano (causa C-113/91), dichiara:

 

1) Gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale che vieta la messa in commercio di birre importate da un altro Stato membro, nel quale sono legalmente messe in commercio, se contengono un quantitativo di anidride solforosa superiore a 20 mg per litro.

 

2) Il giudice nazionale deve disapplicare una normativa nazionale contrastante con il diritto comunitario.

 

                   (Seguono le firme)